I salti mortali del centrosinistra per sostenere l'operazione Telecom-Tmc

E questa sarebbe la Tv dei ragazzi?


Don Bartolo

Dall'alto della sua esperienza e autorevolezza, Don Bartolo ci regalera', di tanto in tanto, le sue riflessioni su quel mondo nel quale la grande finanza si intreccia con i giornali e la comunicazione. Grazie, Don Bartolo, per aver accettato la nostra proposta, e buon lavoro nel nostro Fumoir.
 

  26 Gennaio 2001

Ora che anche l’Antitrust si è pronunciato sull’operazione Seat-Telemontecarlo (“Nulla da obiettare da parte nostra, ma prendiamo atto del no dell’Authority per le comunicazioni e dunque l’operazione è preclusa”), lasciano ancora più sconcertati le reazioni a caldo di Giuliano Amato: “Per consentire la fusione servirebbe un decreto, ma non c’è più. Forse si potrebbe pensare a un regolamento… E d’altra parte se cade Cecchi Gori ne trae vantaggio Medusa, cioè Berlusconi”.

Abbiamo capito bene? Il presidente del Consiglio, Giuliano Amato, ha realmente detto che il governo ha preso in considerazione l’idea di un decreto legge per mettere una pezza al verdetto di un’Autorità di vigilanza, ma siccome manca il tempo “si può pensare” a un regolamento? 

E il tutto perché “ne trae vantaggio Medusa, cioè Berlusconi”, cioè il capo dell’opposizione? Sembra di esser tornati ai tempi della "guerra dei puffi", quando Bettino Craxi firmava decreti leggi "ad usum Berlusconi".

Certo che abbiamo capito bene. D’altra parte quello stesso governo, nell’agosto scorso, quando era chiarissimo che l’acquisto di Tmc da parte del gruppo Telecom violava il divieto – giusto o sbagliato, ma comunque legge dello Stato - per le concessionarie telefoniche a comprare emittenti televisive in chiaro, quello stesso governo dunque si era precipitato a garantire che sì, la legge lo proibiva, ma “quella norma era superata”, e dunque sarebbe stata immediatamente cambiata. 

Così come quella stessa maggioranza, con Massimo D’Alema premier, aveva seguito con solerte partecipazione la scalata alla Telecom di Roberto Colaninno, giungendo a convocare “a palazzo” il presidente della Consob. Una roba mai vista ai tempi di Craxi e Andreotti. 

E’ ovvio che Don Bartolo non fa il tifo per il Cavaliere o per le sue aziende: sono fatti suoi (e, come diremo più avanti, la sua è una vittoria di Pirro). Ciò che scandalizza e che abbiamo la prova provata che il governo e i più alti esponenti del centrosinistra in tutta la vicenda Telecom hanno messo in gioco se stessi. Liberi gli ingenui di pensare che lo abbiano fatto gratis. O, come dicono, in nome del pluralismo televisivo. 

Perché c’è un punto fondamentale sul quale nessuno si sofferma

La nascita del mitico terzo polo tv non dipende affatto dall’operazione Seat-Tmc. Telemontecarlo è da anni sul mercato. In passato è stata del  gruppo brasiliano Marino, una potenza in Sudamerica. Poi della Montedison di Raul Gardini. Quindi è passata a Cecchi Gori, il quale vi ha aggiunto la sua leggendaria cineteca. 

Finché, grazie ai debiti accumulati dal tycoon fiorentino, Tmc è finita in pegno alle banche, Banca di Roma (tanto per cambiare) in primis. Ebbene, risulta che in tutto quel tempo qualche D’Alema, qualche Amato, qualche Bersani, Giulietti o Vita si sia commosso più di tanto per la sfortunata emittente e per suoi bravissimi (lo diciamo con convinzione) giornalisti? 

Qualcuno aveva suggerito progetti di terzo polo? L’unico tiepido segnale d’interesse da parte della nomenklatura ulivista che ricordiamo è la nomina di Sonia Raule, compagna di Franco Tatò, alla direzione dei palinsesti di Tmc non ancora colaninnizata, quando Tatò strizzava l’occhio a D’Alema. Per il resto, zero. 

Né la premiata ditta Costanzo & Santoro pensava di ubicarvi il proprio Telesogno: meglio chiedere una rete a testa a Rai e Mediaset, con frequenze, ripetitori e investimenti già pagati, e niente debiti. Diciamo la verità: finché non sono scesi in campo Roberto Colaninno e Lorenzo Pellicioli, il duopolio Rai-Mediaset stava bene, anzi benissimo, alla sinistra e a mamma Rai così come a Berlusconi e a Mediaset. 

