Giornalisti e portavoce, mestieri diversi

Caro Barbiere, vorrei spiegare perché giornalismo e ufficio stampa sono mestieri diversi e perché, allora, la sovrapposizione fra i due mestieri sanzionata dall'art.9 della legge sulla comunicazione pubblica è offensiva per i professionisti dell'uno e dell'altro. Sarei lieto se qualche lettore della bottega aprisse una discussione in merito.
 

Toni Muzi Falconi
Presidente della Ferpi, Federazione Italiana Pubbliche Relazioni



1. Le relazioni pubbliche nascono come professione negli stati uniti nel ‘900 grazie ad alcuni giornalisti che trasferiscono le loro abilità al servizio dei grandi monopolisti finiti sotto il tiro dei muckrackers (scovatori di lerciume), giornalisti e scrittori progressisti che sindacavano le richieste dei vari Morgan, Rockefeller e Vanderbilt di ottenere lauti finanziamenti federali per completare grandi infrastrutture private (ferrovie, telecomunicazioni, miniere..) senza rendere conto a nessuno. 

Il giornalismo investigativo dei muckrackers influenzava gli orientamenti di Washington e i monopolisti furono quindi costretti a difendersi e anche a servirsi di legali per influenzare il processo decisionale pubblico.

Le prime società di relazioni pubbliche sono Publicity Bureau di Boston (ex giornalisti) 1900 e Wolff di Washington (ex legale) 1904.

Dunque i primi pierre sono giornalisti e avvocati (ufficio stampa e lobby). Le origini sono chiare e note.

2. Soltanto in Italia, oggi, vi sono qualcosa come 50 mila persone che prevalentemente fanno un lavoro, dall'interno oppure dall'esterno delle organizzazioni, che può essere ricompreso in questa definizione:

Relazioni pubbliche sono le attività condotte da una organizzazione per coordinare e gestire i sistemi di relazione con quei pubblici influenti che possono accelerare o ritardare il raggiungimento degli obiettivi.

Fra i pubblici influenti sono: la comunità politica, gli azionisti e la comunità finanziaria, i dipendenti e i dirigenti, la rete distributiva, i sindacati, i giornalisti eccetera.

E' sicuro che una parte di questi 50 mila sono anche giornalisti, così come è sicuro che la capacità di scrivere e di raccogliere e sistemare le fonti sono caratteristiche richieste a (e normalmente assolte da) tutti.

3. I processi in cui si articola il lavoro di relazioni pubbliche partono dal presupposto che l'operatore è, per definizione, al servizio di chi lo paga, ne rappresenta gli interessi, ne condivide e ne persegue gli obiettivi.

Forse nessuna figura organizzativa è maggiormente vincolata dal punto di vista dell'autonomia verso l'esterno.

Questi, in sintesi, i processi:
a)identificare, analizzare, capire e condividere gli obiettivi perseguiti.

b)identificare le variabili sociali, economiche, tecnologiche, culturali le cui dinamiche incidono sul raggiungimento degli obiettivi e possono essere influenzate da una attività di comunicazione mirata.

c)identificare i soggetti influenti su quelle dinamiche.

d)definire i messaggi prioritari che se condivisi dai soggetti influenti possano aiutare il raggiungimento di quegli obiettivi
°trasferire i messaggi agli influenti attraverso ogni canale adeguato.

e)misurare l'efficacia del lavoro svolto.

4. Il fatto che la categoria dei giornalisti sia oggi uno dei target prevalenti dell'attività di relazioni pubbliche sta a spiegare l'importanza assunta dal sistema dei media nella nostra società e la ragione per cui molti giornalisti passano a fare gli operatori di relazioni pubbliche, ma non a motivare che i due mestieri sono la stessa cosa.

5. L'ufficio stampa richiede, prima ancora che una salda rete di relazioni con i giornalisti, la capacità di assolvere i processi sopraindicati.

