Le linee guida cardiologiche italiane

Un prezioso strumento di raccordo tra esigenze di carattere professionale, medico-legale e organizzativo. E' questa la peculiarità delle "Linee Guida Cliniche", l'importante documento messo a punto congiuntamente dall'ANMCO (Associazione Italiana Medici Cardiologi Ospedalieri) e dalla SIC (Società Italiana di Cardiologia) che da alcune settimane è in corso di presentazione su tutto il territorio nazionale. Le linee-guida sono un insieme di raccomandazioni di comportamento clinico basate sui risultati degli studi scientifici più importanti e sui pareri dei più noti 'opinion leaders'. Il loro scopo principale è quello di assistere i medici (ma anche i pazienti) nel decidere quali siano le modalità di assistenza più appropriate in specifiche situazioni cliniche. In particolare, le linee-guida italiane contemplano le varie forme di cardiopatia ischemica (angina stabile e instabile, infarto miocardico), lo scompenso cardiaco e il follow-up del cardiopatico congenito operato. Per ognuna di queste condizioni, le due società di cardiologia hanno istituito una commissione di esperti che ha prodotto in circa due anni di lavoro le relative linee-guida, individuando una serie di raccomandazioni sia di ordine diagnostico che terapeutico. Consapevoli dell'impatto che possono avere nella nostra pratica clinica quotidiana, vi offriamo in questa pagina una sintesi delle linee-guida sull'angina cronica stabile e sullo scompenso cardiaco.

 

Linee Guida sulla Cardiopatia Ischemica Cronica

Definizione. Secondo le linee-guida italiane, il termine di angina stabile o angina cronica definisce una sindrome caratterizzata da attacchi di ischemia miocardica acuta transitoria generalmente associati a sforzo fisico.

Fisiopatologia. L'angina stabile riconosce un substrato patologico organico, la placca aterosclerotica che riduce il lume coronarico, e una causa scatenante, ovvero un aumentato consumo miocardico di ossigeno in genere secondario all'esercizio fisico. Ciò spiega perchè l'angina cronica stabile sia praticamente sinonimo di angina da sforzo. Con 'stabile', invece, ci si riferisce sia alla costanza e ripetibilità della discrepanza tra domanda di ossigeno da parte del miocardio e insufficiente disponibilità del flusso coronarico, sia alla stabilità clinica, per cui frequenza e severità degli episodi di angina non variano nel tempo e vi è una bassa incidenza di eventi come morte improvvisa e infarto miocardico.

Anamnesi. Il dolore anginoso tipico, che è descritto come costrizione, oppressione o peso, è tipicamente localizzato in sede retrosternale. Insorge gradualmente, raggiunge la sua massima intensità in un minuto e regredisce lentamente con il riposo o con l'assunzione di nitrati. Secondo le linee-guida ANMCO-SIC, l'anamnesi rappresenta il più importante momento diagnostico e condiziona la successiva strategia. Infatti, in un uomo con fattori di rischio cardiovascolari che riferisce un episodio di dolore tipico, la probabilità di trovarsi di fronte ad una cardiopatia ischemica è talmente alta da non richiedere quasi indagini strumentali aggiuntive. Al contrario, in una donna giovane, con dolore toracico atipico e senza fattori di rischio, è praticamente inutile intraprendere un iter diagnostico dato che la probabilità che vi sia una malattia coronarica è molto bassa.

Diagnostica strumentale. Quando si considera necessario il ricorso a test strumentali sono utilizzabili l'ECG, l'ecocardiogramma e la scintigrafia. Mentre l'ECG a riposo e l'esame Holter sono generalmente di scarsa utilità diagnostica, la prova da sforzo è la metodica diagnostica di prima scelta in quanto indagine semplice, ovunque disponibile, a basso costo e relativamente sicura. Anche 'stress' diversi dallo sforzo possono essere impiegati per mettere in evidenza una coronaropatia. Tra questi vi sono i test al dipiridamolo, all'adenosina o alla dobutamina che insieme all'ecocardiografia o alla scintigrafia hanno dimostrato di possedere una sensibilità diagnostica sovrapponibile a quella del test da sforzo. In particolare, è indicato un eco-stress o una scintigrafia miocardica perfusionale quando il test ergometrico non è fattibile o non è interpretabile o è controindicato, o ancora in caso di positività del test da sforzo ad alto carico di lavoro senza comparsa di angina, o viceversa in caso di angor al test ergometrico in assenza di modificazioni ECG. La coronarografia, invece, non è in genere utile per la diagnosi di angina stabile e va pertanto indicata solo quando ogni tentativo diagnostico strumentale per confermare o escludere un sospetto clinico di malattia coronarica è stato inefficace.

