LO SVILUPPO DELLA PERSONALITA'
ATTRAVERSO LA PRATICA
tratto da “Aikido ed il corpo cosciente”
di A.Cognard
"....L'influenza dell' ambiente sul singolo ha
un duplice effetto. Se, da una parte, egli impara le regole che sottendono l'intero
sistema sociale e relazionale e, contemporaneamente, impara ad eluderle, nascondendo
la sua identità dietro una 'maschera'... "
Non credo di rivelare niente di nuovo dicendo
che la nostra società umana del XX secolo soffre di una crisi d'identità
collettiva, che a sua volta ne genera altre: economica, sociale e affettiva.
Senza pretendere di fare uno studio sociologico, vorrei analizzare alcune cause
evidenti che non possono sfuggire al buon senso generale. L'individuo non nasce
già con un'identità psichica, ma la acquisisce poco per volta
nel corso del proprio sviluppo attraverso le esperienze psico-affettive che
sperimenta con la madre, il padre, i fratelli, l'ambito familiare e il gruppo
sociale. Chiaramente all'inizio la parte d'identità ereditata è
preponderante, dato che in effetti la coscienza del bambino si struttura attraverso
il graduale apprendimento di concetti e questi appartengono al collettivo e
quindi veicolano un'identità implicita. Le prime esperienze affettive
sono più subite che vissute e seguono modalità diverse a seconda
della famiglia. È proprio l'integrazione di questi vari sottintesi che
richiede una coscienza di se, e spesso la nozione d'identità personale
mi sembra più teorica che reale. In ogni caso la famiglia costituisce
una tappa decisiva in questa acquisizione e le ultime evoluzioni del nostro
modo di vivere, come la parziale abolizione dei valori morali e il livellamento
di quelli culturali, sono tanto riferimenti perduti e non sostituiti quanto
riferimenti mancanti per la determinazione di se. A questo fenomeno si aggiunge
la comparsa di valori nuovi e per principio opposti alla morale tradizionale,
che fanno sentire alI' essere sociale una discordanza ben presto percepita come
unico valore. La perdita dell'identità familiare procede di pari passo
con la parziale scomparsa dei particolarismi regionali e locali, dei dialetti
e degli accenti, delle specificità gastronomiche, dell'arte e dell'
abbigliamento a vantaggio di una generalizzazione, anzi di una mondializzazione
del modo di essere alla quale gli individui non sono interiormente legati e
il cui tratto comune è quello di basarsi su un funzionamento conflittuale.
Questi nuovi riferimenti danno importanza all'esteriorità che diventa
l'unico campo d'azione dell'individuo e quindi il luogo della sua coscienza.
Così la negazione implicita dell'interiorità, o il fatto di relegarla
a uno stadio inferiore, crea una frattura nella personalità le cui conseguenze
sono manifeste. I media sono l'unico intermediario di una parola collettiva
che deve soppiantare quella del clan, e qualunque sia la loro forza non possono
combattere il fatto che il gruppo viene percepito come un mostro che non si
può né conoscere né combattere e che quindi non permette
i confronti necessari per uno sviluppo armonioso. In effetti la paura di questo
inconoscibile è troppo grande perché l'esperienza possa prodursi
nell'equilibrio che essa richiede, e la violenza che oggi scaturisce è
il prodotto immediato di questo conflitto ormai inevitabile fra, da un lato
un individuo privo di qualsiasi forma di conoscenza, in particolare della coscienza
di se, e dall'altro il gruppo, l'idra a mille teste che non ha né conoscenza,
né una propria coscienza e non può in alcun modo essere un punto
di riferimento, visto che la sua ignoranza lo obbliga a dei cambiamenti incessanti
e incosci. Un tempo il gruppo aveva dei nomi, veicolava idee caratterizzate
da una certa costanza, possedeva dei volti familiari. Era per sua natura benevolo
e ospitale, e quindi poteva essere un modo per sperimentare l'alterità
propizia allo sviluppo di un'equilibrata vita in comune. Il gruppo di oggi è
ostile, e quando non lo è, fa esso stesso un discorso sull'insicurezza,
presentandosi così sotto un duplice aspetto. In parte si tratta di un
riferimento assoluto perché è inconoscibile e rappresenta tutte
le minacce (come un padre che ha perso la ragione), mentre d'altro canto pretende
di avere la soluzione a tutti i problemi dell'individuo che si presuppone trovarsi
in estremo e permanente pericolo ( come il bimbo di una madre affetta da psicosi
paranoica). Questo farsi totalmente carico crea, inoltre, il presupposto per
cui l'individuo non può mai rischiare qualcosa e non è in grado
di risolvere i propri problemi da solo. Si tratta di una vera e propria castrazione
perpetrata ai danni dell'individuo, questo bambino che viene condannato ad appartenere
