La "par condicio" e' un affare troppo serio per lasciarlo nelle mani dei politici

I nemici del mercato delle idee


23 Marzo 2001

Qual e’ la differenza tra le forze politiche italiane che in queste ore si confrontano sulle regole di accesso agli spazi radiotelevisivi in campagna elettorale, e i manifestanti del cosiddetto “popolo di Seattle” che abbiamo visto nei giorni scorsi all’opera a Napoli?

Qual e’ la differenza tra le molotov scagliate in piazza dai dimostranti piu’ oltranzisti dei Centri sociali e i testi e i codicilli che gli specialisti dei partiti in materia di Tv depositano
in commissione parlamentare di vigilanza Rai?

In fondo, se ci pensate bene, proprio nessuna.

Il “popolo di Seattle” si mobilita contro la globalizzazione dei mercati e contro il mercato stesso come regolatore sovrano dell’organizzazione sociale. 

I nostri partiti, impegnati nella campagna elettorale, si stanno mobilitando, nessuno escluso, per limitare la libera diffusione e circolazione della merce piu’ importante  per la vita democratica di un paese (le idee e le informazioni), immaginando astruse regole da applicare all’uso del piu’ potente strumento
del mercato della comunicazione: la Tv.

Forse si puo’ fare a meno delle melanzane geneticamente modificate, ma nessuno puo’ porre limiti, pena la fine della liberta’, al confronto e ai liberi conflitti della politica. 

Da questo punto di vista il comportamento dei partiti (le sinistre scontano in questo un’ irrimediabile vocazione dirigista, ma che dire dei campioni del libero mercato del centro destra?) e’ di gran lunga piu’ intollerabile delle manifestazioni di piazza di Napoli.

Ma il problema della par condicio, si dira’, esiste eccome. E’ giusto, infatti, che tutti abbiano identiche possibilita’ di accesso alla comunicazione televisiva e che, piu’ in generale, alla gara delle urne ognuno partecipi ad armi pari.

L’idea della “par condicio” (orribile espressione coniata da Oscar Luigi Scalfaro) che ha ispirato la relativa legge e’ che nessuno (nella fattispecie Silvio Berlusconi) possa rimbambire di spot (pubblicitari o travestiti da programmi d’informazione) gli elettori, disponendo di una superiore potenza di fuoco mediatica e economica. Ci sembra un principio da condividere. Ma e’ sulla sua applicazione che abbiamo parecchio da dire.

E qui entriamo in ballo noi giornalisti. Nella ricerca di questo improbabile equilibrio di comunicazione politica, i giornalisti, la categoria cioe’ a cui piu’ di ogni altro dovrebbe esser cara al cuore la massima liberta’ espressiva, hanno accettato di giocare di rimessa, subendo, per pigrizia o indifferenza, cio’ che dai leader politici viene accreditata come la “necessita’ di ottenere garanzie dalla Tv durante la campagna elettorale”.

In buona sostanza, questa imposizione di “regole e garanzie”, ha prodotto una par condicio tutta interpretata in chiave difensiva, il cui unico obiettivo e’ comprimere il dibattito politico e l’informazione in una atmosfera dove tutto diviene innocuo e inoffensivo e dove il candidato, come ormai siamo abituati a constatare, non ha mai nulla da temere. E’ per questo (o, meglio, anche per questo) che poi il caso Luttazzi-Travaglio scatena il finimondo.

Noi siamo convinti che ai cittadini italiani (loro si’ che vanno garantiti) sarebbe molto piu’ utile una “par condicio” interpretata dal giornalismo televisivo in chiave offensiva. Il che significa dare a tutti i candidati uguali tempi di esposizione televisiva, preparando loro l’ambiente piu’ ostile che si possa immaginare.

Venga, Cavalier Berlusconi, venga: la interrogheranno Curzio Maltese e Marco Travaglio. Si accomodi, candidato Rutelli. Il nostro Paolo Guzzanti la attende nel salottino per scuoiarla con Vittorio Feltri

Non accetta l'incontro, cavalier Berlusconi? Peggio per lei. Maltese e Travaglio avranno comunque a disposizione un'ora per presentare le loro domande e argomentarle. Si rifiuta, gentile signor Rutelli? 
Vuol dire che Guzzanti e Feltri le passeranno sopra come uno schiacciasassi senza repliche. 

(Mentre sto scrivendo, ecco il Conte d'Almaviva che mi batte sulla spalla: "Figaro, tu sei suonato - mi dice - o hai deciso di cavalcare nei pascoli dell'ingenuita'. E chi dovrebbe raccogliere la proposta dell' "ambiente piu' ostile possibile"? Vespa? I direttori dei Tg? Pensi a un patto tra Mentana e Santoro? Sei fuori dalla realta', Figaro caro, fatti un caffe' e svegliati".)

Puo' darsi che il Conte abbia ragione ancora una volta. Ma a noi sembra che una simile formula sarebbe carina, divertente e soprattutto utile per gli elettori, i quali, inoltre, avrebbero l'occasione di valutare la tenuta nervosa dei candidati al governo del Paese, qualita' non secondaria per chi desidera conquistare la stanza dei bottoni. E saprebbero giudicare l'eventuale rifiuto dei candidati di sottoporsi a un simile esame.

Si uscirebbe forse cosi’ dalla schiavitu’ di questa economia di piano dell’informazione televisiva, restituendola alla legge della domanda e dell’offerta. 

I politici esprimono oggi un’incontenibile domanda di apparizioni televisive, ma solo perche’ sanno di muoversi in un sistema di tutele e “garanzie” che hanno essi stessi escogitato e messo a punto e che li rende quasi invulnerabili.

Ma se il gioco si facesse piu’ duro, siamo sicuri che tutti smanierebbero di tuffarsi nella fossa dei leoni? La domanda di siparietti in tv probabilmente calerebbe, potremmo goderci in Tv qualche filmetto in piu’ e selezionare solo la crema delle trasmissioni di informazione politica.

Una “par condicio” giocata tutta all’attacco, dunque. Una “par condicio” reinventata e soprattutto sottratta alle leggi della convenienza politica e rimodellata nei principi della libera informazione.

Anzi, c’e’ da chiedersi come mai siamo stati cosi’ stupidi, noi giornalisti, da lasciare una questione cosi’ delicata e vitale per il nostro lavoro nelle mani dei Landolfi, dei Falomi, dei Baldini.

Chissa’, forse non e’ tardi per rimediare.

Figaro


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