Nulla di particolarmente difficile, ma del tutto diversi da quelli realizzati da un giornalista nel suo lavoro quotidiano che richiede soprattutto:

a)un saldo sistema di fonti primarie e secondarie.

b)una conoscenza della materia o delle materie trattate.

c)un monitoraggio continuo delle tendenze esterne e delle aspettative dei lettori.

d)un buon sistema di relazioni interne al giornale.

e)una buona capacità di sintesi e di scrittura chiara e comprensibile.

f)il senso della notiziabilità.

g)tecniche tipo/lito grafiche, di impaginazione e di internet e, molto importante, una curiosa e 'unica' bi-dipendenza (dalla gerarchia dell'organizzazione e dal lettore) al punto che la legge ne sancisce addirittura una 'funzione pubblica'.

6. Infatti, il capo ufficio stampa si propone di attirare l'interesse del giornalista su un trattamento dell'informazione favorevole al suo datore di lavoro, mentre il giornalista si  propone di attirare l'interesse del lettore su un trattamento dell'informazione corrispondente alle sue aspettative.

Dunque: due mestieri diversi per finalità, per processi operativi, per dipendenza, per obiettivi.

Detto questo, nulla di più vero che un giornalista, in possesso delle caratteristiche richieste a un operatore di relazioni pubbliche, possa essere e spesso sia, un ottimo operatore di relazioni pubbliche.

Ma da qui a normare per legge dello Stato che soltanto un giornalista possa fare l'ufficio stampa (parte integrante in ogni paese del mondo del mestiere di relazioni pubbliche) ce ne vuole.

In più non può sfuggire a nessuno che questa equiparazione stravolge la funzione stessa del giornalista, quello vero, e toglie qualsiasi giustificazione alla sanzione di funzione pubblica attribuita la giornalismo, a meno che non si voglia sostenere (ma si rasenterebbe la comicità..) che la funzione di ufficio stampa di un ufficio pubblico richieda, per ciò stesso, una specie di pubblico ufficiale che difenda il cittadino dallo strapotere dello Stato.

Toni Muzi Falconi


31 Ottobre 2000 - Caro Muzi, non sono d'accordo
A proposito delle osservazioni di Toni Muzi Falconi, riconosciuto ed autorevole esperto in materia di pubbliche relazioni, occorre sottolineare un aspetto che, da solo, mi sembra possa giustificare le norme che riservano ai giornalisti lo svolgimento di incarichi di ufficio stampa di Pubbliche Amministrazioni.
La funzione di ufficio stampa di un soggetto pubblico, infatti, è - o dovrebbe essere - concettualmente diversa da quella svolta per soggetti privati. Mentre è perfettamente logico che un soggetto privato svolga azione di lobbying, servendosi anche dei media e quindi di un ufficio stampa, compito di un soggetto pubblico è quello di "informare" i cittadini della propria attività: "informare", quindi, e non condizionare l'informazione. 

L'informazione di un soggetto pubblico non differisce - o non dovrebbe differire - molto da quella fornita da un giornale indipendente: richiede precisione, completezza, tempestività. Prevedere che quella informazione sia affidata ad un giornalista - che, in quanto tale, è (o dovrebbe essere) vincolato ad un impegno deontologico di correttezza, completezza e tempestività dell'informazione oltre ad essere professionalmente attrezzato per metterlo in pratica - è quindi del tutto coerente con la missione che un soggetto pubblico deve assolvere in materia di informazione: il che non esclude che altre forme di comunicazione (spot televisivi, campagne promozionali, iniziative speciali) possano essere affidate - come infatti avviene - ad altre figure professionali. 
Credo che sarebbe un errore, in questi tempi di privatizzazioni generalizzate, equiparare un soggetto pubblico come un ministero o un ente locale ad un qualsiasi soggetto privato: il soggetto pubblico deve perseguire l'interesse collettivo e fornire, quindi, puntuali informazioni sul proprio operato; il soggetto privato persegue, legittimamente, il proprio interesse e l'informazione che fornirà sarà quindi funzionale ad esso.
Anche se il senso dello Stato è piuttosto in ribasso fra i valori correnti, seguito ad essere convinto che il dovere di servire i cittadini sia profondamente diverso da quello di perseguire il sia pur legittimo interesse di un'azienda, di un'associazione o di un partito. 
Detto ciò, può valere la pena discutere sulla opportunità dell'esistenza stessa di un ordine professionale dei giornalisti: ma questo è altro discorso e personalmente credo che l'esistenza dell'ordine sia utile anche se dovrebbe essere ricostruita su basi più solide la sua funzione. 
Cordialmente 
Giorgio Ricordy, capo ufficio stampa del ministro Vincenzo Visco


