'Judo' dal volume ‘Modern Bujutsu and Budo’

di Donn F. Draeger (1974)

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     D. F. Draeger

Presentazione di C. Barioli

Tra i tanti che hanno reso onore al Judo per la sincerità e l’amore della ricerca, ricordiamo T.P. Leggett e D.F. Draeger. Quest’ultimo, ufficiale del U.S. Marine Corps, giunto in Giappone alla fine della 2a Guerra, fu travolto dagli ideali della Via fino a decidere di congedarsi e di stabilirsi in quella Nazione per praticare e dedicarsi alla conoscenza filosofica del Budo (Via del Guerriero). Tutt’altro che limitato nelle sue visioni, provò il bisogno caratteristico degli occidentali - giacchè per la cultura nipponica l’ideale del Budo è ormai acquisito - di conoscere l’insieme delle manifestazioni che esprimono questi valori educativi, forse nati in India e da lì ramificatisi ad est e ad ovest, originando rispettivamente il guerriero cinese e il cavaliere mediterraneo.

In Giappone Draeger svolse molte attività, immergendosi nella realtà culturale del Paese e giungendo ad una approfondita conoscenza degli ideogrammi che gli permise di controllare personalmente il significato di antichi documenti. Viaggiò tutto il sud-est asiatico e mai perse occasione di raccogliere quei dati interessanti e genuini che ritroviamo, preziosissimi, nei suoi scritti.

L’esperienza pratica e la conoscenza teorica lo portarono alla conclusione che la moderna interpretazione sportiva del Budo è solo un momento nella storia di una disciplina spirituale sbocciata sulla terribile esperienza del combattimento. Il suo messaggio è che i valori di questa Tradizione rappresentano una conquista dell’umanità e così vanno continuati e preservati per le generazioni venture.

Questo saggio inquadra la nascita del Judo, sottolineando aspetti che spesso vengono trascurati. Esso si inserisce in una visione generale che comprende tutte le discipline di combattimento moderne e della tradizione ed è nostra speranza, un giorno, approfondirne lo studio, ma per ora ci accontentiamo di esaminare le conclusioni a cui Draeger è giunto circa la nostra Disciplina.

Quest’uomo era prima di tutto un judoista.

 

"Non c’è fine nella Via dell’Adattabilità e il cuore non vi scorge nemici" (Mifune Kyuzo)

Il Judo moderno è solitamente definito come uno sport, una disciplina di combattimento, una via spirituale, un sistema di educazione fisica o un’attività ricreativa; esso può essere interpretato così, o anche in altri modi. Tra tutte queste proposte, le persone completamente dedite al Judo scelgono quella della Via, ma la maggior parte dei 6 milioni di praticanti non giunge a questo livello di comprensione. Ciò accade perché gli interessi personali hanno ristretto gli scopi del Judo e molti dei suoi aspetti importanti sono stati trascurati a favore di una visione specializzata. Per vedere il Judo nella sua vera luce è necessario considerare l’originale Judo-kodokan, perché esso rappresenta l’anello di passaggio tra l’ideale guerriero dell’età feudale e la concezione sportiva tanto diffusa ai nostri giorni.

Jigoro Kano, nato nel 1860 e morto nel 1938, è stato il Fondatore del Judo-kodokan. La personalità di quest’uomo, la sua genialità come educatore e la sua filosofia personale in quanto idealista hanno avuto grande importanza nel determinare la natura del Judo-kodokan originale. Kano, l’educatore, credeva sinceramente che la prosperità delle Nazioni del mondo dipendesse dalla pienezza dell’energia rappresentata dall’eccellenza delle qualità morali dei cittadini e dal vigore dei loro corpi.

Da bambino Jigoro Kano era preoccupato per il suo stato di salute; la gracilità lo rendeva spesso vittima dei prepotenti e la cosa lo umiliava. Per rinforzarsi affrontò un programma di esercizi fisici praticando base-ball, canottaggio, ginnastica, alpinismo, e dopo due anni notò con soddisfazione che la sua salute era migliorata e che ormai disponeva di un fisico robusto. Ma la svolta nella vita di Kano giunse quando decise di studiare il Jiu-jitsu.

Nel 1877 Kano entrò nella scuola Tenjin-shin’yo, sotto la tutela di Fukuda Hachinosuke, che era stato allievo di Iso Mataemon, fondatore della scuola. Questo stile di Jiu-jitsu, nell’epoca Meiji, trascurava gli ideali guerrieri, ma era ancora considerato un valido metodo di difesa personale.

Fukuda impartiva lezioni molto rigorose ai discepoli, che si rivelavano meno devoti allo studio del giovane Kano, il cui interesse per il Jiu-jitsu invece cresceva ad ogni allenamento anche se la severità degli esercizi fisici era notevole. La specialità di Tenjin-shin’yo-ryu era l’ate-waza (tecniche per colpire) e katame-waza (lotta corpo a corpo).

L’uwagi di Kano sbrindellato e logoro, è conservato tutt’oggi dalla famiglia come un tesoro e il suo stato di usura comprova l’intensità dell’allenamento. Gli incidenti erano frequenti tanto che i compagni di scuola spesso deridevano Kano che si curava le ferite ricevute durante l’allenamento di Jiu-jitsu e si lamentavano anche degli unguenti usati per le medicazioni perché avevano un pessimo odore, che si avvertiva a distanza.

La morte di Fukuda portò Kano sotto la guida tecnica di Iso Mataemon, il figlio del Fondatore di Tenjin-shin’yo-ryu. Ma la morte di quest’ultimo costrinse Kano a continuare i suoi studi presso altre scuole.

Nel 1881 entrò in Kito-ryu, nei corsi del M° Iikubo Tsunetoshi. A quel tempo anche questa scuola mancava di una visione guerriera. Gli insegnamenti di Iikubo, chiamati ‘ran’ (letteralmente ‘libertà d’azione’, da cui deriva la parola randori ) erano considerevolmente diversi da quelli del Jiu-jitsu di altre scuole. Iikubo richiedeva un allenamento fisico meno intenso e l’attenzione era spostata sull’astratto simbolismo delle tecniche fisiche. L’enfasi di Kito-ryu era posta sul nage-waza .

