Io sono una persona per bene.
Mica faccio il giornalista

14 Febbraio 2001 - Un calcio nel sedere a quella spiona

Cari colleghi, torno su un tema che recentemente è andato per la maggiore tra i visitatori della bottega di Figaro: ma perché i giornalisti sono così disprezzati da venir spesso insultati? La risposta si trova facilmente sulle pagine di quei giornali che leggiamo quotidianamente e che tanti di noi contribuiscono a riempire.

Un illuminante esempio si trova a pagina 3 della cronaca di Roma della Repubblica di sabato 10 febbraio. Un pirata della strada investe due pedoni e fugge. Più tardi però viene identificato. Il pezzo d'apertura rende conto dell'accaduto e contiene un'intervista all'interessato nella quale spiega l'accaduto, le sue ragioni, la sua vita, i suoi sentimenti. Insomma, la notizia sembra pienamente coperta e invece... invece a corollario ecco un altro pezzo a fondo pagina da far invidia ai guardoni più spregiudicati.

Una giovane cronista è infatti andata a citofonare a casa del pirata della strada per carpire chissà quali segreti in aggiunta a quello che già aveva dichiarato al suo giornale. Risultato: "Non abbiamo nulla da dire". 

La giovincella insiste. Citofona di nuovo e risponde l'avvocato di Sandro M. che spiega che il suo assistito ha ammesso l'incidente, è scappato per paura ed ora è in stato di shock. C'è da capirlo, certo, non da scusarlo, ma non sembra proprio esserci nulla di strano. Eppure la ragazza-mastino non molla e... idea geniale!... riesce a farsi aprire dai vicini e si mette ad origliare da dietro la porta dell'appartamento.

E' il pezzo forte dell'articolo che racconta per filo e per segno i discorsi di coloro che si trovano dentro l'abitazione. Il tenore è: " ma sì, poi tu guidi piano, anche con papà hai sempre guidato piano", un vero scoop. Forse sarebbe stato istruttivo se qualcuno avesse inavvertitamente aperto di colpo la porta per prendere a calci nel sedere la tenace cronista accompagnandola fino alla soglia del portone d'ingresso.

Sono proprio questi comportamenti per i quali, giustamente, i cronisti vengono visti come dei veri e propri sciacalli. In questo caso, tra l'altro, non c'era alcuna ragione di un simile comportamento, visto che la notizia era già stata sufficientemente coperta. Nulla ha aggiunto il pezzo della spiona.

Ma in questo caso trovo vi sia un ulteriore aggravante: se è vero che molti giovani cronisti devono rovistare nel torbido per riuscire ad ottenere uno spazio in pagina (basta che non sia qualcosa che trovo sulle agenzie, tuonano i capicronaca), i redattori responsabili dei servizi che ci stanno a fare? L'atteggiamento della collega è deprecabile, ma quello del capocronaca è sicuramente peggio. Ha deciso, pubblicando il pezzo, di avallare uno sciacallaggio ignobile e, soprattutto, davvero inutile. Un bel calcio nel sedere se lo meriterebbe davvero anche lui. C'è qualcuno che si vuole mettere in fila?
therazor@libero.it


24 Gennaio 2001 - Arrogante e bugiardo ci sarai

Intervengo di nuovo sul caso di Guido. L'intervento di Re Pubblico mi ha fatto letteralmente inferocire per cui gli rispondo punto per punto come se quelle domande le avesse fatte a me: 

1) Sono orgoglioso del mio lavoro, perché lo faccio con onestà intellettuale e scrupolo. Non scrivo niente che non abbia controllato e verificato. Spesso attirandomi delle antipatie: ma non è un atto eroico, è che non so fare altro.

2) Regali, tangenti, cadeaux li hai beccati tu, caro collega, io neanche un fazzoletto, forse perché non sono Re pubblico.

3) Io non gonfio le note spese (è tutto comprovato).

4) Io tutta questa protervia non ce l'ho, posso sbagliare perché lavoro per un giornale e non professo ex cathedra come te!

5) Arrogante, bugiardo e impenitente sarai tu!!!

Infine, caro Re pubblico che protetto dall'anonimato pontifichi e strologhi su tutti noi regalandoci la patente di mascalzoni, perché non cambi mestiere? Io, il mio lo amo e gli sto sacrificando praticamente tutto, anche gli affetti familiari, ho nome e cognome: sono 
Giovanni Ruotolo del quotidiano Torino Sera


24 Gennaio 2001 - Scrivo di corpicini perché non ho tempo

Anche nella mia famiglia c'è stata una "vittima" dell'informazione affrettata, che per questo è stato bloccato per anni nella carriera, oltre al fatto che abbiamo sofferto tutti per quello che è successo.

Ormai sono passati più di dieci anni da quell'episodio, le cose si sono risolte, i tribunali gli hanno dato ragione, come sempre ad anni di distanza, anche se, quando ne riparliamo, i ricordi hanno sempre una
punta di amarezza. Ma anche in quel caso ci furono giornalisti onesti e precisi, con la voglia di seguire la storia fino in fondo, e altri un po' meno.

