Riparte la protesta dei giornalisti del Messaggero

Un pullman per Umberto e Fabio


  3 Settembre 2000

Un pullman pieno di giornalisti dei comitati di redazione romani, fischietti, trombette e cotillons, partira’ il 12 settembre da via del Tritone, proprio sotto la sede del Messaggero, alla volta di Macerata, per accompagnare nella sua nuova sede di lavoro Umberto La Rocca, ex capo del servizio politico del Messaggero, trasferito d’imperio a nelle Marche dal direttore Paolo Graldi, d’accordo con l’editore del quotidiano romano Francesco Gaetano Caltagirone.

Carina no?. I colleghi del Messaggero, solidali con La Rocca, l’hanno pensata bene. All’iniziativa hanno aderito gia’ i Cdr di numerosi giornali. E cosi’, il trasferimento di La Rocca, e quello del collega Fabio Morabito a Pescara (anche per lui ci sara’ un pullman), rischia di trasformarsi, per Graldi e Caltagirone, in un bel boomerang.

Un breve riassunto per chi non ricorda la storia. Nei mesi scorsi, in un crescendo di tensioni tra la redazione del Messaggero e il suo editore (tensioni appesantite dalla nascita del portale Caltanet, che ha inghiottito il sito del Messaggero, e dall’approssimarsi della quotazione in Borsa del gruppo Caltagirone), i giornalisti di via del Tritone si sono piu’ volte riuniti in assemblea per esaminare e discutere l’atteggiamento di Caltagirone e la sua linea che, sostengono, tende a pesare non poco sui contenuti del giornale. 

In una di queste assemblee, il comitato di redazione diede pubblica lettura del piano editoriale presentato dal direttore. Lo stesso Cdr preciso’ che non sarebbe stato possibile riprodurre in fotocopia il  documento, dato che la proprieta’ desiderava tutelare la riservatezza dei progetti di sviluppo del Messaggero.

A lettura ultimata, numerosi giornalisti osservarono che in realta’ il piano si distingueva essenzialmente per la sua vaghezza e inconsistenza. Tra questi Umberto La Rocca, il quale disse piu’ o meno: "In questo piano non c’e’ niente. Se lo mettiamo in votazione non possiamo che votare contro. E sarebbe inopportuno votare contro un direttore a pochi mesi dalla sua nomina. Allora io suggerisco di rispedirlo al mittente in quanto irricevibile. Quando ci diranno qualcosa di piu’ chiaro se ne riparlera’".

Di assemblea in assemblea si arriva cosi’ alla fine di giugno 2000. L’editore Francesco Gaetano Caltagirone e’impegnato nel suo road show di presentazione del gruppo che sta per debuttare al listino di Milano e al Messaggero il fuoco continua a covare sotto la cenere. Proprio nell’ultimo giorno del road show, Caltagirone vede di nuovo il suo giornale scioperare, si incazza come un bufalo. Caltagirone non e’ un tipo proprio persuaso del fatto che i giornalisti debbano lavorare in piena autonomia. Prima che giornalisti, e’ la tesi diffusa nel gruppo, sono dipendenti.

Il 19 luglio Umberto La Rocca e la cronista Elisabetta Cantone ricevono due lettere di trasferimento. La Rocca a Macerata con l’incarico di coordinare le redazioni di San Benedetto del Tronto, Ascoli Piceno e Macerata e la Cantone, anche lei piuttosto loquace in assemblea, spedita a Pescara. Poi l’editore si accorge che Elisabetta Cantone e’ una delegata sindacale e allora l’ordine di trasferimento, ovvero la fregatura, passa a Fabio Morabito.

Sul piano formale, il direttore Paolo Graldi ha giustificato i trasferimenti con esigenze di servizio. Molti in redazione si chiedono ora con preoccupazione quali altre esigenze di servizio emergeranno a Carate Brianza o a Cefalu’

La tensione al Messagero e’ alta. Al Cdr e’ stato affidato un pacchetto di 7 giorni di sciopero. Ne rimangono 5 (due sono stati effettuati) che probabilmente verranno utilizzati in settembre. Ma, al di la’ delle battaglie combattute sul fronte sindacale, rimane sempre aperto il problema dei problemi, ovvero la presenza eccessivamente ingombrante dell’editore in redazione.

