Trenta righe

Sapete com'e', non sapevamo come piazzare in pagina alcuni pezzetti che ci arrivano. Non sono notizie secche secche. Quelle le mettiamo nel notiziario del mese. Non sono nemmeno lettere. E neanche articoli veri e propri. Sono proprio pezzetti brevi. Quindi e' nata questa nuova pagina. Trentarighe. Se poi sono trentuno o ventinove, fa niente. Scrivete, gente, scrivete.
 Finche' si scrive c'e speranza.

 
12 Ottobre 2001 - Abbiamo un badge per la Barcolana

Il Barbiere della sera è stato quest’oggi accreditato, a fianco del Corriere, di Repubblica, Gazzetta dello Sport e un’altra settantina di testate, per seguire a Trieste la Barcolana 2001, la regata velica col maggior numero di partecipanti nel Mediterraneo. E’ il nostro primo accredito, tappa storica della nostra testata.

A me, umile ragazzotta del bar, è stato consegnato un regolare pass con tanto di foto (rifatta un paio di volte per non sottolineare eccessivamente la mia somiglianza con bin Laden senza barba), una cassettina postale a fianco dei massimi esperti di vela del mondo e una postazione computer.

Aspetto con ansia l’arrivo dei colleghi delle cronache sportive, con cui probabilmente non condividerò la gioia di cazzare e lascare dal vivo (soffro di mal di mare), ma i cui lavori seguirò con gioia nella splendida cornice del golfo di Trieste, inondato di sole e senza un filo di vento. In particolare sarà mia cura aggiornarvi sulla performance velica del collega de Il Giornale Vittorio Sgarbi, guest star della regata e massimo esperto in poppe. Come cazza lui a poppa, si mormora a Trieste, non cazza nessuno…

Il primo appuntamento è per sabato, con la consegna dei gadget: una maglietta grigia e una sacca. Molto apprezzato comunque, già al momento dell’accredito, il portapass blu elasticizzato con annesso marchingegno portacellulare.

Mancano le penne, i portachiavi e i blocchetti di carta personalizzati (fatto che sicuramente non sfuggirà a qualche acuto cronista), ma in compenso c’è un ufficio stampa efficiente, cortese e altamente specializzato. Si invitano i colleghi accreditati a infierire il meno possibile sulle povere addette, che escono dalla fase dei preparativi simili, in tutto e per tutto, a profughe kosovare riparate a Kabul.

Si prega inoltre il collega Mentana, che sappiamo ci legge con attenzione (gli hanno appena collegato l’ Asdl e finalmente può permettersi collegamenti alla rete da casa senza intaccare il suo modesto reddito), a dare ampio spazio su Canale 5 alla manifestazione sia nella parte sportiva, che in quella mondana.

Oltre a Sgarbi, regateranno infatti anche Benetton (maglioncino di cotone blu marine su fuseaux stretch in tinta) e, soprattutto, Missoni (gilet in cotone in toni degradanti dal verde al fucsia su petto nudo alla zaratina e braghe istrovenete in colori degradanti dal fucsia al verde). Una sfilata di moda sul mare da non perdere….

La ragazza del bar


11 Ottobre 2001 - Tre domandine un po' polemiche

Domandine/1.

Ma questo Gino Strada, il medico buono, l’Albert Schweitzer del Nuovo Millennio, il fustigatore dei costumi corrotti e delle politiche guerrafondaie dell’imperialismo yankee, il salvatore dei poveri e degli oppressi del mondo, in particolare di quelli islamici, quando riesce a curarli, tutti quei poveri e martoriati bambini afghani, se tutti i giorni – tutti i giorni – si collega via satellite con un paio di talk show (Porta a Porta e Maurizio Costanzo show su tutti, ma anche con Santoro, quando va in onda), diversi telegiornali (Rai o Mediaset poco importa), un numero illimitato di radio (di Stato e private) e scrive o viene intervistato o parlano di lui tutti i principali e più influenti media della Repubblica? No, così, tanto per sapere.

Ps. Magari, i bambini afghani, li curano anche altri, si suppone, oltre a Gino Strada. Tipo quelli di Medicins sans frontiers, tanto per dirne una. I quali, tra Pakistan e Afghanistan, si fanno un mazzo così. Soltanto, non devono possedere un buon ufficio stampa (quanti sono i giornalisti presenti in Panshir che hanno intervistato Gino Strada e solo Gino Strada? Molti, quasi tutti) oppure un leader carismatico. Quando poi uno dice le coincidenze.

Domandine/2.

Ma a questo povero Furio Colombo – nel senso del direttore dell’Unità, non dell’ex uomo di Agnelli - che ogni giorno – ogni giorno – attacca la maggioranza parlamentare del Polo guidata dal leader Silvio Berlusconi, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, i ministri del governo Berlusconi, le reti televisive e i giornali ancora nelle mani del tycoon mediatico Berlusconi, gli amici d’affari e le amicizie pericolose del costruttore (forse in odore di mafia, di certo ex piduista) Berlusconi, l’imbarbarimento della vita pubblica, il decadimento della morale e la corruzione dilagante figlia del clima politico e storico, economico e sociale che porta inevitabilmente con sé l’era Berlusconi, non è che qualcheduno dei suoi lettori, per non dire dei suoi redattori, per non dire dei suoi amici e sodali, gli vuole gentilmente spiegare che c’è una guerra mondiale - e forse uno scontro di civiltà - in corso e che, magari, il caso Berlusconi che angoscia tanto la sua vita e la sua penna andrebbe riconsiderato alla luce degli attentati alle Torri Gemelle, dei bombardamenti sull’Afghanistan e di quanto ancora seguirà? No, così, tanto per sapere.

Ps. L’Unità ha scritto – in un trafiletto, per carità, di una pagina interna, certo, però l’ha scritto, ecco - che il direttore di Micromega è... Lucio Caracciolo. Apriti cielo. Chissà la telefonata di fuoco che avrà fatto partire un indemoniato (nel senso letterale di posseduto dal demonio, berlusconiano, non islamico, s’intende) Paolo Flores d’Arcais, il "vero" direttore di Micromega.

 "Ma come?", avrà ululato Flores, "già mi devo sorbire Caracciolo ospite in tutte le trasmissioni tv solo perché sa tre cose di geopolitica, già devo vedere traboccare le edicole dei suoi speciali (fucking bastard) sulla guerra come sul G8, mentre io a stento riesco a fare un bimestrale e ora mi scambiate pure per lui! E sull’Unità, dico, l’unico giornale giustizialista rimasto in Italia!". Altro che "casa Flores".

Domandine/3.