a un gruppo senza il quale non c'è salvezza e al quale si toglie il potere
della coscienza. A questo si aggiunge il fatto che l'individuo senza le proprie
radici non ha più storia, visto che l'incoerenza e l'impermanenza del
discorso collettivo non gli permettono di riconoscersi e il cambiamento viene
presentato come unico modello accettabile. Il cambiamento può essere
costruttivo se si sposta da una coscienza a un'altra, da uno spazio conosciuto
a un altro. In quel caso, invece, si tratta di oscillazioni tra livelli che
non raggiungono mai la coscienza di se, perché gli esseri senza radici
sono esseri senza storia, separati dalle proprie esperienze dal momento che,
inutile dirlo,esperienza significa riconoscimento della propria anteriorità
cosciente. Sono presenti tutte le componenti necessarie alla creazione di una
patologia mentale individuale e collettiva, e beate le individualità
che vi sapranno sfuggire sapendo che le collettività ne sono già
affette abbastanza diffusamente. Quindi che gli individui tentino di ricreare
la famiglia non sembra più illogico, anzi, e nemmeno che desiderino ritrovare
dei valori morali, ideologici, religiosi. L'uomo della fine del xx secolo cerca
dei punti di riferimento e pensa di poterli reperire nelle sette, nella moda,
oppure nello sport di massa ecc. Tutto questo può creare l'illusione
di un insieme all'interno del quale la coscienza crede di orientarsi, sapendo
che il problema generale è quello di uscire da questo contesto per entrare
nella vita quotidiana. La maggior parte delle proposte si limita a offrire implicitamente
o esplicitamente una semplice e diretta trasposizione. Anche le arti marziali
possono assumere questi ruoli a seconda del modo in cui vengono insegnate, perché
rientrano in tutti i criteri citati. Tanto per cominciare la violenza e la paura
sono temi così scottanti che ne abbiamo fatto una vera e propria modalità
d'espressione di cui le arti marziali beneficiano direttamente, anche se in
questo contesto il verbo beneficiare potrebbe sembrare fuori luogo. Bisogna
ammettere che anch'esse degli sport di massa, atte a scatenare una notevole
aggressività, a esprimere pulsioni guerriere, a offrire un'identità
in prestito. Sanno essere settarie, religiose, fanatiche e ideologiche, così
come sanno essere una semplice moda passeggera, e possono deformarsi fino a
invadere gli schermi cinematografici e televisivi con film e cartoni animati
non più riconoscibili. Le arti marziali sono costrette a riuscire a cavarsela
in cui il degrado della situazione economica maschera la crisi affettiva, dove
ciò che noi chiamiamo crisi sociale è di fatto una somatizzazione
nel corpo collettivo della sofferenza provocata dalla perdita d'identità,
dove la crisi politica nasce da un rifiuto di assumere il potere su di se. L'individuo
privo della coscienza di se al momento non ha fatto opportuno ne l'esperienza
del nucleo familiare ne quella del clan. Prende a prestito dalla collettività
emozioni, pensieri, sentimenti che non ha potuto ricevere dal suo gruppo naturale
e che gli servono per assolvere questo compito che incombe su di lui: essere
l'autore della determinazione di se. Il problema maggiore sta nel fatto che
le collettività sono entità caotiche, poco evolute, poco coscienti
e in grado di offrire, all'individuo che sta cercando, un insieme di esperienze
traumatiche, emozioni improprie, pulsioni estreme. In effetti le situazioni
di pericolo che l'individuo vive direttamente nella società, senza aver
prima acquisito le necessarie esperienze insieme a coloro che gli sono più
vicini, sono ancora più traumatizzanti, perché il gruppo sociale
è rappresentato con un alto potenziale di ostilità. Non ha' assolutamente
la benevolenza del nucleo familiare nè l'autorità rassicurante
del padre, nè la forza d'identità che può dare la precisa
percezione dei contorni del gruppo. La sua parola è discordante, sia
sul piano politico che su quello sociale, gli obiettivi sono poco definiti e
incostanti. Sul piano culturale non è omogeneo e al tempo stesso manca
di tolleranza. Tutto questo tende a renderlo un gruppo in cui l'individuo è
costretto a fare l' esperienza di se senza averne gli strumenti. Ognuno si trova
giorno dopo giorno a confronto con una tale quantità di elementi patogeni
da diventare egli stesso patogeno per gli altri. Purtroppo nella realtà
dei fatti ciò determina la comparsa di nuove patologie, la cui modalità
di trasmissione è eloquente. Un'alterità patogena impedisce qualsiasi
evoluzione della coscienza di se. Si può evolvere solo in un altro se
stesso reale e benevolo, certo non in un altro se stesso mortalmente ostile.