Gli effetti uniti degli allenamenti di Tenjin-shin’yo e Kito-ryu, non solo migliorarono ulteriormente il fisico di Kano, ma lo invogliarono ad approfondire la conoscenza del Jiu-jitsu. Intraprese uno studio accademico degli altri bujutsu-ryu classici, specialmente la tradizione del combattimento senz’armi di Sekiguchi e Seigo-ryu. A quel tempo il Giappone era influenzato da una corrente di pensiero che vedeva i cittadini schierati contro i costumi, le istituzioni e i credo tradizionali. Kano lamentava che il Jiu-jitsu classico fosse caduto in disuso e con esso si fosse abbassato il prestigio di molti Maestri. Per la piaga sociale ed economica causata dalla mancanza di discepoli, molti di questi si prestavano a sfide con poste in palio o a dimostrazioni burlesche per il divertimento di spettatori paganti. Kano invece considerava il Jiu-jitsu come un elemento della cultura nazionale, una conoscenza meritevole di rispetto da parte del Giappone. Perciò si impegnò a riportarlo agli onori che gli erano dovuti.

Kano realizzò il proposito di riqualificare il Jiu-jitsu usando modi molto particolari che, in quell’epoca, affascinarono i suoi concittadini. Nel 1882 propose un sistema sintetizzato e si stabilì nel modo più umile a Eisho, un tempio nel quartiere Shitaya a Tokyo. Chiamò il suo metodo Judo-kodokan e cominciò ad insegnare a 9 discepoli in un dojo di soli 12 tatami .

Il Judo-kodokan è un sistema decisamente eclettico; per formularlo Kano attinse liberamente a fonti classiche giapponesi già esistenti. Per esempio, nello scegliere il nome Kodokan, Kano era già a conoscenza dell’esistenza di un Kodokan a Mito, nella prefettura di Ibaragi. Il Mito-kodokan venne fondato dal daimyo Tokugawa Naryaki nel 19° secolo come accademia di studi classici; allievi di questo istituto, come Aizawa Seishisai e Fujita Toko svilupparono quel nazionalismo sciovinista che ispirò l’abbattimento del bakufu Tokugawa e suggerì l’ideologia di Stato dell’era Meiji e di quelle successive. La parola Kodokan è omofona a quella del Mito-kodokan, ma il primo ideogramma differisce da quello del Kano-kodokan; comunque il significato generale di entrambi indica uno spirito di ricerca culturale. Il Kodokan di Kano significa: ‘ko’: lettura, studio, pratica; ‘do’: Via o dottrina; e ‘kan’: sala o luogo; cioè: Luogo per lo Studio della Via.

L’ideale e lo scopo del Budo classico, proposto come disciplina spirituale usata come mezzo per raggiungere la perfezione, attraevano Kano, che chiaramente intendeva il suo Judo-kodokan come un ‘michi-o-osameru’: percorrere la Via . Per illustrare il suo metodo Kano scelse deliberatamente la parola ‘judo’ preferendola a ‘jiu-jitsu’ in modo da porre enfasi sull’importanza dell’aspetto filosofico inerente al ‘do’ inteso come Via dell’umanità. Ma Kano aveva anche delle ragioni pratiche per tale scelta. Scrisse: "Molte scuole di Jiu-jitsu spesso indulgevano in pratiche pericolose come proiezioni senza rispetto per l’avversario, ottenute attraverso la torsione degli arti; questo portava gli spettatori a ritenere il Jiu-jitsu violento e nocivo per il fisico. Inoltre esistevano delle scuole di Jiu-jitsu poco disciplinate, i cui allievi si rendevano odiosi proiettando il prossimo o cercando il litigio. Per questo le classi sociali più responsabili consideravano screditato il termine Jiu-jitsu. Io dovevo dimostrare che il mio insegnamento, a differenza di quello del peggiore Jiu-jitsu, era privo di pericolosità e non era usato per educare alla violenza. Se avessi insegnato il mio sistema sotto l’etichetta Jiu-jitsu esso poteva venire rifiutato dalle persone responsabili della nuova società".

Oltre al rifiuto di legare il suo nome alla cattiva reputazione del Jiu-jitsu dell’era Meiji, possiamo leggere nelle parole di Jigoro Kano la sua considerazione per le classi sociali. Il fatto che Kano provenisse da una ricca e potente famiglia di mercanti, insieme al suo elevato livello di educazione, lo rendeva estremamente cosciente delle differenze sociali in termini di responsabilità. Questa sua concezione lo convinse ad insegnare il Judo-kodokan solo a persone delle più alte qualità morali. Kano non riteneva che il suo metodo potesse essere insegnato indiscriminatamente a tutti.

Il significato che Kano attribuisce alla parola ‘judo’ richiede un chiarimento: due secoli prima Jikishin era stato il primo ryu ad usare la parola Judo e alcuni ryu classici l’avevano imitato in seguito. Allora Kano ha insistito sul suffisso ‘kodokan’ in modo che il suo insegnamento di Judo potesse essere distinto da quello di questi stili antichi.

Teoria del Judo Kodokan

d2_pic.gif (41714 byte)Kano accettava gli aspetti pratici del ju-no-ri, o: ‘principio dell’adattabilità’, che era già stato sviluppato e praticato dagli esponenti di molti Budo e Bujutsu classici. Però c’erano molte interpretazioni del principio del Ju, alcune delle quali erano considerate da Kano come grossolanamente errate. Se tali errori si fossero introdotti nella pratica del Judo-kodokan, ne avrebbero distorto la teoria rendendolo irreale e poco pratico. Quando il principio del Ju viene male interpretato, nasce un evidente conflitto tra teoria e pratica. Queste opinioni erronee influenzano tutt’oggi il Judo moderno in molte maniere, per cui il principio del Ju è meritevole di un esame approfondito.

Gli esponenti del Bujutsu e Budo classici usano l’espressione Ju-yoku-go-o-sei-suru per descrivere le basi dello spirito e la meccanica delle differenti componenti dei loro sistemi. Il fatto che Kano adottasse questo aforisma per il Judo-kodokan dimostra che lo condivideva pienamente. Dall’approfondito studio del Jiu-jitsu Kano rilevò che il principio del Ju non era accettato universalmente, anche se era solo una piccola minoranza a rifiutarlo. Scoprì inoltre che tra i sistemi di Jiu-jitsu che aderivano a questo principio, molti ne davano un’interpretazione scientificamente inaccettabile.

