NORCHIA

(Prof. Remigio Ruggiero)

 

La tomba , ultima dimora d'una vita spesa, espressione di sentimenti, ristare nel silenzio del tempo.

L'uomo, l'essere ha sempre vissuto nella sepoltura un qualcosa che avrebbe continuato a tenerlo legato allo scomparso, un qualcosa che avrebbe permesso il perpetuarsi di un legame, la continuità, se pur utopistica, d'un dialogo con l'estinto, la continuazione, se pur in condizioni diverse, della vita.

Non a torto i Neandertheliani seppellivano i loro cari nelle caverne in cui abitavano scegliendo come ubicazione della fossa la zona sotto il focolare, illusione questa forse, che il fuoco potesse con il suo calore scaldare le fredde membra del defunto e con la sua luce illuminare il buio della morte.

Quando poi credette opportuno uscire dalla caverna ubicò la fossa non lontana dall'entrata della caverna stessa.

Con le palafitte la tomba cambia ubicazione, il principio rimane. I morti non sono inumati vengono invece cremati e le ceneri raccolte in urne e sistemate in appositi luoghi. Ambienti creati anch'essi su palafitte preposti solo ad accogliere le urne cinerarie, antenati delle cappelle votive. Comunque è sempre il sentimento che unisce il vivo al trapassato, che guida l'uomo.

Seppellire il defunto nella nuda terra lontano dai loro sguardi premurosi, forse voleva dire abbandonare le spoglie dell'estinto alla famelicità di eventuali bestie predatrici.

La grotta, il menhir, i dolmen, i tolos, le mastabe, le piramidi………tutte espressioni dello stesso sentire in una successione di tempo che danno la misura di quanto questa creatura eletta sappia e voglia fare. Documenti scritti non con parole ma con opere, fatti che ci dicono l'esistere d'una volontà che ha saputo concretizzare il pensiero attraverso la materializzazione dell'idea.

 Nel silenzio d'un terrazzamento tufaceo, percorsa dal Fosso Acqualta, Biedano e Pile, brulicante di una lussureggiante vegetazione, la necropoli di Norchia si adagia cullata dalla voce pacata del silenzio che incute soggezione a chi si avventura fra quei ruderi che testimoniano la religiosità e le credenze d'un popolo non capito, oppresso e poi distrutto dall'ipocrisia di successori ingordi, avidi di potere, e per dirla con D. H. Lawrence: "Furono dunque i romani più grandi degli etruschi perché li privarono della loro vita?". In pochi luoghi la suggestione e la drammacità si evidenziano come a Norchia.

 Non credo vi sia posto all'infuori di questo ove si avverte la costante presenza del mondo e del respiro etrusco; in alcuni momenti e soprattutto al calar del sole, quando le ombre fasciano con la loro molle dolcezza i ruderi che ristanno in un tempo senza tempo in compagnia dell'oblio, si ha la sensazione precisa dell'andare di teorie di anime che salmodiando ripercorrono i sentieri ed i luoghi a loro familiari, cari.

Ma l'uomo non ha saputo intendere.

La sua sete di potere, la sua ingordigia di sopraffare, la sete di violenza hanno fatto sì che luoghi sacri e cari venissero abbandonati e sopraffatti dall'azione costante della distruzione.

Dall'imponenza delle architetture tombali, dalla maestosità che esprimono nel loro ristare dignitoso ed austero, non credo Norchia sia stata solo una necropoli. Le architetture rupestri di Norchia si muovono ad anfiteatro su d'un terrazzamento tufaceo a ridosso delle gole dei Fossi Biedano, Pile e Acqualta, Norchia si loca così a mezza strada tra Blera e Tuscania, sulla Via Clodia, quella stessa che da Tarquinia conduce ad Orvieto.

Scendendo dal terrazzamento di Acqualta s'incontrano le prime tombe, ridotte ormai a pochi ruderi, sino ad arrivare a valle dove sono ubicati i principali e più importanti complessi di questa città dei morti.

 Descrivere le architetture tombali è difficile, dato lo stato di conservazione derivato dall'abbandono, se si riesce a pervenire ad una ricostruzione, questa è del tutto ipotetica, ma una cosa è certa ed è che senza meno Norchia deve essere stata non solo una necropoli ma qualcosa di più importante e vitale.

La sua esistenza non risale al periodo etrusco ma va oltre. Indubbiamente stanziamenti preistorici si sono avvicendati fra i silenzi del Biedano e del Pile, in quei ripari che all'occhio poco attento non dicono nulla se non tane di eventuali bestie.

