Le Camere di Commercio – istituzioni antiche, rinnovate da una legge del 1993 – sono contemporaneamente la sede in cui si incontra il mondo dell’economia di un dato territorio e l’istituzione nella quale il mondo dell’impresa, variegato ed amplissimo, certifica e dimostra la propria esistenza: un’impresa, infatti, è tale solo dal momento in cui è iscritta alla Camera di Commercio. I circa 5 milioni e mezzo di imprese iscritte in Italia rappresentano l’impresa diffusa (un imprenditore ogni 10 abitanti mediamente), che, se da una parte è il grande pregio del nostro Paese, in quanto flessibile, capace di redistribuire reddito e di creare condizioni di sviluppo particolarmente nelle zone in cui è molto organizzata, dall’altra è molto polverizzata, piccola con, spesso, difficoltà nel rapporto con il mercato del denaro.

Infatti, è spesso presente un disequilibrio tra il tessuto di piccole imprese da una parte e i mercati dall’altra. Questi ultimi richiedono e valutano – per fare un equo contratto – la possibilità di avere informazioni, l’accessibilità a servizi di consulenza, la dimostrazione di essere organizzati, di offrire garanzie, di mostrare attitudini imprenditoriali, legami con il proprio territorio, capacità di prospettiva: doti che le imprese in realtà hanno – e la testimonianza dei consorzi fidi va in questa direzione – ma che, in genere, i piccoli imprenditori italiani riescono solo con molte difficoltà a far apprezzare nel mercato del denaro

Inoltre, dopo quanto già menzionato prima, le Camere di Commercio sono enti locali che operano per garantire il funzionamento del mercato: il che significa agire tutte le volte che vi sia un abuso di posizione dominante, un’alterazione della concorrenza; in casi, poi, di particolare condizione dimensionale o posizionamento economico, si determina per le imprese una situazione tale che le costringe a subire il dominio di altri (senza che questi abbiano mantenuto e rispettato la concorrenza).

I Presidenti delle Camere di Commercio, dal 1993 uomini delle associazioni imprenditoriali, sono tutti testimoni della denuncia costante per la disparità di mercato che le imprese si trovano a vivere. Ne sono testimoni nel momento in cui raccolgono i dati sugli andamenti economici, quando ricostruiscono gli elenchi dei protesti, adesso informatizzati e gestiti direttamente dalle Camere di Commercio, e ne sono testimoni tutte le volte che tentano di mettere in relazione nei diversi sistemi territoriali i vari attori del sistema economico, in particolare le imprese da una parte e il sistema bancario dall’altra.

Ecco allora che emerge, con evidenza, che le Camere di Commercio rappresentano realtà economiche molto differenziate. Sarebbe assurdo che io parlassi del problema dell’usura e delle disparità di mercato trattando il nostro Paese in modo omogeneo. Laddove c’è un’incidenza maggiore di posizioni di mercato sommerso o di lavoro nero, là maggiore è l’incidenza dell’usura. Il mercato sommerso ed il lavoro nero nel nostro Paese rappresentano una quota rilevante di reddito sottratto alla contabilità nazionale: le nostre stime parlano di 500.000 miliardi di prodotto lordo sottratto alla contabilità nazionale, e di 2-3 milioni di persone che stabilmente o saltuariamente operano in una condizione di sommerso totale o parziale. In alcune aree del nostro Paese vi sono interi distretti economici, dalla produzione organizzata fino alla distribuzione, che funzionano parzialmente o totalmente con un’economia sommersa. Dove questa è prevalente, il rapporto delle imprese regolari con il sistema bancario è molto più difficoltoso: le imprese dichiarano infatti che il trattamento fra il sud ed il nord è estremamente differente. Il denaro costa molto di più nel Mezzogiorno di quanto non succeda a Trieste, a Milano, a Bologna, a Firenze. In tale contesto, di difficoltà anche infrastrutturali e culturali, non è agevole per le imprese operare su mercati che siano totalmente emersi, regolamentati, che non offrano il palliativo dell’usura (si ricordi inoltre che le situazioni di difficoltà fanno sì che i rapporti con le banche diventino estremamente complicati).

Una seconda considerazione: il tessuto di piccole imprese è un mondo sottocapitalizzato. Ciò risulta quanto mai evidente quando esse devono effettuare degli investimenti in tecnologie o per crescere. Negli Stati Uniti, ad esempio, l’investimento di un impresa è mediamente sostenuto per il 50% da capitale proprio e da denaro preso in prestito dalle banche per il 50% dall’apporto di capitale, mentre in Italia l’apporto di capitale nelle imprese non è superiore al 5% e si ricorre alle banche ed al patrimonio personale per il 95%. Il rapporto fra il capitale ed il mondo diffuso delle imprese non è fluido: le piccole imprese non possono ricorrere ai capitali di rischio, non possono ricorrere a soci partecipanti e si trovano nella condizione di non poter “captare” né capitali né soci.