‘Ju-yoku-go-o-sei-suru’ può essere approssimativamente tradotto come: ‘la morbidezza controlla la durezza’, oppure: ‘la debolezza controlla la forza’; questo implica una certa naturalezza dei modi e delle azioni, che diventa condizione sine qua non nell’esecuzione di tutte le tecniche. Ma per Kano il significato di ju-yoku-go-o-sei-suru deriva dagli insegnamenti taoisti espressi da Lao-tse (e conosciuti come Tao-te-king). Questo è un punto molto importante, perché determina il significato intrinseco del Ju nel Judo-kodokan. Lao-tse dichiara che "il movimento del Tao è reversibile" e da questo fenomeno deriva la legge naturale che supporta l’idea che "nel mondo le cose flessibili controllano quelle rigide". Non c’è menzione diretta del grado di morbidezza e durezza e tanto meno di forza e di debolezza, il che suggerisce che non vi siano limiti precisi per la flessibilità e la rigidità. Perciò, nelle varie situazioni in cui si contrappongono flessibilità e rigidità, la flessibilità può essere forte, ovvero può essere una forza flessibile. Ciò che è flessibile non è necessariamente morbido o debole in senso quantitativo e anche se l’atto di flessibilità può esserlo in senso relativo, esso è solo temporaneamente più morbido o più debole rispetto a ciò che gli è opposto in quel momento, in quanto più rigido.

Kano era troppo realistico per perdersi nell’astratta filosofia cinese. Nel corso dei suoi studi di Kito-ryu aveva imparato ad apprezzare l’antica e complessa dottrina cinese di yin e yang (in e yo in giapponese). La teoria meccanica di Kito-ryu era basata sull’interazione di questi due elementi. ‘Ki’, che significa ‘innalzarsi’, equivale a yang (yo), l’elemento positivo; ‘to’, che significa ‘cadere’, equivale a yin (in), l’elemento negativo. Lo yang implica la luce, lo yin implica l’ombra. L’azione e l’interazione di questi due inseparabili aspetti della natura regolano l’uso della forza nelle esecuzioni tecniche di Kito-ryu. Perciò le varie interpretazioni dell’espressione ‘ju-yoku-go-o-sei-suru’ non coinvolgevano Kano; egli interpretava le distinzioni tra morbidezza e durezza, o debolezza e forza, come distinzioni formali, ma non assolute. Kano era anche a conoscenza del fallimento di alcune scuole di Jiu-jitsu, che nell’interpretazione pratica del Ju avevano sbagliato riducendosi ad un gesto puramente estetico e giungendo alla completa inefficacia della tecnica.

Il grande desiderio che Kano aveva da giovane di ottenere prestanza fisica gli permise di riconoscere ed apprezzare i meriti della forza durante la pratica. Infatti Kano mise il suo rispetto per la forza fisica nell’elemento ‘rentai-ho’ (metodo d’allenamento fisico), uno dei tre componenti del suo ‘Principio delle Tre Culture’, che faceva del Judo-kodokan un sistema di educazione globale attraverso l’attività fisica. Kano non era contrario allo sviluppo e all’uso della forza fisica, ma ad un uso errato della medesima. Egli era d’accordo con l’affermazione del suo discepolo Arima Sumitomo: "In certi casi può essere vantaggioso l’uso di una considerevole forza, o il contrapporre forza a forza per sconfiggere un nemico... Perciò un uomo forte può avvantaggiarsi del Judo più di un uomo debole". Era poi naturale per Kano condividere l’interpretazione del Ju di Tenjin-shin’yo-ryu: ‘il corpo si fa controllare e coordinare dalla mente’, che ne fa un principio di adattabilità della mente nell’affrontare situazioni di emergenza improvvise. Questo concetto era già stato espresso con le parole ‘karada-o-shite-seishin-ni-jujun-narashimeru-jutsu’ (l’arte di rendere il corpo obbediente alla mente) da Terada Kan’emon, il 5° patriarca di Kito-ryu, fondatore di Jikishin-ryu. Perciò per Kano il principio del Ju non era mai privo di pratiche implicazioni fisiche; perchè il corpo, controllato dalla mente flessibile, è pronto a reagire con agilità meccanica quando incontra una situazione imprevista.

d3_pic.gif (24443 byte)Per Kano, l’applicazione del principio Ju all’esecuzione meccanica delle tecniche di Judo, consisteva nel combinare la propria forza con quella dell’avversario facendo in modo che quest’ultimo risultasse sconfitto. Altri precedenti sistemi di Jiu-jitsu riconoscevano questo principio allo stesso modo, come è mostrato dall’aforisma: ‘kureba mukae, sareba okuru’, che significa ‘dare il benvenuto all’avversario che arriva e indirizzarlo quando se ne va’. Il ‘go-go ju, ni-hachi ju’ (cinque più cinque fa dieci, due più otto fa dieci) è la teoria che il Jiu-jitsu ne ha ricavato, così riassumibile: "quando l’avversario spinge con cinque unità di forza, tu tira con altrettante, e il risultato sarà di dieci unità; se lui tira con otto unità e tu spingi con due, il risultato sarà ancora di dieci unità".

Kano applicò il ragionamento scientifico a queste espressioni del Jiu-jitsu e ne chiarificò il contenuto, per certi versi criptico, formulando una sua teoria della unità di forza: "Cosa significa realmente questa gentilezza o cedevolezza...? Supponiamo che la forza dell’uomo che mi sta di fronte sia di dieci unità, mentre la mia, inferiore alla sua, è di sette. Se lui impiegasse tutta la sua forza per spingermi io sarei certamente costretto a indietreggiare, o buttato a terra, anche se usassi tutta la mia forza contro di lui; ma se invece di oppormi lasciassi strada alla sua forza indietreggiando il mio corpo tanto quanto lui mi ha spinto, facendo attenzione intanto a mantenere l’equilibrio, allora naturalmente lui finirebbe in avanti squilibrato. In questa nuova posizione potrebbe risultare così debole, non per la reale forza fisica, ma per la posizione sbagliata, da avere a disposizione solo tre unità di forza in luogo delle dieci normali. Ma se io ho mantenuto l’equilibrio, dispongo della mia forza originale rappresentata da sette unità e grazie alla mia posizione superiore lo posso sconfiggere usando solo metà della mia forza, cioè tre unità e mezza contro le sue tre, il che lascia anche una riserva da utilizzare per qualsiasi altro scopo. Se io disponessi di una forza maggiore di quella dell’avversario, potrei naturalmente spingerlo indietro. Ma se anche lo potessi fare, giacchè dispongo di una forza maggiore, sarebbe sempre meglio (e più efficace), cominciare con l’assecondare l’avversario, perché così facendo risparmio energia ed esaurisco la sua".

