La terapia anticoagulante
L'anticoagulazione è risultata efficace in tutti i trial condotti negli ultimi anni. Ad eccezione delle forme isolate nei pazienti di età inferiore a 75 anni dove può essere usata solo l'aspirina, tutte le forme in cui è presente un altro fattore di rischio come storia di ipertensione, precedente ischemia cerebrale o insufficienza cardiaca costituiscono una indicazione assoluta alla terapia anticoagulante cronica. Ciononostante, restano tanti i pazienti non sottoposti a terapia anticoagulante. A dimostrarlo chiaramente sono i risultati di uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di New Haven, Stati Uniti, di recente pubblicato sull'autorevole rivista scientifica Stroke. Nella ricerca, che ha preso in esame le terapie di 488 pazienti con fibrillazione atriale, è stato riscontrato che un farmaco anticoagulante era assunto solo dal 34% dei pazienti, mentre il 23% era trattato con aspirina. Il restante 43% dei casi non faceva alcuna profilassi tromboembolica sebbene una controindicazione reale fosse presente solo nel 5% dei pazienti. I dati indicano dunque chiaramente che gli anticoagulanti sono sottoutilizzati.

Le cause del fenomeno. In primo luogo, a dispetto dei molti trial condotti sull'argomento, molti medici pensano erroneamente che le evidenze a supporto dell'anticoagulazione nella fibrillazione atriale non siano ancora definitive. E' poi diffusa l'esitazione a prescrivere un anticoagulante per il comprensibile timore di esporre i propri pazienti a complicanze emorragiche. Tra le altre ragioni vi sono la carenza di strutture espressamente dedicate al monitoraggio della terapia anticoagulante e la scarsa 'compliance' dei pazienti a sottoporsi ai frequenti controlli ematici indispensabili per un corretto aggiustamento posologico. Come risolvere il problema? "I medici" afferma Asteggiano "devono prescrivere senza incertezze un agente anticoagulante in tutti i casi ad elevato rischio tromboembolico. Per realizzare questo obiettivo è senz'altro necessario sviluppare un processo di studio e diffusione del messaggio 'anticoagulazione nella fibrillazione atriale'. E' ad esempio auspicabile che i cardiologi entrino in diretto contatto con i medici curante dei pazienti per sensibilizzarli su questo delicato aspetto terapeutico." Ma gli stessi pazienti, da parte loro, devono assumersi la responsabilità di controllare gli effetti della terapia. A tal fine, possono affidarsi alle cure di un centro specializzato o provvedere direttamente all'autocontrollo dell'I.N.R. con appositivi dispositivi. 

L'anticoagulante: Quando il paziente si autodetermina L’auto-controllo domiciliare della terapia anticoagulante orale assicura una migliore qualità del trattamento rispetto ai sistemi di monitoraggio tradizionali. Sono questi i risultati definitivi del trial SPOG (Schulungs- und behandlungsprogramm fur Patienten mit Oraler Gerinnungshemmung).

"Lo SPOG" premette Artur Bernardo, ematologo presso l'Ospedale di Bad Berleburg, Germania, "è stato il primo studio prospettico e randomizzato che si è proposto di verificare l’efficacia del controllo della anticoagulazione orale eseguito a domicilio tramite un apposito apparecchio portatile, il CoaguChek, dai soggetti in terapia anticoagulante cronica."

Il CoaguChek, ormai usato nel mondo da oltre 15.000 pazienti, è uno strumento che consente l’autocontrollo domiciliare dell’I.N.R. e rappresenta quindi per i pazienti scoagulati ciò che l’autodeterminazione della glicemia costituisce da tempo per i pazienti diabetici. Il coagulometro è stato concepito proprio per rendere più agevole l’anticoagulazione. Oltre a eliminare il ripetuto traumatismo delle vene" sottolinea Bernardo "il CoaguChek restituisce grande autonomia ai pazienti che hanno finalmente la possibilità di una immediata disponibilità del proprio I.N.R., cruciale quando si teme che sia necessario correggere il dosaggio dell’anticoagulante."

I dati del trial SPOG hanno definitivamente dimostrato il valore diagnostico del coagulometro. La ricerca è stata condotta per oltre due anni presso cinque ospedali tedeschi e ha riguardato complessivamente 179 pazienti, metà dei quali, il gruppo cosiddetto CoaguChek, è stato addestrato a regolare la terapia anticoagulante in base ai valori di I.N.R. automisurati, mentre l’altra metà è stata sottoposta dai medici curanti ai tradizionali controlli periodici. "Cruciale perchè l’automisurazione dell’anticoagulazione si svolgesse regolarmente" ha spiegato Bernardo "è stata la partecipazione al previsto programma di ‘training’ durante il quale i pazienti sono diventati rapidamente esperti nell’ottenere una goccia di sangue intero attraverso la puntura del dito con una lancetta e nell’usare correttamente il coagulometro. Si è pure provveduto a dare informazioni sulle potenziali interazioni tra anticoagulanti e altre medicine, a fornire indicazioni su come modificare la terapia in funzione dei risultati dell’I.N.R. e a illustrare come riconoscere tempestivamente eventuali complicanze tromboemboliche o emorragiche."

Nei primi tre mesi della ricerca, l'I.N.R. è risultato nel range terapeutico previsto nel 57% delle determinazioni eseguite dal gruppo CoaguChek ma solo nel 34% di quelle effettuate in modo tradizionale dall’altro gruppo. "Tale differenza" commenta Bernardo "è legata al fatto che il gruppo CoaguChek ha potuto controllare l’I.N.R. molto più spesso (almeno 4 volte al mese) di quanto fatto dal gruppo seguito convenzionalmente (solo 1,5 volte al mese)."

In tutti i pazienti in trattamento anticoagulante è stata anche valutata la qualità della vita. "I pazienti del gruppo CoaguChek" ha sottolineato Bernardo "hanno affermato di non trovare fastidioso il controllo dell’anticoagulazione, lamentala che è stata invece registrata in circa il 50% dei soggetti del gruppo di controllo." Decisamente interessanti, infine, sono i dati sulle complicanze verificatesi durante lo studio. "L’autocontrollo dell’I.N.R." ha riportato Bernardo "non si è associato a un maggior numero di effetti collaterali. Sia nel gruppo CoaguChek che nel gruppo di controllo si sono verificate 10 emorragie leggere e un solo evento emorragico grave, mentre nessuno dei 179 pazienti ha avuto una trombosi, a dimostrazione che la terapia anticoagulante può risultare più efficace e sicura se monitorizzata autonomamente."