31 Ottobre 2000 - Collega sara' lei!!!
Caro Figaro, buonasera. Faccio il giornalista non da molto, ma una certezza l'ho maturata. Gli addetti stampa fanno esattamente il lavoro contrario rispetto ai giornalisti: se gli uni "spingono" perché alcune e solo alcune notizie abbiano la maggiore visibilità possibile sui media, gli altri dovrebbero selezionare e pubblicare tutte le notizie secondo il loro livello d'importanza. 

Capisco le esigenze di garantire un'occupazione ai "colleghi", ma sinceramente se dovessi un giorno andare a fare l'addetto stampa di chicchessia, non pretenderei un contratto da giornalista. Dirò di più: quando il portavoce del ministro di turno chiede "comprensione" per l'incompletezza o la faziosità dell'informazione fornita con l'orribile formula: «in fondo siamo colleghi», un brivido freddo mi attraversa la schiena... A presto, 
Michele Caropreso


7 Novembre 2000 - Toni replica a Giorgio che aveva risposto a Toni.
Non credo di conoscere Giorgio Ricordy di persona ma ho una buona opinione del suo Ministro e, fidandomi delle sue facoltà di discernimento, proietto a priori identica opinione sul suo capo ufficio stampa, ringraziandolo innanzitutto, per avere accettato l'invito al dibattito.
 

Gli argomenti di Ricordy sono:
1.
°il soggetto pubblico 'informa' i cittadini senza condizionare l'informazione. Come fanno invece, e legittimamente, i soggetti 'privati' che svolgono azioni di lobby servendosi anche dei media e quindi di un ufficio stampa.

2.
°il soggetto pubblico richiede che l'informazione su di sé ai giornali sia affidata ad un giornalista che, in quanto tale, è vincolato ad un impegno deontologico di correttezza, completezza e tempestività.
Indipendentemente dalle ironie…sono due argomenti poco convincenti anche in astratto.

Infatti:
1.
l'informazione è largamente 'condizionata' (nel senso usato da Ricordy, cioè più negativo del termine) dai soggetti pubblici, i quali, come tutti sanno, sono i principali lobbisti di questo Paese, e non da ieri. Sommando quanto le regioni spendono per la loro lobby romana e di Bruxelles si arriva facilmente ai mille miliardi l'anno. 
 

Se a questo aggiungiamo il cortocircuito, frenetico in questo governo, per cui l'agenda del consiglio dei ministri è in buona parte modificata all'ultimo momento dai titoli dei giornali del mattino e questi, a loro volta, sono in larga parte condizionati dal circuito telefonico della sera prima fra i direttori dei giornali e le loro 'fonti' primarie (quasi sempre soggetti pubblici o, comunque, politici)… mai, mai come oggi, l'agenda politica è stata così condizionata dall'agenda mediatica, che, a sua volta, non è mai stata così condizionata dai soggetti pubblici.

Neppure ai tempi di iri/eni/enel/efim/banche pubbliche…, vi era mai stato un 'inciucio' così stretto fra media e soggetti pubblici. 
 

Certo, Ricordy potrebbe obiettare -e farebbe bene- che non si devono scambiare i soggetti pubblici tout court con 'i politici'. Me ne guardo bene! Sostengo solo che la lobby dei soggetti pubblici (nel suo insieme, poiché si tratta di una moltitudine infinita di tante lobby pubbliche fra loro in aspra competizione..) è infinitamente più condizionante di quella degli altrettanto contrapposti interessi dei soggetti privati. 
Si può anche dire che la lobby di un soggetto pubblico tutela interessi collettivi mentre quella di un soggetto privato tutela interessi di parte. 
Sempre in astratto, si potrebbe anche convenire su questa distinzione…ma cosa cambia dal punto di vista del lavoro di un capo ufficio stampa? 