Kano dunque applica il principio del Ju manovrando per combinare entrambe le forze in gioco per sconfiggere l’avversario, piuttosto che opponendosi direttamente alla sua forza. Buon conoscitore della dinamica, si trovava d’accordo con l’affermazione di Arima: "Il grado di potenza è determinato dal peso del corpo per la velocità del suo movimento, cosicché il peso e l’agilità del movimento sono fattori importanti nel Judo; sotto questo aspetto il Judo non è un’arte che desta meraviglia, bensì, semplicemente, il più razionale impiego della forza". Tanto per Kano come per molte scuole di Jiu-jitsu il principio del Ju comprende due aspetti: flessibilità e resistenza e il Fondatore del Judo non era d’accordo con chi riteneva che la flessibilità fosse l’unica componente del principio. Egli osserva: "Il modo di sconfiggere l’avversario non può limitarsi al cedere... se egli ci afferra un polso, come possiamo svincolarci senza usare forza contro la sua presa? Un’altra situazione esemplare è quella in cui viene applicata una presa alle spalle da dietro... Queste sono forme di attacco diretto". Nel suggerire che le tecniche del Judo-kodokan operano sulla base di flessibilità e resistenza, Kano nega l’opinione che il Judo sia puramente difensivo: "Se questo fosse vero, ciò implicherebbe che le tecniche del Judo sono inapplicabili finche l’avversario non attacca per primo e ciò renderebbe sicuramente la nostra disciplina una forma molto ristretta di combattimento".

d4_pic.gif (23187 byte)Il Judo-kodokan, come molti sistemi di Jiu-jitsu, opera sulle basi del 'kobo-itchi', cioè considera attacco e difesa come una sola cosa, anzi la stessa cosa, la priorità dell’uno sull’altra essendo determinata dalla situazione. Kano dimostrò la superiorità del Judo-kodokan basata sulla sua natura aggressiva, contro la scuola Yoshin-jiujitsu basata sulla difesa e diretta da Totsuka Hikotsuke. Nel 1886, sotto il patrocinio della polizia di Tokyo, fu organizzato un confronto tra le squadre del Judo-kodokan e di Yoshin-ryu. Quindici uomini per parte dimostrarono i rispettivi stili di combattimento. Il Kodokan vinse nettamente, perdendo due incontri e pareggiandone uno. In questo trionfo Shiro Saigo ebbe una parte importante: usando la tecnica di Yama-arashi (Tempesta sulla Montagna) devastò gli avversari con proiezioni esemplari. E’ tuttavia poco noto che Saigo aveva appreso questa tecnica dal Daito-ryu, stile di aiki-jiujitsu.

Gli scopi del Judo-kodokan

Molti esponenti del Judo-kodokan hanno ritenuto che questo sistema e la pratica che ne deriva fosse superiore agli altri nell’ambito del combattimento disarmato. Lo stesso Kano ritiene decisamente che il Judo-kodokan sia in ogni modo superiore alle altre discipline e Vie messe a punto in Giappone. Lo si nota nella scelta dell’appellativo formale Nippon-den-kodokan-judo, che implica nel suo significato: ‘Il miglior Budo del Giappone’. Questo prestigioso appellativo orna tutti i diplomi dei passaggi di grado. La validità di questa convinzione non può essere provata, ma è indicativa della fiducia e della speranza che il Fondatore riponeva nella sua amata disciplina.

Avendo chiaramente definito i principi del Ju, negando categoricamente che la flessibilità e la cedevolezza fossero l’unico modo di operare, Kano afferma: "Se il principio della cedevolezza non può coprire interamente il campo d’azione del combattimento... esiste dunque un principio veramente universale? Esiste ed è il principio della massima efficacia nell’uso della mente e del corpo". Durante i suoi studi accademici di Jiu-jitsu, Kano aveva scoperto l’espressione 'Shin-shin-no-chikara-o-moto-no-yuko-ni-shi-o-suru'. Essa pone in rilievo l’importanza dell’uso economico dell’energia sia mentale che fisica. Spiegata da Kano, essa risulta: "Qualsiasi scopo vi poniate il miglior modo di ottenerlo sarà il miglior uso dell’energia direttamente rivolto ad ottenerlo". Egli fece questa dichiarazione nel 1923, esprimendola come Sei-ryoku-zen’yo, o principio del Miglior Uso dell’Energia, che divenne la base ideale del Kodokan.

In esso Kano considera l’energia come forza vitale e non semplicemente come vigore fisiologico. Con l’allenamento nel Judo si apprende a comportarsi secondo questo principio. Ma Kano pensava a più alti valori esortando i praticanti di Judo a uniformarsi a questo principio. L’allenamento al Judo-kodokan con l’unico scopo di acquisire un corpo atletico (rentai-ho), o di sviluppare efficaci tecniche di combattimento (shobu-ho), è chiamato da Kano 'kyogi-judo', o Judo in senso ristretto, perché enfatizza la pura tecnica. Il kyogi-judo deve lasciare il posto al 'kogi-judo', o Judo allargato, nel quale susshin-ho, l’educazione mentale in termini di livelli di etica, porta alla perfezione dell’essere. Ne deriva che la perfezione fisica non è da sola sufficiente, perchè non importa quanto un praticante può diventare vigoroso o abile attraverso la pratica del Judo, giacchè "s’egli non apporta beneficio alla società, la sua vita risulta vana". Rentai-ho, shobu-ho e susshin-ho formano i tre elementi che Kano chiama ‘Principio delle Tre Culture’: un principio che fa del Judo-kodokan un sistema di educazione globale.

d5_pic.gif (25918 byte)Kano auspicava che l’allenamento al Judo non si svolgesse solamente nel dojo, ma anche al di fuori, così da fare di questa pratica apparentemente fisica il fulcro dello sforzo umano per progredire e crescere. Quando i praticanti di kyogi-judo raggiungono la maturità tecnica, solo la loro realizzazione nel kogi-judo può renderli socialmente maturi. Il punto di vista di Kano è subordinato al precetto confuciano di "allargare gli scopi delle proprie azioni fino ad includere gli altri esseri e le loro azioni". Così egli amplia lo scopo del Budo classico, che nelle altre scuole aveva una definizione piuttosto vaga tranne quando considerava la ricerca della perfezione individuale. Kano definisce il Judo-kodokan, secondo Sei-ryoku-zen’yo, così: "Il Judo non si limita ad usare al meglio le energie fisiche e mentali per l’unico scopo dell’attacco e della difesa, ma è un metodo che permette di assimilare il principio (Sei-ryoku-zen’yo) e di applicarlo a tutti i campi della vita". Partendo da questa filosofia egli sviluppò il secondo grande principio che espresse con Ji-ta-kyo-ei (Mutua Prosperità, o Tutti Insieme per Progredire), che implica assistenza, collaborazione e rispetto.

