In questo autorevole Consesso la mia parte è quella dell'accademico economista, per cui è mio dovere rammentare i principi che l'analisi economica ha individuato sul tema dell'usura, anche se le conseguenze di tali principi in tema di disegno delle regole contro l'usura potranno non piacere a qualcuno. D'altra parte la nostra disciplina ha il compito di mettere in luce anche effetti non graditi o scomodi delle scelte collettive; non a caso è definita la scienza triste.

 

L’analisi economica propone una differenza basilare tra l’attività bancaria e quella usuraia. Differenza che risulta evidente applicando i principi economici  per raccontare, in chiave  originale, e speriamo anche intrigante, la storia del più famoso usuraio della letteratura, Shylock, protagonista di una delle più famose opere del drammaturgo di Stratford on Avon.

 

Ne “Il Mercante di Venezia” abbiamo un soggetto economico, Antonio, il quale  – per aiutare l’intimo amico Bassanio – decide per la prima volta di contrarre un debito di 3000 ducati, per tre mesi, sicuro di avere proventi futuri – ricavati dai suoi commerci per mare – assolutamente sufficienti: il reddito atteso a copertura può raggiungere un valore massimo di 81000 ducati.

 

Ma il reddito atteso è per definizione incerto, in quanto le navi di Antonio sono in viaggio, e potrebbero naufragare; nell’ipotesi più pessimistica di naufragio collettivo, avremmo un reddito nullo. Per semplicità, pensiamo che gli eventi siano solo questi due. Sulla base della teoria dei contratti ottimi di credito, basta una probabilità del 3% dell’evento favorevole per ritenere il progetto di finanziamento meritevole; peraltro Antonio è molto tranquillo, avendo diversificato il rischio.

 

Per indebitarsi, Antonio si rivolge allora all’odiato e sempre maltrattato Shylock, ebreo di Venezia. Qual è la professione di Shylock? Lui presta denaro, cercando di riaverlo indietro maggiorato degli interessi; per cui noi pensiamo che di solito lui si comporti da banchiere. Ipotizzando – per continuare con semplicità la nostra novella – che tanti ebrei prestassero all’epoca denaro in Venezia, sì da avere un mercato concorrenziale, se Shylock considerasse Antonio un normale cliente, darebbe delle probabilità circa il realizzarsi dei diversi eventi, da cui dipende la capacità di Antonio di far fronte al suo impegno.

 

Dobbiamo allora definire qual è la probabilità oggettiva – cioè condivisa sia da Antonio da Shylock – che le navi rientrino; possiamo immaginare, al di là delle speranze soggettive in un senso o nell’altro, che tale evento abbia ad esempio una probabilità dell’80% di realizzarsi. Allora, sempre secondo la teoria dei contratti ottimi, Shylock chiederebbe un rimborso di 3750 ducati, che corrisponde ad un tasso di interesse del 25%. Ma Shylock non ha alcuna intenzione di comportarsi da banchiere con Antonio; l’odio che nutre per lui lo spinge a cercare di impossessarsi del collateral che più gli interessa: la vita del mercante di Venezia. Perciò la proposta di Shylock ad Antonio è la seguente : «Venite con me da un notaio, firmatemi una semplice obbligazione, e, tanto per scherzo, se non mi pagate il tal giorno nel tal luogo, la somma o le somme specificate nel contratto (n.d.r.: i 3000 ducati), la penale sia indicata in una libbra esatta della vostra carne chiara, da tagliare e prendere in quella parte del vostro corpo che piacerà a me».

 

Shylock si trasforma da banchiere in usuraio e offre un contratto in cui la brama di impossessarsi della garanzia si riflette in una condizione monetaria assai favorevole: il tasso dell’interesse è infatti pari a zero! Quel particolare bene in garanzia, che in situazioni normali avrebbe verosimilmente per un banchiere un valore nullo, o irrisorio, assume per Shylock con Antonio quel plusvalore illegale o iniquo che costituisce la peculiarità della condotta dell’usuraio rispetto a quella del banchiere. Shylock è dunque l’uno e l’altro, a seconda del contratto che offre. E si noti che spegnere la vita di Antonio ha un valore non solo emotivo, ma anche razionale per Shylock: infatti egli eliminerebbe un soggetto che presta sempre a  tasso zero.

