L'inganno dell'intelligenza

Si confrontano e si giudicano le persone sulla base della loro forza, bellezza, simpatia, intelligenza. È facile fare un confronto di forza fisica: vince chi alza il peso maggiore. Più problematico è il caso della bellezza e simpatia, in cui la soggettività del giudice gioca un ruolo ineliminabile. Ma cosa dire dell’intelligenza? È possibile imporre dei criteri oggettivi, una scala di misurazione? E sopratutto, che cosa distingue una persona intelligente da un’altra che lo è meno? Risolvere problemi, forse. Ma quali problemi? E poi, perché escludere tutta quella parte dell’esperienza umana che non è composta di problemi e non richiede risposte o soluzioni? La nostra mente si muove in uno spazio che si estende in innumerevoli direzioni, ma per poterne misurare le facoltà bisogna comprimere tale spazio su una linea sulla quale stabilire il prima e il dopo. E come realizzare una simile proiezione se non escludendo intere province dell’animo umano o unificando forzatamente aspetti tra loro irriducibili? Non vi è dubbio, ad esempio, che nella valutazione dell’intelligenza di un individuo contino molto di più le sue capacità funzionali a modificare la realtà – cioè l’abilità matematica – che non il grado di consapevolezza con cui vive quella stessa realtà.
Io credo che l’intelligenza non esista. Guardo con molta diffidenza – e più che altro subisco passivamente – tutte quelle manifestazioni pseudo agonistiche di cui rigurgita il nostro sistema scolastico (gare e olimpiadi di vario genere) volte a dare ad alcuni l’errata sensazione che esista una media rispetto alla quale sono superiori e ad altri l’altrettanto errata sensazione di valere poco. Non credo nell’intelligenza perché la mente è per sua essenza e costituzione impredicativa e come tale trascende (in quanto fonda) tutti quei comportamenti sui quali si vorrebbe misurare l’intelligenza. Non credo nell’intelligenza perché la scelta dei comportamenti intelligenti è necessariamente arbitraria, e in questa arbitrarietà non è difficile scorgere la scala dei valori di una struttura sociale in cui le classi dominanti fondano la loro sicurezza, potere e benessere sullo sfruttamento del resto della popolazione. In tal modo, vengono valorizzati gli individui le cui capacità maggiormente sono funzionali al mantenimento della struttura culturale ed economica.
Se l’intelligenza è una truffa, tuttavia è lecito parlare di genialità. Il genio non è infatti un individuo più intelligente degli altri, bensì colui che ha una prospettiva diversa su aspetti più o meno ampi dell’esperienza umana. Le disposizioni naturali, come attitudini innate, non esistono; il cervello (anzi, per certi aspetti l’intero corpo), la parte materiale, non è la mente ma solo il suo organo. Quindi, le differenti capacità esibite da persone diverse nei riguardi della matematica, della musica o di qualsiasi altro campo, non possono essere ricondotte a parametri materiali come l’acutezza della vista o la forza fisica. Si tratta piuttosto di aspetti che coinvolgono l’interezza della persona, quindi immateriali. E qui troviamo anche la radice del genio: non una differenza quantitativa rispetto agli altri individui, ma qualitativa. Una disposizione, una visione del mondo, un modo di essere che rende possibile un contatto profondo con alcuni aspetti dell’esperienza umana, un inter-essere che permette di vedere dal di dentro in tutta la loro semplicità cose che altrimenti dall’esterno appaiono tremendamente complicate. Un piano puramente intuitivo, situato oltre il linguaggio e lo sforzo del ragionamento.
Il dono di una mente geniale non è una peculiare struttura cerebrale quanto piuttosto un particolare modo di essere e di porsi, una prospettiva da cui le cose che gli altri non comprendono appaiono necessarie (un dono immateriale, dunque). E se questo è il caso, la genialità non è innata ma può comparire (o sparire) in seguito ad una profonda conversione. Inoltre, tutti hanno verosimilmente aspetti geniali nella loro vita, aspetti il più delle volte non riconosciuti. Vi è cioè una sorta di genialità latente, destinata a non manifestarsi in opere clamorose, ma non per questo meno sublime. Ma non solo; oltre agli aspetti scientifici e artistici solitamente considerati l’ambito proprio del genio, in molte altre situazioni si potranno avere comportamenti genuinamente geniali. Tuttavia la profonda intuizione della realtà che caratterizza le menti geniali è solitamente limitata a campi ristretti del pensiero; più difficile è trovare un genio totale che estenda una tale visione illuminata all’intera realtà. Difficile anche perché un personaggio del genere non  ha verosimilmente alcun interesse a mettersi in evidenza ricercando all’esterno la gratificazione del riconoscimento della propria opera, in quanto già si trova nel centro ideale di qualsiasi cosa la mente umana possa concepire.