Quest’ultimo diventò la grande speranza di Kano per giungere all’armonia della società internazionale. I fondamenti del Ji-ta-kyo-ei di Kano possono essere rintracciati nel Budo e nel Bujutsu classici. Un esempio possono essere gli insegnamenti di Yagyu-shinkage-ryu (nella ramificazione di Edo) che trattavano la scherma di un particolare Ken-jutsu. Il Maestro Kenshi di Edo-yagyu-shinkage-ryu, espone l’allenamento al Ken-jutsu come Kogi-kenjutsu, o, come si dice più comunemente, come seiho, o heiho. I suoi allievi cercavano la perfezione dell’essere attraverso l’allenamento nelle tecniche di spada, ma questa ricerca era sempre mirata a scopi superiori. Nella dottrina di Edo-yagyu-shinkage-ryu, seiho è la disciplina che devono seguire coloro che vogliono diventare utili alla società nipponica. L’enfasi di Kano nel servire la società trova un’applicazione notevolmente più ampia, comprendendo l’intera comunità internazionale. Kano auspicava che ovunque gli esponenti del Judo-kodokan, attraverso il comune interesse per l’allenamento e l’apprendimento, avrebbero dimostrato il principio di Sei-ryoku-zen’yo e compreso che esso diventava realizzabile solo con la mutua cooperazione. Usando le parole di Kano, questa conquista li avrebbe portati "ad una condizione elevata, in cui la differenza tra gli esseri umani risulta superata" e sarebbero stati in grado di applicare il Principio alle attività quotidiane della vita influenzando gli altri, in modo da rendere il loro operato pieno e utile per l’umanità.

Tecniche e metodi di allenamento

Un’analisi onesta e approfondita delle tecniche originali del Judo-kodokan di Kano mostra che in qualche maniera tutte, senza eccezioni, erano già usate dai precedenti sistemi di Bujutsu e di Budo classici. Ciò che fu raccolto da Kano nel Kodokan-gokyo-no-waza, o ‘I Cinque Principi della Tecnica’, come pure le tecniche standard del Kodokan-katame-waza (la categoria delle tecniche corpo-a-corpo) deriva nella teoria e nei meccanismi da fonti a lui familiari. I moderni judoisti che impiegano efficacemente in combattimento proiezioni come seoi-nage, harai-goshi e o-soto-gari per atterrare l’avversario, o lo immobilizzano con kesa-gatame, juji-jime, o ude-hishigi-juji-gatame, devono la loro conoscenza a fonti molto più vecchie del Judo-kodokan; e questo non è meno vero per la pratica dell’ate-waza, la tecnica dei colpi del Judo-kodokan, in cui si usano come armi varie parti del corpo contro i bersagli anatomici dell’avversario. Forme rudimentali delle tecniche originali del Judo-kodokan possono essere osservate nelle tattiche di combattimento senz’armi della scuola Yagyu-shinkage-ryu (derivato dall’influenza del Kage-ryu e del Tenjin-shoden-katori-shinto-ryu), di Kito-ryu (derivato da Teishin-ryu), di Jikishin-ryu (influenzato da Kito-ryu), di Tenjin-shin’yo-ryu (basato su Yoshin-ryu, Shin-no-shinto-ryu, Fukuno-ryu, Isogai-ryu e Miura-ryu), di Sekiguchi-ryu (massimamente legato alle tattiche del Sumo) e di quelle scuole, come Seigo-ryu che usavano kumi-uchi, il combattimento corpo-a-corpo.

Circa l’originalità di Kano nel concepire nuove tecniche per il Judo-kodokan, egli adattò piuttosto che adottare quanto già esisteva; in questo senso egli ha dimostrato una grande originalità di pensiero. Due criteri hanno condizionato gli sforzi di Kano nel dotare il Kodokan di un patrimonio tecnico: 1° scegliere movimenti basati chiaramente su principi scientifici, e 2° scartare quelli pericolosi e troppo duri da sopportare. Entrambi gli aspetti erano necessari perchè il Judo potesse essere accettato dalla società Meiji.

L’esigenza di Kano di criticare le vecchie tecniche alla luce delle teorie scientifiche del tempo nasceva dal fatto che il combattimento senz’armi che aveva praticato ignorava del tutto queste nozioni. Ma alla luce degli studi odierni la validità di questa critica al passato appare eccessiva: forse sarebbe più giusto criticare l’abilità tecnica dei jujutsuka di quel periodo. Certo, considerando l’ampiezza delle opinioni sul principio del Ju ai tempi di Kano, molte tecniche usavano questo principio in maniera inaccettabile per l’uomo moderno ed egli cercò di selezionare le tecniche da adottare per il Judo-kodokan in base alla loro efficienza meccanica.

La preoccupazione di Kano per la sicurezza personale dei praticanti del Judo-kodokan, portò ad un ulteriore perfezionamento delle tecniche che una volta venivano usate in battaglia o per la difesa personale, quando l’integrità dell’avversario era tutt’altro che importante. Questo permise di interpretare il Judo come una sorta di specialità sportiva. Così Kano stabilì delle regole che governano l’uso della tecnica e descrisse chiaramente le azioni proibite.

Forse il maggior contributo di Kano all’evoluzione del combattimento a mani nude fu l’imporre che i combattenti si afferrassero al costume per l’esecuzione delle tecniche. Anche se questa pratica ha dei precedenti in alcune delle più vecchie forme di Bujutsu, o di Budo classico, l’idea di afferrarsi era praticamente assente dalle vere arti antiche di combattimento, perchè risultava pericolosa ed anche difficile, dato che queste forme di combattimento erano nate tra lottatori che indossavano la protezione dell’armatura. Ma l’afferrarsi soddisfa entrambi gli scopi che ispirarono l’adattamento delle vecchie tecniche ai principi del Judo-kodokan: infatti non solo così si ottengono delle proiezioni più efficaci, ma si assicura un alto margine di sicurezza ad uke, la presa permettendo a tori di controllare la direzione e la velocità di caduta e garantendo la sicurezza che sarebbe imprudente affidare alla forza di gravità.

