Mario Molteni Precedente
Note di Percorso
da
"Racconti nel marmo" Candoglia 1987 - 1988
Di
antiche leggende comuni pressochè a tutti i popoli, ne ricordo particolarmente
una che risale all'epoca della civiltà dei Maya ed il ricordo sarà più vivo
per questa piuttosto che per l'altra probabilmente perché quell'antico popolo
mi è sempre stato presente, a ragione di quella sua particolare capacità di «tirare
su » a dispetto delle più avverse condizioni. Il ricordo è di quella
bellissima leggenda dove si narra delle predisposizioni, diremmo noi,
predestinazioni dice la storia, che, ancor prima di essere nascituro, l'uomo
avrebbe. Ciò permetteva loro e più specificamente al singolo individuo di
potersi produrre in quella particolare attività verso la quale erano
naturalmente proiettati, disposti, anzi predisposti.
Quanto
mi è stato possibile realizzare nel corso di questi due anni e che è racchiuso
nel ciclo « Racconti nel marmo» (Candoglia 1987-1988) mi sembra proprio il
riscontro reale, la continuazione ideale di quella remota leggenda. Devo
necessariamente parlare di me, così credo sarà chiarito il legame con la
predestinazione, la leggenda, il Fato. Nell'ahimè lontano 1950 data il mio
ingresso nei ranghi della Veneranda Fabbrica Del Duomo, dove, secondo i concetti
e le speranze di quell'uomo giusto che fu mio padre, avrei dovuto avere sicura,
definitiva si sistemazione morale e materiale per il resto dei miei
A
molti è noto che il marmo di Candoglia è per destinazione riservato alla
conservazione del Duomo.
Mi
riferisco al privilegio concesso da Gian Galeazzo Visconti ben sei secoli fa
alla Fabbrica del Duomo, donazione questa che fu determinante e decisiva, tale
da rendere possibile l'edificazione della cattedrale. Il documento, che data il
24 ottobre 1387, dice infatti in conclusione: «...Pertanto diamo incarico al
nostro Capitano del Lago Maggiore, al Vicario di Locarno ed al nostro Podestà
di Intra e di Pallanza ed agli altri ufficiali, a cui spetta, di esigere in modo
assoluto e per conto della Fabbrica della Cattedrale di Milano si possano cavare
le pietre di cui si parla nella su riferita supplica, su beni di coloro dove
dette pietre si trovano e per reverenza della detta Cattedrale si possano
asportare liberamente, senza alcun conforto di denaro, come finora è stato
fatto » .
Privilegio
questo che di epoca in epoca è stato sempre riconfermato, nonostante le alterne
e spesso burrascose vicende che hanno interessato nel corso dei secoli queste
zone di confine, le quali per posizione geografica e strategica sono state
sempre preziose e contese. La storia del marmo di Candoglia è dunque illustre e
di antica datazione e talvolta sembra che esso ne sia quasi consapevole: la sua
forte, fiera personalità, il suo carattere, l'individualità, rendono la vita
tuttaltro che facile a chi lo affronti senza il rispetto che si deve ad una
natura nobile e caparbia.
Mai
prendersi eccessive confidenze, mai attenuare la tensione e scoprire il fianco,
ma apprendere ad essere scaltri ed anche persuasivi; per poterne avere il
controllo e riuscire ad imporglisi non bisogna opporre violenza, ma innanzi
tutto imparare a conoscerlo e quindi, quasi per naturale conseguenza, ad amarlo.
Lo scolpire, il cavare, il fare scultura impiegando questo marmo è sempre, ogni
volta, una sfida. Il suo aspetto è quanto di più ingannevole, mendace, subdolo
e incoerente si possa supporre.
AI
suo primo presentarsi è molto, forse troppo, accomodante, accogliente e
rassicurante. Nessuna di tutte queste gratificanti anticipazioni lui, il
Candoglia, vi concederà. Sembra quasi (il mito e la leggenda mi sono sempre
stati molti cari) che voglia opporsi nella maniera più categorica ad essere
usato per dar vita a delle immagini che non abbiano la veste della sacralità
alla quale, come ben sappiamo, da seicento anni è destinato. Avendo a che fare
con esso tutte le retoriche che s'accompagnano all'arte, al mestiere dello
scolpire, voglio dire estrema sicurezza, violenza, insomma l'esibizione di una
«virilità maschia" sono da abbandonare. « Lui " lo si vince, 10 si
conquista, lo si doma, ce lo si fa amico solo con l'umiltà. lo personalmente
grazie a questa esperienza ho potuto stabilire un proficuo e costruttivo
rapporto: mi ha infatti concesso tutto quello che altre pietre, marmi
precedentemente usati non mi avevano dato.
Sarà
forse perchè per mie esigenze plastiche ho bisogno che il soggetto si manifesti
compiutamente oltre che attraverso la forma anche con la peculiarità
della superficie, della pelle.
Mi
piace essere in possesso del credo che mi conforta di aver avuto, con questo
felice ritorno a casa, la possibilità di sentirmi finalmente in simbiosi e
l'essere in armonia con qualcosa, con qualcuno è possedere molto,
professionalmente poi equivale ad avere tutto.
Mario
Molteni