La perdita dell'altro come portatore di differenza è grave sia per l'individuo
che per la collettività e ingenera una depressione che si esprime attraverso
la perdita della speranza nell'avvenire, della fiducia nelle risorse comuni
e la tendenza all'autodistruzione, tutte violenze di cui le arti marziali diventano
il ricettacolo, qualunque sia il loro volto. L'Aikido non sfugge a questa logica,
anzi ne ha assorbito tutti gli aspetti citati. Da parte mia voglio mostrare
come può essere positivo e creativo, nell'attuale situazione, e quanto
viceversa potrebbe essere nocivo se noi insegnanti di quest' arte non ci assumessimo
la responsabilità che ci spetta: esprimersi chiaramente riguardo alla
propria storia e prendere posizione rispetto a essa; avere un'etica relazionale
moderna, fondata sui diritti dell'uomo e garante delle libertà individuali,
del rispetto delle pluralità; avere un codice morale e deontologico dell'insegnamento
atto a proteggere il praticante da ogni abuso di fiducia.
Personalità deriva dal latino "Per Sona" cioè "mezzo
attraverso cui passa il suono."
La definizione fa riferimento al mondo teatrale e, più precisamente,
alla maschera utilizzata dagli attori durante le rappresentazioni: la loro voce
"passava attraverso" la maschera che copriva il loro volto. Nell'utilizzo
corrente, il vocabolo ha perso il suo significato specifico per assumere un
riferimento diretto all'individuo "nascosto " dietro la "maschera".
Un immediato riferimento alle teorie Pirandelliane ci mostra come l'attuale
concezione del concetto di personalità possa nascondere ben più
profonde implicazioni.
L'influenza dell' ambiente sul singolo ha un duplice effetto. Se, da una parte,
egli impara le regole che sottendono l'intero sistema sociale e relazionale
e, contemporaneamente, impara ad eluderle, nascondendo la sua identità
dietro una "maschera" che lo confonda con l'ambiente e lo faccia sentire
sempre accettato, dall'altra contribuisce, alla pari dei fattori biologici,
non ultimi quelli genetici, alla formazione di un proprio modo di essere e di
pensare che pregiudica le sue attitudini verso il mondo esterno.
La definizione di "personalità" data nel 1992 dalla Organizzazione
Mondiale della Sanità indica come la sua lettura :
"...individui una modalità strutturata di pensiero,sentimento e
comportamento che caratterizza il tipo di adattamento e lo stile di vita del
soggetto...."
Mi trovo grosso modo concorde con questa linea di pensiero. Ma è per
me inevitabile notare come sia difficile parlare contemporaneamente di "Pensiero
e Sentimento " e di "Adattamento e stile di vita".
In una società castrante e repressiva non è semplice avere la
forza di condurre uno stile di vita che sia allo stesso tempo adattivo e comunque
manifesto delle disposizioni interiori della mente e del cuore dell'individuo.
Ci vuole molto coraggio. Il coraggio di un Guerriero.
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