Sotto molti aspetti Kano è un eretico nei confronti della tradizione del Bujutsu e del Budo classico. Ad esempio, nel definire i metodi di allenamento del Judo-kodokan egli ripudiava il concetto classico di ‘yugen’, in quanto implicante l’idea di ‘abilità misteriosa’. In qualche maniera questo rappresenta un rifiuto della filosofia yomeigaku, spina dorsale di tutti i metodi classici di apprendimento. Egli non era d’accordo che fosse necessario acquisire esperienza tecnica e maturità spirituale attraverso l’esperienza spinta di okuden, le ‘tecniche segrete’; se ciò fosse stato vero, gli studi di Kano, in particolare quelli fatti in maniera puramente accademica, l’avrebbero denunciato come carente in molti aspetti della conoscenza del Bujutsu classico. Kano poneva meno enfasi sul kan, ‘intuizione’ dell’apprendimento, rimpiazzandolo col pensiero e le analisi razionali basate "su un metodo di istruzione conforme alla scienza moderna".

Kano denunciava nel Jiu-jitsu l’assenza di metodi di insegnamento sistematici per rendere meno pericoloso apprendere gli ukemi (rottura di caduta). In molte di queste scuole si proiettava senza considerazione per l’abilità di caduta dell’altro e Kano aveva sperimentato personalmente gli effetti di quest’usanza. Egli costituì quindi un metodo di apprendimento della caduta privo del rischio di incidenti. Questa metodica del Judo-kodokan soddisfa uno dei criteri della buona educazione fisica: un metodo di allenamento sicuro e sistematico, e caratterizza l’insegnamento ortodosso del Judo-kodokan. La tendenza di alcuni judoisti moderni di trascurare gli esercizi sistematici di ukemi nel loro allenamento, non è ‘il Judo moderno’, come essi talvolta dichiarano, ma piuttosto un revival delle vecchie, brutali e poco sistematiche pratiche del Jiu-jitsu.

Il punto centrale su cui poggia il Judo-kodokan come sistema educativo è l’impegno del praticante, secondo la richiesta di Kano, di equilibrare gli elementi del 'Principio delle Tre Culture', cioè rentai-ho, susshin-ho e shobu-ho. Circa quest’ultimo Kano dice: "Io non ho posto particolare enfasi nella partecipazione alla gara... mirando piuttosto a una combinazione di esercizi di allenamento e di combattimento per il corpo e la mente". L’abilità, per Kano, è un aspetto importante dell’allenamento, ma negli scopi di quest’ultimo è subordinata a quello di ottenere gli importanti obiettivi sociali del Judo-kodokan. Kano ha anche affermato la sua disapprovazione per i metodi spartani di allenamento da cui risulta la sopravvivenza del più forte: "Una pratica corretta - dice Kano - non deve causare super-allenamento". Per far sì che il Judo-kodokan soddisfacesse ogni criterio di quella che s’intende una buona educazione, Kano insistette sul fatto che tutti gli allenamenti devono considerare lo sviluppo armonioso del corpo umano. Tale sviluppo è impossibile in un allenamento da gara che enfatizza solo il ran-dori, ‘esercizio libero’. L’esperienza del sistema ran di Kito-ryu aveva già fornito a Kano l’idea del ran-dori; in Kito-ryu gli allievi erano incitati a praticare ran, o toru, ‘azione libera’. Ma Kano considerava la pratica del solo randori come incompleta. Egli dice: "Ciò che manca al randori deve essere dato dal Kata, forma prestabilita".

Il Kata, interpretato secondo l’esperienza del Bujutsu e del Budo classici, era molto importante per Kano, che non solo lo assunse come base teorica del Judo-kodokan, ma insistette anche sul concetto che il Judo non può pretendere di essere un buon sistema educativo senza un sufficiente uso dei Kata nei programmi di allenamento. Il Kata fornisce i mezzi perchè il Judo diventi una pratica armoniosa, trasformando il kyogi-judo-ran-dori, o Judo da combattimento, in kogi-judo, una disciplina educativa per l’essere umano, che è l’essenza del Judo-kodokan. La scelta deliberata di chiamare Ran-dori-no-kata (Forme del Ran-dori) gli esercizi di Nage e Katame-no-kata (Forme delle Proiezioni e Forme del Corpo-a-corpo), indica l’intenzione del Fondatore che questi due Kata vengano usati come base teorica dell’allenamento del randori.

Kano disse che il randori, il Kata e lo shiai erano gli elementi primari dell’allenamento del Judo, ma egli fece anche un ragionevole uso di letture e di ‘mon-do’ (momenti dedicati a domande e risposte) per guidare lo sviluppo tecnico dei suoi allievi diretti. Il valore di questi ultimi due elementi della pratica per stimolare lo sviluppo intellettuale e morale è reale. Kano riteneva che il carattere degli allievi fosse il vero riscontro del loro valore e chiedeva quindi di condurre la vita nel modo più dignitoso. Il suo eccezionale esempio ispirò tutti coloro che, al tempo, frequentarono il Kodokan.

Le idee di Kano sulla virtù umana possono essere riassunte in due categorie: 1° quelle che aiutano e influenzano gli altri e 2° quelle che riguardano la propria vita. La prima categoria richiede di coltivare il senso dell’onore, evitare abitudini lussuriose, avere il senso della giustizia, quello della giustezza, gentilezza e discernimento, conoscenza dell’etichetta e onestà; la seconda categoria include lo sviluppo di una buona salute mentale, il controllo delle passioni, una buona condizione fisica e poi coraggio, prontezza, acume, costanza e determinazione, decisione nell’emergenza, moderazione in ogni cosa e il senso estetico di apprezzare non la vittoria a qualunque costo, ma il modo con cui essa è stata acquisita.

Il Judo moderno

d6_pic.gif (13615 byte)Kano sottolineò: "Nulla ha più importanza dell’educazione; gli insegnamenti del virtuoso possono raggiungere molti e quanto è stato appreso da una generazione può essere tramandato alle successive". I praticanti del Judo di oggi farebbero bene a riflettere sulle parole di Kano, alla luce delle idee originali del Judo-kodokan che abbiamo riassunto. Dato che Kano credeva che il Judo-kodokan potesse contribuire alla pace del mondo e migliorare le condizioni di vita dell’umanità, egli si sforzò di renderlo internazionale. Kano viaggiò all’estero otto volte per raggiungere questo scopo. Quando era a Londra nel ’33 illustrò il suo progetto per una Federazione di Judo Mondiale, dedicata alla diffusione degli ideali del Judo-kodokan nel mondo intero: "Lo Spirito del Judo, che ha il suo ideale nella pace mondiale, collabora con le aspirazioni di tutti; se dovesse nascere una Federazione Internazionale di Judo, ciò significherebbe la creazione di un organismo per una vera collaborazione internazionale". Nel ’52, anche se egli non era più tra noi, il sogno di Kano si avverò e fu formato un organismo di Judo internazionale.

