A New York, nel frattempo, dall’unione di Michael Gira
e XXXXX, si crea la cellula che porterà alla creazione di un altro
caposaldo della musica industriale: gli Swans
. È molto dibattuta
la correttezza del loro inserimento nell’ambito della musica postindustriale:
anche se il periodo in cui iniziano a lavorare e la somiglianza di alcune
delle tematiche trattate spesso spingono ad inserirli in quel tipo di cultura,
per altri versi essi costituiscono un caso decisamente a parte nell’ambiente
musicale di cui ci stiamo occupando. D’altra parte, la loro musica ha influenzato
in maniera molto forte quella di numerosi gruppi che, al giorno d’oggi,
vengono definiti “industriali”. La prima cosa che colpisce, nel loro suono,
è la notevole diversità rispetto a quella di buona parte
dei gruppi fin qui presi in esame: non c’è l’elettronica al centro
di tutto, ma il gruppo ha una costituzione piuttosto “normale”, i suoni
sono quelli di strumenti convenzionali, a volumi elevatissimi, che creano
un tappeto potente di rumore. Le strutture ritmiche sono potentissime,
e in alcuni casi coadiuvate da percussioni abbastanza atipiche come i gong.
Come la musica, i testi sono rivolti al nichilismo più estremo,
è presente un pessimismo di fondo nero come la pece, i suoni sono
spesso quasi privi di struttura, la voce di Gira è oscura e profonda,
l’insieme è fortemente estraniante. Nel 198? Michael Gira entra
in contatto con una sua fan californiana, che diverrà presto la
sua compagna: Jarboe. Questo incontro probabilmente cambia qualcosa in
lui, poiché da questo momento in poi i suoni cominciano a mutare,
la musica inizia ad assumere una struttura: una sorta di folk nero, sporco
e fumoso, spesso contaminato da oscuri rumori di fondo. La sua voce, sempre
cupa, inizia a modulare suoni che non sono più urla, i testi, in
cui il pessimismo di fondo è pur sempre presente, sono meno volti
al nulla assoluto di quanto lo fossero in precedenza. E’ in questo periodo
che nasce il progetto parallelo di Gira e Jarboe, denominato Skin. Questo
progetto nasce probabilmente come valvola di sfogo per l’attività
creativa ed artistica di Jarboe, e per molti versi anticipa, sia nei suoni
sia nei temi, la musica che gli Swans avrebbero prodotto da questo momento
in poi. Iniziano ad essere presenti lente ballate, scandite da ritmi pacati
e caratterizzate dalla voce calda e profonda di Jarboe, talvolta solo di
sottofondo, talaltra da protagonista. La maturità viene raggiunta
forse nel lavoro, concepito come unico anche se uscito in tempi differenti,
costituito dai due dischi “White light from the mouth of infinity” e “Love
of life”. Questi saranno seguiti da un disco, “the great annihilator”,
molto bello ma chiaramente di transizione verso la nuova forma di ispirazione
che caratterizza le loro ultime produzioni: una musica costituita da brani
molto lunghi e in cui l’elettronica assume una certa importanza, sommata
ai suoni lunghi e dilatati della chitarra; suoni che sono a tratti ambientali,
in altri momenti più rumorosi e distorti; è un ritorno a
sonorità difficili, ma in maniera completamente diversa da quelli
dei primi lavori; con la pubblicazione del doppio CD “Soundtracks for the
blind” e di un live celebrativo dal significativo titolo “Swans are dead”,
l’esperienza Swans si spegne, forse anche a causa della fine del rapporto
sentimentale tra Gira e Jarboe, che comunque continuano a collaborare di
tanto in tanto. Ciascuno dei due ha avuto un’attività da solista,
e Jarboe è spesso ricercata per collaborazioni a causa del particolare
timbro della sua voce; dopo lo scioglimento del gruppo, Gira ha iniziato
diverse attività, sia da produttore (US Maple, ad esempio), sia
come musicista (The Body Lovers, che continuano nella scia degli ultimi
lavori degli Swans, The Body Haters, Angels of Light, molto più
folk e minimale, semplici ma splendide ballate acustiche). L’influenza
che gli Swans hanno avuto su tutta la schiera di musicisti che oggi mescolano
suoni elettroindustriali, metal e noise è forte ed evidente: basta
ascoltare uno dei primi lavori degli Swans per rendersi conto di quanto
siano loro debitori gruppi come Scorn, Skin Chamber, Godflesh ma anche
Nine Inch Nails e Ministry.