Ma tutti questi soloni – giornalisti, commentatori, intellettuali, politici, artisti, leaderini in erba e simili - che pontificano contro l’intervento armato americano, che si lamentano per l’eccidio di civili inermi, che sentono sulla loro pelle e sulle loro spalle le sorti del mondo, in particolare di quello musulmano, che inorridiscono al solo pensiero che possa essere in atto uno "scontro di civiltà", dov’erano quando i fanatici islamici del Gis algerino sgozzavano i laici berberi nella loro terra, dov’erano quando i figli e i fratelli di Allah trucidavano interi villaggi di cristiani animisti in Sudan, colpevoli solo della loro fede, dov’erano quando Massud, il "leone del Panshir", venne col cappello (pardon, col turbante) in mano in Europa, sottoponendosi ad una umiliante questua presso tutte le cancellerie e i media del continente, chiedendo, implorando, di sostenerlo economicamente, militarmente e moralmente e chiedendo, implorando, di denunciare e informare il mondo sugli eccidi e le aberrazioni dei Taliban? No, così, tanto per sapere.

Ps. Si può inoltrare una petizione alla televisione di Stato (almeno quella) un embargo, una moratoria, un’autocensura preventiva nei confronti della presenza in studio, a commentare "i tragici attentati" e "la tragica guerra", dei vari Agnoletto, Casarini e compagnia cantante che non hanno più nulla da dire, come hanno bene inteso invece le reti Mediaset, che non parlerebbero più di loro neanche sotto tortura? Torture e sevizie afghane, s’intende.
Tersite

11 Ottobre 2001 - Un reportage come si deve da New York

Non so se si può riportare qualcosa apparsa su un forum. Da quello dell'Unità, copio e incollo un pezzo di giornalismo vero.
REPORTAGE DA NEW YORK

Si parte dall’aeroporto di Lamezia Terme, il clima nell’aerostazione è abbastanza tranquillo, polizia, carabinieri e uomini della guardia di finanza vigilano con competenza.
Il problema si fa notare dopo le procedure di “chek in” quando dobbiamo passare il controllo di sicurezza dell’imbarco: notiamo subito che le divise degli operatori addetti non sono quelle familiari di carabinieri, polizia o guardia di finanza.

Sono anonime e non trasmettono certo serenità i gesti poco sicuri e poco convincenti degli operatori del servizio. Le modalità di sorveglianza e di analisi del bagaglio a mano lasciano a desiderare.

Questi signori lasciano trasparire una certa incapacità nel gestire il particolare momento che richiederebbe invece una notevole professionalità. Un vecchietto viene fatto passare e ripassare nella zona raggi X: ha in tasca una forbicina per le unghie.

Gli dicono che deve lasciare le forbicine ad un parente. Il vecchietto entra in crisi, dice di non avere un parente in aeroporto, poi, poco più tardi, un parente, forse nominato tale sul campo, esce fuori e ritira la piccolissima forbice.

Gli agenti ritornano indietro dalla zona bagagli con due bidoni d’olio di Calabria. L’olio di Calabria è un ottimo prodotto tipico ma può diventare pericoloso a bordo di un aereo. Arriva il momento del nostro controllo personale.

Un controllo molto blando al nostro bagaglio a mano e siamo già a bordo dell’aereo diretti a New York via Roma, coscienti di poter portare tranquillamente a bordo decine di taglienti lame di taglierini dentro l’agenda personale proprio dietro il supporto della rilegatura ad anelli.

Speriamo in un controllo più efficiente a Roma. A Roma il controllo è molto più serio, metal detector, cani antitutto, carabinieri, guardia di finanza e polizia in assetto antiterrorismo, controlli a documenti e persone, molto rigidi.

Ci imbarchiamo per New York, il viaggio è tranquillo e l’Alitalia fa di tutto per rendere gradevole la permanenza a bordo con abbondanti e ripetuti pasti e beveraggi vari, un servizio ottimo.

Arrivati a New York notiamo decine di agenti speciali che sorvegliano un aereo arrivato sulla pista poco prima e subito apprendiamo che l’America ha attaccato l’Afghanistan proprio mentre noi volavamo sull’Oceano Atlantico.

La città di New York è stranamente vuota ed è irriconoscibile: i ponti levatoi alzati, barriere protettive dappertutto, barricate di sacchi di sabbia, agenti e camion della polizia a non finire.

Le strade verso l’interland sono invece stranamente invase di un traffico anomalo. In rientro centinaia le auto con piccole e grandi bandiere americane sventolanti e svettanti in bellavista. Sembra la vittoria di una partita di football invece si vuole solo evidenziare l’orgoglio americano sempre presente in questi casi.

Nei primi minuti dopo l’attacco, ci riferiscono, sono scattate eccezionali misure di sicurezza attorno ai palazzi federali di Downtown secondo un piano messo a punto da Rudolph Giuliani e da Kerik, capo della polizia di New York.

È sera quando rientriamo in albergo al Ramada di New Rochelle. La gente del posto cerca di non far trasparire il nervosismo, ripete continuamente che non c’è niente da aver paura, ma la paura traspare da sola.

Passano le ore, i luoghi sono sempre più spogli di gente, due i gradi di temperatura che gelano le strade rese ancor più surreali dalla fredda luce dei lampioni. Molti turisti italiani sorpresi da questo vero e proprio stato di guerra mostrano chiaramente i segni classici di un nervosismo e l’ansia da terrorismo si trasforma, a poco a poco, in un vero e proprio attacco di panico. La situazione non è affatto tranquilla.

Alcuni colleghi giornalisti ci dicono che con il buio c’è il rischio reale di un attentato terroristico su New York. Arriva una notte lunghissima, tutti davanti al televisore dall’una di notte un no stop fino alle 5 del mattino, tutti i media a spiegare nei minimi particolari gli attacchi appena effettuati. Al mattino ancora molto freddo, gli italo – americani hanno ultimato i preparativi per la parata del Columbus Day.

Si parla di una revoca per motivi di sicurezza della manifestazione. I timori di possibili nuovi attentati non hanno frenato la Columbus citizens foundation che promuove l’evento newyorchese. Si entra tutti in cattedrale Saint Patrick, fuori continua a fare freddo, tra i banchi affollati di bersaglieri italiani di Pescara, la banda della guardia di finanza, amici calabresi emigrati a New York, il console italiano a New York, Peter Vallone, il giornalista di Rai International Giuseppe Guglielmo, calabrese di Belmonte.

Passiamo i servizi di sicurezza e incontriamo Hilary Clinton per un breve dialogo. Attorno Rudolph Giuliani e tanti amministratori della città, accanto a noi tanti volti noti della Calabria in America, in testa Dominic Procopio, presidente di Calabria Society di New Rochelle che ha curato lo spazio dedicato ai bersaglieri di Pescara ed ha organizzato un commovente concerto, presso New Rochelle, della banda della Guardia di Finanza.