Norchia fu abitata dall'uomo del Neolitico, il pastore non più nomade, quel tipo di uomo dolicocefalo chiamato normalmente Homo Sapiens Mediterraneus, l'essere che ha dato vita alla prima ceramica impressa ed agli utensili in pietra levigata, lo stesso che nel tempo è pervenuto all'età del bronzo.

Purtroppo per infinite ed ovvie ragioni è difficile documentarsi in merito data la scarsezza dei reperti.

E' stato più facile violare le tombe che cercare le culture e neolitiche e dell'età del bronzo. Se qualcosa è stato trovato perché affiorava dal terreno mosso da frane o cause accidentali è stato poi distrutto perché non aveva valore commerciale.

Un bicchiere campaniforme non ha pregio affiancato ad un vaso etrusco. L'impasto, la realizzazione, la mancanza di decorazione del primo lo rendono insignificante al cospetto del secondo.

Così gli oggetti che potevano testimoniare il graduale passaggio dalla preistoria, protostoria e storia di Norchia si sono persi nel tempo per l'ignoranza dell'uomo.

Ma torniamo alla sponda terrazzata del Rio Acqualta da dove si può accedere a valle attraverso un pendio scosceso ed addentrarsi poi alla Valle del Pile e del Biedano dove sono ubicate le necropoli rupestri di Norchia.

La caratteristica di questi monumenti consiste nel fatto che le facciate sono ricavate direttamente dalla roccia tufacea, proiettandosi le architetture delle stesse all'esterno a differenza di quelle di Cere: Tomba dei Sarcofagi, degli Scudi, dei Capitelli dipinti, dove le architetture scavate nell'interno ripropongono ambienti domestici, come nella Tomba detta della Cornice dove la porta e le finestre, ricavate direttamente nel tufo, mettono in comunicazione il primo col secondo ambiente, a Veio nella Tomba Campana composta da due ambienti comunicanti e preceduti da un dromos nel quale si aprono due ambienti di minore importanza.

 Stilisticamente, per quello che rimane, si possono distinguere tre tipi di architettura rupestre: a dado, a casa, con loggiato superiore.

La tomba a dado è costituita da una camera che viene evidenziata all'esterno da un cubo modanato verso l'alto e allo zoccolo, elementi che rompono la monotonia della facciata liscia creando un movimento plastico, decorativo.

Le camere di questo tipo di tombe sono interne ed erano situate a livello di strada, l'accesso al vano che accoglieva le spoglie del defunto avveniva attraverso una porta posteriore posta all'esterno.

Se la tomba a dado veniva realizzata, il più delle volte, con una facciata, (generalmente quella posteriore), legata alla roccia da cui nasceva, la tomba a tetto, poco rappresentata a Norchia, non differisce di molto. L'unica sostanziale differenza consiste nella copertura che anziché essere piatta presenta due displuvi in senso della sua lunghezza.

Un esemplare bellissimo di questa stupenda architettura lo troviamo nella così detta Tomba della Regina a Tuscania. La tomba consta all'interno di due vani ai quali si accede da una porta aperta al centro del lato lungo della fecciata, la sua datazione si fa risalire al VI secolo a.C..

Ed infine le tombe con loggiato superiore che differiscono dalle precedenti in virtù della loro struttura architettonica ricavata sempre dalla roccia tufacea.

Questo tipo di tomba presenta sul prospetto un loggiato che sovrasta il primo piano della tomba ed al quale si accede tramite una scala esterna. Anche questo tipo di tomba ha la camera funeraria a livello di strada per la parte inferiore, per quella superiore la porta si apre a livello di loggiato il quale è retto da un'unica colonna sottostante. I vani all'interno non presentano decorazioni come le precedenti di Cere e Veio ma sono scarni e vuoti, nude nel loro silenzio, offrono al visitatore solo i letti funebri, semplici parallelepipedi che ospitavano il corpo del defunto. Questo è un fatto che colpisce. Tutta l'imponenza, tutta la maestosità dell'esterno, le armonie ritmiche e costruttive esterne trovano nell'interno la forma più semplice più consona a quello che è il riposo d'una vita spesa nell'essere.

Forse proprio in virtù dell'acaismo delle strutture che appaiono più affascinanti mentre è la semplicità della compostezza a tener avvinto il visitatore che si avventura in quelle gole, fasciate dalla voce del silenzio.