BUSHIDO
tratto dal sito www.aikidoedintorni.com

L'avvenire è in noi; l'avvenire è nel nostro dolore!.. Nell'obbrobrio e nel silenzio, solitari, estranei a tutti, noi dobbiamo lavorare fino alla fine, dobbiamo nascondere sotto la cenere le ultime faville, perché le future generazioni trovino di che riaccendere le faci. Esse cominceranno dove noi abbiamo smesso.... Un giorno o l'altro gli uomini disseppelliranno le sacre ossa..... Scopriranno nelle nostre tombe le pagine ingiallite dei nostri volumi, e di nuovo, come fanciulli, compiteranno gli antichi racconti... e la saggezza.... da Giuliano l'Apostata (La morte degli Dei) Demetrio Merezkovskij INTRODUZIONE Non a caso, come primo volume edito dal Carpe diem è stato scelto il Budo Shoshin Shu. Si tratta di una traduzione di dieci capitoli di un antico libro sul Bushido "Budo Shoshin Shu" (letture elementari sul Bushido) pubblicato nel 17° secolo all’inizio dello Shogunato dei Tukugawa. L'autore è un samurai erudito, Daidoji Yuzan (1639-1730) allievo di Yamaga Soko (1622-1685) celebre confucianista. Il libro è composto da quarantaquattro capitoli, ne abbiamo riportato dieci, i più importanti. Non è certo semplice tradurre con parole lo spirito del Bushido, lo spirito che animò per sette secoli la vita civile e spirituale del Giappone. L'origine del Bushido risale all'epoca dell'insediamento dello shogunato Kamakura (1192). Il Bushido, da un punto di vista storico può essere diviso in tre epoche: I) il Bushido guerriero. L'origine risale ai tempi di Yorimoto (1147-1199), si è prolungato fino al periodo delle guerre interne (1600); II) vi è poi il Bushido riformato, amalgama di confucianesimo e di zen, che apparve all'inizio dello shogunato dei Tokugawa (1603); III) infine il Bushido moderno con la restaurazione del regime imperiale all'inizio dell'era Meiji (1868). L'essenzialità del Bushido non è quella di essere una filosofia o una religione ma bensì un modo di vita, l'essenza stessa del Samurai Giapponese. Hana wa sakura, hito wa bushi: "come il fiore del ciliegio è il più bello fra i fiori così il guerriero è il più bello fra gli uomini". Non si può comprendere, se non si parte da questo assioma, come il Bushido si stato così interiorizzato dai giapponesi fino a far parte, utilizzando una terminologia psicoanalitica, dell'Io collettivo della Nazione Nipponica. Letteralmente Bushido significa la Via del Guerriero, la via dove il guerriero deve progredire incessantemente, ignorando tutto ciò che lo circonda, ignorando il proprio corpo, i propri bisogni materiali. Fame e freddo sono "accidenti" nulla deve distogliere il guerriero dalla meta: l'interiorizzazione spirituale del Bushido, la costante crescita nel nome dell'Onore e del Dovere. Erroneamente si tende a concepire il Dovere come rivolto solo verso i superiori, invece il Dovere, come nella concezione medioevale cavalleresca, deve essere rivolto anche e soprattutto verso gli inferiori, Dovere diviene il rispeto dell’altro, l’amicizia viene sublimata: "Ichi ju no kage, ikka no nagare, mina kore tasho no en nari": "Approfittare dell'ombra di un medesimo albero, dissetarsi alla corrente di un medesimo ruscello, è legarsi con vincolo di amicizia per ritrovarsi poi ancora nell'altro mondo". L'aristocrazia nipponica, per sette secoli è stata allevata con questi concetti così interiorizzati che sono diventati patrimonio genetico, patrimonio culturale di una razza intera, Sangue e Spirito in cui il Samurai era allevato e cresciuto. Il Budo Shoshin Shu può essere considerato come un compendio, come un insieme di insegnamenti Spirituali di vita molto simili ai Codici Cavallereschi Medioevali, non si stupisca il lettore per quest'accostamento: la produzione etico-spirituale di due civiltà fondate su valori simili necessariamente è simile. La spada, per il Samurai, ha sempre rappresentato non una semplice arma, ma il simbolo stesso della condizione di samurai oggetto investito di rilevanza sociale, dotato di un anima, simbolo stesso di valore spirituale, dono animato, espressione completa dell'abilità artigiana al servizio non del commercio, ma della simbologia più elevata, la spada come estensione del corpo stesso del samurai. Come non trovare richiami a spade medioevali, dotate di poteri dalle virtù taumaturgiche? Ma le analogie non si esauriscono qui. "Dokuro no ei, shichisei no chu": "gloria propria e fedeltà in sette generazioni" espressione che nasce dalla convinzione che i fedeli soldati morti combattendo oltre ad acquisire gloria per se stessi, rinascano, secondo quanto dice la religione di Buddha, sette volte, se sarà necessario cioè finché essi abbiano assicurata la vittoria al loro paese, compiendo fino all'ultimo il mandato loro affidato dall'Imperatore. Quale cavaliere medioevale non potrebbe condividere questo motto ? Anche la catena di doveri che lega il vassallo al suo signore trova un preciso ed inconfondibile riscontro nella Lealtà ed Obbedienza che il Samurai deve al suo signore. Le cinque virtù riportate nel Chokuyu (proclama imperiale circa i doveri dell'esercito): Patriottismo (Chusetsu), Disciplina (Reigi), Coraggio (Buyu), Lealtà (Shingi), Temperanza (Shisso) sembrano tratti da un codice cavalleresco. Altro parallelismo si può trovare nell’Ordine dei Templari, forse ancora più affascinante se si toccano i motivi della scomparsa del Ordine. Filippo il Bello aveva bisogno di denari per le guerre di conquista, denari custoditi dal Ordine dei Templari, pertanto decise l’annientamento del Ordine per acquisire