E' quello che vedo ogni giorno, nelle pagine di tutti i giornali. Il problema è capire se le scorrettezze, i titoli urlati, il fatto che c'è una parte di mondo che non riesce ad entrare nelle pagine dei nostri giornali o ci entra solo quando c'è la catastrofe, è uno "
scotto" che dobbiamo pagare alla frenesia, alla velocità con cui dobbiamo rincorrere le notizie, alla concorrenza, o se il modo con cui si fa informazione è malato nella sua struttura portante. Se dentro i giornali c'è spazio (e quanto) anche per scrivere cose pensate, storie di donne e uomini, per confrontarsi oppure no.

Certo rimango sempre stupita quando leggo
le interviste dei direttori. A parole conoscono perfettamente i problemi, ma quando si va a confezionare il giornale chiedono le stesse cose o fanno fare le solite copertine. Ad ogni modo io non mi vergogno di fare questo lavoro. Ho fatto molti errori, dovuti soprattutto all'inesperienza.

E ho fatto male anche ad una famiglia, per come trattai il caso del loro
figlio morto, non si sapeva bene se per suicidio o per disgrazia. Vi assicuro che affrontare i genitori di questo adolescente, rendermi conto che l'investigatore che mi aveva fornito le informazioni mi aveva usata per far risaltare una sua operazione e mettere in cattiva luce quella di un collega, è stata una esperienza di vita che mi ha insegnato moltissimo. Non ho potuto far molto per rimediare, per quei genitori: ho ascoltato la loro rabbia e il loro dolore e ho chiesto loro scusa. A loro è bastato, non hanno voluto neanche fare poi una rettifica. Da allora ho sempre in mente che scriviamo di persone, non di nomi sui fascicoli.

Non mi sembra di essere stata più arrogante con nessuno. A volte scrivo anch'io, l'ho già detto, di
lamiere contorte e di corpicini straziati. E neanche di questo mi vergogno. E' per la fretta, per la mole di  lavoro. E' vero, chi ha tempo potrebbe sforzarsi e fare qualcosa di meglio.

Dovremmo sempre tendere a migliorare le cose, soprattutto noi che raccontiamo le storie che succedono alla
gente. Forse, anziché lanciare strali contro la solita "categoria", dovremmo fare un'analisi più precisa di quello che ci sta succedendo, dove sono le cose che non funzionano, chi dovrebbe cominciare a cambiare, come cambiare. E poi bisognerebbe avere il coraggio di farlo.
Freedom
Ps. Ora devo andare. devo fare un rimborso spese di 33mila lire, è del 16  novembre, ma da allora non ho ancora avuto tempo di scriverlo.


23 Gennaio 2001 -  La gente e' stanca di noi, e forse ha ragione

Coraggio Guido, non ti abbattere per un insulto alla nostra categoria. Se ci fosse qualcosa di personale avresti ogni mia solidarietà, ma quello sbattere la porta in faccia al nostro mestiere credo sia il minimo che ci si deve aspettare. 

Anzi, lo considero addirittura un buon segnale, perché se tutti facessero così e cominciassero anche a smettere di acquistarci in edicola (e di seguirci in televisione) forse saremmo costretti finalmente a cambiare metodo e a diventare tutti un po' più seri.

Tu davvero ti senti orgoglioso di fare questo mestiere? Non ti vergogni un po' quando leggi le cose volgari, superficiali, false, strillate, gonfiate, ''montate'' come dicono i capo redattori, che ogni giorno scriviamo?

La nostra è l'ultima corporazione sopravvissuta in 50 anni di democrazia cristiana e in 10 di seconda repubblica. Noi siamo persino riusciti a scampare alla morsa stritola-tutto di mani pulite, che pure avrebbe avuto un gran bel da scoprire nel nostro settore (vogliamo parlare dei cadeaux-tangenti che abbiamo accettato e continuiamo impunemente ad accettare dalle grandi aziende? Dell'insider-trading di cui godono molti privilegiati corrispondenti economici? E cosa dire di quel furto-truffa-saccheggio costituito dalle note spese degli inviati, soprattutto all'estero?).

Non facciamo le verginelle. Noi siamo una casta intaccabile che pretende di godere dell'impunità e dell'infallibilità: se scriviamo una minchiata nessuno deve osare smentirci. E se qualcuno ha il coraggio di farlo si becca in coda due righe di replica con le quali alla fine fa sempre lui la figura dell'idiota

Noi le scuse riusciamo a porgerle solo nel segreto dei tribunali, quando con la coda tra le gambe andiamo a trattare le remissioni di querela. Salvo poi sbandierare la querela medesima come una medaglia all'onor professionale.