Prognosi. I risultati degli esami strumentali, oltre che ai fini di una diagnosi corretta, sono essenziali per stratificare la prognosi dei pazienti con angina stabile. Come raccomandano le linee-guida italiane, è assolutamente importante tener presente che il rischio di andare incontro a eventi cardiovascolari gravi è molto basso. In questi pazienti, l'incidenza di morte cardiaca è compresa tra l'1,5 e il 2% annuo, e quella dell'infarto non fatale è circa l'1% per anno.

Terapia. Il trattamento dell'angina stabile mira al miglioramento del rapporto tra perfusione coronarica e richieste metaboliche del miocardio. A tal fine sono cruciali nitrati, betabloccanti e calcioantagonisti. Ma oltre che il controllo dell'angina e il miglioramento della tolleranza allo sforzo, tra gli obiettivi della strategia terapeutica deve esserci anche la prevenzione delle complicanze (infarto e morte). Sfortunatamente, la terapia anti-ischemica consente in genere di raggiungere i primi due obiettivi ma non modifica la sopravvivenza. Per migliorare la prognosi è invece necessario il concomitante trattamento dei fattori di rischio e di eventuali patologie associate, come l'ipertensione arteriosa, il diabete mellito, l'obesità e la dislipidemia. Inoltre, anche se un processo trombotico non sembra essere implicato nella patogenesi dell'angina stabile da sforzo, l'aggiunta di aspirina a basse dosi va sempre preso in considerazione nell'angina stabile visto che sembra ridurre l'incidenza di morte improvvisa e di infarto miocardico. L'angioplastica coronarica o il by-pass aortocoronarico sono indicati quando la terapia medica ottimale non riesce a controllare i sintomi e il paziente va incontro ad angina nella vita di tutti i giorni oppure quando vi sia una malattia coronarica diffusa associata ad una ridotta funzione contrattile del cuore.

 

Linee Guida sullo Scompenso Cardiaco

Definizione. Anche se può apparire sorprendente, le linee-guida ammettono che a tutt'oggi non è possibile una definizione semplice ed obiettiva di scompenso cardiaco cronico. Infatti, non esistono ancora valori di riferimento della funzione cardiaca, delle pressioni o delle dimensioni che possano essere impiegati in modo attendibile per identificare i pazienti con scompenso cardiaco.

Diagnosi. Una corretta diagnosi richiede essenzialmente un'accurata anamnesi, un approfondito esame obiettivo e appropriate indagini strumentali. In accordo anche alla Società Europea di Cardiologia, uno scompenso può essere diagnosticato in base alla presenza di: 1) sintomi quali dispnea o astenia, sia a riposo che da sforzo, confusione mentale, nicturia, oliguria, disturbi addominali, e dispnea parossistica notturna; 2) segni obiettivi di disfunzione cardiaca, quali edemi declivi, turgore delle giugulari, pallore cutaneo, dimagrimento, e fegato da stasi; 3) in caso di diagnosi dubbia sulla base dei primi due criteri, è necessario esaminare la risposta alla terapia medica. Dopo aver posto la diagnosi, i sintomi di scompenso cardiaco possono essere usati per stabilirne la severità e controllare gli effetti della terapia. La diagnosi resta il primo e più importante gradino nel trattamento dello scompenso. Con una diagnosi adeguata, infatti, si stabilisce la causa principale della condizione e si individuano le patologie concomitanti che possono esacerbarla o complicarne il trattamento. Una diagnosi inadeguata, viceversa, espone il paziente ad un trattamento inappropriato che può persino comprometterne la sopravvivenza.

Diagnostica strumentale. Anche se per la diagnosi di scompenso è necessaria la presenza di sintomi e segni obiettivi di deficit contrattile, per valutare la funzione cardiaca non sono sufficienti i soli criteri clinici. La disfunzione cardiaca, infatti, va sempre giudicata in modo obiettivo. A tal fine, sono in prima battuta sufficienti i semplici esami di laboratorio urinari ed ematologici (in particolare, l'emocromo, la creatininemia, l'albumina serica, e l'FT4-TSH). E' sempre necessario poi richiedere una radiografia del torace, anche per escludere una patologia polmonare come causa dei sintomi, e un ecocardiogramma, che costituisce l'unico strumento davvero efficace e di largo uso per diagnosticare uno scompenso cardiaco e ricercarne la causa.