Anche in Germania il terreno è ormai pronto, e
i primi germogli non si lasciano certo attendere: nel 1980 nasce a Berlino
un importantissimo gruppo, il cui nome è
Einsturzende Neubauten.
Il significato del nome, “Nuove costruzioni che crollano” prende spunto
dal crollo di diversi nuovi palazzi costruiti nel dopoguerra, a fronte
della resistenza di edifici più vecchi sopravvissuti ai bombardamenti
della seconda guerra mondiale. L’immagine di questi musicisti non è
così lontana da quella di alcuni punk, ma la loro musica è
potente ed estrema: agli strumenti nuovi e da loro inventati (su tutti,
uno stranissimo mollone che viene colpito, generando un suono a metà
strada tra quello di uno strumento a percussione e quello di un basso),
alle tipiche percussioni industriali (lamiere, barili, bombole di vari
tipi e dimensioni), il gruppo berlinese aggiunge potenti generatori di
rumore come martelli pneumatici o seghe circolari nell’intento, forse,
di raggiungere un’intensità inusitata, mai raggiunta da nessuno
dei gruppi che li ha preceduti. I primi concerti sono quindi rumorosissimi,
al limite del dolore fisico, ma allo stesso tempo spettacolari nella loro
fisicità. Verso la metà degli anni ’80, però, giunge
a maturazione un cambiamento, seppur graduale, del suono espresso dal gruppo:
ciò che prima era puro rumore, inizia a rivelare sotto di sé
una melodia; ciò che era del tutto destrutturato, inizia ad assumere
una forma più definita; con il loro lavoro “Fuenf auf der nach oben
offenen Richterscala”, la mutazione diviene chiara: pur senza concedere
nulla alla commercialità, e sempre mantenendo una forte dose di
personalità, evidente nel sapiente uso del rumore, i suoni espressi
dal gruppo diventano decisamente più avvicinabili, a tratti anche
ballabili e melodici, caratterizzati da sonorità profonde ed a tratti
oscure. Il discorso prosegue con il lavoro successivo, “Haus der Luege”,
per diventare ancora più spinto in “Tabula Rasa”, che già
dal titolo sembra voler sottolineare un rinnovamento radicale del loro
suono: il lavoro è a tratti danzabile, a tratti minimale e silenzioso;
sono presenti le prime, timide concessioni all’inglese, ma nel complesso,
pur essendo molto lontano dalle rumorose ruvidezze del primo periodo, è
un disco molto piacevole. Il successivo lavoro, “Ende Neu”, rappresenta
forse l’unico passo verso una forma di parziale commercialità: è
un lavoro decisamente più orecchiabile dei precedenti, nel quale
alla voce aspra di Blixa Bargeld si aggiunge quella di una cantante ,??????.
L’ultimo lavoro, un mini CD intitolato “Total eclipse of the sun”, ritorna
alle atmosfere più rilassate e minimali di “Tabula Rasa”. Il gruppo
è ancora in attività, e il futuro dei suoni da esso espressi
è piuttosto difficile da prevedere; il dubbio principale è
se continueranno sulla linea “danzereccia” (le virgolette sono d’obbligo)
dell’ultimo lavoro a lunga durata o su quella più sottile del mini
CD; oppure, considerando il loro passato, se si rivolgeranno in una dirazione
ancora differente e del tutto imprevedibile. È da sottolineare che,
accanto alla loro normale discografia, gli Einsurzende Neubauten hanno
prodotto alcune colonne sonore di eventi e rappresentazioni teatrali (Die
Hamletmachine e Faustmusik), in genere molto ostiche e di difficile interpretazione,
in mancanza della controparte visuale.