Non ho simpatia per i potenti, ma non capisco come possiamo arrogarci il diritto di giudicarli quando siamo uguali a loro: arroganti, bugiardi, impertinenti allo stesso modo. Ora tu, Guido, ti stupisci perché qualcuno ha osato criticare il nostro lavoro. Ma ti è mai capitato di finire masticato dentro le righe di un pezzo falso?

A me no, per fortuna, ma è accaduto a una persona che conoscevo molto bene. Un procuratore gli aveva inviato un avviso di garanzia per bancarotta: lui era innocente, lo giuro (primo grado, secondo grado e cassazione lo hanno confermato negli anni seguenti). Ma il giornale locale (proprio un piccolo, come il tuo) lo trasformò nel mostro della sua piccola città. Lui provò a difendersi, ma ogni suo tentativo di fornire pubbliche spiegazioni veniva rintuzzato con gli incisi stizziti del cronista che diluiva dentro il pezzo fino a farle scomparire le prove della sua innocenza.

Allora il mio amico querelò, e quello che era un legittimo (se pur estremo) atto di autodifesa venne definito dal giornale come ''un attacco alla libertà di stampa''. 

Fu una mossa sbagliata per il mio amico: persino il rappresentante locale del nostro sindacato intervenne in difesa del cronista. E il sindaco della cittadina, che preferiva ingraziarsi il direttore del giornale piuttosto che un professionista qualunque, espresse la sua piena solidarietà impartendo all'imputato una bella lezione di pubblica di democrazia. Per il processo servirono due anni: il mio amico fu assolto sin dal primo grado, ma nel frattempo l'attualità era diventata un'altra e il giornale locale si dimenticò di pubblicare la notizia.

Cronaca ordinaria, caro Guido, di storie come queste ce ne sono a milioni nel nostro paese. Certo, ci sono anche i colleghi eroici, ma purtroppo molti di loro restano sconosciuti anche ai rispettivi direttori. Non cambiare mestiere, giovane collega: sforzati però di comprendere (e la nostra categoria dovrebbe farlo con te) che la gente è stanca di noi. Con affetto,
Re Pubblico


23 Gennaio 2001 -  Chissenefrega di Freud

Scrivo non per sfogo, ma per passione perche' questa professione mi piace e vorrei tanto che il giornalismo fosse apprezzato ed amato dalla gente comune. Passione per l'informazione, per le verita', questo mi porta ad inserirmi nel dibattito aperto sul perche' non siamo apprezzati, anzi molto spesso derisi se non apertamente mandati a quel PAESE.

La gente non ci ama: non e' affatto una novita'. Ci manda a quel paese: ha ragione. Non c'e' nessun motivo perche' debba amare chi deforma ogni giorno la realta' nella 'onnipotenza' di far credere che le cose vadano diversamente da come il buon senso della gente comune interpreta la realta'. Si crede di saper leggere e interpretare la realta' ed invece si manipola, si altera e si stravolge continuamente. Perche'? Non lo so esattamente, ma spesso accade che un fatto circoscritto diventa la realta' vera. Per cui la 'non notizia' diventa la notizia e quindi popolare, la notizia invece diventa 'la non notizia' e quindi impopolare.
Un esempio? Scrivere la verita' su Sigmund Freud, che non ha scoperto nulla, altro che padre della psicoanalisi, e' un assurdo: e' cioe' una 'non notizia' quindi 'impopolare', mentre scrivere il falso, ossia che ha scoperto l'inconscio, e' 'notizia' e quindi e' popolare.

Ancora? Il Giubileo. Servizi televisivi, articoli, un'overdose su ogni uscita del Santo Padre che parla di tutto: dalla pillola del giorno dopo, agli stadi troppo pieni, alla dedizione ai piaceri, dalla genetica all'eutanasia alla tutela ambientale.
Non che non ci siamo i cattolici in Italia. Ci sono ma non sono affatto la maggioranza, per cui il Giubileo e' si' un avvenimento da registrare, ma non e' l'Avvenimento Assoluto. Il Papa e' il Papa, come il Presidente della Repubblica e' il Presidente della Repubblica. Se alcuni corrono ad inginocchiarsi al Papa, non e' vero che tutti si inginocchiano a Lui. Tanti se ne fregano, molti lo ignorano.
Se fosse vera  certa informazione, la gente farebbe l'amore solo per procreare; le famiglie sarebbero unite fino alla morte; le coppie di fatto non ci sarebbero; non si ricorrerebbe alla fecondazione assistita; non si cercherebbe comunque ogni 'cura' possibile, anche mediante la genetica: e invece la gente vuole divertirsi, godersi la vita, star bene, andare allo stadio, gustarsi tutti i piaceri della vita.
Si scrivono queste cose? No, non fanno notizia, sono impopolari. Quando non scatta l'autocensura e' pronta la censura. Ubi maior, minor cessat. Si puo' scrivere che la pedofilia e' una malattia mentale? No, e' vietato. Eppure di fronte ad orribili omicidi di bambini e bambine si scrive o si dice 'il pedofilo e' un deviato', mentre la gente urla 'e' un pazzo, un folle'.
Pagine e pagine per celebrare Freud, per discettare di Illuminismo, Ragione e Religione: argomenti forbiti ma che alla gente non interessano minimamente. E chi e' Freud? Un imbecille, risponde la gente. E Voltaire, Rousseau? E' storia, aria fritta. Parole al vento.