E d’altra parte non è che allora, come ora, se Telecom-Seat usciranno di scena, Telemontecarlo non sia stata o non sia più sul mercato. Un Tronchetti Provera, per esempio, potrebbe benissimo comprarsela spendendo neppure un quinto delle sue stock option. O un Del Vecchio, un Diego Della Valle, un Merloni, un Soru, un Micheli, uno Scaglia, un Crudele (quello della Finmatica). Nessuno di loro ha il problema della concessione pubblica. Vi risulta che la sinistra si sia mai scaldata per un’ipotesi di salvataggio di Tmc da parte di questi miliardari? 

La realtà è che Telemontecarlo “doveva” andare a Telecom-Seat. Intanto perché così si chiudeva lo scambio di cortesie iniziato con la scalata di Colaninno all’ex monopolista telefonico. 

E poi perché, al di là delle smentite da parte di Pelliccioli e dei suoi divertenti annunci di voler fare una tv tematica per giovani, Seat-Tmc aveva realmente l’ambizione di battere Rai e Mediaset sul terreno della televisione generalista, l’unica che interessa ai politici che Mtv non la guardano mai, ma di Vespa, Costanzo e Lerner conoscono tutti i numeri di cellulare.

Una prova dei reali progetti di Colaninno e Pellicioli? Per lunedì 5 febbraio il numero uno di Telecom ha in programma un incontro con 350 analisti internazionali. Tra gli argomenti in agenda c’era il palinsesto di Tmc

E mentre filtravano, a beneficio del parco buoi della borsa, abbondanti indiscrezioni su una imminente sentenza favorevole dell’Authority delle telecomunicazioni (rumors che hanno fatto salire il titolo Seat del 25 per cento in quattro giorni: interessa alla Consob?), negli uffici di Pellicioli, dell’amministratore delegato di Tmc Ernesto Mauri e del direttore generale Roberto Giovalli era tutta una girandola di incontri con divi Rai e Mediaset

Paolo Bonolis, Alba Parietti, Amadeus, Alessia Merz, Flavia Vento, e altri (tra cui, pare, Enrico Mentana e il direttore di Canale 5, Giorgio Gori) si sono visti ventilare contratti con rilanci, dicono i bene informati, superiori del 30-50 per cento rispetto ai tradizionali duopolisti. Varietà, fiction, tg: vi sembra il modo per mettere su un tv per adolescenti? 

Direte: che c’è di male? In teoria nulla, è il mercato. In pratica molto da eccepire ci sarebbe. Intanto l’ovvia considerazione che Colaninno-Pellicioli hanno venduto la pelle dell’orso prima di averlo ucciso. Poiché non si tratta di sprovveduti è lecito credere che avessero ricevuto in proposito garanzie, che poi (magari perché è cambiato il vento politico?) non sono state mantenute.

Secondo: la legge che impedisce ad un concessionario telefonico di comprarsi televisioni un fondamento ce l’ha. Ed è proprio quello di cui parla Berlusconi: la Telecom ha un tale flusso di cassa generato appunto dalle bollette, da poter alterare qualunque mercato dei media. 

Si dirà che la Telecom non è più monopolista: formalmente oggi è così, ma al momento dell’acquisto di Telemontecarlo lo era, e comunque continua a godere di una rendita di monopolio (per dirne una, il canone) da autorizzare più di una cautela. E da rendere improponibili i paragoni che vengono fatti con la fusione americana tra America On Line e Time-Warner-Cnn: Aol non ha, né mai ha avuto, canoni pubblici.

Terzo punto: la strategia della Telecom e i suoi obblighi verso gli azionisti grandi e piccoli. L’acquisto di una tv da parte di un’azienda che ha come problema principale i debiti, e come problema secondario quello delle alleanze internazionali, è apparso fin dall’inizio un assurdo. Il Wall Street Journal e il Financial Times, valutandolo con l’ottica del mercato, l’avevano stroncato senza esitazioni.

Ultima considerazione. Comunque sia, le leggi vanno cambiate, i vincoli eliminati, la concorrenza incoraggiata. Se non lo farà il Parlamento provvederà il mercato. 

Se è vero che Tmc fa gola al colosso spagnolo Telefonica (per rendere l’idea: è già proprietaria della Endemol, titolare dei diritti del “Grande Fratello”), vedrete che anche il sorriso attuale di Berlusconi potrebbe presto trasformarsi nella smorfia di chi si è beccato un ko.  Per giunta, se andrà al governo, con l’obbligo di dover fare l’inglese a causa del conflitto d’interessi. 

Ma se si vogliono seriamente liberalizzare i mass media perché non si comincia da qualcosa di ancora più arcaico, per esempio eliminando il divieto d’incrocio tra giornali e tv, la famigerata opzione zero? E soprattutto: quando i politici, in materia di informazione, smetteranno di fare leggi e decreti su misura dei loro amici?

Don Bartolo  

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