Venerdì
21/5/1999 - E allora, partiamo dall’inizio:
dopo un viaggio in pulmino durato un’eternità o qualcosa di più
riusciamo, in qualche modo, ad arrivare a Lipsia. Giusto il tempo di osservare
anche in questa città le classiche caratteristiche di tante città
dell’ex DDR, ed eccomi in fila per acquistare il biglietto del festival,
unico italiano in fila, non perché non ci fossero altri italiani
a Lipsia, ma perché praticamente nessuno di questi ha fatto la fila…
ma tant’è: me la sono cavata “solo” in un paio d’ore! Espletata
questa necessaria operazione, si parte per il parco dell’Agra Centrum,
dove si trovano sia il campeggio sia il più grande dei locali dove
si svolgono i concerti. Il colpo d’occhio è notevole: una distesa
di tende, dalle canadesi fino alle palazzine smontabili; migliaia di persone
vestite di nero che si muovono e si organizzano qua e là; un gruppo
di neopagani (almeno credo) che tiene sempre acceso il fuoco sotto alcuni
paioli per scaldare l’acqua; ragazzi e ragazze che escono da quelle tende
microscopiche in tenute che hanno dell’incredibile (ma come faranno?).
Giusto un attimo o poco più per piantare la tenda e mi fiondo verso
l’ingresso della sala suddetta: molto grande, in grado di contenere, a
mio giudizio, diverse migliaia di persone. Nel momento in cui arrivo, non
succede ancora niente, così ne approfitto per iniziare il mio giro
al mercatino (ino?) annesso, dove è possibile trovare di tutto,
dai CD a prezzi stracciati, alle fanzine (musica, esoterismo, magia, astrologia,
etc… purtroppo tutte rigorosamente in tedesco!), alle centinaia di locandine,
dal vestiario all’oggettistica di vario tipo. Il primo concerto mi sorprende
ancora completamente immerso nella mia foga consumistica, sommerso da locandine
e dai primi CD acquistati: dalla sala accanto sento giungere secchi e potenti
dei colpi di batteria e delle chitarre, quindi mi precipito nella sala
dei concerti: dal numero dei presenti e dal fatto che tutti cantano in
coro i testi, capisco che i TANZWUT, gruppo
che io non avevo mai sentito nemmeno nominare, devono essere abbastanza
famosi da queste parti; ascoltando la loro musica, decido che se lo meritano
in pieno: mescolano in maniera divertente e piacevole sonorità elettroniche,
metal e medievali, una sorta di punto di incontro tra Rammstein e In Extremo,
il tutto con una grinta e una voglia di divertirsi e scherzare esemplari:
divertenti in ogni brano, ma allo stesso tempo potenti e aggressivi, hanno
chiuso il concerto con un bis quantomeno particolare: un brano per cinque
cornamuse. Non conoscendoli affatto prima del concerto, non posso dire
molto più di questo.
Finito il concerto, riprendo il mio giro per gli stand,
fino a quando non sento nuovamente delle note provenire dalla sala dei
concerti: inizia l’esibizione dei LOOM, accompagnati
da un’orchestra. Francamente l’esibizione
non mi ha colpito affatto, anzi, l’ho trovata piuttosto noiosa: l’orchestra
si sentiva praticamente solo nelle introduzioni ai brani, ma appena il
duo in questione si inseriva con la sua musica elettronica, né particolarmente
innovativa né particolarmente potente, né particolarmente
niente, l’orchestra quasi scompariva. Ho ascoltato tre o quattro brani,
dopo, di che, un po’ annoiato, ho deciso che mangiare un boccone e ingollarmi
una birra sarebbe stato molto più salutare e interessante del concerto,
e tosto ho seguito l’istinto. Il resto della serata l’ho passato a cercare
i miei compagni di viaggio ed altri amici che sapevo essere venuti a Lipsia.