Pagine e pagine sulle droghe illegali (spinelli, ecstasy, marijuana) non una riga su quelle legali (psicofarmaci) che si consumano insieme. Ma le prime vanno proibite le altre vanno incentivate: ipocrita chi grida allo scandalo per salvarsi la propria coscienza! Ma e' questa la 'Cultura della Droga' che si vuole imporre come modello di vita: se vuoi la felicita' prendi il Prozac o l'ecstasy! Perche' non si e' capaci di rispondere alle giuste esigenze degli adolescenti, che vogliono amore non indifferenza.

La 'Kultura' si trasferisce ai mass-media che fanno di un'erba un fascio: tutti i giovani sono persi, sono 'Gioventu' bruciata'. E non e' vero: il buon senso della gente dice questo. Ma ai giornalisti non importa: dal loro 'piedistallo'  dove sono accomodati, imperterriti, continuano a scrivere di una realta' che non c'e' o che almeno va in tutt'altra direzione: divertimento, viaggi, gite, discoteche, sesso, tanto sesso, per 'godersi' questa vita, la sola ed unica vita a disposizione.
Carlo Patrignani (AGI ROMA)

18 Gennaio 2001 - Un vaffanculo prima o poi ti tocca

Così: il direttore che ha mandato il povero Guido a informarsi dalla famiglia del morto è un direttore coglione. Così: le cose che avrebbe potuto apprendere dalla famiglia - se solo non ne fosse stato mandato affanculo - Guido le avrebbe potute sapere da Polstrada, pronto soccorso & Co (notoriamente solerti nel soddisfare le nostre richieste di informazione, peraltro). Così: se anche fosse stato ammesso in quella casa dove si facevano i primissimi conti con la dolorosa consapevolezza del lutto, Guido avrebbe solo potuto fare un sacco di domande stronze.

Se ne deduce infine in primo luogo che Guido, povero pivello, è giovane; in secondo luogo, che per la pagnotta si fa anche di peggio. Tutte notizie che apprendo leggendo il Barbiere. Ehi, ma santo dio! L'ufficiale giudiziario viene forse accolto dalle fanfare dei debitori? Il pediatra dalle grida di giubilo dei bambini? Il dentista da moti d'affetto del cliente? Santo dio (e ridaje): essere mandati affanculo fa parte del mestiere, e di quell'inevitabile gioco delle parti a cui siamo costretti tutti i giorni al non trascurabile scopo di guadagnarci da vivere. Indipendentemente dal lavoro che si è scelto, si è subìto, o si ha la fortuna di fare.

Certo: può essere vero che del morto non frega niente a nessuno. Ho perso perfino il conto dell'infinità di occasioni in cui io per prima ho detto a me stessa che parlare con le famiglie dei morti era un'inequivocabile stronzata. Ma qualcuno crede forse in buona fede che non sia una stronzata sentirsi dire ogni tre ore, in incredibile apertura di ogni tiggì, come se la stia cavando il Nasdaq a Wall Street?

È vero che le domande che si potevano fare, forse, erano domande stronze. Ma non è detto che tutte le domande possibili fossero stronze. Mi verrebbe da dire che, in linea generale, un elemento fondamentale della capacità professionale del singolo giornalista risieda anche nella sua capacità di scegliere quali domande siano da fare a una persona invece che ad un'altra, e quali in una situazione piuttosto che in un'altra. Io continuo a credere che tacere - tacere le domande, intendo: solo quelle; perché i commenti, quelli sì che sarebbe bello saperli tacere - è il contrario del  nostro lavoro: bisogna SAPER DOMANDARE, piuttosto. E non saper tacere. E bisogna anche saper convivere con il gioco delle parti che a volte ti situa dall'altra parte della barricata rispetto al tuo interlocutore: è normale, sta nei fatti, è inevitabile.

Quanto alla visita di Guido alla famiglia del morto, poteva perfino darsi - chissà - lo strano caso che i parenti del morto gradissero - che so - l'idea di affidare all'inchiostro del giornale cittadino un ricordo che, del loro familiare, fosse il più possibile attento, accorto, delicato e rispettoso proprio perché ai concittadini lo comunicavano loro. Non ci sarebbe stato niente di assurdo, credo. Era una reazione possibile esattamente come quella che hanno scelto, il vaffanculo.

Certo che questo è il lavoro più bello del mondo. Certo che per un'infinità di ragioni meritiamo i vaffanculo del mondo intero e perfino delle galassie più remote. Certo che dentro i nostri notiziari non c'è quasi mai la vita vera. Certo che siamo schiavi dell'Ansa. Certo che bisognerebbe «parlare con la gente» come scrive Piccoloschermo (a parte il fatto che anche noi siamo «gente», e potremmo anche ricordarcelo, no?). Certo che siamo approssimativi. Certo che dà un fastidio tremendo vedersi quotidianamente accomunare - solo perché con  loro condividiamo il tesserino bordeaux - a colleghi che ci fanno orrore.