l’oro necessario; la cultura dei samurai fu sistematicamente demolita per sostituire ad una cultura spirituale una cultura consumistica, produttrice in ultima analisi di oro. Il seppuku compiuto per fedeltà al signore veniva chiamato Chugi Bara (Chugi = lealtà e Bara = contazione di hara-kiri) comprendeva sia il Junshi (effettuato da Nogi) sia il Kanshi = proposito di rimostranza. Alcune volte si fa fatica a comprendere l’atteggiamento etico-morale dei Samurai innanzi alla morte. Per un occidentale è difficile comprendere come un Samurai possa aspirare alla morte, possa trovare nel seppuku rituale una poesia ed una bellezza "eticamente" solare. Il conte Nogi, il generale che espugnò Por Arturo, eseguì seppuku nel momento in cui risuonava il primo colpo di cannone che dava il via al corteo funebre dell'imperatore Mutsuhito nel 1912; sulla stessa Via lo seguì la moglie. Al lato dei loro corpi fu trovato il seguente poema: Abbandonando una vita fuggitiva, il mio Signore è salito fra gli Dei. E con il cuore pieno di gratitudine che lo seguo. Ecco sintetizzato in poche frasi poetiche alcuni concetti essenziali per il vero Samurai Giapponese: la caducità della vita, la fedeltà assoluta al proprio Signore, la gioia nel servizio estremo. Questa ricerca estetica della morte trova ulteriore conferma ancora nel 1944. Risale infatti al 20/10/44 la formazione del primo reparto speciale d’assalto denominato "Scimpu". L'unità di attacco Scimpu fu costituita da 26 velivolo, la metà assegnata alle missioni d'impatto, l'altra metà alla scorta; il reparto fu diviso in quattro sezioni : "Scikiscima" forma poetica della parola Giappone, "Yamato" antico nome del Giappone, "Asahi" sole del mattino, "Yamazakura" fiore di ciliegio di montagna. Nomi presi dal poema di Norinaga Moturi dotto nazionalista dell'epoca Tokugoua "Scikiscima no Yamato - gokuro uo hito touaba Asahi niniu Yamazakura - bama" (lo spirito giapponese è simile al fiore del ciliegio di montagna, raggiante nel sole del mattino). Da notare che le forme poetiche utilizzate per denominare le diverse sezioni del reparto combattente risultano leggere, fragili e pertanto più preziose perchè in-eterne nella loro forma materiale. Sono questi gli accostamenti che rendono grandi il Bushido, soprattutto perchè non rimangono sterili esercizi poetico-filosofici ma rappresentano un preciso "agito" colettivo. Emblematico in tal senso il tempio Minatogaua. Eretto in memoria di Masascige Kusonoki,(nota) il cui detto favorito era la sillogistica filologica: L'ingiustizia non può battere il Principio. Il Principio non può battere la Legge. La Legge non può battere il Potere. Il Potere non può battere il Paradiso. Ed ecco che alcuni secoli più tardi, ed esattamente il primo giorno di primavera, il 21/03/45, compie la sua prima missione di guerra l’unità speciale dell’aviazione denominata "Jinrai Butai" o Corpo del Tuono Divino (o Folgore Divina) dotata degli OKA. Gli Oka (fiore di ciliegio) erano una specie di siluro volante, lungo sei metri con due piccole ali che permettono di picchiare sul nemico, era imbottita da 1200 chili di esplosivo e poteva essere lanciato da 6 a 8 mila metri d'altezza ad una trentina di chilometri dall'obbiettivo. Il distintivo del reparto che trasportava gli OKA era: Hi ri ho ken ten, la lettura cinese dei 5 ideogrammi è :Ingiustizia, Principio, Legge, Potere, Paradiso. Siamo consapevoli di aver dato, con questa traduzione, un piccolo contributo alla comprensione del Bushido, ma ci conforta la certezza che lo spiritò che animò i Samurai ed i Guerrieri di ogni Tempo trascende la Morte e la Vita: è patrimonio indissolubile di chi crede ancora nella Fedeltà e nell’Onore. IL PENSIERO DELLA MORTE Un samurai deve custodire, vivo in lui, più che qualsiasi altra immagine, dal festino del nuovo anno  fino a quando l'anno finisce, il pensiero della morte. E' solo pensando continuamente alla morte che si può conservare in sé le due virtù fondamentali: la lealtà verso il proprio signore e la pietà filiale. Allo stesso tempo ci si protegge dai vizi e dagli infortuni, si conserva un corpo sano e si può vivere a lungo. Il carattere si nobilita. Questi sono i profitti che ci porta il pensiero della morte. Spieghiamoci meglio. La vita dell'uomo, come il rosso crepuscolare, è vuota ed effimera. E cosa v'è di più priva di speranza della vita di un samurai? Molti fra loro, per altro, s'immaginano che vivranno a lungo e serviranno il loro signore ed i loro parenti, trascurando, allo stesso tempo, i loro doveri verso questo e quelli. Quando si sa, al contrario, che la vita può finire domani, che il giorno che si vive è forse l'ultimo in cui si potrà ricevere gli ordini del proprio signore, oppure vedere i propri parenti, allora ci si volge verso essi con il cuore colmo si sincera devozione. E' così che si può compiere ciò che esigono da noi la lealtà verso il proprio signore la pietà filiale. Ma se si giunge a dimenticare questo pensiero della morte, si diventerà imprudenti; si perderà il senso della modestia sempre necessaria; si arriverà a bisticciare per opinioni poco fondate e contraddittorie. Si ribatterà al posto di lasciar parlare gli altri. Ci si andrà a mostrare, senza ritegno, nei luoghi popolosi ove al plebe va a divertirsi. Ci si metterà in combutta con buoni a nulla, si litigherà con loro, ed anche a volte ci si lascerà la propria vita. Così si intacca l'onore del proprio signore, mentre si creano preoccupazioni ai propri genitori. E tutte queste cose non sono che il risultato di questa