La costituzione di parte civile nei processi penali scaturiti da denunce di vittime dei reati di estorsione o usura è una delle più importanti estrinsecazioni delle battaglie comuni che le Istituzioni e le associazioni antiracket hanno svolto, e continuano a svolgere.

Sin dalla nascita della prima associazione antiracket, i commercianti e gli imprenditori hanno compreso che il senso della loro scelta consisteva, innanzitutto, nell’essere presenti nei processi accanto a chi denunciava ed a sostegno della pubblica accusa e delle forze dell’ordine che in forza di quelle denunce avevano impostato il processo e richiesto la condanna degli imputati.

Tutti ricorderanno che l’ACIO di Capo d’Orlando, dopo la sua nascita si costituì parte civile nel noto processo di Patti a carico della cosca mafiosa di Tortorici.

La possibilità di costituzione di parte civile di una associazione antiracket si è presentata, nei primi anni ’90 come problematica, stante i rigidi formalismi, sul punto, del nostro codice di procedura penale, che richiede, per l’esercizio dell’azione civile nel processo penale l’esistenza di un danno. Tuttavia, proprio a far data dalla storica sentenza del 1991 del Tribunale di Patti, si cui sopra, possiamo oggi affermare che le associazioni antiracket hanno contribuito a “fare giurisprudenza” sul punto ed a costruire dei principi che si sono via via consolidati nelle varie aule di giustizia.

Oggi il diritto, perché di questo ormai possiamo parlare, delle associazioni antiracket di costituirsi parte civile, riconosciuto, per la mia esperienza personale, dai Tribunali di Messina, Palermo, Palmi, S. Maria Capua Vetere, Nola, Catania, si può considerare una vera e propria conquista della società civile.

Nelle prime occasioni in cui le associazioni si sono affacciate, non certo timidamente, nelle aule di giustizia, hanno chiesto di esercitare un proprio diritto al risarcimento del danno subito dall’intera categoria dei commercianti, a volte anche “sostituzione” della vittima.

All’epoca, la giurisprudenza poneva, come limite invalicabile, la contestazione agli imputati del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, ovvero di un reato che, essendo di pericolo per l’intera comunità e permanente nel tempo, potesse essere considerato come fonte di danno non solo per l’imprenditore vittima dell’estorsione e dell’usura, ma anche per le associazioni.

Difatti, le associazioni “antiracket” riconoscono tra gli scopi statutari quello di “promuovere le più efficaci iniziative per il contrasto al racket dell’estorsione e all’usura”, e quello di “prestare assistenza e solidarietà a soggetti che svolgono attività economica vittime di richieste estorsive e di usura”.

Le stesse, in buona sostanza, hanno assunto il diritto al libero esercizio dell’iniziativa economica privata, garantito a livello costituzionale oltre che in numerose disposizioni legislative, come scopo prioritario della propria esistenza e quindi come diritto soggettivo suscettibile di lesione e di risarcimento.

È, quindi, evidente che, ogni qualvolta gli estortori o gli usurai sono imputati di associazione a delinquere, semplice o di stampo mafioso, i Giudici di merito non hanno avuto difficoltà a riconoscere che le associazioni di commercianti ed imprenditori, potevano subire un danno proprio dall’esistenza stessa dell’associazione a delinquere la quale, di per sé, costituisce un attentato alla libertà commerciale ed imprenditoriale che, già diritto soggettivo della parte offesa quando è assunta nell’oggetto sociale diventa anche diritto soggettivo del sodalizio che si proponga di tutelarla.

Ebbene, le associazioni antiracket non solo hanno contribuito a rafforzare il detto principio, ma hanno fatto di più: hanno affermato il principio secondo il quale le stesse, pur fornite della sola personalità di diritto privato, possono costituirsi iure proprio parti civili nei procedimenti penali nei quali gli imputati rispondono di singoli casi di sottoposizione a taglieggiamento o di usura, addirittura anche quando vittime siano commercianti che, all’epoca dei fatti, non erano neanche soci dell’associazione antiracket stessa.

Sono ormai numerose le sentenze nelle quali la costituzione di parte civile delle associazioni viene ammessa anche quando gli imputati non rispondono del reato di cui all’art. 416 bis, a volte perché sono solo uno o due, ed anche quando il reato contestato è l’estorsione o l’usura semplice, reati non di pericolo, ma contro il patrimonio del soggetto danneggiato.

Si è così, da parte della magistratura, riconosciuto un ruolo alle associazioni, quali centri di imputazione e contitolari di un vero e proprio diritto alla libertà del commercio e dell’imprenditoria e non semplicemente come enti esponenziali di un mero interesse diffuso.

Il passo in avanti è notevole: anche se un solo commerciante subisce un danno, magari causato da un solo estortore, è tutta la categoria ad essere minacciata e legittimata a reagire reclamando il ristoro del danno subito e chiedendo la punizione del colpevole.

E le associazioni hanno ripagato questo riconoscimento da parte della magistratura, contribuendo con la loro presenza nei processi a dare forza, fiducia e sicurezza al singolo imprenditore che denuncia e, perché no, dando una, sicuramente piccola, mano al P.M. che si vede accanto nel sostenere l’accusa non solo i commercianti in quanto categoria, ma nella veste di parte della società civile sana, quella che deve essere tutelata dalle istituzioni.

 

Francesco Pizzuto

                                                                              Avvocato