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Campo
di servizio a Roma 3ª superiore
Com. S. Egidio, 20/27 luglio 2003
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S.Liberale di
Marcon 20LUGLIO 2003: “E’ una tipica domenica mattina calda
e con un lieve sole che bacia la fronte degli abitanti del piccolo paese
di S.Liberale. I Paesani, come ogni settimana si preparano all’ascolto
della messa domenicale del loro amato parroco, ma…qualcosa non quadra
in questo tipico quadretto di periferia veneta: solo qualche particolare!
Primo fa un caldo da paura tanto che l’asfalto fronte Chiesa ribolle,
secondo la domenica non è poi così tipica poiché
la solita messa viene presa d’assalto da una trentina di persone
in tenuta da viaggio, pronte a partire per chissà dove con tanto
di materassini e sacchi a pelo, capitanati da quel povero e solo parroco
di S.Liberale, Don Elio e un quintetto di temerari animatori del vicariato.
Un avvenimento per il piccolo paese. Il tutto contornato da una serie
di genitori preoccupatissimi di aver dimenticato di mettere qualcosa nello
zaino del proprio figlio e contemporaneamente intenti a dare le ultime
raccomandazioni di rito. Neanche partissimo per l’Alaska!…e
invece la meta è Roma. Finalmente l’autobus arriva e si parte.
Di certo sappiamo che andiamo a Roma e che stiamo per vivere un’esperienza
che ci segnerà sicuramente, anche se non sappiamo come né
quanto. L’abbiamo chiamata GENTI DI PACE.
Tralasciando i particolari del viaggio (top secret) a pomeriggio inoltrato
arriviamo a destinazione: l’annesso della casa madre delle Suore
della Carità proprio nel mezzo del giardino degli aranci sull’Aventino.
Da qui vediamo il Cupolone!Luogo da sogno, di frutta fresca ma anche ottima
palestra!Chi c’è stato sa bene il perché!ma sorvoliamo…
Passiamo ora al campo vero e proprio. Scopo e obiettivo del campo è
quello di prestare il nostro servizio alla Comunità di S.Egidio
di Roma, comunità che si occupa di quelle persone meno fortunate
di noi quali gli anziani soli, i poveri e chi è in difficoltà
in genere. Il loro servizio consiste nel dare loro aiuto non di tipo economico,
sarebbe impossibile ma nel sfamarli, vestirli, aiutarli a cercare lavoro
e posti in cui stare ma soprattutto diventare loro amici, donargli un
punto di riferimento, farli sentire vivi: in poche parole dare loro la
possibilità di risalire dal disagio in cui vivono, il più
delle volte non per causa loro.
Forti di queste informazioni cominciamo a vivere il nostro campo. Nel
nostro piccolo pensiamo di sapere cosa dovremmo fare ma in realtà
nessuno di noi sa come fare. Ce lo leggiamo negli occhi mentre giriamo
per Roma nelle nostre visite turistiche. Roma è grande bella, sfarzosa
ma nasconde tante tristi storie e protagonisti di queste tra i suoi monumenti
e soprattutto nelle sue stazioni. Gli sguardi di persone che chiedono
l’elemosina o semplicemente dormono per la strada ci fanno porre
la domanda “Come li affrontiamo?Cosa dobbiamo fare?Che dire?”.
E’ lunedì.Ci siamo ripresi dal viaggio e fatto solo un po’
di pulizie nella mensa della comunità e dove distribuiscono i vestiti.Ma
il martedì già cominciano ad arrivare risposte e insieme
nuove domande insieme a certezze che spariscono nelle nostre vite e dubbi
che nascono. Già, perché il resto della settimana è
tutto un susseguirsi di emozioni e incontri che non ti lasciano respirare,
che non ti danno il tempo di ragionare troppo. E così una sera
ti ritrovi in stazione con altri volontari come te, qualcuno anche “scappato”
dalle grinfie della strada, a distribuire panini e bevande ad una marea
di persone che ti chiedi da dove sbucano, uomini, donne, bambini e ragazzi
che hanno più o meno la tua età ma la cui vita è
notevolmente diversa dalla tua, disperati e distrutti da una vita che
non ha riservato loro tante gioie ma ancora disposti a lottare e a ironizzare
sul destino, a sperare di realizzare i propri sogni, sogni che non hanno
niente a che fare con i nostri sogni. La sera dopo, come per magia, ancora
preso dai fatti del giorno prima ti ritrovi con un vassoio in mano, a
servire in mensa a più di mille persone un pasto decente, come
se fossero al ristorante. Uno dietro l’altro, passano i volti di
molti tipi, dall’anziano che con la pensione non ce la fa, all’extracomunitario
che non trova lavoro, al nonno che “finché non arriva la
pensione vivo in stazione”, alle famiglie con bambini piccoli che
non ce la fanno perché “mamma e papà” non hanno
lavoro. E ti accorgi che ci sono molte cose che non quadrano in tutto
quello che hai vissuto fino a qualche giorno prima. Ti accorgi che tanti
pregiudizi che avevi sono svaniti in una bolla di sapone di fronte alle
parole di chi, per quanto povero e sfortunato, ha capito più cose
di te che tanti tuoi amici. Già perché l’importante
per chi non ha nulla non è tanto quello che possiedi di materiale
ma quello che sei!Chi sei per questi “amici” non significa
che casa hai, che macchina hai, che motorino o le scarpe all’ultima
moda; significa “chi è la tua famiglia, chi sono i tuoi amici,
se sei felice, cosa sogni e se stai bene!”Insomma…tu! Due
parole scambiate a chi stai dando un panino o a chi hai servito il pranzo
e ti racconta la sua storia, sono più utili di tante cose che si
leggono sui libri. Sono storie di vita, quella vita che spesso noi confondiamo
con quelle cose che ci fanno da contorno. Ed è bello ascoltare
i racconti delle vite degli anziani che incontri nelle case di accoglienza
e vedere che solo il fatto di esserci fa apparire il sorriso sui loro
volti, quel sorriso che in qualche caso potrebbe essere l’ultimo,
ed è ancora più bello, per quanto strano rendersi conto
che è bastato così poco per farlo apparire. E pensare che
tante volte noi non sappiamo sorridere…ma se lo fanno loro, nelle
condizioni in cui si trovano, noi dovremmo avere il sorriso tipo paralisi!Che
problemi piccoli e insignificanti sono i nostri rispetto ai loro?Forse
è il caso che cominciamo a imparare a ridimensionare un po’
di cose….
Bisogna dire che di carne al fuoco ne è stata messa tanta e non
è stato facile digerirla tutta subito. Il momento della verifica
che ci ha permesso di fermarci un attimo, ha contribuito a riordinare
le idee e a fissare gli insegnamenti della settimana così come
i momenti di preghiera con i membri della comunità. Ci voleva anche
il silenzio, perché è solo nel silenzio che riuscivamo e
realizzare di aver incontrato anche Gesù in queste persone. Già
perché anche Gesù era povero… e ha avuto bisogno di
aiuto solo mentre portava la croce perché era il momento più
duro da affrontare. Ed è questo che ci hanno chiesto e ci chiedono
di fare coloro che incontriamo lungo la strada. Non vogliono qualcuno
che cambi la loro storia per conto loro, hanno bisogno di un amico che
dia loro una mano a portare e a cancellare quella croce che stanno trasportando
nella loro vita…nulla più…
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