Forse che i processi, gli strumenti, le responsabilità del nostro mestiere cambiano a seconda che gli interessi siano collettivi o di parte? Il sindacato cos'è? Interesse di parte o collettivo? E Legaambiente? E l'Enel? E Telefono Azzurro? Mediaset non era un interesse generale (parola di d'Alema..il Cavaliere se ne guarderebbe bene..)? 
Conosci una sola lobby che, su una specifica questione, non si presenti al processo decisionale pubblico argomentando che gli interessi collettivi sono rappresentati dai propri interessi privati?

2.
il giornalista è vincolato ad un impegno deontologico di correttezza, completezza e tempestività. Vero. 
Gli operatori di relazioni pubbliche sono anch'essi vincolati ad un codice deontologico (la Carta di Atene del 1956, poi specificato e adattato (perché più stringente) alla realtà italiana nel 1984 dalla Ferpi (vedere i testi su www.ferpi.it). 
Proprio una analisi comparata dei due codici potrebbe aiutare Ricordy a capire che si tratta di due mestieri diversi. 
La correttezza, la tempestività e la completezza sono previste in entrambi, ma il nostro codice prevede molteplici fattispecie, tipiche del lavoro di ufficio stampa, per nulla previste da quello dei giornalisti, come del resto è solo normale che sia. 
 

Un solo esempio: se due fonti sono in contrasto fra loro il giornalista può scegliere fra darle entrambi, nessuna o una che ritiene più attendibile. Per il capo ufficio stampa (di un soggetto pubblico o privato che sia) il dilemma è diverso: può dare solo quella ufficiale..e, mi consentirai, non è proprio una piccola differenza.
 

Ma dove mi sento davvero di invitare Ricordy ad una riflessione più approfondita, è quando afferma che nulla vieta naturalmente al soggetto pubblico di informare il cittadino direttamente anche con 'altri' strumenti della comunicazione..e che per svolgere quest'ultimo lavoro non sia necessario essere giornalista (sempre nel senso fin qui indicato di correttezza, completezza, tempestività…).
Sarebbe come dire che al soggetto pubblico è concesso di trasferire direttamente ai cittadini informazioni non corrette, non complete e non tempestive. L'importante è garantire che tali informazioni non vengano trasferite al cittadino dai giornalisti (quelli veri). E come si fa a garantire ciò? Obbligando per legge altri giornalisti -si intende sempre iscritti all'ordine (altrimenti cadrebbero le garanzie deontologiche)- a trasferirsi dall'altra parte. 
In sostanza..a differenza degli altri italiani, i giornalisti, sono dei gran 'boccaloni'. Se non ci fosse un loro collega dall'altra parte a garanzia, non scriverebbero che panzane…
Sono certo che non sia questa l'intenzione di Ricordy…e che la mia sia solo una piccola 'provocazione' che mi consente però di invitarlo a continuare il dialogo.
Toni Muzi Falconi
tonimuzi@tin.it


10 Novembre 2000 - Discutiamo ancora un po'
Accetto volentieri la "piccola provocazione" di Muzi Falconi e provo a continuare questa conversazione che e' sicuramente per me interessante ma che, come del resto è abbastanza logico, scivola su un terreno diverso da quello originario.
Nella sua replica rilevo due punti, fra gli altri, sui quali dissento: la confusione (o quella che a me pare tale) tra "comunicazione" e "informazione"; e l'equiparazione fra la capacità di condizionamento dell'informazione da parte delle istituzioni e quella esercitata dalle lobby (intese come rappresentanti di interessi privati).


