Contro gli eroi

Non mi fido degli eroi. L’ingiustizia da riparare è un concetto molto sfuggente. Solitamente, il male viene sconfitto e i buoni vincono, anche a costo di dolorosi spargimenti di sangue. Ma mi viene un sospetto: sono i buoni che vincono o sono i vincitori che scrivono la storia autoproclamandosi buoni? All’interno di una ristretta visione le posizioni appaiono inconciliabili senza speranza, e allora mano al fucile in nome della libertà, della giustizia, della democrazia. Ma quale libertà, giustizia, democrazia possono esservi nella negazione istantanea e arbitraria di tutte le possibilità di un essere umano?
Certo, mi si obbietterà, spesso bisogna difendersi. Da quando l’uomo ha iniziato a suddividere i compiti e ad accumulare beni, i più deboli, le donne, gli agricoltori, quelli che abitavano terre fertili e dal clima favorevole hanno subito le pressioni di altri gruppi che avanzano le loro pretese con la forza. È di fronte a situazioni di oppressione che si tende a giustificare la risposta violenta degli oppressi. Ma gli oppressori, siamo poi così certi che non abbiano anch’essi le loro ragioni? È prassi comune nelle guerre travestire l’agnello da lupo per avere poi il pretesto per “difendersi” (in tutti i paesi del mondo il responsabile delle cose militari è il “ministro della difesa”, ma se tutti si difendono, da chi ci si deve difendere?). E comunque la storia è piena di esempi in cui – anche ammettendo una autentica situazione di oppressione – gli oppressi liberati sono molto più feroci e sanguinari dei precedenti oppressori. La mia domanda è: un’ingiustizia sanata a prezzo di una guerra o di una rivoluzione può render migliore il mondo? Penso che una metafora convincente sia quella della cura di una malattia. Di fronte ad un problema di salute si può intervenire con un farmaco mirato, che risolva in breve tempo la sintomatologia, senza correggere gli stili di vita (fumo, alcol, alimentazione, stress...) che hanno condotto alla malattia. Oppure si può intervenire considerando l’essere umano come un tutto, consci del fatto che una patologia che esplode è sempre rivelativa di una disarmonia, un disequilibrio che coinvolge la totalità della persona, nel suo rapporto con sé stesso, con gli altri, con l’ambiente.
Ecco, sanare le ingiustizie in punta di baionetta è come affidare la propria salute unicamente ai farmaci: potrà risolvere questo o quel problema ma non farà diventare migliore l’umanità; anzi, molto spesso gli effetti collaterali sono peggio del disturbo originario. L’affermazione del diritto e della giustizia passa attraverso un lento e faticoso cammino globale di consapevolezza, che riguarda tutta l’umanità.