Ma la stanchezza di noi tutti era tale da farci correre al più presto
verso un agognatissimo riposo. Giunto alla tenda, mi rendo conto che la
musica della discoteca all’aperto arriva altissima e temo di non essere
in grado di prendere sonno; ma, prima ancora di giungere al termine del
ragionamento, mi ritrovo nell’abbraccio di Morfeo.
Sabato
22/5/1999 - La nottata è stata
piuttosto freddina, e mi sveglio discretamente intirizzito. Ma la cosa
non mi scuote più che tanto, e mi metto in coda per la doccia, peraltro
fredda più della notte appena passata… ma devo prepararmi in fretta,
perché a mezzogiorno c’è il primo dei concerti imperdibili
(almeno per me) del festival: DIAMANDA GALAS.
A mio giudizio è un personaggio fondamentale della musica d’avanguardia
degli ultimi vent’anni, ed ogni sua esibizione dal vivo è coinvolgente
ed estraniante allo stesso tempo. E questa non si smentisce: l’unico modo
che ho trovato per definire l’esibizione, è stato “Concerto per
pianoforte, voce di Diamanda Galas e brividi lungo la schiena”. La voce
della Galas non è una voce normale, la voce della Galas è
la voce della Galas, non ci sono possibili imitazioni né somiglianze:
bisogna sentirla, e, una volta sentita, non ci si può più
sbagliare. La si ama o la si odia, ed io rientro nel primo gruppo. Un’esibizione
di blues strapazzato come solo lei può fare, la concentrazione all’estremo,
la voce che raggiunge vertici ed estremi impensabili, unico possibile,
lontano (nel tempo, ma non nello spirito sperimentale) confronto, il grandissimo
Demetrio Stratos. Un’ora di estasi, perso nel fascino di quello sguardo
duro e concentrato, e distratto solo dai brividi freddi che quelle note
provocavano nella mia colonna vertebrale. All’uscita, tutti avevano qualcosa
in più di quando erano entrati, ognuno nella sua misura e secondo
la sua sensibilità.
Fuori, la giornata non è delle migliori, freddina
e coperta, la minaccia della pioggia sempre presente: e infatti, poco dopo
la mia uscita, quella speciale pioggerella tipica del nord Europa mi sorprende
in piena città, cosicché decido di fermarmi a mangiare qualcosa
in un luogo coperto, per poi tornare all’Agra Centrum, dove devo affrontare
il primo pomeriggio fiume di concerti. Arrivo giusto in tempo per vedere
l’esibizione degli SKYCLAD, gruppo che avevo
lasciato qualche anno fa (1992), quando suonava un interessante miscuglio
di heavy metal e folk celtico. Li ho ritrovati, sette anni dopo, ancora
in gran forma; se qualcuno mi avesse detto, fino ad un mese fa, che
avrei potuto ascoltare della musica suonata senza chitarre elettriche definendola
heavy metal, l’avrei preso per matto. Eppure, dopo aver visto gli Skyclad
nella loro nuova versione acustica (due chitarre acustiche, basso batteria
violino e voce), non posso fare a meno di pensare che, pur con le dovute
virgolette, quello è effettivamente heavy metal, per la grinta con
cui è suonato, per il tipo di sensazioni che provoca, per tutta
una serie di motivi che non saprei spiegare meglio; forse sono diventato
matto anch’io… la violinista volteggiava e si agitava sul palco più
del chitarrista dei My Dying Bride, i due chitarristi violentavano le loro
acustiche, la voce raschiata e fumosa faceva il suo dovere, il violino
impazzava folle e giocoso, il tutto sorretto da un’impeccabile macchina
da ritmo. Da segnalare che hanno eseguito il loro “cavallo di battaglia”
Spinning Jenny (non me lo sarei aspettato), e che gli sono stati richiesti
diversi bis, ma, a malincuore, se ne sono dovuti andare…
Li segue a ruota LIV KRISTINE,
la cantante dei Theatre Of Tragedy: è stata, per me, l’unica vera
delusione dell’intero festival. Il suo gruppo d’origine non mi dispiace
affatto, e avevo sentito che, in versione solista, lei si muove in ambiti
un po’ più folk, e quindi ero ben disposto verso la sua esibizione.