Il requiem di Verdi è stato dedicato alle vittime delle Torri Gemelle, le twin towers distrutte dai terroristi. Al Columbus la parata in onore degli eroi di New York, le bellissime autopompe del Fire Department hanno aperto il lungo corteo per ricordare i 350 pompieri morti al World Trade Center dopo che hanno contribuito a salvare più di 20.000 persone, e poi la banda della guardia di finanza diretta dal capitano Gino Bergamini.

Chiuse al traffico Duane Street, Elk Street e Broadway. Il quartier generale di Fbi a New York chiuso al traffico così anche la zona dei tribunali federali. Guardiamo con il naso in aria i grattacieli notiamo un grosso aereo che passa poco più sopra, non è affatto vero che gli aerei non possono passare sopra Manhattan. Il freddo diventa sempre più pungente mentre sfiliamo con le bandiere americane al vento gelido, quest’anno al Columbus superano quelle italiane, la gente ha paura, ha freddo, sente il peso della guerra in agguato.

New York non sembra più la stessa è pervasa da un silenzio irreale, una quiete che non è affatto naturale per questa Metropoli che è abituata a vivere giorno e notte. La festa degli italo – americani diventa una parata surreale, ci sono 41000 poliziotti infreddoliti che piantonano ogni via, ogni punto del Columbus, 4500 soldati della Guardia Nazionale sono arrivati a dare man forte ai colleghi, gli agenti Fbi sono riconoscibili in borghese come i poliziotti in divisa.

Il Columbus Day di quest’anno è il primo appuntamento nelle strade di Manhattan dopo i seimila morti delle torri. Alle 14.30 arriviamo a Central Park, tutti spariscono, la Quinta Strada appare vuota e surreale come mai, tutti fuori dalla città.

Seguiamo i Bersaglieri dentro il pullman che li riporta a New Rochelle da Domenico Procopio per il pranzo presso “Mamma Francesca”, italian restaurant di Nik Di Costanzo. Consegniamo i volumi “ItaliAmerica, il viaggio sul mare grande come il cielo” pubblicato in questi giorni in Calabria dalla casa editrice La Mongolfiera di Doria di Cassano Ionio.

Purtroppo il viaggio non può continuare, bisogna rientrare perché si parla di chiusura dello spazio aereo su New York, di chiusura del JFK, chiusura di tutti i voli, pericolo per il pulviscolo di amianto che si è sprigionato dalle Twin Towers, pericolo per un possibile attacco batteriologico, allarme carbonchio polmonare…

Saltano alcune iniziative del programma Italian Heritage and Cultural Month in programma fino al 14 ottobre, la dottoressa Sandy Auriti della Mondatori Usa aveva creato e organizzato una serie di eventi culturali veramente interessanti.

La presentazione del volume sull’emigrazione di Franco Vallone alla Pace University, la presentazione dello spettacolo teatrale Bastimenti di Cataldo Perri, le conferenze della giornalista del Quotidiano Gabriella Capparelli e dell’editore Giovanni Spedicati…

Tutto non si potrà fare, molti rientrano, altri non arrivano. A pranzo si parla di un imminente arrivo del presidente della Regione Calabria Chiaravalloti e del dirigente regionale all’emigrazione Simonetti.

Poco più tardi l’annuncio della loro assenza. La partenza incerta per gli eventi che si accavallano uno dietro l’altro, al banco Alitalia un certo signor Petrillo, direttore di scalo Alitalia al JFK di New York, con tutto quello che sta succedendo si permette pure di chiedere una penale di cento dollari a testa agli italiani che intendono partire per l’Italia in anticipo rispetto al piano di viaggio previsto.

Paghiamo al signor Petrillo la penale. Appena a Roma protesteremo vivacemente con la direzione Alitalia per il comportamento poco corretto e per la poca umana comprensione del loro funzionario a New York.

Prima di imbarcarci il servizio di sicurezza americano ci analizza, persone e bagagli, centimetro per centimetro. E’ bello sentire questo tipo di attenzione per la nostra sicurezza. Viene anche sfregato uno speciale sensore ai manici del bagaglio a mano, alle zip delle tasche delle borse. I sensori vengono poi analizzati in tempo reale per “vedere se siamo puliti”.

Ok ci segnala l’agente specializzato, possiamo proseguire. Pensiamo per un attimo alle guardie giurate piazzate all’aeroporto di Lamezia Terme. Un poco di differenza c’è! Ci sentiamo più tranquilli nel viaggio di ritorno. Il 747 Alitalia ritorna in patria con molti posti liberi. Ci si può anche sdraiare su intere file di poltrone. È sera, si decolla, e dall’alto la New York di sempre, illuminata di colori, ci appare più bella. Il suo silenzio, il suo malumore, le sue ferite, i suoi graffi da quassù non si vedono proprio.
Franco Vallone


11 Ottobre 2001 - Quando il gioco si fa duro

Cari amici del Barbiere, e redattori del sito RaiNet news, vi sottopongo un quesito: che faccia fare di fronte a questo pezzo di apertura stilato come fosse un bollettino, senza trascurare gli svolazzi poetici, quale questo che vi mando, preso dal sito alle sette di sera?

Afghanistan: attacchi fino al mattino. Ucciso il capo dell'aviazione afgana

Gli Usa avvertono l'Onu: altri paesi nel mirino 

Il gioco si fa duro e, per la prima volta, si parla chiaramente della possibilità di attacchi ad altri paesi, oltre all’Afghanistan del regime compiacente dei talebani e sede di Al Quaida guidata da Bin Laden.

Si parla dell’Iraq di Saddam Hussein; degli algerini del Fis, il Fronte islamico che da anni conduce una sanguinosa guerra in patria e in Francia; degli Hezbollah libanesi le cui aggressioni hanno provocato centinaia di vittime civili in Israele.

Intanto, i raid sull’Afghanistan
diventano sempre più aggressivi e, questa volta, sono proseguiti fino alla mattina inoltrata. Nella zona nord di Kabul le sirene sono risuonate quando il sole era già sorto, accompagnate da due o tre esplosioni e dal sibilo di un missile. Sembra certo che nell'attacco all'aeroporto sia rimasto ucciso anche il comandante dell’aviazione afghana,
Akhtar Mohammed Mansour.

L'offensiva si è poi spostata
sulla città di Kandahar, dove ha la sua sede operativa il mullah Omar e dove la contraerea talebana ha reagito violentemente. Negli attacchi sarebbe rimasta colpita anche la sede di un'agenzia Onu per lo sminamento, le vittime sarebbero quattro.