Strategia terapeutica. Secondo le linee-guida, il trattamento dello scompenso cardiaco ha quattro obbiettivi principali: 1) prevenire l'insorgenza dello scompenso cardiaco e la sua progressione; 2) eliminare, se possibile, la causa dello scompenso; 3) alleviare i sintomi e migliorare la qualità di vita; 4) aumentare la sopravvivenza dei pazienti. Prima ancora di ricorrere ai farmaci è essenziale attuare una profonda opera di educazione sanitaria. I pazienti con scompenso cronico ma anche i loro parenti vanno opportunamente informati sulla natura della malattia, devono saper riconoscere i sintomi di instabilità, e devono comprendere completamente la terapia prescritta e i consigli sullo stile di vita e sull'alimentazione. Perché si realizzi tutto ciò, le linee-guida italiane hanno messo a punto un'apposita lista di argomenti che serve da promemoria per il medico che deve illustrare ai pazienti e ai loro familiari cosa sia lo scompenso cardiaco. Per quanto riguarda l'attività fisica, visto che è ormai accertato che il decondizionamento muscolare è da evitare, è necessario incoraggiare un'attività muscolare di basso livello preferibilmente nell'ambito di un programma specifico di 'training' fisico individualizzato ed eseguito sotto controllo medico.

Terapia farmacologica. La scelta del trattamento iniziale si basa sulla valutazione della presenza di congestione polmonare e periferica, sull'eziologia e sulla valutazione della disfunzione cardiaca. Le linee-guida prendono in esame le varie classi di farmaci utilizzabili nello scompenso cardiaco e per ciascuna sottolineano i vantaggi e i limiti.

Diuretici. Sono essenziali nel trattamento dei sintomi quando è presente un sovraccarico di volume; in caso di resistenza, è opportuno l'impiego di diuretici che agiscono su differenti segmenti del nefrone (ad esempio, associazione tra furosemide e tiazidico).

ACE-inibitori. Sono indicati in tutti gli stadi dello scompenso sintomatico dovuto a disfunzione contrattile, indipendentemente dalla presenza o meno di congestione; oltre a migliorare i sintomi nei casi più gravi, gli ACE-inibitori risultano benefici anche nei pazienti con ridotta frazione di eiezione (<40%) che sono però ancora asintomatici. Una volta iniziato, infine, l'ACE-inibitore, se ben tollerato, dovrebbe essere prescritto per un periodo di tempo indefinito, probabilmente per tutta la vita.

Digitale. I glicosidi cardiaci sono specificamente indicati per ogni grado di scompenso cardiaco sintomatico. Tra le controindicazioni al loro uso si annoverano la bradicardia, i blocchi della conduzione elettrica, la sindrome da pre-eccitazione, l'ipopotassiemia e l'ipercalcemia. Ad eccezione della digitale, tutte le altre sostanze inotrope positive vanno impiegate solo in caso di scompenso refrattario o di fasi di instabilità clinica.

Vasodilatatori. Rappresentano una possibile alternativa agli ACE-inibitori nei pazienti in cui questi sono controindicati o non tollerati. Tuttavia, nei casi in cui il paziente rimanga severamente sintomatico al massimo dosaggio di ACE-inibitore tollerato, soprattutto se persiste ipertensione o vi è severa insufficienza mitralica, è possibile associare un nitroderivato all'ACE-inibizione.

Betabloccanti. Considerati addirittura controindicati fino a non molto tempo fa, è oggi dimostrato che i betabloccanti (soprattutto alcuni di essi, come il carvedilolo) possono migliorare le morbilità e mortalità legate allo scompenso cardiaco. Attualmente, le indicazioni principali al betablocco sono rappresentate dai pazienti affetti da scompenso cardiaco sintomatico, in classe funzionale II, III o IV, e clinicamente stabili dopo l'inizio della terapia con digitale, diuretici e ACE-inibitori.

Calcioantagonisti. Anche se non indicati in genere per lo scompenso cardiaco, alcuni composti di seconda generazione (amlodipina) possono esercitare effetti favorevoli sulla sopravvivenza nei pazienti con scompenso di origine non ischemica.

Antiaritmici. In caso di aritmie ventricolari, peraltro molto frequenti nello scompenso cardiaco, gli antiaritmici vanno usati solo in caso di sintomi dato che non è provato che vi sia un effetto favorevole nei pazienti asintomatici per tachiaritmia. L'uso empirico dei farmaci antiaritmici di I classe, peraltro, va sempre evitato per i possibili effetti proaritmici. Nei pazienti con fibrillazione atriale è fondamentale un efficace controllo della frequenza ventricolare, e a questo scopo possono essere necessari più farmaci, quali digitale, amiodarone, betabloccante o, come seconda scelta, calcioantagonisti come diltiazem e verapamil.