Certo tutto. Ma una cosa è la categoria; una cosa siamo noi: e mi pare che se qualcuno ci manda affanculo potremmo anche essere in grado di assorbire il colpo. Corrono brutti tempi - collettivamente, intendo - e nemmeno i nostri istituti di categoria sembrano accorgersene, chiusi come sono nel loro patetico fortino (per averne esempio, si può leggere la faccenda dell'Inpgi2). Ma all'interno del rapporto uno-a-uno può anche succedere di essere mandati affanculo. Pazienza: fare il giornalista comporta anche questo. A patto che il vaffanculo che ci propina un individuo non si trasformi nell'olio di ricino che ci somministrano le squadracce.
Federica


18 Gennaio 2001 - Non siamo cacciatori di pasticcini

Caro Guido, mi stupisco del tuo stupore. Essere respinti, fisicamente o a paroloni, dai parenti di una vittima (d'incidente auto o altro, non importa) è la regola e non c'entra niente il giornale di provincia o la cronaca cittadina di un grande giornale. Su quei "fatti" si va e basta, perché la cronaca è questa. Altra cosa è saperla raccontare con sobrietà, con rispetto del dolore altrui, con ricchezza di particolari ma senza il gusto dell'orrido e senza cinismo.

Hai mai pensato, Guido, a metterti dalla parte di quello che ti ha insultato? Hai mai pensato quando scrivi un pezzo a metterti dall'altra parte, dalla parte di chi legge o di chi è protagonista dell'articolo? E' un buon esercizio. E' quasi impossibile essere accolti a braccia aperte da chi ha perso un parente in un modo così tragico: che cosa pretendevi, che ti offrissero i pasticcini?

Il giornalismo purtroppo è visto soprattutto nei suoi lati peggiori e non c'è rimedio, secondo me, che cercare ogni giorno di limitare i nostri errori, le nostre presunzioni, di migliorare il nostro italiano che qualche volta va a farsi benedire, cercare di essere rispettati quando si scrivono venti righe sul tuo giornale o un'"apertura" sul Corriere. E si viene rispettati sempre solo quando si è onesti, con se stessi  e con gli altri.

Forza Guido, non t'incazzare. Quel "vaffanculo" fa parte anche "tecnicamente" del mestiere. Prendilo per il verso giusto, perché viene da una persona distrutta dal dolore. Sarebbe stato molto peggio se fosse venuto da una persona "colpita" da un pezzo disonesto.
Un collega che ha fatto la gavetta in "provincia"


16 Gennaio 2001 - Finche' non capita a noi...

Caro Guido, dici che ti insultano perchè scoprono che sei un giornalista? Senti cosa è capitato a me l'altro giorno. Mi sentivo male:un dolore acuto allo sterno.Ho preso un taxi e mi sono fatto accompagnare al pronto soccorso di un grandissimo ospedale pubblico milanese.

Mi sono presentato alla "reception"e mi hanno chiesto un documento prima ancora di visitarmi(stavo male e credo che lo capisse chiunque). Ho dato la mia carta d'identità. A quel punto la persona che stava al pronto soccorso ,con i miei documenti in mano,mi ha chiesto"dove è nato?". 

Stavo per svenire dal male. Sono riuscito a farle notare che tutti i miei dati sono scritti molto chiaramente sulla carta d'identità che aveva in mano. Mi ha guardato male. Solo dopo ho scoperto che al pronto soccorso di quell'ospedale pubblico non c'e' un medico ma...un infermiere a decidere chi sta male e chi...simula. Dopo circa dieci minuti mi hanno lasciato entrare nel...salone. Una persona mi ha fatto un elettrocardiogramma:solo a mia precisa domanda ho sc operto che non era un medico...

Mi hanno fatto sedere. Una signora,malata,accanto a me ha detto che si aspettano 4 ore prima che un medico ti visiti. Ho chiesto se era vero ad un medico che passava:mi ha detto di si.4 ore prima che un medico del pronto soccorso ti visiti a Milano? Si.Sul mio documento di identità c'e' scritto "giornalista" e loro l'avevano visto benissimo. Giornalista o no a Milano ci vogliono 4 ore per essere visitati d'urgenza? Sai perchè la gente non ci sopporta più? Perchè fingiamo di non sapere finchè non capita a noi. E questo non è il modo di fare.Non è ora che ,per una agenda o una bottiglia di spumante,smettiamo di non vedere queste piccole grandi miserie? Forse,dopo,ci rispetteranno di più.
Apriti cielo  


16 Gennaio 2001 - Quante domande idiote

Caro Guido, permetti il caro ed il tu professionale, anche se non ti senti tanto giornalista?

