Sono Rità Spartà e vengo da Randazzo. Il 22 gennaio 1993 la mia vita cambiò: uccisero mio padre e i miei due fratelli. Fu un clan mafioso delle pendici dell’Etna. Da quel giorno la nostra vita è cambiata: non solo avevamo perso i nostri cari, ma anche le persone che erano state vicine alla nostra vita, che erano entrate nella nostra casa come amici ci avevano abbandonato. Dopo qualche mese gli assassini furono scarcerati, per carenza di prove, seminando di nuovo il terrore nel paese.

Restammo sole a combattere contro tutti, nessuno ha dato un po’ di spazio a noi per dire che eravamo vittime. All’inizio della nostra vicenda la nostra testimonianza non venne creduta da nessuno, ma io sapevo chi erano gli assassini, i mandanti e gli esecutori ed il motivo per cui erano stati uccisi: perché si erano rifiutati di pagare il “pizzo” e per questo erano morti, fucilati per mano mafiosa. Non sapevo cosa fare perché tutti mi avevano chiuso la porta in faccia ed allora un giorno, ascoltando in televisione una trasmissione, conobbi Tano Grasso e lo contattai, andai a Capo d’Orlando, all’associazione antiracket. Tano parlò per più di un’ora con me, gli raccontai tutta la mia vita, 27 anni, le notizie che avevo sentito.

Dopo quel colloquio riuscii a ritrovare la fiducia in me stessa, perché finalmente qualcuno mi aveva ascoltata e creduta. L’associazione si era fidata di me, delle mie parole, dopo non mi sono più ritrovata da sola, perché ogni volta, in ogni difficoltà, ho sempre avuto qualcuno di loro presente, perché siamo tutti figli di un dio minore, figli di vittime.

Le associazioni antiracket sono state presenti dimostrando solidarietà verso la mia famiglia, infondendomi fiducia e coraggio. Dopo molti anni sono riuscita ad ottenere il riconoscimento come familiare di vittime innocenti di mafia; un pentito infatti confermò la mia tesi, le mie parole ed anche il motivo dell’omicidio: non volevano pagare il “pizzo”.

Se tornassi indietro nel tempo rifarei le stesse cose che ho fatto perché mio padre e i mie fratelli meritano tutto il mio amore anche a costo della mia vita e ne sono fiera.

Associarsi significa per me combattere uniti, senza creare altri eroi soli, quelli che fanno riempire di parole le cronache dei giornali per non più di una settimana. Le associazioni servono a non far sentire sole persone come me che non hanno voce; denunciare serve a distinguerci dai mafiosi, perché noi siamo pieni di onestà e dignità e sappiamo affrontare la vita con una forza ben diversa. Il mio sogno è che un giorno nessuno possa più temere per la propria incolumità e che la paura venga cancellata e che a noi vittime, condannate dalla mafia all’ergastolo ed alla perdita della nostra libertà, ci venga restituita per la scomparsa di tutte le mafie che hanno portato dolore nella nostra vita.

 

 

                                                                     Rita Spartà