Mercato sommerso, situazioni de-strutturate, mancanza di infrastrutture sono fenomeni che in larga parte “fanno il paio” con un sistema organizzato di rappresentanza delle imprese fragile e poco incisivo.

In quanto rappresentante delle organizzazioni di rappresentanza – perché tali sono le Camere di Commercio – credo sia importante ricordare e mettere in evidenza che laddove la rappresentanza degli interessi organizzati e le loro forze collettive sono più deboli, maggiore è la “solitudine” dei singoli imprenditori e dei singoli cittadini.

Al contrario, una maggiore redistribuzione del reddito, una migliore coesione sociale, una più alta capacità di cooperare seppure in un clima di competizione, sono in parte conseguenza di forze collettive degli interessi che nella trasparenza della loro azione danno vita ad iniziative collettive (quali per esempio i consorzi o le cooperative di garanzia). I sistemi di rappresentanza degli interessi sono quindi un elemento molto importante per il livello di qualità economica e sociale dei nostri territori (il cui indicatore può anche semplicemente essere il grado di adesione alle associazioni).

Laddove non riesce ad affermarsi questa cultura dello “stare assieme”, del “fare assieme”, maggiore è la solitudine, che conduce poi ad essere deboli sul mercato regolare e debolissimi sul mercato sommerso ed irregolare.

Le Camere di Commercio possono dare una mano a chi è impegnato contro l’usura e contro il racket. Nell’ambito dei propri poteri istituzionali, le Camere possono operare per la vigilanza dei mercati a livello locale, nonché per lo stimolo e la promozione della concertazione fra le diverse componenti sociali che operano sul territorio o (penso in particolare ai consorzi fidi ed alle cooperative di garanzia), ad esempio, per l’attivazione di una campagna nazionale di promozione degli strumenti finanziari di accesso al credito e alle diverse offerte, spesso sconosciute dai cittadini ma anche dalle stesse imprese.

Una maggiore trasparenza è infatti il pre-requisito per potere accedere alle fonti di approvvigionamento quando queste fonti sono sconosciute (e mantenute volontariamente tali). Diceva un premio Nobel per l’economia che le carestie hanno luogo non tanto perché manca il cibo, quanto perché esistono regolamentazioni che rendono troppo difficile l’approvvigionamento del cibo, oppure semplicemente perché si ignorano la modalità per accedere ai granai. Questi fenomeni si ritrovano nei paesi dove spesso hanno luogo carestie, ovvero quei paesi nei quali c’è meno coesione sociale, c’è più povertà ma c’è anche un minor senso della solidarietà e del “fare assieme”.

Le Camere di Commercio possono aiutare a “fare assieme”, soprattutto nei confronti di quei soggetti che, a livello territoriale, hanno compiti collettivi. Questi soggetti, che oggi si stanno indebolendo, sono stati negli anni molto importanti: hanno colmato un vuoto dovuto alla crisi del sistema politico agli inizi degli anni ’90, sono trasparenti e collettivi, in grado di far comunicare la società con la politica e con le istituzioni, dando ai singoli la forza dell’essere collettivi.

Le associazioni di rappresentanza degli interessi corrono dei rischi in una fase in cui molto forte e continua è la declinazione differenziata dei contratti e del peso di questi; in cui sta crescendo il peso dei singoli rispetto al peso della collettività; in cui il concetto di competizione è difficilmente coniugabile con quello di cooperazione (senza comprendere che il concetto di cooperazione all’interno di un territorio è assolutamente favorevole alla competizione). Credo che laddove la nostra società conosca una maggior grado di sviluppo (nord-est, centro-nord), goda dell’equilibrio dato dalla presenza di “corpi sociali intermedi”, i quali consentono, anche attraverso le Camere di Commercio, di dare dignitosa rappresentanza a quei soggetti che, piccoli nell’economia, sono grandi per l’economia del nostro Paese.

Una riflessione si impone a questo punto: nell’epoca della globalizzazione, né lo Stato, né la politica né le rappresentanze degli interessi possono farcela da soli. Per poter entrare ed operare su mercati globali in cui si offrono e scambiano denaro, opportunità, si incentiva il dovere di essere innovativi e vincenti, per farlo in un contesto economico in cui il 98% delle imprese è al disotto dei 200 dipendenti e il 77% di quelle manifatturiere è al di sotto dei 9 dipendenti, occorre la concertazione e l’impegno di tutte le forze sociali, economiche centrali e locali, senza il quale i tentativi isolati e non organizzati resterebbero privi di efficacia e di significato.

 

Gian Carlo Sangalli

Vice-Presidente Unioncamere Nazionale