prima imprudenza: aver trascurato di conservare presente in se il pensiero della morte. Se si pensa sempre alla morte, al contrario, con una coscienza viva di ciò che esige l'onore di un samurai, si peserà ogni parola prima di pronunciarla, si attribuirà a tutte un eguale importanza, ci si chiederà prima di parlare o di rispondere, se ciò che si ha da dire sia vero. Così non ci si impegnerà in dispute insensate; così non si andrà in luoghi sconvenienti, quand’anche vi ci si fosse invitati; ed in tal modo non si correrà il rischio di incidenti imprevisti. E` così che ci si può preservare da tutti i mali e da tutti gli infortuni. Ciò vale per le alte classi della società come per le basse; è per aver dimenticato il pensiero della morte che ci si abbandona all’intemperanza, troppo mangiare, troppo bere, troppo amare.. si arriva a conoscere la malattia e si muore giovani, o almeno, se non ci si spegne completamente, si rimane un malato invalido ed incurabile. Mentre, pensando sempre alla morte un uomo giovane, benché ancora pieno di salute e di vigore, prenderà cura di se stesso, mangerà con moderazione. eviterà le voluttuosità, sarà riflessivo ed onesto, così conserverà sempre un corpo pieno di vigore. Così potrà vivere tanto a lungo quanto Dio lo permetterà. Al contrario, se si è impregnati dalla convinzione di vivere automaticamente a lungo, si sarà vittima di ogni tipo di desiderio, si diverrà avari, volendo impadronirsi delle proprietà di un altro, non volendo dare ad un altro ciò che gli appartiene, il carattere diverrà simile a quello di un plebeo. Se si conserva sempre il pensiero della morte l’avarizia scompare naturalmente: i caratteri viziati dall’invidia e dall’avarizia non si manifestano più, la personalità diverrà nobile. Ma conservare nel proprio cuore il pensiero della morte non vuol dire imitare il bonzo Shinkai di cui parla Yoshida Kenko ( 1283/1350 ) nel suo "Tsurè - Zurè - Gusa". Costui attendeva in silenzio, accovacciato, il giungere della sua morte. Questa attitudine, benché possa accordarsi con l’austerità religiosa, non si accorda affatto con l`essenziale della pratica della morale del samurai. Se si conservasse nel proprio cuore in questo modo il pensiero della morte, si giungerebbe a trascurare la morale della lealtà verso il proprio signore, così come quella della pietà filiale. La disgrazia si aggrava poiché il dovere stesso del samurai non potrà più essere compiuto. Ciò che voglio dire è che, dopo aver concluso ogni giorno i propri compiti ufficiali e privati e se si hanno alcuni istanti di libertà durante i quali il cuore è in pace, ci si deve ricordare della parola "morte" e non mancare di riporla nel proprio cuore. Si dice che l’ultima parola che Kusunkoki Masaahiguè ( 1294/1336 ) (18) abbia rivolto a suo figlio sia stata: pensa sempre alla morte. Ho scritto tutto ciò affinché i giovani samurai sappiano quale deve essere la loro disposizione. Dell’educazione Il samurai è destinato a compiti di natura superiore a quelli delle tre altre caste ( agricoltori - artigiani - commercianti ). Così deve istruirsi e conoscere le ragioni di tutte le cose. All’epoca delle guerre interne, tuttavia, un samurai a quindici o sedici anni era già un adulto. Il suo addestramento all’uso delle armi iniziava verso i dodici o tredici anni. Così non aveva affatto il tempo di porsi ad una scrivania per leggere e scrivere. Era dunque un epoca in cui molti samurai non sapevano leggere ne scrivere. Non si potrebbe ciò nonostante accusarli di pigrizia, ne rimproverare ai loro genitori di aver trascurato la loro educazione: è che gli esercizi all’uso delle armi erano per loro la necessità più urgente. Ora che la pace è ritornata, non si deve per questo, è ovvio, trascurare l’addestramento alle armi; ma non si è per altro obbligati ad andare a fare la guerra all’età di quindici o sedici anni come i samurai dell’epoca delle guerre interne. Un figlio di samurai deve quindi, dall’età di sette od otto anni, iniziare a leggere i quattro libri di Confucio , i cinque libri delle parole sacre , ed i sette libri della guerra . Conviene anche che si alleni in esercizi di scrittura, e continui tutti i suoi studi senza svogliatezza. Quand’egli raggiunge l’età di quindici o sedici anni, deve esercitarsi nel tiro dell’arco, nell’equitazione, così come negli altri esercizi armati. Ecco ciò che un samurai, nella nostra epoca di pace, deve far compiere ai suoi ragazzi per assicurare la loro istruzione. L’analfabetismo dei samurai dell’epoca delle guerre interne è senza dubbio scusabile. Ma la mancanza di cultura dei samurai della nostra epoca pacifica non potrebbe in alcun modo trovare giustificazione. Certo, qui non ci sono i figli che sono responsabili; la mancanza, bisogna dirlo, non va che alla negligenza dei loro genitori che non sanno come i ragazzi debbono oggi essere amati. Ho annotato queste riflessioni affinché i giovani samurai sappiano in quale disposizione debbano rimanere. Della pietà filiale La prima qualità che un samurai deve possedere, è una sincera pietà filiale. Senza pietà filiale, un samurai, fosse anche celebre, intelligente, grande oratore e pieno di spirito, non sarebbe che un buono a nulla. La morale del samurai, in effetti, è fondata sul rispetto della regola del fusto e dei rami. Se si dimentica questa regola, non si arriverà mai a comprendere ciò che è la virtù. E un uomo che non sa che cosa sia la virtù non è un samurai. Questa regola del fusto e dei rami significa che, per un uomo, i suoi genitori sono come il