Ebbene: lei è splendida, ha una bellissima voce, ma i suoi brani
da solista sono assolutamente inascoltabili, un pop da classifica, ma di
quello più deteriore e noioso, senza nessuno spunto, piatto e liscio
come un tavolo da ping pong. Il top è stato raggiunto quando ha
cominciato a cantare “Innamorarsi”… un disco che, ben pubblicizzato, potrebbe
farle fare un sacco di soldi; non posso che augurarglielo, ma la mia delusione
rimane profonda…
La gente inizia ad aumentare nella sala, così
come la temperatura… stanno per salire sul palco gli UMBRA
ET IMAGO, gruppo famoso forse più per la loro propensione
al sadomaso che per la musica che fanno. La costruzione del palco è
piuttosto lunga e laboriosa, ma, alla fine, in mezzo ad una cortina di
fumo, si vedono comparire gli elementi del gruppo, due ragazze con le fiaccole
e, poco dopo Mozart, il cantante, in tenuta vampirica in PVC. Non conoscevo
bene la musica del gruppo, più che altro perché ho sempre
avuto l'impressione che si basassero più sull'immagine che sulla
bontà della musica che suonano. L'impressione è rimasta la
stessa: non posso dire che suonino una brutta musica, questo no, ma non
ho trovato neanche niente di eccezionale od originale. Ciò non toglie
che vederli dal vivo è un'esperienza divertente, tra fiammate improvvise(che
riscaldavano vieppiù il già rovente ambiente), donne in tenute
mooolto succinte (quando non sono mezze nude…) ed un buon gioco di fumi
e luci. Il tutto risulta molto kitsch, quello che continuo ancora a chiedermi
è se e quanto quei personaggi credano veramente in quello che fanno
o quanto invece ci scherzino sopra. Ma credo che questa domanda non avrà
mai risposta!
La gente continua ad aumentare, fino a riempire del tutto
la sala dell'Agra Centrum. Sapevo per sentito dire che gli IN
EXTREMO avevano un notevole seguito in Germania, ma davvero non
mi immaginavo di trovare così tanta gente al concerto, che inizia,
purtroppo, con notevole ritardo sulla scaletta; l'attesa si fa sempre più
trepidante: non vedo l'ora di vedere questo gruppo, che trovo notevolissimo
già su CD, ma dal vivo dev'essere eccezionale. Ed è effettivamente
così: non saprei come definire la loro esibizione, l'unica cosa
che posso dire è che l'impressione è quella di trovarsi nel
bel mezzo di una fiera medievale; loro sul palco sono irresistibili, trascinanti
e divertenti, la loro esibizione è tanto potente quanto ironica:
mentre suonano, saltano, ballano e si divertono, sputano fuoco e non so
che altro. La loro musica mescola suoni metal a cornamuse medievaleggianti
senza disdegnare momenti puramente acustici, e il tutto è tenuto
insieme da un'attitudine decisamente punk: una miscela che, se trattata
dalle mani sbagliate, può provocare seri problemi di salute, ma
nelle mani degli In Extremo diventa piacere e divertimento allo stato puro.
Nella scaletta, il gruppo successivo sono gli HIM,
i quali a loro volta, da quanto mi è dato di capire chiacchierando
con un paio di persone, sono piuttosto amati in Germania. Però io
mi vedo costretto a fuggire di corsa, nella speranza di riuscire a vedere
il concerto dei DEUTSCH NEPAL, al Werk II.
