Intro
Ricordo quando circa una
quindicina di anni fa, nel periodo pasquale, vennero
in visita alcuni amici di Milano. Al loro soggiorno a Roma vollero aggiungere anche
alcuni giorni itineranti nel Lazio. Alla richiesta di segnalare qualche meta
particolare, tanto per vedere cose un po’ diverse dal solito, rimasi impreparato indicando quasi automaticamente una serie
di località marine e montane, per le quali per altro non era nemmeno stagione,
più alcuni borghi e cittadine situate per lo più in prossimità dei laghi,
sottolineando come nella nostra regione in fondo, non ci fosse un granché di
estremamente interessante da vedere, oltre ai soliti posti ben conosciuti.
Solo a distanza di tanti anni e
dopo averne visitata e studiata una buona parte, posso capire quanto affrettata
e superficiale fosse quella valutazione. Certo, la nostra
regione non è in grado di offrire al visitatore gli incomparabili
panorami montani delle Alpi o delle colline toscane, né tanto meno le spiagge o
le scogliere di altre regioni marine, ma la particolarità è proprio quella di
presentare un mix di tutto questo, assieme ad un numero impressionante di
testimonianze storiche appartenenti a varie epoche, ancora poco conosciute e
valorizzate.
Le zone dove a mio avviso si
ritrovano le cose più interessanti ed originali e dove questo
magico connubio fra archeologia e bellezze naturalistiche risulta meglio
riuscito, sono localizzate nell’entroterra del centro e, soprattutto, dell’alto
Lazio. Qui, anche se a poche decine di chilometri di distanza dalla Capitale, è
possibile passeggiare per ore in solitudine, in una natura ancora incontaminata
e di inaspettata bellezza, accompagnati dalla presenza
di manufatti antichi (resti di villaggi, cunicoli, monumenti funebri o
religiosi), sparsi qua e là nella vegetazione o situati all’interno di forre e
canyon.
Il segreto di ciò sta nella
particolare conformazione geologica di queste zone, caratterizzate dalla sedimentazione
di materiali piroclastici emessi, dalla fine del Pliocene fino a tutto il
Pleistocene, dalle eruzioni di tipo esplosivo a carattere alcalino-potassico
degli antichi vulcani dei complessi Vulsino, Cimino-Vicano, Sabatino, Tolfetano
e più a sud del Vulcano Laziale.
La roccia tipica di questo
paesaggio, il tufo, per le sue caratteristiche di buona compattezza e facile
lavorabilità anche con attrezzi semplici, si è prestata da sempre ad essere
sfruttata come materiale per l’edilizia. D’altra parte, la sua facile erodibilità da parte dei corsi
d’acqua, ha prodotto in queste zone la formazione di un fitto reticolo di
forre, canaloni e piccoli canyon, oggi elementi tipici del paesaggio della Tuscia viterbese. Ciò ha consentito lo sviluppo di condizioni
favorevoli alla presenza umana, soprattutto laddove la roccia era di qualità
più friabile e quindi più facilmente lavorabile e in corrispondenza di speroni
tufacei, dove la presenza di valloni e torrenti assicurava
una buona difendibilità degli abitati.
Questi fattori conferiscono a
queste zone caratteri di assoluta specificità e
rarità, in quanto nell’ambito di uno stesso sito è possibile ritrovare la
contemporanea presenza di
stratificazioni di insediamenti appartenenti a diverse epoche, come quella preistorica,
protovillanoviana, etrusca, romana, medievale e infine barocca.
Oggi purtroppo gran parte di
queste bellissime aree, ritenute a torto di secondo piano, è seriamente
minacciata dall’incuria, dall’inquinamento e dalla mancanza di
interventi di manutenzione, o in alcuni casi è andata definitivamente
perduta, seppellita sotto strade, tangenziali, edifici o inglobata da
lottizzazioni selvagge.
Ciò che in qualsiasi altro
Paese d’Europa sarebbe tutelato, salvaguardato e valorizzato al massimo come
semplice memoria storica, ma anche come occasione per sviluppare attività
turistiche e creare nuovi posti di lavoro, da noi viene
considerato come un fastidio e un ostacolo all’urbanizzazione. Soprattutto
nella Campagna Romana si possono osservare decine di casi di questo tipo: in
serio pericolo sono le torri semaforiche situate grosso modo
intorno al GRA; i numerosi casali fortificati del ‘600; gli archi degli
acquedotti romani nella zona dell’Agro prenestino;
senza considerare i ritrovamenti effettuati durante gli scavi per le fondamenta
di palazzi fatti sparire senza troppi indugi, di cui non si saprà mai nulla.
Questo è il motivo per cui ho accolto l’invito dell’amico Pietro Gallegra, con l’augurio che altri facciano lo stesso
condividendo il proprio materiale, per la creazione di un database fotografico
su web; la documentazione e quindi la conoscenza può incentivare la visita di
questi luoghi e contribuire a creare una maggior coscienza della loro
importanza e quindi arrestare o quantomeno rallentare la loro scomparsa.
Sezioni
Borghi abbandonati – Città morte (2)
La maggior parte delle foto sono state riprese
negli ultimi anni, durante escursioni in gruppo effettuate principalmente nel
Lazio, Umbria e Abruzzo. Per avere maggiori informazioni sui luoghi si può
andare sul sito: www.geonauti.altervista.org
o scrivere a: andmail@quipo.it