Infarto miocardico acuto, ecco la terapia del futuro

Bloccante dei recettori piastrinici GPIIb/IIIa e fibrinolitico. È questa l'associazione che useremo presto in caso di infarto miocardico acuto. In verità, non è ancora chiaro come combinare questi farmaci per ripristinare il flusso sanguigno in caso di trombosi coronarica. Ciò che è già certo è che molto presto la terapia dell’infarto non sarà più basata solo sulla ormai storica trombolisi. E questo per una ragione divenuta sempre più evidente negli ultimi anni. Anche nella sua forma più potente, infatti, la trombolisi ripristina il flusso coronarico in modo adeguato solo nel 50% dei casi. Ha inoltre una incidenza relativamente alta di emorragia intracranica (circa 1%) ed è decisamente meno efficace delle procedure di rivascolarizzazione meccanica che però come l'angioplastica d'urgenza pur rappresentando il "gold standard" in caso di infarto possono essere attuate solo in pochi centri superspecialistici.

Proprio le limitazioni della trombolisi hanno spostato l’attenzione dei ricercatori verso una visione ‘piastino-centrica’ del problema. L’idea iniziale è stata di Eric Topol, della Cleveland Clinic, Ohio (USA), il quale ha spiegato gli insuccessi della trombolisi con il fatto che essa è in grado solo di dissolvere la fibrina presente su un trombo ma non esercita alcuna attività antiaggregante proprio nei riguardi delle piastrine che costituiscono il nucleo iniziale del trombo coronarico. Difatti, ogni volta che incontrano una parete vascolare danneggiata per una fissurazione o una rottura di una placca aterosclerotica, le piastrine si attivano, aderiscono alla matrice subendoteliale esposta, e scoprono i propri recettori glicoproteici, i cosiddetti GPIIb/IIIa. E’ a questi recettori che si attacca il fibrinogeno, sostanza che consente la progressiva aggregazione piastrinica fino alla formazione dell'iniziale trombo "bianco" il quale con l'accumulo di fibrina e globuli rossi si trasforma nel trombo "rosso" che causa la definitiva occlusione arteriosa. La trombolisi agisce esclusivamente a questo livello, ma non ha alcun effetto sul trombo piastrinico. Ecco perchè per essere davvero efficace, la terapia dell’infarto miocardico acuto più che alla lisi della fibrina deve mirare all’antiaggregazione piastrinica. In accordo al nuovo approccio piastrino-centrico, quindi, piuttosto che sviluppare trombolitici sempre più potenti occorre identificare molecole capaci di bloccare le tappe iniziali della trombosi. Già da molto tempo a questo scopo viene usata l'aspirina, la cui attività antiaggregante è però troppo blanda per riuscire a sciogliere un trombo "bianco". Molto più promettente è invece una nuova classe di farmaci antiaggreganti, quella formata dai cosiddetti inibitori dei recettori GPIIb/IIIa delle piastrine. Il composto più studiato è un derivato dell’anticorpo monoclonale c7E3 Fab, il cosiddetto Abciximab, che si unisce selettivamente ai recettori glicoproteici, bloccandone la possibilità di legarsi al fibrinogeno e innescare quindi la trombosi. Al momento, l’impiego dell’Abciximab è approvato esclusivamente in corso di procedure di cardiologia interventistica, come l’angioplastica coronarica o il posizionamento di 'stent' endocoronarici, ma visto il suo peculiare meccanismo di azione se ne stanno studiando attivamente gli effetti in caso di infarto miocardico acuto.

Inizialmente, sulla base dei presupposti fisiopatologici, è stato addirittura pensato che gli inibitori dei recettori GPIIb/IIIa delle piastrine potessero, anche da soli, risultare più efficaci dei trombolitici nell’infarto miocardico acuto. Questa ipotesi è stata verificata nel trial TIMI-14. In questo studio sono stati inclusi pazienti con infarto miocardico acuto randomizzati a ricevere o t-PA o Abciximab o entrambi i farmaci. Una adeguata riperfusione è stata ottenuta nel 60% dei casi trattati con il t-PA, solo nel 31% dei pazienti che hanno ricevuto Abciximab, ma in ben il 71% dei casi in cui l’Abciximab è stato associato a basse dosi di trombolitico (20 mg di t-PA o 500.000 Unità di streptochinasi). Da notare che impiegando insieme le due sostanze non è stata registrata una maggiore incidenza di emorragie clinicamente significative rispetto al t-PA (6% vs 5%). L’associazione tra Abciximab e trombolitico a basse dosi è così divenuta, quasi inaspettatamente, il più promettente approccio terapeutico all’infarto miocardico.

Non tutto è stato però chiarito e molte domande restano senza risposta. Di quanto va diminuito il dosaggio dei trombolitici quando vengono associati ai bloccanti piastrinici? E l'eparina? Va prescritta ai dosaggi tradizionali o è preferibile somministrarla a basse dosi? E ancora. Quale fibrinolitico va preferibilmente usato insieme agli inibitori dei recettori GPIIb/IIIa? Va impiegato il "vecchio" t-PA, farmaco utilizzato insieme ai bloccanti dei recettori GPIIb/IIIa nel trial TIMI-14, o il nuovo reteplase, che è stato incluso insieme all'Abciximab nel protocollo dei trial SPEED e GUSTO IV che sono appena iniziati? Sulla base dei risultati di recenti ampie ricerche come il RAPID-1, il RAPID-2 e il GUSTO III, sappiamo che t-PA e reteplase hanno una simile efficacia trombolitica e un sovrapponibile profilo di rischio emorragico. La scelta tra le due sostanze è però solo apparentemente difficile visto che le loro modalità di azione e somministrazione sono decisamente diverse. Il t-PA ha una breve durata di azione e va quindi somministrato in infusione continua, mentre il reteplase ha una lunga emivita e può quindi essere somministrato in bolo. I vantaggi pratici assicurati dal reteplase sono evidenti. Con il nuovo trombolitico, infatti, l'inizio della terapia è più rapido e i rischi di errori umani sono minori. Ecco perché molti 'opinion leaders' ritengono che il reteplase sia il farmaco ideale per essere associato ai bloccanti dei recettori piastrinici GPIIb/IIIa. Se questa impressione troverà conferma nei risultati delle sperimentazioni cliniche in corso, assisteremo molto presto, a meno di venti anni dall'introduzione della storica trombolisi, ad una nuova rivoluzione nel trattamento dell’infarto miocardico acuto.