 Il pezzo continua con un altro paragrafo dove si enumerano le bombe sganciate e gli obiettivi dichiarati, tutti, è opportunamente specificato, civili. Forse l’aver bombardato la sede di un’agenzia Onu non è un particolare così trascurabile, e quel tono possibilista stona se non altro con quello del lancio televideo (Rai) delle 8.03. A quest'ora, alle sette, gli Usa hanno già rivendicato e motivato la bomba, comunque.

E' anche la notizia per cui improvvisamente tutti abbiamo saputo che l’Afghanistan è il paese più minato del mondo, e che per questo a lanciare aiuti umanitari a casaccio si rischia di far saltare in aria un certo numero di abitanti, quelli poveri naturalmente. Probabilmente il sito (www.rai.it/news) non lo guarda nessuno, forse perché rainews24.it se la cava bene. Ma, allora...? Un’altra domanda: che ne è del capo dell’aviazione afgana? 
Curiosa

10 Ottobre 2001 - La guerra, questa atroce normalita'

Ritorno a voi per segnalarvi un nuovo ed efficace farmaco per la cura dell’impotenza giornalistica. A differenza del Viagra non occorre nemmeno la ricetta medica ed è di facile somministrazione. Basta pronunciare la parola magica: ‘guerra’.

Di fronte a ‘piogge di missili’ il bravo giornalista –solitamente scartato alla leva per insufficienza toracica- prova una strana sensazione di calore nelle parti basse che si manifesta con una preoccupante eiaculazione di parole, di cui guerra finisce per essere la più ricorrente perché stimola orgasmi ripetuti.

Ciò instaura una reazione a catena per cui l’eccitazione nelle redazioni raggiunge livelli orgiastici. 

E’ scoppiata la guerra!!!! E’ guerra!!! Col coltello tra i denti, gli occhi iniettati di sangue, i giornalisti si scaraventano sui telefoni per raccattare in prima persona le dichiarazioni dei massimi esperti militari, confidenze di amici vicini al Mossad, alla Cia o al Kgb (che se fossero attendibili non aprirebbero bocca)…

Saccheggiano agenzie , visitano siti militari. In pochi minuti pacifici impiegati di un’azienda editoriale, molto concentrati sul numero di buoni pasto o su un’eventuale prestito Inpgi, si trasformano in grandi strateghi, lasciando alle donne il compito di cucinare quelle notizie che ormai non interessano più a nessuno.

Che ne so’, un referendum, una legge sulle rogatorie che favorisce i trafficanti d’armi e di droga, al limite anche la nascita della figura dell’architetto di regime…tutta roba pubblicabile, se non arriva uno spazio pubblicitario che sacrifica il pezzo…

Tutto ciò fa molta tenerezza. E’ bello vedere il fanciullino che è in noi liberarsi e volare felice nel mondo della fantasia e dell’infanzia, quando garruli sterminavamo un’intera confezione regalo di indiani o disponevamo sotto il tavolo di cucina ben tre carri armati di plastica (più una 500 miniaturizzata, facente funzioni di). E’ bello rivederci tutti fare con le labbra il rumore dell’aereo in fase di decollo, vederci sobbalzare a ogni cascar di bomba…

Pongo però una questione. Guerra (dal Palazzi): sf. Contesa tra due o più popoli che si definisce per via delle armi. Chiedo scusa se sembro pignolo, ma gradirei sapere chi sono i due o più popoli coinvolti e quali sono le armi con cui è in corso di definizione.

Stando ai fatti so che: 

1) tre aerei civili, usati da terroristi al soldo di bin Laden come armi, hanno causato migliaia di morti negli Stati Uniti. Una carneficina più grave sicuramente di una bomba sull’Italicus o in Piazza Fontana, di un’autobomba a Tel Aviv o nei Paesi Baschi o in Irlanda, ma pur sempre un attentato di chiara matrice terroristica. 

2) L’aviazione e le navy inglesi e statunitensi hanno lanciato dei missili su zone in Afghanistan che l’Intelligence presupponeva fossero covi di terroristi. Ciò mi ricorda, più che una guerra vera e propria, decenni di azioni militari israeliane in Libano e Palestina. Alcune invero andate a buon fine, altre (penso in particolare a Sabra e Chatila) discutibilissime. In entrambi i casi si tratta di azioni congiunte tra servizi ed esercito, ma non ancora di guerra.

Continuo ad essere pignolissimo, ma non vedo al momento due o più popoli schierati a definire questioni con le armi. Cioè non vedo guerra. Vedo caso mai che si è arrivati a un punto in cui si fatica a trovare una via d’uscita non violenta. Ma ancora non è guerra.

Un certo Antonio, in difesa di Oriana Fallaci, parla su questo sito dell’orrore della guerra. Non essendo l’unico ad averne vista una, sa che la cosa più orribile di una guerra (quella che vede due o più popoli in armi l’uno contro l’altro) è la sua atroce normalità

In guerra diventa normale e quotidiano odiare il vicino di casa e di una vita che appartiene all’altra fazione. E’ normale avere fame. E’ normale riparare in un rifugio quando suona l’allarme. E’ normale piangere morti. E’ normale lasciare tutto e scappare, è normale perdere tutto, è normale avere un figlio a un fronte. Tutto ciò non è scoop, ma vita quotidiana.

E allora chiedo: c’è oggi questa normalità? Chi odiamo? Gli afghani? A nessuno di noi gli afghani han fatto nulla. Vivono sotto un giogo per noi inimmaginabile, ma anche fare la ‘rivoluzione’ non è propriamente schierare a tavolino le Brigate Garibaldi contro i nazifascisti…

I taliban? Gente da eliminare, il 10 settembre 2001 come oggi. Gli americani? Poveri figli, che in un giorno scoprono in prima persona l’esistenza di qualcosa con cui il resto del mondo convive da decenni!!!!

Ho una risposta. Noi tutti. Ci odiamo. Non avendo fatto nulla o avendo fatto ben poco per difenderci adesso, in preda all’irrazionalità e al panico, buttiamo le basi per una guerra. Questa volta sul serio. Sono sempre le parole che pesano: Islam e occidente, per connotare nemici, terrorismo e eserciti, per contrapporre le armi. Risultato finale: il terrore prossimo venturo. La guerra, quella vera.

Beh, cerchiamo di fermarci in tempo. Non ho nessuna voglia, da pignolo, di adeguare la mia normalità a una normalità bellica. Non ho voglia di odiare lo sciita che frequenta mia figlia e nemmeno la sua amica israeliana. 