Neppure la cortina di ferro è in grado di fermare
l’estendersi dell’infezione industriale: ben presto le idee espresse da
questa forma sottoculturale si espandono anche nei paesi dell’Europa orientale,
trovando in essi un humus fertilissimo, cosa più che comprensibile
considerando anche la situazione dei sobborghi industriali delle grandi
città dell’Est. Uno dei luoghi più fertili si rivela la Yugoslavia,
e tra i primi gruppi a rispondere al richiamo sono i
Laibach, di Lubiana
(il nome altro non è che la traduzione in tedesco del nome della
loro città). La loro musica è solo una parte di un progetto
a più ampio spettro, e lo si sente fin dall’inizio, grazie ai suoni
complessi e teatrali, sempre ostici e talvolta cacofonici, ma comunque
lontani dalla destrutturazione dei primi gruppi britannici. Fin dall’inizio
l’uso di un’iconografia molto forte, talvolta vicina a quella nazifascista,
talaltra a quella sovietica dell’immediato dopoguerra, utilizzata in entrambi
i casi più per mettere in ridicolo certe forme di autoritarismo
(in campo politico ma per estensione anche in campo artistico) che per
un credo politico, fa sì che i loro spettacoli e i loro lavori siano
banditi nel loro paese d’origine, riuscendo in tal maniera ad ottenere
immediatamente il loro scopo, quello di mettere in risalto la contraddizione
esistente in esso. La missione che si impongono è quella di studiare
il rapporto che esiste tra arte ed ideologia, e a tale scopo decidono di
tenersi sempre in bilico tra due posizioni, entrambe estreme, opposta l’una
rispetto all’altra, rifiutandosi sempre e comunque di dichiarare apertamente
la loro personale posizione politica. Le accuse di nazismo che molti giornalisti
gli scagliano contro, si appoggiano, oltre che sulla pura iconografia,
anche sull’uso frequente del tedesco nei loro testi e sulla fortissima
marzialità dei ritmi dei loro brani, con cori che ricordano allo
stesso tempo la tradizione corale russa e i canti patriottici tedeschi.
D’altro canto, la loro tendenza a dare importanza al collettivo e mai al
singolo, il loro spiccato senso dell’internazionalismo, le posizioni assunte
nei confronti della guerra, spingono a pensare esattamente l’opposto, mantenendo
l’ascoltatore in una perenne situazione di dubbio. Probabilmente è
proprio questo una delle principali caratteristiche del gruppo, la capacità
di sbeffeggiare violentemente argomenti generalmente considerati troppo
seri per scherzarci sopra, mantenendo, allo stesso tempo, un’apparenza
di profonda severità e distacco, volutamente complicando, se vogliamo,
la vita di critici ed ascoltatori. Il loro primo LP, intitolato semplicemente
“Laibach” e il successivo “Nova Akropola” rappresentano alla perfezione
il loro primo periodo, molto teatrale ed acre, che sfocia in qualche modo
nella colonna sonora di uno spettacolo che verrà pubblicata nel
doppio album “Baptism/Krst Pod”, più classicheggiante e sperimentale.
Caratteristica importante della loro musica, che non verrà mai a
mancare, è l’uso della voce e delle strutture ritmiche: una voce
baritonale, spesso coadiuvata da profondi cori sulla stessa tonalità,
che si poggia su ritmi cadenzati e marziali, frequentemente tenuti in piedi
da tamburi di tipo militare. “Macbeth” rappresenta in qualche modo un’eccezione,
essendo in pratica il loro unico lavoro completamente strumentale (in realtà
la voce è utilizzata, ma solo a scopo strumentale): questo lavoro
non è altro che una lunga suite classicheggiante e molto intensa,
a metà strada tra la musica industriale ed opere classiche per grande
orchestra (mi vengono in mente Wagner e Mahler per l’intensità del
suono e la forza trainante). Molto frequente è anche la registrazione
di cover, in genere completamente stravolte rispetto all’originale, tanto
da renderle praticamente irriconoscibili; se nel disco “Opus Dei”, forse
uno dei loro capolavori, è presente la cover di “Life is life”,
in “Let it be” sono contenute tutte reinterpretazioni di brani dei Beatles,
così come i due EP “Simpathy for the devil” contengono cover del
brano dei Rolling Stones interpretati da loro e da altri progetti a loro
legati. Un notevole cambiamento si nota in “Kapital”, dove alle ritmiche
militaresche si sostituiscono basi techno/EBM, talvolta molto semplici,
e le tematiche analizzate sono quelle dell’economia; la tendenza a creare
strutture ritmiche più semplici prosegue nel successivo “NATO”,
costituito da sole cover di brani pop/rock e in cui ci si diverte a satireggiare
sulla situazione dell’Europa e sul contrastante rapporto che questa ha
con il patto atlantico qualche anno dopo il crollo della cortina di ferro.
“Jesus Christ Superstar”, invece, rappresenta una sorta di avvicinamento
ai suoni del metal, trasformando la musica dei Laibach grazie all’inserimento
di chitarre elettriche veloci e metalliche; stavolta, a finire sotto
il mirino sarcastico del gruppo sloveno, è la religione, o meglio
il significato che essa sta assumendo nell’ultimo scorcio del 20° secolo,
e il rapporto tra religiosità, massificazione e consumo, discorso
che in qualche modo prosegue con “Also spracht Johannes Paulus II”, del
progetto parallelo 300.000 vkr.