fusto del proprio corpo, e che lui stesso è un ramo consanguineo dei suoi genitori. Ora sono numerosi coloro che non pensano che al loro proprio benessere ( i rami ), trascurano quello dei loro genitori ( il fusto ). Queste persone non conoscono la regola del fuso e dei rami. Per testimoniare la propria pietà filiale vi sono due modi. Prendiamo dapprima il caso di genitori onesti, e che hanno saputo curare con tutta la tenerezza possibile, l’educazione del loro ragazzo. Questo eredita, dai suoi genitori, il diritto di ricevere dal suo signore un elevato salario al quale un uomo ordinario non potrebbe aspirare. In quanto ad armi e bardature ed equipaggiamento per i suoi cavalli, in patrimonio insomma, nulla gli manca. Essi gli hanno cercato un eccellente sposa, infine si sono ritirati. Verso simili genitori, manifestare la propria pietà filiale, come è usuale che si faccia, non merita elogi. Infatti anche un estraneo potrebbe ben testimoniare la propria riconoscenza, giungendo persino a trascurare i propri affari verso coloro che avrebbero contribuito alla sua educazione o alla sua situazione. A maggior ragione, se è verso i propri genitori che si è debitori d’una tenerezza e d’una sollecitudine irreprensibili, la testimonianza della pietà filiale non può avere limite. Per quanto sincera sia questa testimonianza, non si potrà mai dire che sia sufficiente. E` ciò che mi ha permesso di dire che la testimonianza della pietà filiale non merita elogi particolari. Supponiamo ora, è il nostro secondo caso, che un figlio abbia genitori con un carattere difficile. Simili genitori vedono sempre il lato cattivo delle cose, l’età ne ha fatto cavillatori ostinati, non donano nulla al loro erede, non si occupano delle difficoltà finanziarie della sua ( del figlio ) famiglia e sono sempre a domandare al loro figlio alimenti, bevande ed abiti. Cosa che non impedisce loro di andare a recriminare fra il vicinato contro il loro erede dicendo che essi non ne ricevono alcun segno di pietà e lamentandosi della loro sfortuna. Ed in questo modo feriscono questo figlio nel suo onore. In questo caso la vera pietà filiale consiste nel rispettare simili genitori, nello sforzarsi affinché essi rimangano di buon umore, e nel compiangerli per delle debolezze di carattere che non sono dovute che alla vecchiaia. Un samurai il cui cuore sarà in simile disposizione saprà bene, anche riguardo al suo signore, in cosa consistano gli obblighi della sua lealtà. Si comporterà da suddito fedele, non solo finché l’autorità del suo signore sarà ben assicurata, ma anche nei periodi in cui sarà esposta a difficoltà senza numero. E` allora che giustamente egli raddoppierà la lealtà. Non lascerà il suo signore, anche se il numero dei suoi sudditi passerà da cento a dieci, da dieci ad uno. In tempo di guerra, la testimonianza della propria lealtà consisterà nel portarsi a più riprese incontro alle frecce nemiche, senza far caso alla propria vita. Così si osserva che il signore è in qualche modo subentrato ai genitori, e la lealtà alla pietà filiale. Ciò che rimane è la sincerità. Gli anziani dicevano che i sudditi leali dovevano essere cercati in famiglie ove i ragazzi danno prova di pietà filiale. E in effetti non si può ragionevolmente supporre che esista un ragazzo che possa essere leale verso il suo signore e che nello stesso tempo possa trascurare i doveri di pietà filiale. Quest’uomo incompleto, quest’uomo incapace di pietà filiale verso i sui genitori, che sono il fusto di se stesso, come potrebbe mai essere sensibile ai benefici d’un signore che per lui non è che un estraneo ? Come potrebbe manifestargli lealtà ? Un ragazzo che non da prova di gratitudine verso la sua famiglia, non saprà, quando la lascerà per andare a servire un signore, essere attento che alla fortuna politica e militare di questo signore. Per poco che questa fortuna cominci a declinare il cuore del suddito sarà presto mutato. Che arrivi l’ora del combattimento ed egli si salverà attraverso le frecce nemiche oppure tradirà o si arrenderà. Queste sono forme di comportamento che sovente si sono conosciute, oggi come in ogni tempo. Ho annotato queste riflessioni affinché i giovani samurai sappiano in quale disposizione debbano rimanere. I Coraggiosi Ciò che è necessario al Bushido sono le tre virtù naturali: la lealtà, lo spirito di giustizia, ed il coraggio. E` cosi che si può parlare d’un samurai leale, d’un samurai giusto e d’un samurai coraggioso. Un samurai che pratichi allo stesso tempo queste tre morali è un samurai d’alta qualità. Questi samurai leali e giusti si possono distinguere agevolmente per la loro condotta giornaliera. Ma ci si domanda sovente oggi, se è possibile trovare samurai coraggiosi dato che siamo in tempo di pace e non vi è affatto occasione di dar prova di coraggio. In realtà non v'è alcuna ragione di dubitarne. Spieghiamoci meglio. Non bisogna credere che il coraggio d'un samurai non possa essere conosciuto che sul campo di battaglia, quando è munito di armatura, di spada o con il naguinata in mano. Si può molto bene distinguere i coraggiosi dai non coraggiosi nelle situazioni ordinarie della vita quotidiana. Un vero coraggioso sarà leale verso il suo signore, praticherà la pietà filiale verso i suoi genitori, approfitterà dei suoi più piccoli momenti di libertà per studiare ed esercitarsi alle armi. Sarà sempre modesto e senza lusso. Rifletterà prima di spendere anche un sen. ma se si prende ciò per avarizia si è completamente nell'errore. In caso di necessità non esiterà