Nessuno e’ nato ieri. Sappiamo tutti che in ogni giornale gli interessi dell’editore hanno un peso. Ma sappiamo anche che non devono condizionare, se non altro, la completezza dell’informazione. In fondo il direttore e’ pagato anche per questo, per mediare tra le spinte dell’editore e la redazione, oltre che la sua coscienza.
Ma il Messaggero e’ un giornale dove se Caltagirone dice che non bisogna piu’ nominare il sindaco Francesco Rutelli ne’ mettere in pagina le sue foto, ecco che Rutelli sparisce, come vi ha raccontato il Barbiere tempo fa. O se l’editore decide che per qualche motivo gli sta antipatico, poniamo, Carlo Azeglio Ciampi, bisogna picchiare sul presidente.

Non citiamo Ciampi a caso. Quando l’attuale presidente della Repubblica era ministro del Tesoro nel governo di Romano Prodi, Francesco Gaetano Caltagirone gli chiese un incontro, tramite l’ex giornalista del Messaggero e attuale portavoce del Quirinale Paolo Peluffo. Ciampi, che non ha in simpatia il costruttore romano, la tiro’ per le lunghe e Caltagirone ne rimase profondamente, come dire, "deluso".

All’allora direttore del messaggero Pietro Calabrese, Caltagirone segnalo’ il suo stato d’animo. Sul giornale comparvero a piu’ riprese articoli e commenti assai critici nei confronti della politica di rigore economico seguita da Ciampi. Quanto poi a pubblicare fotografie del futuro presidente della Repubblica, neanche a parlarne. E un bel di’ successe il patatrac.

Erano i giorni della crisi del governo Prodi e dell’ ascesa di Massimo d’Alema a Palazzo Chigi. Un cronista politico del Messaggero, Alberto Gentili, fece un salto a Santa Severa, vicino Roma, dove Ciampi se ne stava in panciolle a riflettere se entrare o no nel governo d’Alema e rusci’ a scoprire che l’ex presidente della Banca d’Italia non aveva, al momento, intenzione di accettare l’incarico di ministro del Tesoro.

Gentili se ne torno’ a via del Tritone con il suo scoopino e scrisse un pezzo in cui si affermava piu’ o meno:  "Certo, se Ciampi rifiutasse davvero, per D’Alema sarebbe un brutto colpo. Ce la farebbe il leader Ds a metter su un governo senza il supporto di uno come Ciampi, il risanatore dell’economia che ha portato l’Italia in Europa?". Scusate se la citazione non e’ esatta alla lettera, ma il senso e’ quello.

L’indomani mattina Calabrese se ne stava per andare al golf  quando dal trillo del telefono capi’ che Caltagirone era di nuovo imbestialito. Lo era. Non era piaciuto all’editore il pezzo di Gentili in cui Ciampi faceva un po’ la figura di un salvatore della patria. C’e’ chi, al Messaggero, considera quello uno degli episodi chiave che hanno portato al divorzio tra Caltagirone e Pietro Calabrese, poi passato alla Rai e quindi alla Rcs.

Insomma, Caltagirone non e’ un editore facile con cui aver a che fare. Ora pero’ il costruttore romano sembra aver trovato con Paolo Graldi una notevole identita’ di vedute. Il problema e’ con la redazione. Il classico triangolo editore -direttore -redazione, in cui si ordina, si media e si esegue, e’ diventato un binomio in cui c’e’ chi ordina e chi subisce. Quanto a lungo puo’ funzionare un giornale cosi’?

La redazione e’ compatta (i documenti assembleari vengono votati in genere con uno o due voti contrari), il direttore non incontra il Cdr da almeno due mesi, i boatos si intensificano al punto di prefigurare nuove iniziative di contestazione alla linea editoriale, compresa se necessario, una mozione di sfiducia nei confronti di Paolo Graldi. Per ora si parte col pullman.
Don Basilio

 


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