Abbiamo già visto come in diversi casi l’estetica
industriale non si limiti al solo versante musicale, ma vada ad inquinare
una gamma molto più ampia di forme d’arte. In quest’ottica, mi sembra
importante almeno citare due nomi di una certa importanza che hanno fatto
dell’esibizione e della performance a tutto campo, più che della
musica, il loro centro d’interesse, spingendo all’estremo alcune soluzioni
ed idee presenti nei primi Throbbing Gristle o in Z’ev. Il primo di questi
nomi è certamente quello dei
Survival Research Laboratories (S.R.L.),
creati da Mark Pauline, famosi per i loro spettacoli detonanti e pericolosi,
basati su strane strutture e sull’uso di esplosivi di vario genere. Lo
stesso Pauline ha pagato su di sé la pericolosità delle esibizioni
del gruppo, perdendo le dita di una mano in un’esplosione. È rimasta
famosa una loro esibizione decisamente “fuori programma”: si trovavano
a Londra per uno spettacolo, e sono stati contattati da un gruppo
di persone residenti in un quartiere periferico in fase di sgombero; la
richiesta era quella di bloccare uno sgombero forzato da parte della polizia
locale, perciò misero su un enorme impianto detonante, bloccando
effettivamente la polizia, che credeva di trovarsi di fronte un vero e
proprio esercito.
L’altro nome importante è quello della
Mutoids Waste Corporation:
essenzialmente si tratta di un gruppo di persone che
vivono più o meno in giro per il mondo organizzando spettacoli notevoli
e divertenti. Questi eventi sono preparati, in genere, in spazi piuttosto
ampi e all’aperto; la scenografia è costituita da macchine, motori
e sculture realizzate da loro stessi a partire da materiale di scarto:
molto famosa è la scultura di un enorme scheletro metallico realizzato
con pezzi di motori, automobili e meccanismi vari, il quale regge una sorta
di spiedo nel quale vengono infilate ed incendiate alcune piccole automobili
(a Roma si trattava di una vecchia 500). Alcuni motori, talmente arrugginiti
e malandati da sembrare decisamente fuori uso, vengono talvolta accesi
al solo scopo di saturare l’ambiente di rumore, che si aggiunge agli altissimi
volumi della musica elettro/industriale usata come tappeto sonoro
di base. In questo ambiente, vengono integrate esibizioni teatrali decisamente
splatter oppure partite di polo in cui i giocatori indossano strane corazze
da medioevo prossimo futuro, ovviamente anch’esse costituite da materiale
riciclato, con porte e palla incendiate; mentre ci si gode la partita,
si rischia di venire investiti da strane moto o automobili dalle forme
più strane ed improbabili, come il camion a forma di teschio mutante,
o la lunghissima moto-missile di metallo riciclato, dai quali qualcuno
si diverte a sparare fiamme qua e là. Oltre al fatto che uno spettacolo
dei Mutoidi è qualcosa di molto divertente e coinvolgente, perché
non esiste un “centro dell’azione”, ma tutto avviene in mezzo al pubblico,
quello che è notevole, è la coerenza della scelta del proprio
modo di vivere; per non parlare dei loro figli, che si possono vedere durante
le fasi di preparazione degli spettacoli, mentre girano sulle loro piccole
macchine in stile con tutto il resto delle strutture.
Tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 si avvia
il meccanismo perverso della cultura industriale; tutta una serie di gruppi,
spesso strettamente legati tra loro, seminano germi che iniziano ben presto
a fiorire e riprodursi, e, all’inizio degli anni ’80 nasce un gran numero
di progetti che, pur mantenendo una buona dose di originalità nella
loro musica, sono fortemente influenzati dagli eventi e dai suoni sopra
descritti. Tra questi, alcuni hanno rivestito particolare importanza per
le idee introdotte, per la ricerca sui suoni, per i temi trattati e per
l’influenza che, a loro volta, hanno avuto sulle generazioni successive
di musicisti.
Ad esempio i
Test Department (molto spesso compare il
loro nome abbreviato, Test Dept) nascono nel 1981; la loro struttura è
quella di un collettivo aperto, infatti collaboreranno, durante la loro
carriera, con numerosi musicisti ed artisti. L’idea iniziale è quella
di generare un suono simile a quello “naturale” (le virgolette sono d’obbligo)
delle città, utilizzando materiali di scarto come bidoni di petrolio,
bombole per il gas di varie dimensioni, pezzi di metallo o di legno riassemblati
in modo da costituire uno strumento (in tal senso seguono una strada simile
a quella di Z’Ev, pur con le ovvie differenze, trattandosi di un ensemble).