Speranza, ovviamente, vana, dato l'estremo ritardo con cui è finita
l'esibizione degli In Extremo, al quale si aggiunge un'attesa del tram
piuttosto prolungata. Perciò ritorno di corsa all'Agra mentre suona
JOACHIM WITT. Giuro che non saprei cosa dire
della sua esibizione: a tratti piacevole, in altri momenti piuttosto noiosa,
non mi ha certo colpito né per originalità né per
la bellezza dei brani. Lo seguono i LOOM,
che suonano stasera senza orchestra, con risultati, forse, un po' migliori
di ieri. Resta il dubbio sulla qualità del loro drum'n'bass (in
quell'ambiente c'è di molto meglio) e sul fatto che la loro musica
c'entra ben poco con quella del resto dei gruppi che ho sentito suonare
durante il festival.
Finalmente, a notte ormai inoltrata, iniziano a suonare
i PROJECT PITCHFORK. Devo dire subito che
non sono uno dei miei gruppi preferiti in assoluto. I loro ultimi due dischi
("Chakra: Red!" ed "Eon:Eon") non mi fanno certo impazzire, mentre Alpha
Omega mi piace già di più. Ciononostante l'esibizione è
stata divertente: i due sono in grado di tenere bene il palco e divertire
le parecchie persone presenti, eseguendo anche brani "storici", come la
bellissima versione di "One by one". Io non ballo quasi mai, ma durante
tutto il concerto non sono stato un attimo fermo, per ritrovarmi, alla
fine del concerto, completamente distrutto dalla fatica (non ho più
l'età per queste cose…). Quindi, dopo un'ultima birra, tanto per
recuperare un po' di sali e di liquidi, stramazzo nella mia tenda e in
un nanosecondo mi addormento, sognando già il concerto che mi aspetterà
la mattina successiva.
Domenica
23/5/1999 -
La domenica mattina inizia già in maniera gradevole: un bel sole
finalmente mi scalda la tenda, e, dopo due giorni, rivedo un po' di azzurro
sulla mia testa. La giornata è di quelle importanti, ed inizia con
uno di gruppi verso i quali nutrivo, fin dalla partenza, maggiori aspettative:
i GOETHES ERBEN. E le aspettative sono state
ripagate completamente, fino al punto che sono del fatto che sarebbe valsa
la pena di arrivare a Lipsia anche solo per loro. Credo sia praticamente
impossibile descrivere a parole cos'è un concerto dei Goethes Erben:
bisogna esserci! Chi abbia ascoltato il loro CD dal vivo ("Leben im Niemandsland")
può averne una vaga, e sottolineo il vaga, idea, se non altro da
un punto di vista musicale. Ma lo spettacolo che questo gruppo riesce ad
allestire sul palco ha dell'incredibile, un'emozione continua e meravigliosa.
Il gruppo è costituito da chitarra, basso, batteria, tastiere, voce
e da tre ballerine. Oswald Henke ha un carisma come pochissime altre persone,
mi ha catturato fin dall'inizio con quello sguardo magnetico, con quel
suo modo di recitare-cantare, in mezzo a splendide coreografie e immerso
in suoni a tratti deliranti, a tratti delicatissimi, in una distesa di
candele, accese durante il concerto. È sceso dal palco, e si è
fatto trasportare dal pubblico in estasi al di sopra delle nostre teste,
continuando a cantare per poi tornare sul palco e ricominciare lì
il suo spettacolo. La musica dei Goethes Erben non è facile da definire,
è molto teatrale, mescola suoni acustici ed elettronici e crea ambientazioni
da sogno. Peccato che non capisco il tedesco, perché reputo che
sia fondamentale per inserirsi completamente nel loro mondo: un'esperienza
che non dimenticherò, una splendida conferma di ciò che immaginavo
prima di vederli suonare.
Finito il concerto, riesco a "scroccare" un passaggio
alla redazione di Ver Sacrum quasi al completo (grazie ancora di tutto!!!)
consumo un discreto kebab fuori dal Werk e mi avvio con loro al Parkbüne,
dove mi aspetta un intero pomeriggio di splendida musica.