Esso è il più vecchio organismo di Judo nel mondo, composto dalle Federazioni nazionali di oltre settanta Paesi. Nell’art. 4 del suo Statuto ne sono dichiarati gli scopi:

1) Promuovere relazioni cordiali e amichevoli tra i membri, coordinare e supervisionare l’attività del Judo in tutti i Paesi del mondo.

2) Proteggere gli interessi del Judo nel mondo.

3) Organizzare e far disputare i Campionati Mondiali di Judo e le gare dei Giochi Olimpici, collaborando con le Unioni continentali.

4) Organizzare su basi internazionali la diffusione del Judo nel mondo e promuovere la conoscenza e lo sviluppo dello Spirito e della tecnica del Judo.

5) Stabilire gli standard tecnici.

d7_pic.gif (13736 byte)Prima della Seconda Guerra Mondiale il Judo giapponese conobbe il suo massimo livello di perfezione tecnica. Anche se i praticanti erano attratti dalle competizioni, l’allenamento manteneva lo scopo di seishin-tanren, lo sviluppo dello spirito. La proibizione di praticare le discipline del Budo, imposta dallo Scap (Supremo Comando delle Truppe Alleate) nel ’45, comprendeva il Judo e causò una regressione tecnica. Quando il Judo fu nuovamente permesso, nel ’47, Kano Risei, il figlio adottivo di Jigoro Kano e terzo presidente del Kodokan, si adoperò per ricostruire la tradizione tecnica del Judo giapponese sotto la guida del Kodokan. Egli organizzò nel ’49 la Zen Nippon Judo Renmei (Federazione di Tutto il Giappone) e si accollò la responsabilità dell’amministrazione economica e tecnica del Judo.

Anche se ben comprendeva i valori culturali del Judo-kodokan, Kano Risei si adoperò solo nella direzione del Judo agonistico. Le sue fatiche iniziarono con l’organizzazione del primo vero Campionato Giapponese di Judo nel 1948. Nel Giappone d’oggi il Judo è prima di tutto uno sport, con la massima insoddisfazione dei molti tradizionalisti che lo considerano invece come un’attività culturale tipicamente nipponica. Comunque il sistema di allenamento del Judo odierno continua dovunque ad ispirarsi alle tecniche di allenamento utili per le competizioni olimpiche e mondiali.

 

Note (riferimento nel testo in corsivo)

6 milioni: i dati dell’Autore risalgono ai primi anni ’70; oggi i praticanti superano i 10 milioni.

Specializzata: gli interessi del sistema vogliono che i judoisti si producano nell’agonismo spinto, trascurando la ricerca che porta alla crescita dell’essere umano.

Ideale guerriero: la storia della lotta giapponese distingue questi periodi: Chikara-kurabe-no-jidai, epoca delle prove di forza (dalla fondazione dell’Impero al 710, quando Nara diventò Capitale); Sumai-no-jidai, epoca del Sumo (dal 710 al termine della guerra Gempei, 1185); Yoroi-kumyuchi-no-jidai, epoca del combattimento con l’armatura (dal 1185, durante le Guerre Civili, fino al 1600 quando divenne Shogun Ieyasu Tokugawa); Jiujitsu-no-jidai, epoca del Jiu-jitsu (dal 1600 alla Restaurazione Meiji del 1868); Judo-no-jidai, epoca del Judo (dal 1868 ad oggi, a meno che pessimisticamente la si voglia considerare conclusa col ’45). Nel 1° periodo (Chikara-kurabe) si forma un ideale guerriero chiamato Kyuba-no-michi (La Via dell’Arco e del cavallo), che raggiunge la sua pienezza nel 2° (Sumai) ponendo l’uomo d’armi al servizio della Società; il 3° periodo (Yoroi-kumyuchi) vede modificare il codice non scritto del samurai secondo i dettami del Bushi-do (Via del Guerriero), la cui caratteristica è di offrire la salvezza individuale attraverso l’esercizio delle armi; l’etica confuciana, ispiratrice della Pax Tokugawa nel 4° periodo (Jiu-jitsu), porta a una coscienza nazionalistica e propone il Bu-shi-do (Suprema Virtù Militare), che ispirerà il militarismo e i Kamikaze; il 5° periodo (Judo) è contraddistinto da un lento decadere verso i principi dello sport.

Jiu-jitsu: ‘Arte o tecnica dell’adattabilità’, per il combattimento senz’armi e per la difesa personale.

Questo stile: le scuole di Jiu-jitsu si differenziavano nella visione tecnica, o in quella filosofica, ma talvolta anche solo nel nome, essendo dei doppioni commerciali l'una dell'altra. Tuttavia è pratico fare la distinzione tra le scuole civili prevalentemente al servizio della classe commerciale, che irrobustivano il corpo e insegnavano a difendersi, e quelle militari, che ponevano l’abilità nel combattere al servizio della comunità e del clan.

Tenjin-shin’yo-ryu: gli ideogrammi hanno diverse possibilità di trascrizione. In Italia usiamo generalmente il sistema denominato ‘Roma-ji’ e il nome di questa scuola suonerebbe ‘Tenshin-shin’yo’, ma in questo caso abbiamo mantenuto il modo di trascrivere usato dall’autore, diffuso in Giappone e in Gran Bretagna. Ryu significa ‘scuola’ e viene posto come suffisso al nome proprio.

Uwagi: casacca robusta impiegata nell’allenamento (oggi compone con i pantaloni e la cintura il ‘gi’: costume, o ‘judogi’: costume del Judo). Un esemplare usato dal giovane Kano è esposto al Museo del Kodokan insieme a quello di Shiro Saigo.

Mataemon: è il nome onorifico; i judoisti lo conoscono come Iso Masatomo. I casi di omonimia tra i rappresentanti della stessa linea di trasmissione di una scuola sono frequenti e non significano necessariamente relazione famigliare diretta.

Entrò: questo termine viene usato perchè chiedere di essere accettati da un Maestro implicava un rapporto d’onore. Questa è una tradizione molto antica che forse gli Yamato importarono dalla Malesia dove, alla cerimonia di iniziazione, l’allievo sacrifica un gallo a significare il sangue che è disposto a versare per difendere la scuola. Anche il registro del Kodokan, inizialmente si firmava col sangue.

Randori: esercizio libero in cui si esercita quanto si ha appreso come forma, sviluppando la fantasia e l’intuizione.