No, la mitica gggente con tre g non ti manda affanculo perché sei un giornalista, ma perché ti presenti in casa sua, in momenti di lutto, per fare domande stronze, e non certo per tua iniziativa, bensì inviato lì da stronzi. Troppo crudo? E no. 

Io non ne posso più di "cronisti" che armati di cono gelato sputtanano l'intera categoria chiedendo a poveri cristi ai quali hanno ammazzato un parente: "Signora che cosa ha provata quando ha saputo che suo figlio/suo marito/sua padre è stato ucciso?", con la seconda domanda stronza: "Ma lei perdona l'assassino?". Armati di cono gelato perché, spessissimo, i "cronisti" in questione sono quelli di radio e tv, locali e, ahinoi, nazionali.

Dove, beninteso, lavorano - spesso giovanissimi e con contrattualizzazioni inadeguate - fior di giornalisti (venite a dare un'occhiata a Montecitorio, dove i cronisti più attenti, laboriosi ed intelligenti sono quelli dei network radiofonici). Ma dove anche, spessissimo, il primo garzone di barbiere (pardon...) e la prima sciampista (rinnovo le scuse...) che passano vengono scaraventati in diretta video o audio con appunto in mano il famigerato microfono con maxi-logo.

Caro Guido, manda affanculo il caposervizio (o quel che è...) che ti ha spedito a fare l'avvoltoio in casa del morto, e sta' tranquillo: anche se non godiamo di buona stampa, i comuni mortali non ci mandano a quel paese se proprio non li sfruculiamo noi...
Giuseppe Mazzarino - cronista parlamentare della Gazzetta del Mezzogiorno


15 Gennaio 2001 - Non abbiamo il doppio zero

Il diritto di cronaca non da', come a 007, la licenza di uccidere. Rivolgersi a una persona che ha appena perso una persona cara, è da sciacalli. In ogni caso, difficilmente potrebbe dare informazioni di tale importanza da giustificare un'invasione della propria vita tanto grave.

E anche se fosse, in ogni caso bisognerebbe pensarci 4 volte prima di suonare il campanello. Al collega che si rammarica di essere stato mandato a stendere, io rispondo che non poteva aspettarsi una reazione diversa.
Gianni


15 Gennaio 2001 - Cosa vorra' quel simpatico cronista?

Caro Guido, ho letto sul Barbiere della tua incazzatura per il 'fanculo "senza nemmeno chiedere perché ero lì". Dunque, vediamo un po'... Mi è appena morto il padre in un incidente stradale, che cosa vorrà quel simpatico giornalista che suona alla porta? Vorrà forse chiedermi che cosa penso della squadra di calcio del paese? Vorrà chiedermi un'opinione in merito all'operato del sindaco? Certo, come no! Via, non prendiamoci per il culo: andare a casa dei morti per recuperare la foto fa parte del tuo lavoro, e se questo non ti piace "per principio", forse faresti meglio a trovarti un'altra occupazione, tanto per scelta non hai nemmeno preso la tessera!

Quello che ti ha insultato non ha insultato la categoria
, ha semplicemente avuto uno sfogo con uno che gli rompeva le palle. Sono stato per due anni caporedattore del Giornale di Vimercate, fratello maggiore del tuo Giornale di Treviglio, e quindi so benissimo di che cosa sto parlando: nei giornali locali sono queste le notizie che i lettori vogliono avere, e un vaffanculo ogni tanto è da mettere in programma. Si chiama "gavetta", questa: ne hai mai sentito parlare? Per concludere, ti consiglio di sottoporle anche a Baiguini e alla Zonca, queste tue riflessioni.
Luca Rigamondi


15 Gennaio 2001 - Porgi l'altra guancia

Caro Guido, forse sei giovane, forse più giovane di me. O forse no. Comunque, evidentemente, nella tua carriera - breve o lunga che sia - mai ti era capitato di essere mandato a quel paese. Bene, mi pemetto di dirti che sei stato fortunato e che chi ti ci ha mandato l'altro ieri, ne aveva tutti i diritti. 

Magari non sarà stato un gentleman, ma in un momento drammatico come quello della morte di chi si ama chiunque se ne strafrega - e giustamente - della forma. Sicuramente chi ti ha offeso, come dici, non ce l'aveva con te e magari non ce l'aveva neppure con la categoria che ha insultato. Era solo fuori di sé per il dramma personale che stava vivendo. 

E bisogna capirlo, Guido. E' la prima cosa che a noi spetta fare: capire la gente. Avere tatto, una grandissima pazienza. Perché? Quando ci si avvicina a un certo tipo di lavoro, si devono capovolgere le situazioni. Non siamo i
cinici signori che raccontano la morte, le tragedie, ma uomini, donne, con un cuore, un'anima, e una professionalità che se non siamo capaci di tirare fuori... e meglio se ci occupiamo di qualcos'altro. Credo che quel vaffa, per te, potrà essere taumaturgico. Non esserne offeso, ti insegnerà qualcosa. Ciao
Una giornalista giovane. Che pensa


11 Gennaio 2001 - Cosa non si fa per la pagnotta

Caro Guido, ho letto il tuo sfogo e poiché sei tu stesso a sollecitare un’opinione mi permetto di dartela. Perché ti ha insultato? Ma la risposta te la sei data da solo quando ti chiedi se sia giusto presentarsi a casa dei parenti di gente appena morta e aggiungi subito che tu non lo faresti per principio. Bene, allora non farlo più..