Non intendo pensarmi di una razza superiore, anche perché faccio già un sacco di fatica a pensarmi qualcosa. Anzi, visto che per una strana congiuntura astrale, oggi penso mi chiedo perché non preoccuparci di dare non tanto un nuovo nome (attualmente ‘operazione militare di polizia’ gli sta benino) a quanto accade, ma regole internazionali certe.

Anche la guerra, nelle democrazie, ha avuto regole ferree (e chi ne ha vista una sa che gli eserciti regolari han sempre tributato il massimo rispetto ai nemici, se di altrettanti eserciti regolari). 

E allora facciamo subito, adesso, nuovi trattati tra nuovi alleati (la cortina di ferro è caduta) per combattere un nemico che nuovo non è, il terrorismo. Difendere il diritto, anche alla guerra (quella vera), contro chi non riconosce diritti a nessuno. 

A me sembra un’idea ragionevole. Ancor di più se servisse a recuperare quegli obsoleti principi che un tempo avevano dato vita, proprio per questo, alle Nazioni Unite. In fondo siamo in tempo di globalizzazione…e globalizziamoci sul serio, per Dio!

Un giornalista può partecipare, nel frattempo, calibrando le parole (del resto chiedetevi: come cavolo titolerete se, dio non voglia, in un domani Iraq o Iran decidessero di scendere in campo in difesa dell’Afghanistan? Che cavolo scoppierà? Qualcuno potrebbe titolare Apocalisse, non fosse già stato fatto….).
Prof. C.Magrìt


10 Ottobre 2001 - I miei genitori vi prenderanno a calci

Ciao Figaro, ti scrivo con una rabbia enorme dentro. Ti prego quindi di comprendermi se non sarò lucido né sintetico.

La tragedia avvenuta ieri a Linate - 118 morti - mi ha costretto a rivedere cose che non avrei mai voluto affrontare nuovamente. Non mi riferisco alle immagini del rogo o dei cadaveri ammonticchiati sulla pista. Mi riferisco al comportamento assolutamente INCIVILE di alcuni colleghi. Quelli che, probabilmente su istigazione del solito caposervizio o caporedattore di turno, si sono lanciati a intervistare i parenti delle vittime sfruttandone lo shock.

Premessa.

Ho lavorato alcuni anni in piccolo un quotidiano locale e, sebbene non mi occupassi di "nera", so cosa succedeva se i miei colleghi tornavano da un incidente stradale mortale - basta e avanza per aprire la prima, in provincia, dove gli omicidi sono rari - senza la foto della vittima e le interviste ai parenti. La frase di circostanza con i famigliari era di solito "E' per ricordarlo a chi lo conosceva".

Sul tema girano leggende a proposito di alcuni grossi nomi del giornalismo italiano . Si dice che Vittorio Feltri, quand'era ancora giovane cronista al Giornale di Bergamo, fosse riuscito ad assicurarsi l'immagine della vittima di un incidente stradale raccontando alla moglie, ancora ignara dello schianto, che il consorte aveva vinto un concorso di "Selezione" e che serviva una fotografia per l'articolo sul mensile.

Più modestamente un mio collega - non famoso come Feltri, ma se gli inizi sono quelli un giorno chissà... - riuscì a ottenere la foto di un parà morto in Somalia, mentre tutti i concorrenti si accalcavano inutilmente all'ingresso principale della casa del morto distraendo la famiglia, "attaccando" l'abitazione dal giardino sul retro, arrampicandosi sino al primo piano e penetrando nella camera del morto attraverso la finestra aperta. Un furto, insomma.

Anche a me è stata ordinata a volte l'incombenza, quando dalla redazione di "nera" chiamavano rinforzi. Ricordo con angoscia un primo gennaio passato a fare la guardia alla casa di una ragazza di diciotto anni morta in un incidente la sera di Capodanno per cercare di incontrare i genitori al rientro e farmi consegnare la fatidica fototessera.

In quell'occasione me la cavai - debbo dire senza particolare coraggio - lasciando che l'onere passasse al fotografo di redazione, molto più ferrato di me. Un'altra volta riuscii a recuperare l'immagine di un tredicenne investito - dopo aver deciso di non chiederla a genitori e parenti - recuperandola dalla foto della squadra di calcio dell'Oratorio.

Perché queste divagazioni? Perché so cosa significa avere un capo che ti pressa per l'intervista lacrimevole ai parenti del morto. Mi sono sempre rifiutato di farla, comunque.

Cosa AGGIUNGONO certe interviste all'informazione che diamo di una tragedia, individuale o collettiva come quella di Linate? Cosa può spiegare ai telespettatori l'intervista alla madre di una ragazza di 27 anni - come quella fatta dalla collega del TG3 Lombardia "a caldo" - che evidentemente sotto shock inizia a parlare senza rendersi ancora quasi conto di quello che è successo e poi di colpo realizza che ha perso l'unica figlia e scoppia a singhiozzare?

Cosa spinge una cronista a INSEGUIRE col microfono brandito un gruppo di parenti che si cacciano dentro una porta per domandargli "cosa provano"? E a bloccare  con il microfono nel finestrino una vettura che riporta una madre a casa per recuperare una foto del figlio per il riconoscimento?

E perché certi caposervizio o caporedattori ESIGONO questo genere di servizi? Perché CERTI DIRETTORI non li bloccano prima di mandarli in onda o di pubblicarli? E DOV'E' L'ORDINE che dovrebbe sanzionare questi comportamenti?

Cari colleghi, se un giorno dovesse succedermi "un incidente" (seguono gesti apotropaici) non azzardatevi a fare domande ai miei genitori. Ho ordinato loro di prendervi a calci.
Nicola Borzi


9 Ottobre 2001 - Mi tengo stretta la Fallaci

Caro Barbiere, ho letto Oriana Fallaci sul Corriere, mi ha commosso e mi è piaciuta, molto. Ho letto Angelo Panebianco e mi sono trovato d’accordo con lui. Infine ho scoperto, qui su "30 righe", la segnalazione di un altro pezzo da non perdersi. Ho letto anche quello.

E ho capito le seguenti cose:

1 - Un texano ubriacone, cocainomane e asino a scuola, figlio di petrolieri e lui stesso petroliere fallito, si accorda con il capo di una famiglia di ricchi terroristi sauditi collaboratori della Cia (terrorista lui medesimo?)  per fare affari sporchi sfruttando gli agganci politici delle due famiglie. In seguito il texano diventa presidente degli Stati Uniti.

2 - Anche il padre dell’ubriacone (già agente fallito della Cia e pure lui presidente degli Stati Uniti) faceva affari con il capo della famiglia di terroristi.