a spendere tutto il suo denaro senza rimpianto. Se il suo signore glielo proibisce, o se è contrario alla volontà dei suoi genitori, si asterrà dall'andare là dove lo potrebbero le sue aspirazioni. Abbandonerà anche i desideri ai quali è più difficile rinunciare. Infine non agirà mai contrariamente alla volontà del suo signore o a quello dei suoi genitori. Dato che, mettendo a profitto il suo corpo robusto, ha la ferma risoluzione di fare almeno una volta un azione meritoria, prenderà cura della sua salute, prenderà con moderazione alimenti e bevande. Eviterà la voluttuosità, prima causa delle colpe che un uomo può commettere. Infine si può dire che tutti coloro che sanno perseverare nella resistenza alle tentazioni, possono essere considerati come degli aspiranti al coraggio. Al contrario un non coraggioso non rispetterà che in apparenza il suo signore e i suoi genitori, non li rispetterà mai nel fondo del cuore. Non avrà alcun rispetto per una proibizione del suo signore o per un opposizione dei suoi genitori. Si mostrerà senza ritegno nei luoghi ove non deve andare, si comporterà in modo sconveniente. Agirà secondo la sua fantasia, dormendo troppo spesso fino a tarda mattinata e facendo la siesta, trascurando i suoi studi. Non saprà maneggiare alcuna arma mentre sarà fiero di qualche futile arte di piacere, ove per altro è in realtà maldestro. Così, senza troppo riflettere, sperpererà il suo denaro in giochi inutili e sciuperà tutto il suo salario. Al contrario, per le cose necessarie, non spenderà che parsimoniosamente; così non penserà a fare le riparazioni necessarie alle armature ed alle altre cose ereditate dai suoi genitori. Così non penserà mai a verificare le sue armi e le sue bardature o a rinnovarle. Non penserà neppure che, se cade malato, non potrà servire il suo signore e causerà delle noie ai suoi genitori. mangerà e berrà senza ritegno, si abbandonerà alla voluttuosità, non sapendo che una simile condotta non fa che accorciare la sua stessa vita. Tutto ciò è dovuto alla debolezza del suo carattere che non gli permette di perseverare e non ci si inganna mai prendendo queste manifestazioni come il carattere dei samurai codardi. Ecco perché si può distinguere i coraggiosi ed i codardi anche quando sono sul tatami (15) della loro casa. Ho scritto tutto ciò affinché i giovani samurai sappiano quali debbano essere le loro disposizioni. Il Rispetto Il compimento delle due regole morali, la lealtà e la pietà filiale, non è limitato ai samurai. I coltivatori, gli artigiani ed i commercianti sono anch'essi chiamati a praticarle. Ma vediamo il caso di queste tre classi. Un ragazzo o un domestico, quando sono presso i loro genitori o il loro padrone, possono avere le gambe incrociate, le mani nelle loro tasche, parlare tenendosi in piedi, senza accoccolarsi, e senza porre educatamente le due mani sul tatami mentire i loro genitori o il loro padrone sono seduti. Benché possano comportarsi senza educazione, è sufficiente che le persone di queste classi manifestino la sincerità nel rispetto dovuto ai genitori o al padrone. E' la lealtà e la pietà filiale proprie di queste classi. Per il Bushido il rispetto spirituale non è sufficiente alla lealtà ed alla pietà filiale. Per essere in regola con la morale occorre anche praticare le forme esteriori del rispetto per il proprio signore o i propri genitori. La lealtà e la pietà filiale del samurai dovrebbero essere così. Un samurai, ovunque egli dorma, non deve porre le gambe nella direzione dell'alloggio del suo signore. Quando si esercita nel tiro con l'arco non deve puntare e lanciare la sua freccia nella direzione del suo signore. Quando posa la sua lancia o il suo faucard deve avere cura che la lama non sia posta nella direzione del suo signore. Se sente parlare del suo signore o se ne parla lui stesso deve sedersi se è disteso, se è seduto con le gambe incrociate deve risedersi come conviene in cerimonia. Ciò per quanto concerne il Bushido. Per altro vi sono samurai che pur sapendo ove è il loro signore mettono le loro gambe in questa direzione o che parlano del loro signore restando distesi sul tatami. Vi sono anche samurai che ricevendo una lettera scritta dai loro genitori non sanno leggerla con educazione secondo l'etichetta prescritta, la leggono sulle loro ginocchia o restando stesi sul tatami, e dopo averla letta, la mettono al lato o la stracciano per pulire la loro pipa o la loro lanterna. Occorre dire che questi comportamenti sono quelli della bassa classe. Un samurai avente simile mentalità parlerà, in società, con eloquenza dei difetti della famiglia del suo signore, accoglierà anche uno sconosciuto per parlargli dettagliatamente dei suoi genitori o dei fratelli, burlandosi o sparlando d'essi. E' così che egli sarà, un giorno, punito dal suo signore, conoscerà sfortune e morirà in una situazione indegna di un samurai o non potrà vivere che in una situazione senza merito. Infine non potrà mai condurre una vita conveniente. Un tempo, nell'era di Keicho (1596/1614), vi era un capitano di fanteria Kani Saizo, suddito del signore Fukuschima Saémon Taiyu Masanori. Era di servizio alla porta Korogané al castello di Hiroshima nella provincia d'Aki. In una notte in cui era di servizio, ed era steso sul tatami per riposare dato che era assai anziano, un paggio di Masanori venne a porgergli una quaglia e lo avvertì che la cacciagione era stata presa dallo stesso signore, col suo falco, e che per ordine di sua eccellenza veniva ad offrirgliela. Appena Saizo sentì il nome