Capisco che nei giornali locali i compaesani morti fanno notizia e mi rendo pure conto che molto probabilmente, hai un direttore coglione che ti ha obbligato ad andare a casa del morto. Forse avresti potuto fargli notare che si poteva comunque costruire un pezzo decente parlando con la Polstrada che ha eseguito i rilievi o col Pronto Soccorso dove il malcapitato sarà stato certamente portato, col guardiano dell’obitorio o al limite con qualche amico.

Non l’hai fatto e ti capisco pure: deduco che sei molto giovane e che, comunque, per la pagnotta si fa di anche di peggio. Non ti meravigliare però se la figlia (o il figlio) ti ha mandato a farti fottere.

Ma cosa volevi chiedere? Potrei farti un elenco di domande stronze che purtroppo mi capita spesso di sentire anche da colleghi e colleghe più anziani di te e che lavorano in testate più prestigiose (con tutto il rispetto) della Gazzetta di Treviglio. Ne cito una per tutte che è quasi un cliché: “Cosa ha provato quando le hanno detto che suo padre era morto?”

Ma voglio rilanciare la sfida: se il figlio ti avesse lasciato parlare invece di insolentirti, cosa gli avresti domandato?

Quanto a falsità, eccessi, titoli strillati, piaggeria, incoerenza, cinismo, pensi proprio che chi ci accusa abbia tutti i torti? Anche qui un esempio per tutti: da giorni stiamo parlando di uranio arricchito e di annesse leucemie senza avere uno straccio di prova che fra le due cose ci sia un ragionevole nesso. Di questi esempi potrei citartene a valanghe ma probabilmente li conosci anche tu. Ciao.
  Mata Hari


11 Gennaio 2001 - Su' la testa, Porca Miseria!!!

Secondo me non ci sarebbe bisogno di insultare la categoria: e' l'unica che si insulta da sola. Infatti lo stesso collega che si e' incazzato tanto per esser stato strapazzato da un estraneo, dice: "E io tecnicamente non ne faccio nemmeno parte !" Come a dire: "Sono una persona perbene, io, mica faccio il giornalista".

Scusami sai, Guido, ma arrivi alla fine di una giornata faticosa. E anche di un periodo faticoso. Perche' e' pur vero che esistono, come in ogni altra categoria umana e professionale, colleghi lecchini, falsi, raccomandati, eccessivi, arroganti , presuntuosi e quant'altro, ma c'e' una maggioranza assoluta di persone perbene che fanno seriamente il loro lavoro. Quale che sia il loro giornale…Non esistono giornali "troppo piccoli anche per essere nominati", Guido, (su' la testa, epperlamiseria!) e non esisteranno differenze tra le testate finche' ognuna dara' voce a qualcosa, a qualcuno, magari anche ad un solo concetto o ad una microscopica comunita'. 

O ce lo siamo dimenticato che la Liberta' passa attraverso il sapere, lo spiegare, raccontare, denunciare, esprimere, dire…?

Ci sono cene alla cicuta dove colleghi godono a farsi male: "siamo una categoria di merda…incapaci…ignoranti… Hai letto che ha scritto Caio? Allucinante…E quell'altro? Miracolato…La Tale e' diventatata caposervizio. Eccerto, non sai con chi scopa/scopava/scopera'?… Corrispondente quello? Si', dall'albergo… Sai quanto guadagna Sempronio? Indovina perche'… Il Sindacato? Finito, morto. Corrotto." E in qualche altra casa, ad un'altra cena, si stara' svolgendo una conversazione analoga. E poi totopoltrone, spartizioni miserrime "di piantine di basilico sul davanzale" come diceva Fortebraccio, piagnistei su angherie, sottoutilizzazioni, santificazioni (ma solo di colleghi gia' in pensione), autoincensamenti, mobbing "chiarissimi"…

Sono anni che ci massacrano da destra e da sinistra, salvo poi svegliarci alle tre di notte per assicurarsi il pezzo, la dichiarazione, l'adeguato risalto a qualche bella pensata che hanno avuto. 