 

 Il monitoraggio domiciliare dello scompenso cardiaco

Il monitoraggio domiciliare dello scompenso riduce i costi associati alle cure dell’insufficienza cardiaca e migliora la prognosi dei pazienti. E’ quanto emerso da uno studio della Università di Stanford, California, USA, presentato durante il 47° congresso dell’American College of Cardiology.

Ecco come funziona il sistema di telemonitoraggio. Decine di pazienti affetti da insufficienza cardiaca si collegano ogni giorno per telefono ad un computer per trasmettere il proprio peso, la pressione arteriosa e altri parametri vitali. Se uno di questi risulta anormale, il computer allerta uno dei paramedici addetti al follow-up e trasmette un fax al suo medico per avvertirlo. Il fax non contiene solo la descrizione delle anomalie riscontrate ma fornisce anche dettagli sui principali dati clinici del paziente negli ultimi giorni o nelle ultime settimane. Ricevendo prontamente queste informazioni, il medico curante ha il tempo per modificare la terapia in tempo e prevenire così un eventuale ricovero successivo.

Oltre al monitoraggio telefonico computerizzato, i pazienti ricevono regolarmente materiale didattico per posta e vengono contattati telefonicamente ogni settimana dal personale infermieristico per discutere insieme il trattamento e avere suggerimenti su come convivere al meglio con la propria insufficienza cardiaca.

I risultati dello studio americano sono senza dubbio interessanti. "Abbiamo confrontato" spiega Paul Heidenreich, il responsabile della ricerca, "i dati di 43 scompensati inclusi nel programma di monitoraggio domiciliare con quelli di 86 pazienti non arruolati. In un anno, le spese sanitarie del primo gruppo sono state pari a 7.400 dollari mentre nel secondo gruppo si è registrato un maggior numero di ricoveri ospedalieri e sono state necessarie cure per un totale di 19.000 dollari."

Un dato sorprendente emerso dallo studio ha riguardato l’aderenza al programma di monitoraggio domiciliare. Oltre l’85% dei pazienti, difatti, ha effettuato quotidianamente la programmata telefonata al centro di ascolto. "I risultati del nostro studio" commenta Heidenreich "sono molto incoraggianti perchè dimostrano che è oggi possibile migliorare la qualità di vita dei pazienti tenendoli lontani dall’ospedale e riducendo il costo complessivo delle cure."

Ma l’esperienza di Stanford non è l’unica del genere negli U.S.A. Un programma di telemonitoraggio è da tempo operativo anche a Chicago presso l’Università dell’Illinois. "Home Health Monitor" premette Mary Bondmass, curatrice del programma "è il nome dello strumento di cui dotiamo i nostri pazienti scompensati. Lo strumento registra automaticamente il peso e i segni vitali e li trasmette attraverso il telefono a un computer che fa scattare un allarme nel caso in cui si sia verificato un accumulo di liquido e quindi un aumento del peso corporeo. Quando questo avviene, un paramedico o un medico interviene dando consigli al paziente su dieta, esercizio fisico o consumo di sale o addirittura modificando la terapia prescritta in precedenza."

Il servizio telematico di monitoraggio di Chicago è simile concettualmente al sistema di Stanford. Vi è però una grande differenza pratica. Solo nel primo, infatti, tutte le misurazioni e le trasmissioni di dati sono automatiche e non richiedono alcuna partecipazione da parte del paziente. Nello studio pilota eseguito inizialmente per verificare l’efficacia del sistema, 60 pazienti con insufficienza cardiaca hanno usato l’apparecchio di telemonitoraggio per due mesi e sono stati capaci di diminuire del 90% il numero di ricoveri in ospedale.

 

                 L'ospedale "virtuale"

Grazie alla telecardiologia non è più futuribile l'idea di realizzare un reparto ospedaliero virtuale che assicuri una soddisfacente assistenza domiciliare cronica ai pazienti ("home care"). I progressi tecnologici, difatti, consentono già da tempo di trasmettere a distanza i dati strumentali rilevati in uno studio medico o addirittura a domicilio del paziente.