Quando arrivo, stanno già suonando i BACKWORLD,
un gruppo dell'area dell'etichetta World Serpent. Il gruppo, capitanato
fondamentalmente da Joseph Budenholzer (voce e chitarra) e Laura Kraber
(voce e violino) suona un folk molto semplice, piacevole ma senza
grandi particolarità, simile nello stile a quello dei Fire and Ice,
ma un po' più piatto e senza grandi slanci o caratteristiche personali.
In ogni caso, un'utile introduzione al pomeriggio che seguirà, un
buon modo per entrare nell'atmosfera "apocalittica" che seguirà.
Dopo una rapida preparazione del palco, inizia l'esibizione
degli ATARAXIA. È la quinta volta che
li vedo dal vivo (la prima risale al 1992), ed ogni volta continuano a
conquistarmi con il loro fascino, le loro atmosfere e il loro spettacolo.
Una musica senza età, ispirata ad epoche passate ma sempre attualizzata
e resa unica e inconfondibile dalla voce di Francesca, che ha qualcosa
di così particolare che mi penetra dentro, traforandomi il petto
ed andando dritta al cuore. Hanno eseguito diversi brani dal loro ultimo
lavoro, a mio giudizio uno dei migliori in assoluto della loro discografia,
sostenuti dal mimo che le interpretava e, nell'ultimo brano, da un ragazzo
di Napoli, Francesco Banchini, che cantava in un falsetto che aveva dell'incredibile.
Sempre grandi, peccato solo non aver potuto vedere la loro esibizione del
giorno precedente al Völkerschalchtdenkmal (un monumento di Lipsia).
Altra trasformazione del palco, che viene riempito di
percussioni e timpani di varie fogge e dimensioni, per prepararlo all'esibizione
di un "supergruppo": la fusione di HAGALAZ RUNE DANCE,
gruppo in cui milita una delle due Aghast, e degli HECATE,
gruppo tedesco fortemente percussivo. Il risultato è molto interessante,
anche se, in alcuni momenti, forse un po' troppo eterogeneo. I brani sono
talvolta molto marziali, mentre altri, con la voce della norvegese in primo
piano, sono più eterei; anche la cantante degli Hecate ha una voce
notevole, potente ed evocativa allo stesso tempo, ed i brani cantati da
lei mi ricordano in parte quelli dei The Moon Lay Hidden Beneath A Cloud,
anche se li trovo un po' meno originali. Alcuni di essi devono provenire
dal folklore tedesco, perché sono salutati dall'entusiasmo del pubblico
e cantati un po' da tutto il pubblico teutonico. Non ho mai ascoltato
nessuno dei due gruppi su CD, ma indubbiamente l'impatto live è
notevole, sia da un punto di vista visivo (sono piuttosto numerosi), sia
da un punto di vista sonoro, anche se mi rendo conto che, per chi non ama
le percussioni acustiche, potrebbero risultare a momenti piuttosto noiosi.
L'emozione sale, almeno in me, visto che stanno per salire
sul palco alcuni personaggi che hanno fatto la storia del genere musicale
che viene generalmente definito "Folk Apocalittico". Infatti i SORROW
non sono altro che il progetto solista di Rose McDowell, amica e collaboratrice
"storica" di gruppi come Current 93 e Death In June. Conclusa (almeno così
pare, anche si è a lungo parlato di un secondo CD che però
io non ho mai visto) l'esperienza chiamata Spell con Boyd Rice, la "Fata
Cattiva" (ed è proprio così che appare, con un vestito nero
in PVC e la alette, nere a loro volta) ha richiamato alcuni amici, tra
cui Michael Cashmore (Nature and Organization e membro "fisso" dei Current
93 insieme a David Tibet e Steven Stapleton) e Jolie Woods (violino nei
Current 93 e Nature and Organization) per un'esibizione live molto lieve
e delicata, a tratti ambientale. La sua voce è sempre splendida
e le atmosfere create dal gruppo, sono malinconiche, ma di quella malinconia
ossimoricamente piacevole, come quella evocata da alcuni brani dei Current
93. I numerosi strumentisti suonano in maniera impeccabile, fino al crescendo
finale, in cui il multistrumentista Lee violenta e quasi distrugge il suo
violino, concludendo in maniera quasi fragorosa una bella esibizione.