Se il pezzo e' inginocchiato, tutto dovuto, se qualcosa invece non gira o le reazioni esterne non sono quelle che si aspettavano, "il giornalista come al solito ha frainteso. Non ha capito. Ha inventato. Ha utilizzato le mie frasi in modo strumentale…" 

Certo
. Questa e' la linea che si cerca di far passare ormai da anni. E noi, intanto: scatti di orgoglio ? dignita' di professione o di testata? solidarieta' a prova di editore? campus di discussione sulla professionalita'? opera di stimolo costruttivo verso il sindacato? assemblee non per discutere 'sta tragedia che non ci pagano piu' il taxi dall'aeroporto ma per parlare di noi e di come hanno ridotto i nostri entusiasmi?…

Mi fermo, e mi soffermo sull'entusiasmo. Caspita, questo e' il lavoro piu' bello che c'e' . E' privilegiato si', non per i soldi: perche' si sceglie. Perche' e' Passione. Testa. Intelligenza. Cultura. E' la possibilita' di comunicare, di vedere, conoscere. Di andare e fare "oltre". Di essere presenti nella vita degli altri, nelle idee degli altri. Di dare vita ai dubbi, alle domande….

Chiaro, Guido, che tutto questo non glielo puoi andare a dire a uno che ha appena avuto un parente ammazzato in un qualche modo. Lui fa il suo mestiere di giustamente incazzato, ma il tuo mestiere, Guido, e' un altro…  
Serena Iannicelli


11 Gennaio 2001 - Noi, rincretiniti dall'Ansa

Caro Barbiere, la lettera di Guido "Lei è un giornalista? Allora vaffanculo..." ha suscitato in me alcune riflessioni che spero contribuiscano ad un dibattito schietto e sanguigno. 

Guido si meraviglia della reazione della cosiddetta gente comune nei suoi confronti non appena si è qualificato come giornalista, a prescindere dal servizio che stava svolgendo.

 Ma di cosa si meraviglia Guido? Periodici sondaggi ci avvertono della sempre più scarsa considerazione dell'opinione pubblica nei nostri confronti (ed io continuo a ritenermi un "cronista" nonostante le tappe professionali fin qui percorse, attualmente sono vicecaporedattore) e, finalmente, anche alcuni prestigiosi colleghi (cito Antonio Padellaro che proprio dal "Barbiere" ha sollevato la questione) cominciano ad avvertire un senso di disagio, una sorta di scricchiolio in merito al loro, nostro, ruolo.

 Insomma, non mi meraviglia se qualcuno ci "manda affanculo", visto che dal mio piccolo ma variegato osservatorio registro ogni giorno tutte le nostre debolezze e i nostri limiti, la nostra supponenza e la nostra superficialità. 

Conosciamo sempre meno il "mondo esterno" ma ci picchiamo di poterlo raccontare agli altri, chiusi come siamo in redazioni affollate e arredate con monitor e terminali d'agenzia; facciamo surreali riunioni di redazione che il più delle volte si riducono ad una mortificante contabilità dei fatti del giorno, senza mai un'idea o la voglia di una proposta; dipendiamo dall'Ansa (e a seguire dalle altre agenzie) che ormai rappresenta l'unico contatto con la realtà; abbiamo un'opinione degli utenti (lettori - telespettatori) che definire offensiva è dir poco.

Ci atteggiamo a conoscitori della vita armati solo di superficialità e, purtroppo, anche di cialtroneria; siamo sempre più spesso impiegati dell'informazione (ben pagati e che non hanno l'obbligo del cartellino, certo) senza uno stimolo, una curiosità, la tentazione di approfondire o capire, correggere, riflettere. 

E Guido (che è di certo collega rispettabilissimo e anche scrupoloso e attento) si lamenta dell'accoglienza ricevuta? Ma perchè la gente dovrebbe stimarci, rispettarci, fidarsi? Basterebbe, senza affannarsi troppo, guardare qualche volta le "perle" di "Striscia la notizia" su cos'è oggi l'informazione (carta stampata e radiotelevisiva) in Italia per provare un pò di vergogna, arrossire, sentire sudorini freddi dietro la schiena. 

Articoli con dati ballerini, imprecisi, approssimati, termini tecnici sbagliati, ignoranza su tematiche specifiche (penso ai temi scientifici ed economico - finanziari, solo per citare due esempi), addirittura svarioni geografici degni dei 10 del "Grande Fratello". 

E Guido si meraviglia? Tutta la categoria dovrebbe cercare un "nuovo modello di sviluppo", ma siccome è un pio desiderio (qualche volta ipocritamente sbandierato) mi limito a sperare che un buon esame di coscienza sia stato pianificato da ognuno di noi in questo nuovo millennio. 

Io l'ho fatto e le risposte sono sempre quelle: devi essere più attento, informarti, assecondare le curiosità, leggere i giornali, girare per le strade d'Italia e del mondo (anche fuori dell'orario di lavoro), parlare con la gente "ascoltandola", metterti in gioco, ammettere gli errori e compiacerti per le cose ben fatte, verificare e approfondire.

 Infine, devi trasmettere ai colleghi più giovani le tue esperienze e a quelli che non hanno più nessuna passione ripetere: fare il giornalista è e resta il più bel mestiere del mondo. Ma il giornalista, forse, è uno stato mentale, e non stacca mai la spina.
Piccoloschermo 61



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