Scuole: molte ‘ryu’ di Jiu-jitsu praticavano prevalentemente il metodo ‘kata’ (forma prestabilita) perchè la pericolosità delle tecniche impiegate sconsigliava l’esercizio libero.

Nage-waza: le tecniche del Judo comprendono attacchi: con colpi (atemi-waza) quando ci si trova a lunga distanza, con proiezioni (nage-waza) dalla media distanza e con leve, strangolamenti e immobilizzazioni nel corpo-a-corpo (katame-waza). Questa visione strategica, basata su 3 distanze, nasce nell’esperienza del Jiu-jitsu e prima ancora, sul campo di battaglia (Yoroi-kumyuchi).

Bujutsu-ryu: il complesso delle scuole che praticavano le arti di combattimento, con e senza armi, del periodo feudale.

Schierati contro: si racconta di quel periodo che il disinteresse generale spingeva famosi attori del No a girare di porta in porta recitando brani del loro repertorio in cambio di un pasto. I Maestri del Budo accettavano per mantenersi dei lavori pesanti come quello di tirare il riksho (il triciclo-taxi) e si consumavano prematuramente, portando nella tomba i loro segreti.

Tatami: è una stuoia di paglia usata per pavimentare le stanze, la cui misura, circa tre piedi per sei ovvero 90 cm. per 180, è anche una misura architettonica; per il Judo si usano tatami più spessi (4 cm.) di quelli usati nell’arredamento (2 cm.).

Via: è il concetto fondamentale del Taoismo, condiviso anche dal Buddhismo e implica che l’uomo può progredire. L’ideogramma ‘do’ di Judo si legge ‘tao’ in cinese e vuole esprimere quest’idea.

Mercanti: la famiglia di Kano produceva sake, la bevanda alcolica giapponese, ma nei capovolgimenti sociali dell’epoca Meiji aveva ingrandito l’azienda diventando fornitrice di generi diversi alle Forze Armate.

Judo-moderno: i cui regolamenti attribuiscono la vittoria anche per punteggio parziale, inducendo lo sportivo a specializzare l’astuzia della mente per ottenere il risultato e distogliendo l’attenzione dallo stile dell’azione e dallo spirito del rispetto. Solitamente si dice che nel Judo corretto l’astuzia può essere solo del corpo.

Ju-yoku: la discussione sulle diverse percentuali di ju (adattabilità) e go (forza) che dovevano idealmente animare l'azione, era uno degli argomenti del Jiu-jitsu.

Combinare: le interazioni tra due praticanti di Judo sono codificate nei Kata. Ad esempio nel Nage-no-kata si elencano 15 metodi fisici, raggruppabili in 5 categorie: prendere l’iniziativa (sen), contrattaccare (go-no-sen), sfruttare le opportunità (omote), sfruttare il ritmo (hyoshi) e far uso dell’intuizione (sen-no-sen).

Ragionamento scientifico: il Jiu-jitsu lo ignorava; si narra che il sig. Kano usasse sovente una bambolina per illustrare i principi degli squilibri ai suoi allievi (in termini di perpendicolare condotta dal baricentro in rapporto al poligono di ba-se) e alcuni esperti di Jiu-jitsu, che assistevano alle lezioni, non comprendendo quanto egli voleva esprimere, lo accusarono di usare pratiche di stregoneria.

Flessibilità e resistenza: il ‘Ju’ (flessibilità) è un antichissimo principio strategico cinese, da sempre impiegato nell’azione politica e militare d’Oriente, come dimostrano il pacifismo di Gandhi, la rivoluzione maoista, ecc. La resistenza ne é il naturale complemento.

Confronto: il sig. Mishima, amico di famiglia dei Kano, era divenuto Prefetto di Tokyo e organizzò un concorso per attribuire l’appalto dell’insegnamento del Jiu-jitsu alla Polizia metropolitana. A questa gara parteciparono solo la scuola di Totsuka e quella di Kano.

Saigo: di nome Shiro, è un personaggio famoso del primo Judo (con il suo amico Yokoyama). Di piccola corporatura, prediligeva la tecnica di Yama-arashi (Tempesta sulla Montagna) che eseguiva con tale violenza da ferire gli avversari. Genio precoce, lasciò il Kodokan in giovane età per seguire Vie spirituali e dedicarsi, come mestiere, al giornalismo. Morì all’età di 36 anni.

Nel 1923: l’anno prima il Giappone aveva promosso una grande festa giovanile in onore dell’Imperatore e in quell’occasione Jigoro Kano dichiarò il Judo completo nei suoi scopi e nei suoi mezzi. Lo studio per giungere alla perfetta codificazione del metodo era iniziato 40 anni prima, con la fondazione del Kodokan (1882). Negli anni successivi il sig. Kano si produsse in numerose conferenze pubbliche per propagandare la sua idea.

Forza vitale: che nell'azione prende il nome di 'ki' le cui regole sono contenute nel katame e nel kime-no-kata del Judo.

Heiho: questo è il termine, tradotto come ’strategia’, con cui Miyamoto Musashi, famoso spadaccino del ‘600, chiama la Via. Il suo libro, Gorin-no-sho, è un testo fondamentale per capire la Tradizione antica del combattimento.

Periodo: gli avvenimenti sociali della Restaurazione avevano causato la decadenza di tutte le espressioni della tradizione nipponica e il Jiu-jitsu ne risentiva pesantemente. Gli studi odierni relativi ai secoli precedenti portano a una rivalutazione del pensiero di quest’arte.

Uke, tori: rispettivamente colui che subisce e colui che esegue una tecnica.

Yomeigaku: sviluppo della mente nell’intuizione trattato dal cinese confuciano Wang Yang-ming (in giapponese Oyomei), che lo definì come la conoscenza fondamentale della vita: "Yo-meigaku è all’origine dell’azione e l’azione è il frutto di yomeigaku".

Base teorica: la forma e l’esercizio libero (kata e randori) devono interagire e scambiarsi vicendevolmente i contenuti. Significa che ‘qualcosa deve passare dal kata nel randori e viceversa’. E’ un concetto simile a quello dell’interazione fra teoria e pratica.

Organismo di Judo: la I.J.F. (International Judo Federation) si presenta come organizzazione sportiva nell’ambito del C.I.O. (Comitato Internazionale Olimpico) e non come Federazione degli enti che praticano il Judo, cioè che insegnano la Via.

Settanta: questi dati sono ormai obsoleti, oggi le Nazioni aderenti alla I.J.F. sono oltre 100.