Dopo un ennesima trasformazione, il palco viene riempito
di percussioni, con l'aggiunta di un clavicembalo. Non ci si può
sbagliare: la prossima a salire sul palco non può essere che la
CAMERATA
MEDIOLANENSE, che continua ad incantarmi con i suoi dischi, ma ancora
di più dal vivo. Elena Previdi tira fuori dalle sue tastiere delicati
tappeti sonori, talvolta violentati dalle potenti strutture ritmiche generate
dai suoi compagni che picchiano i loro timpani, talaltra accarezzati dolcemente
dalla splendida voce di ???, la cantante del gruppo. Eseguono praticamente
tutti i loro pezzi migliori, scegliendo qua e là dall'intero repertorio:
Madre Cattiva, un medley di alcuni brani tratti dal loro primo lavoro,
Fascinazione, Der Tod, Inferno Canto Quinto e altri splendidi brani. Uno
splendido concerto, solido ed etereo allo stesso tempo, graditissimo anche
da tutto il pubblico, che non si accontenta dell'esibizione e non smette
di applaudire, "costringendoli" ad eseguire un bis, che non può
essere altro che Lili Marlene.
Penultimo avvicendamento del pomeriggio, che si avvia
a trasformarsi in serata: un altro pezzo di storia di questo genere musicale
prende possesso del palo: si tratta di Ian Read, con il suo progetto FIRE
AND ICE: è uno dei fondatori dei Death In June, oltre che
uno dei migliori amici di Douglas Pierce. La musica suonata dal suo gruppo
è ancora folk in stile celtico, accostabile a quello dei DIJ del
periodo precedente a Kapo! Anche se un po' più semplice e tradizionale
negli arrangiamenti. Nel gruppo militano Joseph Budenholzer e Laura Kraber,
dei Backworld, che, come ho già sottolineato in precedenza, fanno
una musica molto simile ai Fire and Ice; le differenze principali sono
due: da un lato, la musica è un po' più varia e colorita,
con la potentissima voce di Read in primo piano; dall'altro, l'enorme carisma
sprigionato da Read stesso, che tiene gli occhi degli astanti incollati
a sé. Peccato per quel culto per l'iconografia militare e nazifascista
che proprio non riesco a digerire, presente, tra l'altro, anche tra il
pubblico…
Headliner della serata sono i nostrani KIRLIAN
CAMERA, a dimostrazione dell'altissima considerazione che i tedeschi
nutrono nei confronti del gruppo emiliano. Dopo un soundcheck, un po' più
lungo del normale a causa di piccoli problemi tecnici, il gruppo sale sul
palco nella nuova formazione a quattro: Angelo Bergamini (voce ed elettronica),
Emilia Lo Iacono (voce, chitarra e tastiere), ?????? (voce e tastiere)
e Gianluca Becuzzi, alias Limbo (elettronica). Data la nuova formazione,
era ovvio immaginare che il concerto sarebbe stato molto più spinto
verso l'elettronica rispetto al passato, in cui le parti acustiche ed elettroniche
più o meno si equivalevano. Ed infatti così è stato,
con risultati direi eccellenti: l'occasione era decisamente da non perdere,
visto che il teatro all'aperto era gremito da più di mille persone,
e Bergamini, che ha tenuto il passamontagna per tutta la durata dell'esibizione,
l'ha sfruttata al meglio. Ho visto il gruppo in piena forma, ha aggredito
il palco e il pubblico con ritmiche possenti e inesorabili che si stagliavano
su sottofondi malati, splendidamente gestiti da Bergamini, Limbo e dalle
due ragazze, a loro volta vivaci e brillanti. Non conosco per intero la
loro ormai quasi sterminata discografia, ma quasi tutti i pezzi che conosco
sono stati eseguiti in versioni decisamente differenti da quelle in studio,
e tutte più potenti e aggressive. Il pubblico in estasi li ha richiamati
fuori per i bis, e loro avrebbero suonato ancora a lungo, se non fosse
stato per il fatto che ci si trovava all'aperto, e l'orario era già
troppo avanzato.