Due fattori antitetici concorrono a rendere quasi improcrastinabile il decollo dell'ospedale virtuale. Da un lato, i progressi della medicina hanno innalzato la vita media, per cui tende ad aumentare nel tempo la percentuale di pazienti anziani soggetti a patologie croniche che richiedono cure continuative. Un esempio in cardiologia è rappresentato dall'insufficienza cardiaca, sindrome che interessa un sempre maggior numero di pazienti visto che la mortalità per infarto miocardico acuto è fortemente diminuita negli ultimi anni. Dal lato opposto, l’enorme pressione politica ed economica al contenimento dei costi della sanità, ormai comune a tutti i paesi industrializzati, spinge verso la riduzione dell’ospedalizzazione che è universalmente uno dei principali determinanti della spesa sanitaria.

Non vi è dubbio che in un prossimo futuro proprio l' "home care" costituirà la risposta vincente alle attuali problematiche a condizione che risulti in grado di garantire, almeno in una certa misura, alcune delle prestazioni che caratterizzano la degenza ospedaliera, e cioè la presenza continua di personale medico e paramedico, la disponibilità di una adeguata strumentazione per la diagnosi e il monitoraggio dei pazienti e la capacità di reazione tempestiva alle emergenze.

Già oggi sono disponibili sistemi telematici che intendono accorciare in modo virtuale la distanza fisica tra il paziente "ricoverato" a casa propria e il centro medico erogatore del servizio di assistenza. Questi sistemi rendono possibile il contatto audiovisivo tra medico e paziente, l’acquisizione in tempo reale di parametri clinici e strumentali (quali pressione arteriosa, temperatura corporea, elettrocardiogramma a 12 derivazioni e saturazione d’ossigeno) e il controllo e l’impostazione del funzionamento di una o più pompe di infusione endovenosa.

In pratica, questi nuovi dispositivi consentono di visitare virtualmente il paziente, il quale, da parte sua, ha la certezza di poter ottenere questo tipo di assistenza ogni volta ne senta l’esigenza. Nel campo della cardiologia, l’applicazione più promettente sembra essere rappresentata proprio dall’assistenza domiciliare ai pazienti con insufficienza cardiaca grave, anche quando sottoposti a trattamenti a lungo termine con infusione di inotropi positivi.

Dal punto di vista del contenimento della spesa sanitaria, l’attivazione di un simile servizio di "home care" equivale alla creazione in un ospedale tradizionale di un nuovo reparto virtuale di ricovero, che a costi molto limitati ha le carte in regola per aumentare in modo significativo sia il numero di pazienti seguiti che il numero di prestazioni erogate.

 

     SIS targati Telecom

Tutti gli strumenti e i sistemi tecnologici oggi disponibili per migliorare la diagnosi e la cura dei pazienti. Per una volta, sono stati loro i protagonisti di una mostra, Exposanità, tenutasi a Bologna dal 21 al 24 maggio e ormai giunta alla 11° edizione. Alla esibizione scientifica si è affiancata una fitta serie di convegni che hanno trattati temi di discussione anche scottanti, come la 'privacy' in sanità, le emergenze mediche, la telematica sociale e la telemedicina. A proposito di telemedicina, e più in particolare di telecardiologia, Exposanità è stata la sede naturale per la presentazione in anteprima dei Sistemi Integrati Sanitari, una serie di servizi per la realizzazione di applicazioni in rete realizzati da Telecom Italia e destinati espressamente al sistema sanitario nazionale. I Sistemi Integrati Sanitari facilitano la diffusione delle informazioni mediche in tutte le strutture, anche nelle più periferiche e consenteno la diagnosi a distanza grazie alla trasmissione di dati e di immagini strumentali.. In particolare, con potenti strumenti come la 'Telediagnosi' e la 'Telecardiologia', si contribuisce alla dimissione di molti pazienti e si offre una valida alternativa al ricovero in ospedale. Servizi di 'groupware' e di posta elettronica possono collegare tra loro sedi diverse, medici di base ed ospedali, laboratori e istituti di ricerca. Inoltre, con l'obiettivo di ridurre i tempi di attesa per le prestazioni, sono stati messi a punto nuovi apparati per i Centri Unificati di Prenotazione, gestiti dai cosiddetti 'call center'. Cruciale per il medico, infine, è la possibilità offerta dai nuovi sistemi elettronici di creare un 'data-base' di informazioni sanitarie e cartelle cliniche dei pazienti. Grazie all'interconnessione di banche dati e di applicazioni multimediali, ogni medico potrà infatti presto accedere in tempo reale ad un prezioso patrimonio informativo, attivando così le risorse più avanzate del sistema sanitario.

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