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di Antonio Bettanini

 Antonio Bettanini e' un esperto "uomo comunicazione". Incorreggibile genovese, oggi Bettanini cura la comunicazione aziendale della Piaggio Aereo Industries e insegna teoria e tecnica della comunicazione. Gli abbiamo chiesto, nel nostro spazio riservato al mondo degli uffici stampa, di spedirci qualche notarella in libertà. Tonino ha gentilmente accettato e il Barbiere lo ringrazia.

3 Settembre 2000 - Se la politica preferisce il gossip

Giornalista e ufficio stampa: è la stessa cosa?
La nuova legge sulla comunicazione pubblica sembra ancora sancire il primato professionale del giornalista nel campo della comunicazione pubblica. Sono nate perplessità, ma anche contrarietà. 
FERPI (Federazione Relazioni Pubbliche) ha richiesto l’apertura di una procedura di infrazione nei confronti del legislatore italiano. La legge sulla comunicazione pubblica determinerebbe una sorta di esclusiva di accesso alla professione per i soli iscritti all’Ordine dei giornalisti, violando così la normativa europea. In attesa degli sviluppi vogliamo appunto, seriamente, cominciare a riflettere noi?

Spokesman, speaker, portavoce.
Ma in Italia chi è portavoce? E’ al momento una casella sostanzialmente vuota e quand’anche esista, perché appunto occupata da qualcuno, finisce per essere muta. Non abbiamo cioè una corrispondenza con il portavoce del presidente americano che ogni giorno distribuisce in appositi incontri pubblici per i media anche soltanto una buona razione di no comment. 

Eppure la politica italiana si è decisamente mediatizzata e personalizzata. Si sono cioè strutturalmente affermate, dalla seconda metà degli anni ’90, due variabili decisive nel mutamento della comunicazione politica. Molta della organizzazione di una possibile comunicazione pubblica è in realtà ancora affidata, in Italia, ad uno scambio di comunicazione privato. 

Ne è prova la proliferazione della comunicazione politica di retroscena: dal mitico Guido Quaranta de L’Espresso al suo allievo Augusto Minzolini de La Stampa, fino all’allievo-dell’allievo, misconosciuto, Francesco Verderami (passato dopo una serie trionfale di scoop per l’AGI alla redazione politica del Corriere della sera). 

Si tratta di una comunicazione "di rapina": senza più bisogno di nascondersi dentro l’armadio nella sala del consiglio democristiano (Quaranta) o di acquattarsi dietro la siepe del ristorante romano (Minzolini). Insomma – al di là di ogni retorica – il mondo della carta stampata produce una particolare trasparenza (gossip politico) in virtù del fatto che la comunicazione politica rinuncia alle occasioni della trasparenza.

Non mi interessa l’eventuale obiezione secondo cui  senza quel particolare gossip la politica sarebbe noiosa. Se invece di raccogliere il pettegolezzo raccontassimo con la stessa ironia e con molta più precisa informazione i contenuti della politica? Per tornare all’interrogativo iniziale: un buon portavoce, nel momento in cui ci si decida ad istituirne la figura, può certo non essere un giornalista. Dovrà avere una buona conoscenza-competenza del mondo della comunicazione.

Quella parte di comunicazione che chiamiamo uffici stampa.
Il capo dell’ufficio stampa e il portavoce lavorano per un mondo che può avere rilevanza pubblica e può (e in più casi deve) essere interessato a far conoscere-produrre eventi che potranno essere trasformati dai giornalisti in notizie. 
Il "direttore" del capo dell’ufficio – prendiamo un esempio ministeriale - è l’istituzione nella sua identità e memoria collettiva, nella sua continuità amministrativa, al di là e oltre l’occasionale temporaneità del suo vertice politico. Quest’ultimo, il ministro nel nostro esempio, sceglierà una persona di fiducia, affidabile, il portavoce appunto, capace di interpretarne il pensiero politico e di essergli possibilmente anche devota.
Tutte queste prime evidenze, appena elencate, portano a dire che giornalisti e capi (o non capi) degli uffici stampa si occupano diversamente di quanto potenzialmente potrà divenire lo stesso oggetto.

"Qualche bugia" sul nuovo film di Nanni Moretti.
Dalla lettura degli articoli da Messaggero e Repubblica (28 e 29 agosto) dedicati al nuovo film di Moretti, La stanza del figlio, sembrerebbe che soggetto e trama siano simili al romanzo Solo qualche bugia… di Arcangela Galluzzo (Antonio Stango editore, 1997).

Nel romanzo, come nel film, malattia e morte per leucemia di una figlia (figlio, nel film) sconvolgono la vita di una famiglia. In entrambe lo storie il matrimonio dei genitori va in crisi per la malattia della figlia-o. Tra i protagonisti nel romanzo e nel film un cane nero. Queste le prime evidenze. 

Tonino Bettanini

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