 

Tutti sanno come andò poi a finire la vicenda : la formulazione data da Shylock al contratto di debito non gli consentiva di raggiungere il suo scopo, pena costi insopportabili. Shylock torna banchiere, cercando almeno di riavere il capitale prestato; ma ormai è completamente intrappolato nei garbugli della legge, perde la sua religione, e il dramma si scioglie in commedia.

 

La novella di Shylock, raccontata in chiave economica, ci ha consentito di mettere in luce la natura e le caratteristiche del credito d’usura. E' ora  è possibile formulare alcune valutazioni sulla legge antiusura 7 marzo 1996, n. 10 che sono sostanzialmente negative, almeno  per quel che concerne la parte repressiva.

 

Tale legge si fonda su due capisaldi, che possono essere così sintetizzati: 1) un contratto di credito è usuraio quando ad esso corrispondono interessi usurai; 2) sono usurai gli interessi che eccedono la metà del tasso medio effettivo bancario.

 

Un simile impianto definitorio suscita allora non poche perplessità, che possono essere riassunte nella formula evocativa della “critica delle cinque I”. Proviamo innanzitutto a spiegare perché tale approccio sia incoerente  e di riflesso porta con sé alcuni rischi. In particolare l’approccio scelto dal legislatore italiano rischia di essere potenzialmente inefficace nella lotta contro l’usura, iniquo per la definizione dei contratti legali di credito, inefficiente per il funzionamento dei mercati bancari, infine involutivo rispetto alle tendenze in atto nella regolamentazione bancaria e finanziaria, nazionale ed internazionale.

 

Che cosa distingue sul piano logico un contratto legale da un contratto d’usura? Nelle pagine precedenti abbiamo messo in luce come il contratto d’usura deve riflettere una situazione iniqua, per cui occorre chiedersi quando due contraenti siglano un contratto di credito usuraio. Questo avviene quando c’è – dal lato della domanda – un soggetto che è disposto ad indebitarsi a condizioni svantaggiose perché in stato di bisogno; ma il contratto non si chiuderebbe se non ci fosse un altro soggetto – dal lato dell’offerta – che approfitta di tale stato di bisogno. Si noti come emerga allora la necessità di una presenza contemporanea della specificità dal lato della domanda e da quello dell’offerta, in quanto l’analisi teorica ha mostrato come possono siglare il contratto illegale anche soggetti non in stato di bisogno, che abbiamo chiamato opportunisti. Se perciò si verifica questa duplice specificità, sia dal lato del prenditore sia da quello del datore di fondi, avremo un contratto d’usura: una delle possibili conseguenze di un contratto d’usura è un tasso di interesse finale elevato.

 

Per cui avremo in generale contratti d’usura quando a) esiste il binomio bisogno-approfittamento; b) tale binomio non è detto che produca in ogni momento del contratto tassi elevati; c) tassi elevati non segnalano necessariamente un contratto d’usura. Allora è facile capire perché della legge 106 si può temere:

·           L’incoerenza. Non ha senso in primo luogo definire in termini generali il contratto d’usura cancellando l’indispensabile binomio bisogno-approfittamento. Abbiamo poi visto che l’elemento del bisogno caratterizza unità produttive e di consumo più o meno meritevoli di protezione, in quanto lo stato di tensione finanziaria non implica necessariamente che si voglia finanziare un investimento o una spesa efficiente o socialmente equa. Ma è dallo stato di bisogno che occorre partire, che si riverbera in un contratto – non in un tasso – iniquo. In secondo luogo, e di conseguenza, si eleva ad elemento costitutivo del contratto d’usura una conseguenza accessoria – il tasso di interesse – che invece potrebbe essere – al limite – una condizione aggravante.