Alla fine di questa serata al Parkbüne, una riflessione
diventa necessaria: è possibile che per vedere tre gruppi italiani
(Ataraxia, Camerata Mediolanense e Kirlian Camera) suonare in condizioni
degne di loro, sia necessario fare 1500 chilometri ed approdare in Germania?
Purtroppo, pare proprio di sì…
Non contento della giornata di concerti, ritorno all'Agra,
dove è già iniziato il concerto dei CREATURES.
Li avevo già visti a Roma un mesetto fa, e la loro esibizione mi
aveva colpito: energici come i Banshees non erano ormai da anni, del post
punk dei vecchi tempi hanno mantenuto ben poco, se non le ritmiche potenti
e l'attitudine Qualcuno ha definito la loro musica come drum'n'voice; forse
è una buona definizione, anche se mi spinge a pensare a qualcosa
di molto più freddo rispetto al suono che il gruppo tira fuori,
soprattutto dal vivo: i loro suoni sono molto coinvolgenti, fortemente
ritmici, con Budgie che colpisce durissimo le sue pelli: notevoli i due
brani in cui si mette a lavorare sui timpani. Siouxsie ha un fascino che
cattura, malgrado l'età sa tenere il palco e gli occhi su di sé
come pochi altri; la sua voce è ormai un simbolo, inconfondibile
e potente come sempre. Qui a Lipsia, poi, l'ho vista molto in forma, e,
direi, ubriaca persa…
La serata all'Agra si conclude con il concerto dei SEX
GANG CHILDREN, che non sono mai stato uno dei miei gruppi preferiti,
così, dopo aver ascoltato un paio di brani, me ne vado nell'altra
sala per una birra e a fare un altro giro nel mercatino, alla ricerca di
qualche altro CD. Da quelle parti, ho la fortuna di incontrare gli Ataraxia
al gran completo: quando dico loro che li ho visti dal vivo per la quinta
volta, Vittorio, il chitarrista, mi dice con un bellissimo accento emiliano:
"Esistono anche gli psichiatri!". Posso dargli torto?
Una delle sale dello stesso stabile è adibita
a discoteca, e sono attratto al suo interno sentendo che hanno messo un
brano dei Dead Can Dance; mi lancio dentro per godermi anche la prosecuzione:
nell'ordine, Current 93, Death In June, Sol Invictus e Diamanda Galas.
A questo punto posso ritenermi soddisfatto e torno nella mia tenda, dove,
come al solito, crollo in un attimo.
Lunedì 24/5/1999: Anche oggi il tempo è
buono: ogni tanto qualche nuvola copre il sole, ma si sta veramente bene.
L'atmosfera, però è triste: molti, me compreso, iniziano
a smontare le tende, si va verso la conclusione, e, come accade per tutte
le cose piacevoli, la conclusione mi mette un po' di malinconia. Ma è
nell'ordine delle cose, purtroppo…
Con tutto lo zaino in spalla, mi vedo i primi due concerti
dell'Agra: SPARK e VENUSGARDEN.
Nessuno dei due gruppi mi colpisce in maniera particolare: musica molto
dura, voce femminile per il secondo gruppo, ma niente di eccezionale.