del suo signore si alzò, infilò il suo Hakama , si dispose nella direzione del castello, poi disse educatamente al paggio che non avrebbe tardato a recarsi al castello per presentare personalmente i suoi ringraziamenti al suo signore. Fatto tutto ciò, scocciato, si volse verso il paggio: " Sciocco che sei ! E' vero, tu non sei ancora esperto e sei insufficientemente istruito. perché non hai atteso, prima di farmi ascoltare la Sua Parola che avessi finito di prepararmi ? Che sciocco sei per avermi fatto ascoltare la Sua Parola quando ero ancora disteso ! Se tu non fossi così giovane troverei ben il modo di correggerti, ma dato che tu non sei ancora che un pivello ti perdono." Il paggio perse la testa, si affretto a rientrare al castello e ne parlò ai suoi colleghi. Ben presto Masanori seppe la notizia. Chiamò il paggio e gli chiese i dettagli. Questi gli spiegò tutto ciò che aveva detto Saizo. Masanori gli disse: " Tu hai mancato d'educazione e Saizo aveva ragione ad indisporsi. Amerei che tutti i miei samurai d'Aki e di Bishu si comportassero come Saizo. Se così fosse non vi sarebbe nulla che non si potrebbe ben compiere.". Ho scritto tutto ciò affinché i giovani samurai sappiano quali debbano essere le loro disposizioni. Dell'amministrazione della propria famiglia Se un samurai scopre qualcosa di sconveniente che concerne la propria moglie deve informarla affinché questa si renda conto della sua mancanza. E se questa mancanza è leggera deve essere abbastanza indulgente per scusarla. Ma se sua moglie è d'un cattivo carattere e può essere ritenuta incapace d’assumere le responsabilità d'una sposa, gli è permesso, eccezionalmente, di congedarla e di rinviarla dai suoi genitori. Per altro una volta che si è scelta una donna come sposa e la si è fatta chiamare dagli altri con il nome di Signora, esprimere ingiurie non sarebbe che espressione da braccianti da bassi quartieri e non quella d'un samurai valutato come un cavaliere. Minacciarla facendo mostra di trarre la propria spada o darle un pugno sarebbero condotte inscusabili che non sono concepibili che presso samurai codardi. Spieghiamoci meglio. Una donna nata in una famiglia samurai, quando sarà diventata una sposa, sarà così paziente da tollerare piangendo i pugni che sarebbero stati insopportabili se fosse nata uomo. E' perché sfortunatamente è nata donna che li tollera. Ricorrere senza ragione alla brutalità quando il compagno è incapace di opporvisi, non sarebbe indubbiamente il comportamento di un samurai coraggioso. Amare la condotta che i samurai coraggiosi detestano sarebbe dar prova di codardia. Ho scritto tutto ciò affinché i giovani samurai d'oggi sappiano quali debbano essere le loro disposizioni. Della Dignità morale Cinquanta o sessanta anni fa i samurai senza occupazione esprimevano i loro desideri relativi al loro salario nella seguente maniera: "Sarebbe opportuno che io avessi almeno un secondo cavallo" voleva dire che egli domandava un salario superiore ai 500 koku (novanta chilolitri di riso l'anno ); "Almeno un cavallo magro" voleva dire un salario più o meno di 300 koku; "Almeno una lancia arrugginita" voleva dire che si accontentavano di un salario di 100 koku, ma che è legato all'onore d'essere ufficiale. Dato che i samurai di quell’epoca continuavano a formarsi alle antiche usanze, l'onore non permetteva loro di esprimere le richieste in cifre reali. E’ così che essi impegnavano espressioni come quelle che ho citato. "Il falco non becca le spighe, anche quando muore di fame: così un samurai servendosi di uno stuzzicadenti mostrerà di essersi saziato anche quando non ha mangiato". Era un proverbio di quell’epoca in cui i giovani non parlavano mai delle faccende domestiche, del guadagno, delle perdite di denaro, ne del prezzo delle cose. Arrossivano quando ascoltavano storie d'amore. Un samurai moderno, benché non possa essere simile a quelli dell'epoca antica, deve almeno rispettare le attitudini dei vecchi samurai e aspirare ad imitarle. Niente di più detestabile d'un samurai che non sappia neppure che il suo naso è schiacciato, finché è ancora capace di respirare. Ho annotato queste riflessioni affinché i giovani samurai sappiano in quale disposizione debbano rimanere. L’ULTIMA ORA La prima attenzione d'un samurai, quale che sia il suo rango, deve essere riportata alla sua attitudine davanti alla morte. Benchè tutte le sue parole siano perfettamente ragionevoli ed egli si stimato come un uomo sagace e pieno di spirito in tempo ordinario, se un samurai perde il proprio sangue freddo e la ragione nell'ultima ora, vale a dire che il suo comportamento in quest'ultima ora sia inconcepibile, le buone azioni che ha fatto nel passato non serviranno a nulla. Sarebbe allora considerato con disprezzo dagli uomini più saggi ed il risultato andrebbe a sua vergogna. Un samurai se ha potuto acquisire un grande onore, per la sua condotta eroica sul campo di battaglia, è perché ha preso la viva risoluzione di morire in guerra. E' così che se, per sfortuna, perde il combattimento ed è obbligato a consegnare la sua testa, esporrà arditamente il suo nome alla chiamata del nemico e morirà sorridendo, senza alcun comportamento vile. Quando sarà gravemente ferito, così gravemente che nessuna operazione chirurgica possa guarirlo, se conserva la coscienza parlerà correttamente davanti ai suoi superiori ed ad suoi pari e morirà con sangue freddo, rendendosi ben conto dello stato della sua ferita. Ecco la primaria virtù d'un samurai. Se ci si rende ben conto di questo