A nome dell’Associazione “ARPA”–Associazione Raffaele Pastore” di Napoli ringraziamo per l’invito e ci presentiamo, con la stessa relazione che presentammo il 24 gennaio dello scorso anno al CNEL, in occasione del Convegno “Il Forum delle Associazioni, un nuovo efficace strumento di difesa contro l’usura e il racket”.

L’Associazione è nata a Napoli il 13 novembre 1996: si tratta, dunque, di una giovane Associazione, fondata, peraltro, da giovani.

Pur non essendo questa la sede per (anche solo) riassumere le biografie dei soci fondatori – in particolare le precedenti attività di volontariato – è necessario qui ricordare che, prima ancora della costituzione dell’Associazione, noi soci fondatori ci eravamo già occupati delle patologie sociali oggetto della legge 108/96.

In particolare, alcuni soci avevano collaborato con una associazione anti-usura con sede in Roma, mentre altri soci avevano scritto saggi sull’usura o difeso vittime dell’usura in processi penali.

Il 2 dicembre 1996, nel Cinema “Politeama” di Torre Annunziata, poche settimane dopo l’omicidio di un piccolo commerciante del luogo che si era ribellato al racket (Raffaele Pastore), il Presidente della Camera dei Deputati, On. Luciano Violante, nel corso di una manifestazione disse:

“Se il Male si organizza (nelle associazioni a delinquere) anche il Bene deve organizzarsi”.

Noi c’eravamo: ascoltammo e – al ritorno a Napoli – fissammo l’appuntamento con il notaio.

Iniziammo, così, a navigare “in mare aperto”.

Con il proposito di applicare correttamente le leggi 108/96 e 468/93.

Con la convinzione che tra l’usura (“il mercato del credito illegale”) e il racket (“il Ministero delle Finanze criminali” ovvero anche “il recupero crediti usurari”) esistesse un nesso strettissimo.

Con le nostre spalle completamente scoperte, giacché la nostra Associazione è una espressione pura della società civile, senza legami né con partiti politici né con ordini religiosi.

Con la certezza che, pur non essendo noi soci fondatori né vittime dell’usura né vittime del racket, eravamo tali indirettamente, in quanto residenti in un territorio – quello del Mezzogiorno – fortemente pervaso da queste attività criminali.

Con l’incoscienza di chi ha come uniche “armi” il proprio percorso formativo e il proprio volto pulito.

A distanza di qualche anno dalla costituzione della nostra Associazione possiamo tirare un primo bilancio.

Difficoltà incontrate: innumerevoli. Risultati conseguiti: pochi.

Capitolo “difficoltà”.

Incominciamo dai rapporti con la Prefettura di Napoli.

Vi sembra normale che una domanda di riconoscimento di associazione antiracket sia riscontrata dopo circa diciotto mesi dalla sua presentazione? No? Eppure a Napoli è successo.

Perché? Perché? l’Ufficio Protocollo smistò la nostra istanza non all’Ufficio competente (Segreteria di Sicurezza) ma ad altro Ufficio, dove rimase in giacenza a lungo, fino alla nostra (casuale) scoperta.

Rapporti con il Comune di Napoli.

Il rapporto con il Comune iniziò in maniera promettente: appena un mese per ottenere il riconoscimento con contestuale iscrizione nell’Albo comunale delle Associazioni.

Questo rapporto, però, è proseguito in maniera del tutto insoddisfacente, a causa della indisponibilità – di fatto – del Comune a concederci in locazione un locale, anche piccolo, per poter iniziare la nostra attività con un minimo di “copertura istituzionale” e superando sia la provvisorietà di dover domiciliare la sede dell’Associazione presso la residenza privata del suo Presidente sia la frustrazione di doversi rivolgere al mercato privato, non soltanto asfittico ma altresì sordo alla richiesta di locazione da parte di una associazione con le nostre finalità.

Anche i rapporti con gli Uffici Giudiziari sono stati insoddisfacenti, particolarmente per quello che riguarda la lentezza dei processi nei quali i nostri soci si sono costituiti parte civile.

Per quanto riguarda i nostri rapporti con la Regione Campania, abbiamo perfino difficoltà a ottenere informazioni in merito alla normativa applicabile alla nostra associazione.

Dobbiamo iscriverci all’elenco delle organizzazioni di volontariato (previsto dalla Legge 266/91) oppure all’elenco delle associazioni riconosciute come persone giuridiche ex art.12 c.c.?

Come si può essere “volontari” se il Ministro del Tesoro, con il Decreto del 6 agosto 1996, ci chiede di essere dei “professionisti”?

Il patrimonio è necessario ai fini del riconoscimento della personalità giuridica?

Se la risposta è affermativa, com’è possibile conciliare “volontarietà” – e quindi gratuità delle prestazioni rese – con la necessità di formare un patrimonio?

La Regione Campania, inoltre, non ha una sua legge sull’usura e/o l’estorsione (come altre Regioni).

Rapporti con la Provincia di Napoli.

La quale aveva un suo organismo denominato “Sportello anti-usura”.

L’unica cosa certa che abbiamo potuto capire riguardo a questo organismo è che esso, pur non essendo previsto da alcuna legge o decreto, aveva una dotazione finanziaria cospicua; per il resto, non siamo mai stati invitati ad alcuna riunione (ammesso che ce ne siano state), siamo stati “utilizzati” a nostra insaputa come “specchietto per le allodole” per firmare un Protocollo d’intesa Provincia–banche e per quello che ci riguarda quest’organismo resta un soggetto misterioso (in via di estinzione?).

Rapporti con altre organizzazioni.

Abbiamo segnalato più volte, anche pubblicamente, l’equivoco su cui speculano alcune organizzazioni “anti-usura”.

L’equivoco risiede tutto nella definizione di “vittima dell’usura”.

Per noi è tale esclusivamente chi denuncia.

Per altri, tale definizione è opportunamente più vaga e generica.

Di conseguenza, basta avere un cugino con una casa di proprietà (per esempio) per avere un prestito bancario a tassi di favore e con la copertura finanziaria indiretta dello Stato (=Ministero del Tesoro), così da far cadere la distinzione tra fondazioni “antiusura” e fondazioni “para-bancarie” e alimentare, indirettamente, circuiti di economia criminale.

Quanto alla “vittima dell’estorsione” è necessario che le autorità competenti comprendano che costui è – di solito – un piccolo imprenditore.

Quando parliamo di “piccolo imprenditore” dobbiamo comprendere che la realtà delle piccole imprese è eterogenea.

Nel Nord, una “piccola impresa” ha un capannone, macchinari più o meno moderni, burocrazia efficiente e banche disponibili.

Nel Sud, viceversa, prevale l’economia nera.

Che significa “lavoro nero”, “contabilità in nero”, “previdenza in nero”, “fisco in nero” (tasse pagate all’anti-Stato e non allo Stato) e “credito in nero” (=usura).

Altro che capannoni! Nel Sud ci sono micro-aziende che operano in scantinati di condomini.

Questi “imprenditori” hanno un piede nella legalità e un piede nella illegalità.

La normativa vigente deve essere rivista, anche al fine di far emergere l’economia in nero. Attraverso strumenti quali, ad esempio, i “contratti di tutoraggio”, ovverosia forme di consulenza specifiche simili all’adozione.

 

 

Agostino La Rana e Carlo Del Gaudio

       Associazione Raffaele Pastore