Una importante particolarità dei Test Dept è il fatto che,
per la prima volta, un gruppo si schiera politicamente: nel 1984, infatti,
sposano la causa dei minatori gallesi in sciopero [ ], prima suonando ed
incidendo un disco intitolato “Shoulder to shoulder” insieme al coro dei
minatori, poi collaborando ed eseguendo la colonna sonora per uno spettacolo
della compagnia gallese di balletto d’avanguardia Brith Gof (balletto incentrato
sul poema epico gallese “Gododdin”). La consapevolezza della propria missione,
carattere peculiare di tutti i gruppi fin qui citati, si unisce per la
prima volta ad una ben precisa scelta: la tattica dello shock viene sostituita
da una forte presa di posizione, con conseguente assunzione di responsabilità.
Inizialmente il suono è quindi fondamentalmente
percussivo, a tratti anche piuttosto confuso e rumoroso, che sembra riprodurre
in qualche modo il rumore di una fabbrica siderurgica. Dopo questa primissima
fase, si iniziano ad intravedere strutture più composite e ordinate,
a cui si aggiunge anche una parte elettronica prima inesistente, e talvolta
sghembe sezioni di fiati. La vicinanza con i minatori, e quindi con la
cultura popolare gallese e celtica, e la scelta di sostenere realtà
artistiche e culturali in via di estinzione, li spinge ad inserire nell’ensemble
in pianta più o meno stabile una cornamusa scozzese, che caratterizzerà
il loro suono per diverso tempo. La continua evoluzione dei suoni, poi,
li porta a fare un uso sempre più frequente e consapevole della
strumentazione elettronica, come si può ascoltare in uno dei loro
migliori lavori, intitolato “The Inacceptable face of freedom”, ed a creare
strutture sempre più complesse, pur senza mai perdere di vista il
loro punto di partenza, cioè l’uso di percussioni riciclate: da
tutto ciò nasce un lavoro interessantissimo, intitolato “Pax Britannica”,
una sorta di sinfonia per elettronica, percussioni industriali, cornamusa,
coro ed orchestra, lavoro che rappresenta un po’ il culmine della loro
evoluzione. Infatti, dopo un live ed un 12” contenente più versioni
di “New World Order” (non so dire esattamente se o come questo brano sia
legato all’omonimo pezzo dei Ministry; in ogni caso, l’idea di fondo è
la stessa), incidono un 12” intitolato “Bang on it!”, che apre un nuovo
corso nella storia del gruppo: la vicinanza ideologica alla scena rave
nella lotta al liberismo forsennato del governo Thatcher (in particolare
contro proposte di legge che tendono a limitare la libertà di espressione
artistica come il famigerato “Criminal Justice Act”), e l’interesse mai
sopito nello studio dei ritmi fanno sì che abbiano inizio degli
esperimenti che sconfinano spesso in ritmi techno, poggiati su fondamenta
elettroniche e coadiuvati in maniera encomiabile dal complesso di percussioni
acustiche. Sul palco, iniziano ad avere un dj e ad improvvisare sui ritmi
da questi impostati, rivelando capacità tecniche e ritmiche notevolissime:
il solo vederli suonare è uno spettacolo, il loro modo di colpire
le percussioni, l’ampiezza e l’impostazione del palco, la velocità
con cui si spostano da un strumento all’altro, rendono affascinanti i loro
concerti. Attualmente, i Test Dept continuano a portare avanti questa forma
di ricerca: rispetto ai primi lavori questi ultimi perdono un poco in efficacia
e potere detonante, pur essendo forse il meglio di ciò che questa
scena sta proponendo attualmente.
Come si diceva, quella musicale rappresenta solo un parte
di un progetto a spettro più ampio, che sfocia, nel 1984, nella
nascita dell’NSK (Neue Slovenische Kunst), fondato insieme al gruppo di
pittori Irwin ed alla compagnia teatrale d’avanguardia Scipion Nasisce
Sister Theatre Group: nato come una sorta di movimento artistico, col tempo
l’NSK è diventato una specie di entità artistica sovranazionale
organizzata come uno stato, con tanto di passaporti ed ambasciate, che
estende le tematiche affrontate dal gruppo alle altre forme d’arte e alla
cultura in genere. Molti gruppi hanno aderito al programma e sottodivisioni
si sono create e sciolte nel tempo, ma la missione non sembra ancora essere
terminata.