3 - Il suddetto padre partecipò, prima di essere eletto alla Casa Bianca, a un incontro a Parigi dove arrivò sull’aereo del capo della famiglia di terroristi.

4 - Muoiono di incidenti vari, comunque violenti:
a) Un agente del Mossad che partecipò all’incontro parigino
b ) Due scrittori che si occupano della famiglia di petrolieri: uno che è riuscito a pubblicare una biografia del figlio cocainomane e presidente, l’altro che invece non ci è riuscito.
c ) Il capo della famiglia di terroristi sauditi (terrorista lui medesimo?): in un incidente aereo (abbattuto per ordine del presidente padre oppure del figlio?).

5 - Un fratello del ricco saudita morto, Osama Bin Laden, pure lui collaboratore della Cia, diventa finalmente  bersaglio del presidente figlio, ubriacone e cocainomane, che scatena una guerra mondiale per liberarsi di lui.

E i 6 mila o più morti, i dirottamenti, le Twin Towers?

Continuo a preferire Oriana Fallaci e Angelo Panebianco. Grazie dell’ospitalità,
Jacopo Loredan

9 Ottobre 2001 - E l'impiegata tiro' fuori IL MODULO

Cosa fa un giornalista che, arso dal sacro fuoco della penna, decide di aprire un giornale?

Seguitemi in questo variopinto viaggio di sola andata attraverso i gironi della burocrazia e lo scoprirete, illuminati anche dalla seguente constatazione: la vita sarebbe semplice, ma la burocrazia la complica per dare lavoro a chi la dovrà ri-semplificare.

La storia comincia con due giornalisti, giovani e pieni di entusiasmo, che hanno macinato qualche esperienza qua e là e che decidono di fare il grande salto. I due decidono di aprire un giornale, che a dirla così sembra una idea folle. In realtà si tratta di un periodico (uscita mensile), distribuito gratuitamente sul territorio, di argomento strettamente locale, formato da otto pagine.

 I due buttano giù un progettino, creano le pagine, la grafica (sono pur sempre due studenti, giornalisti sì, ma ancora studentelli laureandi e con poche lire in tasca), definiscono i contenuti, pensano alla distribuzione, fanno due conti.

Per realizzare una pubblicazione di questo tipo, in un numero iniziale minimo di 3000 copie, occorre una bella cifretta, che comprende esclusivamente i costi materiali di stampa (dopo una rapida autoanalisi i due decidono che scriverne ogni copia A MANO è al di là delle umane possibilità).

Così, armati di fiducia e pervasi da un senso di indefinibile misticismo, i due si recano, in una piovosa mattina settembrina, presso il tribunale della loro città, Roma, che presto avrebbe avuto un'altra voce che ne avrebbe raccontato ferite e piccole vittorie quotidiane...o almeno così i due credevano, e si sentivano investiti di un compito messianico, e custodivano la cartelletta con i progetti come contenesse le dodici tavole.

L'impiegata del Tribunale tira fuori IL MODULO: con la maestrìa di un borseggiatore, con la scioltezza di un trapezista, con la rapidità di una pastiglia Falqui, illustra ai due le varie opzioni, aprendo loro la porta del magico mondo della legalità.

Ma i due giornalisti sono preparati: memori di alcune precedenti esperienze poco edificanti, nelle quali erano stati (nemmeno a dirlo) le "parti lese" si erano promessi, come due novelli sposi, fedeltà alle leggi: mai avrebbero evaso il fisco, mai avrebbero sottopagato nessuno (a costo di scrivere tutto a 4 mani), mai avrebbero percorso scappatoie e sentieri oscuri. Loro avrebbero fatto un giornalismo ONESTO, e per essere tale doveva poggiare su basi chiare e limpide.

Così i due scoprono che i prezzi della registrazione di una nuova testata giornalistica variano a seconda di numerose clausole. In particolare, si paga molto di più se il proprietario risulta una società...così i due decidono di abbandonare l'idea di costituire una S.R.L., precludendosi già una via di fuga: si sa che le società a responsabilità limitata sono un valido scudo ai rischi di denunce e guai vari, ma i nostri eroi non temevano di comparire con nomi e cognomi, visto che non avevano intenzione di  fare il loro ingresso nell'illegalità...nè di spendere un patrimonio in Notaio. Il costo per la registrazione è accessibile: 300mila lire circa: si può fare.

I due escono dal tribunale felici come due fringuelli a primavera, e già pensano di far lievitare il numero delle copie; il progetto è di pagare il costo di stampa con gli sponsor, che già iniziano a individuare sul territorio. Entrati in macchina, uno dei due pronuncia la parola magica: Partita Iva. E niente fu più come prima.

Perchè, per incassare soldi dagli sponsor, occore fatturare, per poi pagare le tasse, e l'unico modo prospettato è aprire la partita IVA. Con annesso mantenimento a vita del Commercialista e dell'Avvocato, che dovrà riparare ai danni del Commercialista.

Ma i nostri eroi non hanno i soldi necessari a mantenere due persone di tale levatura (professionale e tariffaria...), visto che il loro giornale non porterà, almeno all'inizio, nemmeno una lira nelle loro tasche.

Aprire una Partita IVA significa dire al fisco: "Hei, sono un libero professionista, uno di quelli che in genere denuncia la metà di quanto incassa, spolpami per quello che denuncio e per quello che non denuncio ma che tu sai già che ho".

Peccato che i nostri eroi (ora già un pò meno eroi) non prevedono di incassare nulla, non si sentono affatto piccoli imprenditori, non essendo i loro cognomi Caltagirone nè Berlusconi  nè Agnelli, non riuscendo ad equiparare, con tutta la buona volontà, il loro giornale (diventato più realisticamente giornalino) al Messaggero o a qualsiasi altro prodotto editoriale miliardario. Ma come dire al Fisco che ce ne passa tra loro e un imprenditore?

I due cominciano a capire perchè tutti i piccoli editori che conoscono, galleggiano nell'illegalità: essere in regola equivale a fare la fine del topo che scorrazza sotto il muso di un gatto affamato. Ma c'è di più. I nostri eroi sperano di trovare "corrispondenti" da varie zone di Roma, per coprire tutto il territorio.

A loro pare logico che, non prevedendo incassi per loro stessi, i collaboratori non saranno allo stesso modo pagati. Non c'è un grosso capitale iniziale, ma c'è la passione di fare, che, ne sono convinti, non faticherà a far aderire altri "pasionari", pronti a lavorare senza soldi pur di far crescere un sogno eppoi chissà, il sogno potrà diventare fonte di guadagno, e dare il pane a chi ci ha creduto.