·           L’inefficacia. Il mercato dell’usura (quello vero) si alimenta grazie a soggetti in stato di bisogno che domandano fondi a soggetti in grado di fornirli. È ragionevole credere che bloccando in via amministrativa solo una delle possibili caratteristiche di un contratto di credito (condizioni iniziali, caratteristiche della garanzia, modalità di pagamento, meccanismi di rinegoziazione ecc.) si possa realmente ostacolare il mercato illegale in questione? Ne dubitiamo, alla luce dell’analisi svolta nella presente ricerca: condizioni di tensione nella struttura finanziaria delle imprese e/o delle famiglie, non sufficiente efficienza nell’offerta di servizi bancari, disagio sociale e propensione all’illegalità diffusa creano bacini potenziali di utenti per soggetti – gli usurai – che saranno abili ad aggirare i vincoli e le tutele poste a salvaguardia dei contratti di credito legali. Figurarsi se, come nel caso della legge 106, l’attenzione del legislatore tenta a concentrarsi su un indicatore – limitato e fallace – del contratto d’usura. Di contro, gli improbabili guadagni in efficacia si accoppiano a probabili perdite in termini di equità ed efficienza.

·           L’iniquità. Di converso, aver rovesciato l’impianto definitorio del contratto d’usura ha aperto  potenzialmente la porta  a perniciose rivendicazioni e contenziosi su contratti di credito legali che con l’usura – correttamente definita – non hanno nulla a che fare. Proviamo a pensare a quanti casi di cattivi imprenditori (effettivi e potenziali) o sconsiderati consumatori (effettivi e potenziali), non in stato di bisogno,  potranno trovare protezione in una norma che si concentra erroneamente su un solo aspetto del contratto, allargando il fenomeno (di cui nessuno parla) dell’usura strumentale o calunnia d’usura, diffuso almeno quanto – per essere prudenti, in mancanza di dati sistematici – quello della vera usura.

·           L’inefficienza. Un risultato oramai scontato ed acquisito dell’analisi economica è che imporre vincoli amministrativi sul credito provoca l’inefficiente razionamento dei soggetti marginali e più deboli (cioè proprio quelli che costituiscono il bacino potenziale della domanda d’usura). Gli effetti di razionamento (e quindi l’inefficienza potenziale) saranno tanto più forti tanto più stringenti saranno i tetti ai tassi. Nella nostra analisi abbiamo posto in luce come, al crescere dell’inefficienza del sistema bancario, aumentano i rischi che operatori meritevoli risultino ingiustamente razionati. Ma l’introduzione di vincoli ai tassi aumenta non solo i rischi di razionamento immeritato, ma anche quelli di espulsione dal mercato legale di quei prenditori di fondi marginali che, prima del tetto ai tassi, erano ammessi nell’alveo del mercato legale, ancorché a tassi elevati, con tutte le relative garanzie e salvaguardie. Sul punto si tornerà più avanti.

·           L’involuzione. In conclusione, se un tale approccio alla lotta contro l’usura porta con sé solo vantaggi nulli e costi quasi certi, quale può essere la sua ragion d’essere? Ne possiamo individuare due, entrambe eufemisticamente riconducibili alla political economy di una legge incentrata sui tetti ai tassi. In primo luogo, può essere stata una risposta alla domanda di regolamentazione antiusura, periodicamente spinta dai fatti di cronaca, venendo però incontro alle richieste più emotive, più irresponsabili e/o meno informate. In secondo luogo può essere stata una risposta di una più generale domanda di regolamentazione dei tassi bancari, che sembra emergere sempre più di frequente nella nostra classe politica. Questa tendenza va contrastata con decisione, perché rappresenta una decisa involuzione nel cammino intrapreso dalla nostra legislazione bancaria, anche sotto la spinta dell’integrazione: il nostro Paese sta uscendo lentamente e faticosamente da un lungo periodo di lacci e laccioli amministrativi sul credito, per recuperare i ritardi di efficienza nella gestione del risparmio e del credito.

Qual è la morale? L’analisi economica suggerisce una ricetta con due ingredienti per eliminare i rischi di effetti tragicamente  paradossali : 1) aumentare la competitività e l’efficienza nei mercati bancari, e perciò 2) modificare la legge antiusura, eliminando l’inutile e controproducente strumento dei vincoli amministrativi sui tassi.

 

Le vicende dei primi cinque anni di applicazione della legge – senza ricordare le vicissitudini di applicazione della parte preventiva – hanno confermato le nostre perplessità, e suggeriscono una chiara indicazione di policy:  un legislatore e/o un governo responsabile e non demagogico dovrebbe decisamente rimettere mano alla legge 108/96.

 

Donato Masciandaro

Docente presso la Bocconi e l’Università di Lecce