Il primo punto e', tutto sommato, marginale, ma richiede un chiarimento perche' ad esso e' legato un po' tutto il ragionamento che ho cercato di esporre nel mio precedente intervento. "Informazione" e', almeno secondo l'uso che io ho fatto del termine, una specifica forma di "comunicazione": un concerto, un film, uno spot pubblicitario sono, nel mio ragionamento, "comunicazione", ma non "informazione" (anche se è facile sostenere che concerti, spot e film forniscono anch'essi "informazioni": pero', per favore, capiamoci): hanno lo scopo di trasmettere emozioni, di stimolare sentimenti o riflessioni. 

Un comunicato stampa che illustra un provvedimento o un'informativa che spiega gli effetti attesi di una scelta del governo, hanno come scopo dichiarato quello di "informare", di fornire notizie.

In questo senso ho sostenuto che altre forme di comunicazione, diverse dall'informazione, possono (e sono) attuate, per conto di soggetti pubblici, da strutture preferibilmente diverse da quelle di natura giornalistica. 
Spero, con cio', di aver chiarito la questione sulla quale Muzi Falconi ha costruito la sua amichevole "provocazione", ma spero anche di aver reso un po' piu' chiaro il mio precedente ragionamento che presupponeva, appunto, il carattere peculiare dell'informazione e, quindi, della funzione svolta da chi e' incaricato di fornirla.
Ma cio' che differenzia piu' profondamento l'impianto logico di Muzi Falconi da quello che io propongo, e' l'equiparazione tra interesse pubblico e interesse privato contenuta nelle sue osservazioni che, con tutta la considerazione che nutro per lui e per la sua intelligenza, mi sembrano improntate ad una qualche dose di qualunquismo corrente. 


Affermare che "i principali lobbisti di questo Paese" sono i soggetti pubblici e' privo di senso, poiche' la lobby e', per definizione, la struttura incaricata di influenzare l'azione dei soggetti pubblici. Se - come si potrebbe capire - con quell'affermazione si volesse sottintendere che i soggetti pubblici, nella loro azione, perseguono, in realtà, interessi privati, si entrerebbe in un terreno di discussione che non accetterei perche' quand'anche in alcuni casi cio' accadesse, si tratterebbe di distorsioni che non avrebbero niente a che vedere con i nostri ragionamenti.
E ancora: l'immagine di un "cortocircuito" che farebbe modificare l'agenda del consiglio dei ministri secondo i titoli dei giornali e' un'immagine folcloristica che forse puo' allignare in un'opinione corrente che ha preso in spregio la politica e tutto cio' che la riguarda, ma e' difficilmente condivisibile da chiunque abbia conoscenza dell'attività di governo. 

Un conto è rilevare che il governo, nelle sue scelte, e' attento all'opinione pubblica (e farebbe male a non esserlo), altro conto e' sostenere che quelle scelte sono alimentate dai titoli dei giornali. Se cosi' fosse - tanto per fare qualche esempio tra i piu' appariscenti di questi ultimi anni - l'Italia non sarebbe entrata in Europa, il risanamento della finanza pubblica non si sarebbe raggiunto perche' la famosa "eurotassa" non sarebbe mai stata varata, la riforma della scuola non sarebbe mai stata presentata, e cosi' via. L'impopolarita' rientra nel conto dell'esercizio del buon governo, anche se perseguire il consenso è, del pari, obiettivo doveroso di chi governa.



C'e', poi, qualche contraddizione nel discorso di Muzi Falconi: infatti, dopo aver sostenuto che l'azione di lobbing dei soggetti pubblici e' molto forte, ammette che si potrebbe "in astratto" convenire sull'opportunità di distinguere fra l'azione del privato e quella del pubblico. E tuttavia afferma che cio' non fa alcuna differenza dal punto di vista del lavoro dell'ufficio stampa, poiche' sia l'uno che l'altro "si presentano" argomentando che "gli interessi collettivi sono rappresentati dai propri interessi privati". 

Ma la differenza sta proprio in questo ed e' straordinario che Muzi Falconi, nello scrivere, non se ne sia reso conto: i privati "si presentano" sostenendo che i propri interessi privati convergono con quelli collettivi e in cio' consiste la loro azione di lobbing, mentre i soggetti pubblici perseguono istituzionalmente gli interessi collettivi (o dovrebbero farlo; e per vigilare che lo facciano esistono gli organi di controllo amministrativo, le assemblee elettive e, in ultima istanza, l'elettorato) e non hanno alcun bisogno di esercitare azione di lobbing per dimostrarlo, poiche' dovrebbero esercitarla verso se medesimi.



Quanto all'esempio (in sintesi: su diverse fonti in contrasto il giornalista può scegliere e decidere, mentre l'ufficio stampa e' tenuto a dare solo la versione ufficiale), qui la confusione e' totale. L'ufficio stampa non fa ricorso a "fonti": e' lui la "fonte". E l'ufficio stampa di un soggetto pubblico e' una fonte non equiparabile a quelle di natura privatistica, tenuto com'e', per propria natura, al perseguimento dell'interesse collettivo (in questo caso l'interesse collettivo all'informazione su questo o quell'argomento di cui il soggetto pubblico e' protagonista).

La natura dell'ufficio stampa privatistico e', viceversa, quella di "presentare" (come dice Muzi Falconi) l'interesse privato come coincidente con quello collettivo: la differenza mi sembra evidente. Che poi esistano soggetti privati che si propongono il perseguimento dell'interesse pubblico (dai sindacati a Lega Ambiente a Telefono Azzurro, per citare gli esempi di Muzi Falconi), non cambia nulla: rientra nelle libertà di ciascuno organizzarsi come vuole e il perseguimento di interessi collettivi potra' influire sul rapporto fra quei soggetti privati e il soggetto pubblico, ma non cambia la natura del soggetto privato, cioe' caratterizzato dalla libertà di perseguire gli obiettivi che si e' dato, quali che essi siano: liberta' che al soggetto pubblico non e' data, poiche', in quanto pubblico, e' tenuto al perseguimento dell'interesse collettivo. 



Per svolgere correttamente ed efficacemente la funzione di "fonte" di un soggetto pubblico - questa e' la mia tesi - e' utile e auspicabile la professionalita' propria del giornalista il quale, non soltanto per etica professionale ma anche per capacita' ed esperienza, e'(o dovrebbe essere) garante, appunto, della correttezza, completezza e tempestività (e, si potrebbe aggiungere, pertinenza) dell'informazione. Si tratta, quindi - come ho detto - di una funzione che, a differenza del soggetto privato, deve essere svolta nell'interesse della collettività, poiche' all'interesse della collettivita' e' rivolta l'azione del soggetto pubblico. 


Per concludere (ma dubito che su questa materia una conclusione potra' mai esserci), credo che l'opinione di Muzi Falconi diverga dalla mia per una ragione di sostanza profonda e, forse, di natura culturale: da parte mia c'e' la radicata convinzione che lo Stato e tutte le sue diramazioni abbiano una funzione non autoreferenziale bensì di servizio nei confronti della collettivita', tale da prescindere da qualsiasi esigenza di parte. 

Dai ragionamenti di Muzi Falconi traspare una concezione della funzione pubblica sostanzialmente equiparata a quella di qualsiasi altro soggetto sicche' lo Stato e le sue istituzioni risulterebbero essere "parti" che, insieme ad altre "parti" (private), agiscono e interagiscono, ciascuna con proprie logiche, propri obiettivi, propri interessi da perseguire mediante proprie lobby e proprie strutture addette alla comunicazione finalizzate a condizionare i media.

Il soggetto pubblico - secondo il mio ragionamento - non deve "condizionare" i media, ma fornire ad essi la materia prima con cui informare correttamente i cittadini permettendo così l'esercizio del loro diritto all'informazione che molti considerano essenziale per il compiuto esercizio di qualsiasi diritto democratico. 
Se e quanto e come tutto questo impianto trovi corrispondenza nella realta' pratica e quotidiana del nostro Paese, e' altro discorso. Grazie dell'ospitalita' 
Giorgio Ricordy 
P.S. Perche', su questo tema, non si pronuncia la Fnsi che per la legge sugli uffici stampa si e' tanto tenacemente e meritoriamente battuta raggiungendo un importante (storico?) successo? 

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