Ma no. Perchè i nostri scoprono che, a tenere collaboratori senza contratto, si rischia "il gabbio".

I due si guardano negli occhi stupiti ed entrambi pensano all'unisono: "ma come, io è da una vita che collaboro con tizio, caio e sempronio, senza vedere mai un contratto, senza vedere una lira...ma comè la storia?" ma nessuno proferisce parola, perchè si rischia una querela.

La legge prevede che si possa evitare di aprire la partita IVA solo in caso di attività esercitata occasionalmente, ma la registrazione presso il Tribunale prevede la periodicità...si potrebbe dire che si vorrebbe iniziare come periodico, poi che non ce la si fa (e quindi diventa saltuario) poi però ce la "ri-si-fa" (torna ad essere periodico per mantenere salva l'iscrizione) poi di nuovo la nebulosa sul futuro per cui non ce la si fa più...

I due prendono la cartellina, tornano a casa, si salutano: "allora, quand'è che ci si rivede? Mah, non so, ho il lavoro...beh sì io ho la tesi da scrivere...e nessuno dei due ha più il coraggio di parlare di sogni.

Questa è la tomba di Diogene, il saggio cane, che, un tempo, nel cuore virile, cercò una vita nuda: insieme a lui solo una bisaccia, solo un doppio mantello, solo un bastone errava, armi di una saggezza che basta a se stessa. Ma, lungi da questa tomba andate, gente senza ragione, poiché il Sinopeo odia ogni uomo da nulla, anche nell'Ade.
G. A.


8 Ottobre 2001 - Siamo una massa di ignorantoni

Certi libri non spariscono. Fanno solo giri immensi, e poi ritornano. Anche a voi sarà accaduto, cari clienti della bottega, di acquistare un volume in libreria, perché il titolo vi ispirava o per altre ragioni, e di depositarlo illibato nella vostra biblioteca, avendo solo cura di spostarlo periodicamente da uno scaffale all'altro, in attesa del momento giusto, che generalmente non arriva mai. Generalmente.

Perchè una domenica uggiosa, senza sole e senza calcio, non ancora infiammata dalla notizia dell'attacco ai talebani, e un editoriale sull'Espresso di Devil (al secolo, Guido Rossi) mi hanno convinto finalmente a salvare dalla polvere il pamphlet di un brillante economista americano, Paul Krugman, dedicato al programma elettorale di George W. Bush. Il titolo è un programma anche per noi italiani: "Meno tasse per tutti?". E' stato tradotto per Garzanti, nel giugno scorso. 

Ma cosa sostiene, anzitutto, quel Devil di Guido Rossi, nel suo editoriale "Il mercato sta meglio con lo Stato"? Che non è vero che lo Stato via via sparisca di fronte alla globalizzazione, come tutti proclamano. Che al contrario nel 2000, dunque in pieno periodo di globalizzazione, sono state raccolte più imposte e tasse di dieci anni prima, in tutti i paesi del G7 e anche in quelli dell'Ocse, l'organizzazione delle nazioni più sviluppate. Così rischia di essere anche in futuro, perché la globalizzazione non considera i settori della sicurezza, della sanità e dell'educazione, di cui gli Stati dovranno invece prendersi cura. 

E' questa tesi che mi ha fatto scattare la lampadina della memoria, portandomi a Paul Krugman. Per darvi un'idea di quanto sia concreta e accattivante la sua scrittura, eccovi come attacca la sua fatica: "Questo libro non è un romanzo poliziesco, per cui lasciatemi dire subito come va a finire.

Il taglio delle tasse proposto da George W.Bush è una buona idea? No. E' troppo massiccio, anche accogliendo le previsioni più ottimistiche per quanto riguarda i futuri avanzi di bilancio. Ed è del tutto irresponsabile, data l'elevata probabilità che quelle previsioni, come tutte le previsioni di bilancio di lungo periodo, risultino sbagliate". 

Parole profetiche, perché non nel lungo, ma nel brevissimo periodo l'attentato alle Twin Towers ha sconvolto il quadro, determinando una maggior spesa pubblica per la sicurezza in genere, per la Difesa in particolare (che già adesso si ritaglia il 20 per cento del bilancio federale) e quasi sicuramente, come Bush ha già annunciato, anche per l'assistenza a paesi stranieri, dall'Afganistan al Pakistan all'India (gli Usa danno in aiuti appena lo 0,6 per cento del Prodotto interno lordo, anche se il cittadino comune è convinto che si sborsi molto di più). Insomma, più spesa pubblica e, quindi, niente riduzione delle tasse. Anzi, forse il contrario. 

Ma, a prescindere dalla guerra contro Osama Bin Laden e i fiancheggiatori del terrorismo, il piano fiscale di Bush, con riduzioni per 2.500 miliardi dollari in dieci anni, appariva "irresponsabilmente ampio" (pagina 119) "in quanto impedisce al governo federale di accantonare sufficienti riserve per affrontare il ritiro dall'attività lavorativa de baby boomers". Seconda critica, "è fortemente distorto a favore dei ricchi" dal momento che "circa il 40 per cento dei benfici andranno all'1 per cento più ricco dei contribuenti". 

A questo punto, affezionati clienti, qualche affinità e qualche sospetto vi solleticherà il cervello.  Che il libro di Krugman (editorialista del New York Times, oltreché economista) possa essere letto anche in chiave italiana?

Che le promesse (per ora mancate) di Berlusconi e Tremonti siano le stesse che agli americani aveva fatto prima Bush? E' proprio così: "Il film americano sarà al più presto replicato sui nostri schermi", scrive Salvatore Bragantini nella presentazione di "Meno tasse per tutti?" che del resto come sottotitolo ha "Dagli Usa all'Italia: chi ci guadagna e che ci perde". 

V'è un punto in cui il legame fra Bush e Berlusconi è sbalorditivo. Ed è la storia dell'imposta di successione da abolire. Anche in America, come in Italia, questa gabella aveva un peso assai limitato (35 miliardi di dollari nel 2000, rispetto ai 1000 dell'imposta sui reddti). Anche negli Stati Uniti era già stata abbondantemente riformata, come nel nostro paese, tanto che i patrimoni al di sotto dei 675 mila dollari (1 miliardo e trecento milioni italiani) non si pagava nulla, limite che sale al doppio per le coppie sposate.

E l'esenzione individuale doveva essere portata prima del piano Bush a 1 milione di dollari per ciascun coniuge (3 miliardi di lire in due) nel 2006. A chi fa dunque gioco, dunque, la tanto sbandierata abolizione totale? Al 2 per cento appena dei patrimoni, quelli che negli Usa sono tenuti a versare l'imposta. Non è sublime? 