fatto, anche in tempo di pace, un samurai benché sia giovane, senza parlare di coloro che sono anziani, se si ammala deve prendere la risoluzione di non lasciare alcuna inquietudine dopo la sua morte. Se occupa una posizione importante, o inferiore, inviterà il suo superiore, finché è ancora capace di parlare, per esprimergli la sua riconoscenza per la benevolenza che quest'ultimo gli ha accordato. Esprimerà il dispiacere che, benché si fosse auspicato di rendergli ancora servizio, ne sarà senza dubbio incapace poiché è gravemente malato e non può più sperare nella guarigione. Gli dirà anche quanto la rimpianga, ma dato che non vi è più nulla da fare, lo ringrazierà semplicemente della benevolenza di cui ha beneficiato fino a quel giorno e lo pregherà di trasmettere le sue parole al "Roju" (capo dei servi del signore). Fatto tutto ciò si commiaterà dai familiari e dagli amici. Infine chiamerà suo figlio. Gli spiegherà che morire a causa di malattia, benché accada in circostanze in cui tutti gli accordano la loro benevolenza, non si addice al desiderio d'un vero samurai, ma che la sua morte è inevitabile. Gli dirà per esempio: "Tu, benché giovane, persevererai nella mia ferma dedizione verso il signore e soprattutto sarai risoluto ad essergli utile in caso di grandi avvenimenti. Sii sempre leale, fa del tuo meglio per servirlo. Se non rispetti la mia volontà sarai diseredato anche quando sarò nella tomba." Dire severamente simili parole prima della morte si accorda con la virtù di un vero samurai. Un santo, Confucio, ha detto che le parole pronunciate nel momento della morte sono degne di essere venerate. Tale deve essere la morte di un samurai Per altro, se un samurai non rendendosi conto che la sua malattia è incurabile non pensa seriamente alla morte, se ascolta volentieri coloro che gli dicono che la sua malattia non è grave, se detesta coloro che dicono la verità e si oppone al medico per ricorrere ad inutili superstizioni, se infine perde la tesa e non fa che aggravare la sua malattia e muore senza lasciare alcun testamento, questa morte sarà simile a quella d'un cane o di un gatto, ciò sarebbe il fallimento definitivo di tutta la vita, il fallimento stesso di cui ho parlato all'inizio di questo capitolo. Costui ha senza dubbio dimenticato di conservare costantemente nel suo cuore il pensiero della morte. Lui stesso, vedendo con tristezza la morte altrui, aveva creduto che lui solo sarebbe stato capace di vivere a lungo in questo mondo. E' un vero controsenso sulla morte dovuto allo spirito d'avarizia ed all'amore per la vita. Con simili disposizioni non si potrà mai sperare che un samurai muoia gloriosamente per il suo signore sul campo di battaglia. E' così che si può dire che un samurai deve saper morire sul tatami in seguito ad una malattia è la cosa più importante della propria vita. Ho scritto queste riflessioni affinché i giovani samurai sappiano in quali disposizioni debbano attenersi. IL FUNZIONARIO "Il Kosodè e il funzionario sono bianchi quando sono nuovi". Benché questo detto sia un po’ leggero e volgare ne approvo lo spirito. Spieghiamone i dettagli. Il kosodè bianco, quando è nuovo, è un indumento molto pulito. Ma quando lo si usa a lungo, il collo ed i polsini iniziano ad sporcarsi; il suo colore volge al grigio e così diventa spiacevole e sudicio. lo stesso vale per il funzionario. All'inizio, con un attitudine e un modo innocente, obbedirà fedelmente agli ordini del suo signore, si interesserà ai più piccoli affari. Soprattutto avendo presente il giuramento che ha pronunciato al momento del suo ingresso al suo posto ed anche i regolamenti, assumerà il suo compito con rispetto e competenza per non infrangerli. Così nulla potrà essergli rimproverato. Così sarà soventemente lodato da tutti come un buon funzionario disinteressato ed integro. Ma quando resta a lungo nella stessa posizione ed è al corrente di tutti gli affari, diventa abile nel mostrarsi superficiale. Così gli accade di commettere ingiustizie che prima non avrebbe mai fatto. Mentre all'inizio era stimato per la sua eccellente forma di restituire con indifferenza i doni ricevuti, rispettando il suo giuramento o ricambiando dopo un po’ di tempo con qualche altro dono, quando eventualmente non poteva rifiutare di ricevere un regalo, giunge un momento in cui egli cambia, senza che si possa dire da quando. E' allora totalmente preso dal desiderio di far fortuna approfittando della sua situazione; ma dato che prima rifiutava i regali, il suo aspetto e le sue parole lasciano pensare che non riceverà facilmente dei doni. Ma gli astuti, indovinando il pensiero nascosto, facendo finta di non sapere nulla, faranno regali usando i legami di parentela o con altri metodi. Allora egli li accetterà volentieri e ricorrerà al favoritismo imbrogliando il suo signore. Con una simile condotta egli è diventato perfettamente simile al Kosodè grigio. Mentre la sporcizia del Kosodè non è dovuta che al grasso ed alla polvere ed una buona liscivia gli renderà il suo biancore, il cuore dell'uomo è spesso insozzato definitivamente dall'infiltrazione di mille sporcizie. Nessuna liscivia gli renderà la sua bianchezza, per quanto forte sia. E il Kosodè non può che essere lavato una o due volte l'anno. Ma il cuore dell'uomo, benché lo si sciacqui mattina e sera, considerando ogni ed ogni fatto, senza trascuratezza, sarà ugualmente ben presto e facilmente sporcato o insozzato. Così come vi è una scelta per la liscivia del Kosodè così vi è anche una scelta per la liscivia del