A questo punto mi si pone davanti una scelta non facile:
restare qui per vedere tre gruppi che mi piacerebbe vedere (GATHERING,
THERION
e DIMMU BORGIR) o iniziare a muovermi per
vedere gli STOA alla Schauspielhouse: decido
per la seconda via, e mi avvio verso la fermata del tram. Arrivo abbastanza
presto dalle parti della Moritzbastei, i resti di un vecchio bastione difensivo,
così mi faccio un giretto per il mercatino medievale e mi fermo
a bere una birra. Riesco a posare lo zaino, e, dopo aver incontrato un
po' di amici, mi avvio verso il teatro dove si esibirà il gruppo
tedesco: il teatro è piuttosto elegante, posti numerati e tenda
in velluto rosso. L'attesa non è lunghissima: verso le nove si apre
la tenda e compaiono i tre musicisti: Olaf Parusel (tastiere e voce maschile),
Antje Buchheiser (voce femminile) e Christiane Fisher (violoncello e seconda
voce femminile). Il palco è molto grande, ma in tre riescono, con
l'aiuto della loro musica a riempirlo completamente. Sullo sfondo vengono
proiettate splendide immagini: disegni di William Blake, sculture di August
Rodin e altro; per ogni nuova immagine, una selva di flash sommerge il
palco, probabilmente disturbando i musicisti, ma come resistere? La loro
musica è sottile, impalpabile, delicata, emozionante. Devi soltanto
lasciarti addolcire dagli splendidi suoni che sanno tirare fuori, aprire
la tua sensibilità alla dolcezza di quelle note, e il gioco è
fatto, gli Stoa hanno conquistato la tua anima, e per lei non c'è
più speranza: forse non è un caso che, uscito dal concerto,
sono riuscito a conquistare una delle ultime magliette, mentre i CD erano
andati tutti esauriti: il loro stand era oramai praticamente vuoto. Tranne
qualche spettatore capitato lì per caso, e andato via prima della
fine del concerto, il successo è stato completo e il gruppo è
riuscito a conquistare altri cuori.
Ma la serata non finisce qui: usciti dal teatro, ci facciamo
una passeggiata fino alla Moritzbastei, dove ha già avuto inizio
la festa di chiusura. Il locale è fantastico, e chi ci è
stato o chi ha già letto recensioni di questo festival sa il perché:
una serie di cunicoli sotterranei che si snodano a destra e a manca, finendo
ora in una saletta, ora all'aperto: più di una volta mi sono trovato
in un posto che conoscevo, senza capire come o perché ci ero arrivato.
Dopo una rapida cena, ci siamo spostati nelle varie sale; i banchi del
mercato medievale erano ormai quasi tutti smontati, e le danze impazzavano:
da una parte i ragazzi del Sanctuary, che spaziavano dal gothic all'EBM,
da un'altra qualcun altro (non chiedetemi chi) si lanciava su sonorità
tra il noise elettronico, l'industriale più oscuro e doloroso e
i suoni del folk apocalittico. Verso le cinque, ormai completamente sconfitti
dalla fatica e dalla stanchezza, ci avviamo verso l'albergo che ci ospiterà
per l'ultima notte.
Che dire dell'esperienza? Erano anni che volevo andare
al festival di Lipsia, almeno dalla seconda edizione in poi. Finalmente
ci sono riuscito, ed è stata una bellissima esperienza. Certo, il
numero di gruppi è enorme, e talvolta è difficile scegliere
tra l'uno e l'altro, ma va bene lo stesso. È chiaro che in una manifestazione
di queste dimensioni, i problemi non possono non esserci: file chilometriche
qua e là, ritardi che si accumulano uno sull'altro, e così
via, ma sono quasi tutti problemi legati alla natura stessa della manifestazione.
Uno, però, andrebbe decisamente corretto, ed è quello della
lingua: capisco che siamo in Germania, e capisco anche che la stragrande
maggioranza del pubblico è tedesco, ma ormai il festival ha assunto
un ruolo di manifestazione internazionale, addirittura di punto di incontro
tra persone che, pur vivendo molto lontano le une dalle altre, condividono
gusti e passioni simili: e allora, perché non mettere, una volta
ogni tanto, almeno qualche cartello in inglese, lingua comprensibile ad
un numero decisamente più alto di persone?
Beh, non mi rimane che fermarmi, nella speranza di poter
tornare a Lipsia l'anno prossimo!
A questo punto, non mi resta che inserire i link ad altri siti contenenti altre recensioni sul festival: