Dopo il passaggio di Eriksson alla nazionale inglese

Guai in arrivo per i piccoli club di calcio



Ragazzo Spazzola
Il caso Eriksson-Lazio somiglia in maniera impressionante a quello Lippi-Juventus di un paio di anni fa. Così come capitò alla società torinese dopo che, a metà stagione, il tecnico toscano aveva annunciato di essersi accordato con Massimo Moratti per guidare l’Inter nel successivo campionato, il club campione d’Italia si trova a fronteggiare una crisi interna provocata dall’annuncio che il tecnico svedese si è accordato con la Football Association per diventare, nel luglio 2001, il primo allenatore straniero della Nazionale inglese.


Allora la Juve fu costretta a sostituire subito Lippi con Carlo Ancelotti, a sua volta già ingaggiato per l’anno successivo ma riluttante ad assumersi la responsabilità della gestione di una squadra non "sua". Adesso la Lazio non sa invece che pesci prendere, colta impreparata dalla scelta di Eriksson. Probabilmente tenterà di far finta di niente, preparandosi però, in caso di flessione nel rendimento della squadra, ad allontanare in anticipo lo svedese per sostituirlo pro-tempore con il tandem Zoff-Mancini.


Il problema è che mentre nel mondo normale situazioni del genere non creerebbero soverchi problemi - il coach continuerebbe tranquillamente a lavorare fino alla scadenza naturale del suo contratto e la società avrebbe tutto il tempo per trovare un degno sostituto - nel calcio, invece, c’è da fare i conti con il cosiddetto spogliatoio, cioè con i giocatori e le correnti partitiche in cui essi sono soliti raggrupparsi. 

Già difficile da gestire anche per chi abbia i pieni poteri e goda dell’appoggio incondizionato del presidente e degli altri dirigenti, uno spogliatoio diventa ingovernabile non appena fiuta che "il mister" non è più il comandante supremo o che, quanto meno, egli non è più colui che orienterà le scelte future della società.



Ecco perché è sempre più diffusa la pratica di vincolare tecnici e giocatori con contratti a lunga scadenza, che vengono inoltre rinegoziati e prolungati ogni anno: soltanto la stabilità delle gerarchie (vera o presunta che sia) frena la naturale tendenza all’anarchia di giocatori il cui unico autentico obiettivo è, sempre più spesso, massimizzare il guadagno minimizzando l’impegno. Ed ecco perché le crisi coincidono spesso con un cambio di guardia.


Il momento difficile della Lazio prefigura fra l’altro un possibile futuro di caos e incertezza esteso a tutte le squadre – non soltanto italiane - dal pericolo incombente che l’Unione Europea decreti l’incompatibilità dell’inscindibilità dei contratti dei giocatori con le norme che tutelano la libera circolazione dei lavoratori e la libera concorrenza all’interno dell’Unione stessa. 

Se succede un simile macello quando si viene a sapere che un allenatore resterà su una panchina "soltanto" altri otto mesi, figuriamoci che potrebbe succedere quando ogni calciatore sarà libero di cambiare maglia a proprio piacimento.



Secondo il commissario Mario Monti, infatti, un terzino o un centrattacco devono essere come qualsiasi altro lavoratore dipendente: liberi di scindere il contratto che li lega a un club anche senza il consenso di quest’ultimo.


Puntando sul riconoscimento della specificità del calcio professionistico, la Fifa, l’Uefa e le Leghe calcistiche nazionali stanno trattando con Monti per ottenere una qualche forma di salvaguardia degli interessi dei club. Probabilmente ci riusciranno, ma non è tuttavia impossibile che, in caso di fallimento della trattativa, il calcio finisca fra breve per trovarsi in una situazione nella quale un giocatore possa di punto in bianco trasferirsi da una squadra a un’altra disposta a pagarlo di più.


Le conseguenze sarebbero devastanti sia per i piccoli e medi club, quelli che oggi vivono "allevando" e "valorizzando" calciatori i cui contratti cedono poi ad altri club in cambio di indennizzi miliardari, sia per le società quotate in borsa (in Italia la Lazio e la Roma, cui presto si aggiungerà l’Udinese), che non potranno più ricorrere allo strumento delle "plusvalenze" realizzate sul mercato dei giocatori per far quadrare i propri bilanci.


Qualcuno si è addirittura spinto a ipotizzare che Monti - di cui sono noti i legami passati sia con il Polo (dunque Berlusconi, dunque il Milan) sia con la Fiat (dunque la Juventus) - con la scusa di tutelare la libera circolazione dei lavoratori stia facendo gli interessi dei tradizionali potentatati calcistici nazionali messi in crisi dalla creatività finanziaria di Sergio Cragnotti, presidente della Lazio. 

A Juve e Milan, che non possono "giocare" con le plusvalenze come fa Cragnotti ma hanno ricavi molto superiori ai suoi grazie alla maggior ampiezza dei rispettivi bacini d’utenza, non sarebbe di certo sgradito un calcio in cui si possono soffiare alla concorrenza i migliori giocatori senza dover trovare un accordo con le squadre cui appartengono, offrendo cioè loro ingaggi resi elevatissimi dalla disponibilità di quelle decine e decine di miliardi che con il sistema in vigore ne rappresentano il "prezzo d’acquisto".

Ragazzo spazzola



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