cuore. Le liscivie scelte in quest'ultimo caso sono la lealtà, la virtù e la valentia. Fra le insozzature ve ne sono alcune che debbano essere lavate con la lealtà, altre con la virtù. Mentre le insozzature più tenaci che non possono essere lavate nè con la lealtà nè con la virtù saranno necessariamente e nettamente lavate con la valentia. Ecco quali sono i segreti del lavaggio del cuore del samurai. Ho scritto tutto ciò affinché i giovani samurai sappiano quali debbano essere le loro disposizioni. DELLA CULTURA Benché il Bushido implichi, per prima cosa, la perseveranza nella forza e nella valentia, un samurai che non foss'altro che forte, simile ad un coltivatore, non sarebbe ammissibile. Senza parlare della necessità degli studi di scienze, occorre che egli approfitti almeno dei suoi momenti di tempo libero per esercitarsi nella poesia e comprendere la cerimonia del the. Se non studia le scienze non saprà mai nè le ragioni delle cose antiche nè quelle delle cose moderne, ed anche se è intelligente ed esperto sarà imbarazzato quando troverà delle difficoltà. Se è al corrente, almeno sull'essenziale, di ciò che concerne i paesi stranieri ed anche la propria patria, e se conduce la sua vita rispettando scrupolosamente i tre elementi di tempo, posto e rango, non commetterà quasi mai errori grossolani. E' per questo che ho parlato per prima cosa della necessità dello studio delle scienze. Ma se questi studi sono fatti con cattiva predisposizione possono condurre all'arroganza. Simili samurai non guardano che con disprezzo gli analfabeti, sono ciechi ammiratori dei paesi stranieri, arrivando a credere che sono eccellenti solo i costumi esteri. Ed è triste ascoltare le loro opinioni definite; non sanno che vi sono cose che, benché ragionevoli in teoria, non si convengono alla realtà del nostro paese. E così si dovrà riporre cura nel non commettere un simile errore per gli studi di scienza. Ora parliamo della poesia (19) . Comporre una poesia è un abitudine del nostro paese. Fra i celebri generali, del tempo passato o della nostra epoca, vi sono stati e vi sono molti grandi virtuosi di quest'arte. Quand'anche un samurai fosse di rango inferiore è auspicabile che sia istruito nell'arte della poesia e che sia capace di comporne anche se i suoi versi dovessero essere mediocri. Per altro se un samurai trascurasse tutto per immergersi nella poesia, il suo cuore e la sua stessa fisionomia si ammollirebbero. Senza che egli se ne accorga diverrebbe come un samurai d'origine Kuguè e così perderebbe il portamento di samurai. Fra coloro che sono abili nel comporre dei Haikai, ve ne sono molti che amano canzonare, fare celie contenenti alcuni versi che credono essere dei capolavori, anche in riunioni in cui si deve rispettare la cerimonia. Queste parole benché possano sul momento divertire gli assistenti denotano mancanza di quella discrezione a cui un samurai deve attenersi. Quanto alla cerimonia del the, essa è il grande piacere del samurai, esisteva già all'epoca in cui lo shigun risiedeva a Kjoto (1392/1573). Se non è necessario praticarla in casa propria, occorre almeno essere capaci di cavarsela con onore quando si è invitati per il the da qualche conoscente o quando si partecipa ad una visita al seguito di un grande signore. E dato che vi sono un gran numero di cerimonie, così come quella d'entrare nella Sukiya , quella di contemplare i quadri e gli ornamenti, quella di prendere gli alimenti e bere il the, occorre che un samurai abbia seguito le lezioni d'un insegnante del the, e sappia almeno fare i gesti necessari senza attirare su di lui l'attenzione. La Sukiya che è fatta per godere della pace e del silenzio, lontano dalla ricchezza e dal lusso, benché in realtà essa possa trovarsi nell'alloggio d'un ricco o di un nobile, sarà circolata da un giardino imitante le montagne e le colline. Avrà un ossatura di bambù, sostegni ancora muniti della loro corteccia, un tetto di stoppia, finestre in bambù incrociato, stuoie in bambù naturale ed una porta fatta da rami avviluppati; infine sarà sobria in tutti i dettagli. D'altra parte il vasellame, così come gli utensili del the, sono egualmente fatti in vista della semplicità e della naturalezza, al di fuori del lusso e dalla banalità. In ogni caso la cerimonia che ha per scopo di godere della sobrietà sarà assai utile per coltivare il Bushido. E' così che un samurai può costruire a casa sua una sala da the molto sobria, a condizione di impiegare dei Kakemonos nuovi delle tazze moderne ed un vaso non verniciato. Per altro la semplicità implica sovente il lusso. Se si invaghirà del lusso, non si accontenterà più della teiera di porcellana non verniciata, dopo aver visto da un altro una teiera d'Ashiya. Vorrà avere le cose migliori, si interesserà a fare delle scoperte, imiterà l'intenditore ed infine sarà capace di cercare buoni utensili a basso prezzo. E se trova qualche buon oggetto da qualche suo amico si affretterà a domandargli di cederglielo; mentre farà scambi di utensili non mancherà di trarne profitto. Infine assomiglierà ad un mediatore, il suo carattere diverrà quello d'un plebeo, perderà lo spirito fondamentale del Bushido e sarà un personaggio meritevole di disprezzo. Così converrà di più per lui che resti un samurai poco al corrente della cerimonia piuttosto che ne diventi un simile appassionato. Anche se un samurai sarà imbarazzato nel servire convenientemente una tazza di the in una cerimonia ciò non contravverrà il Bushido.

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