C’è un problema tante volte accennato che riguarda la sottile demarcazione tra l’impegno della società civile (individuo o gruppo che sia) e il coinvolgimento delle istituzioni.

Sembra veramente strano, ma quando viene fuori il problema racket o usura, nasce, anche sotto la pressione di una parte della società civile, il desiderio di coagularsi per opporsi alla violenza subita.

Ci sono buoni propositi, ci si dà degli indirizzi, si evita la politicizzazione e si richiede l’aiuto dello Stato. Quando questo arriva, allora scatta un meccanismo che rende quasi dubbiosi che questo aiuto sia arrivato. Perché? Forse la consapevolezza che quando arriva lo Stato, finiscono i buoni propositi.

E’ qui invece che ci si gioca la maturità del cittadino e la fermezza dello Stato. Non si può fare a meno l’uno dell’altro. Non si può all’improvviso dare la delega. Ma bisogna in tutti i modi ricordare le prime buone intenzioni, quasi a ripetere la lezione imparata per non dimenticarla.

E’ questo un metodo che deve sostenere colui che guida e la sua capacità di coinvolgimento passa attraverso la carta scritta e firmata da tutti. Non si può pensare che arrivando lo Stato, questi mi risarcisca, mi faccia un prestito demotivando il punto di partenza, ritorneremmo ad essere mendicanti. Forse a qualcuno farebbe anche piacere, ma noi desideriamo un cittadino maturo, un cittadino che cresce e che sa assumersi le sue responsabilità.

  In fondo tante volte siamo colpevoli per aver lasciato andare le cose per il loro verso, e non ci siamo accorti di esserci macchiati di un peccato sociale, e a piangerne le conseguenze sono soprattutto i più poveri perché i più indifesi.

  Il salmo 14 dice: presta denaro senza farne usura e non accettare doni contro l’innocente. Nelle diverse fedi monoteiste questo è stato sempre un richiamo da cui non possiamo esimerci dal meditarlo.

 

                                                             Padre Totino Licata