Come ha potuto Bush sbandierare alla popolazione degli Stati Uniti questo programma elettorale con motivazioni che a Krugman risultano "stupefacenti per disonestà intellettuale"?

Semplice, perchè il sistema è acritico in tutte le sue componenti, a cominciare dai media: i giornalisti non conoscono i fondamentali, non leggono i documenti, non si informano, non fanno le domande giuste.

Ecco come lo dice Krugman (pag.20): "Ormai è chiaro, anche le persone che dovrebbero essere molto preparate - per esempio giornalisti e commentatori televisivi - non conoscono le nozioni più elementari relative al governo federale: da dove vengono i soldi, dove vanno, come funziona la sicurezza sociale. E se gli elettori hanno le idee confuse, è ben difficile biasimarli..." 

Che doccia fredda cari amici, che brusco risveglio per chi, come noi e voi, è alle prese con i quotidiani condizionamenti imposti dalle lobbies economiche che detengono i nostri media, con l'immancabile balzo di gruppo sul carro del vincitore e con il silenzio, giustamente denunciato da Costanza, dei direttori indipendenti su un caso scandaloso come quello delle "rogatorie internazionali" (oltre che sulla pratica "falso in bilancio"). Adesso non possiamo più nemmeno sognare un atteraggio professionale negli Usa. Ci hanno tolto l'ultimo modello, quello del mitico giornalismo a stelle e strisce.
Il Conte d'Almaviva


8 Ottobre 2001 - Un mensile molto Urban

Rischia di inserirsi d’autorità tra i primi dieci mensili italiani più letti. Ma non tra i più acquistati. Perché Urban il primo esperimento italiano di free press lanciato nei giorni scorsi in quattro città italiane si inserisce nel nuovo business della stampa gratuita con una formula sicuramente innovativa: formato tabloid, 72 pagine a 4 colori stampate su carta da quotidiano, 330mila copie di tiratura per i primi due numeri, ma con ambizioni dichiarate di raggiungere le 500mila in pochi mesi.  

Ideato e confezionato in gran segreto a Milano durante l’estate dal suo direttore Alessandro Robecchi e da una piccola, ma agguerrita redazione di quattro persone, Urban è un’iniziativa di Per e Simona Tegelof editori svedesi pronti ad allargarsi in Svizzera, Spagna e Francia se l’edizione italiana avrà successo. Robecchi, 41 anni, milanese, si è fatto le ossa in diversi giornali: da Costruire a Cuore, da L’Unità al Manifesto passando per Gente Viaggi, Diario e Radio Poloplare di Milano dove ha curato per anni Piovono Pietre, striscia mattutina cult di satira politica e di costume. 

“Urban – dice Robecchi – è una mappa di cose nuove e interessanti che consentono a un lettore curioso di “perdersi” nella sua città. Seguendo percorsi, fisici e culturali, che devono essere sorprendenti e raccontati con linguaggio leggero, quello insomma usato da chi non si prende mai troppo sul serio”.  

Nel primo numero di Urban così, Milano è vista dalla dj Kleopatra, Torino è raccontata nelle sue contraddizioni etniche, Bologna è scrutata dal musicista e scrittore Emidio Clementi e Roma viene scoperta, in Vespa, da Jasmine Trinca, la giovane rivelazione morettiana de La Stanza del figlio. La moda è risolta con un servizio in cui lui e lei posano nudi “sicuramente meno volgare delle tette in copertina dei newsmagazine – dice Robecchi.”. 

Le rubriche, tante, hanno sempre un fil rouge che suggerisce con una selezione un po’ severa, percorsi mai banali. Il target non è né maschile né femminile: la trasversalità è totale anche se i confini dicono di un giovane metropolitano dai 20 ai 40 anni con buona capacità di spesa. “Un posizionamento ideale – precisa Robecchi – che di questi tempi fa arrapare i pubblicitari”.  

Il giornale, per ora, è distribuito a Milano, Roma, Torino e Bologna, ma presto arriverà anche a Firenze e Napoli. La distribuzione è organizzata in luoghi “sensibili”: cinema, ristoranti e bar selezionati, negozi trendy.  

Il sottotitolo di Urban è “la città come non l’avete mai vista”, proposizione neppure tanto ambiziosa se consideriamo il nostro modo di consumarla: di fretta e senza mai alzare il naso dal marciapiede. Per questo il giornale sii affida a chi sa raccontare bene e con leggerezza, luoghi e personaggi che sfioriamo tutti i giorni senza accorgercene.  

“In questo paese – dice Robecchi – ci sono molti scrittori e giornalisti della mia generazione che non hanno molti posti per scrivere. Il giornale diventerà il territorio su cui misurarsi. 
Lex Capo


8 Ottobre 2001 - Finalmente posso chiamarti collega

Caro collega (adesso sì che te lo posso dire), Grazie, grazie, grazie mille per il prezioso tempo che mi hai dedicato, grazie per avermi dato fiducia, grazie per avermi aperto gli occhi su  quello che significa veramente essere giornalisti. Già, come puoi ben  immaginare mi hanno promosso ed è grazie a te e al Barbiere.

La commissione  ha trovato molto interessante la tesina (te la mando come allegato nel caso  ti vada di leggerla) e soprattutto il fatto che durante la discussione  abbia fatto cenno a come il Barbiere garantisce a tutti i colleghi la  libertà di parola, di stampa e di pensiero come citato dall'art. 21 della  Costituzione e rispetti in tutti i suoi aspetti la legge sulla stampa e la  legge professionale.

È vero: ho fatto l'elogio a te e ai tuoi, ma solo  perché lo meritate. Soltanto un commissario ha avuto da ridire sulla  mancata registrazione della "testata". Vabbè, capita anche questo.  A presto,
Michelle 

Commissione d’esame di idoneità professionale-Sessione primaverile 2001 – Esame orale il 3 ottobre 2001 - Tesina di Michelle Marie Berard 

Una piazza telematica per fare “informazione sull’informazione” 

Il Barbiere della Sera: “una voce senza editore” 

Un’idea, pochi mezzi e Internet. Un sito nato da poco più di un anno, sembra aver realizzato il sogno di ogni giornalista. Ma cosa c'è dietro? Secondo Figaro, un po’ di ognuno di noi.


Ma chi è Figaro? La domanda cominciò a rimbalzare da scrivania a scrivania, da redazione a redazione, il 28 aprile dello scorso anno, quando per la prima volta sugli schermi dei nostri computer apparve il sito de Il Barbiere della Sera (http://www.ilbarbieredellasera.com).

All'inizio fu proprio il non sapere chi c'è dietro, la curiosità stuzzicata da un gossip sapiente, a decretare il successo dell'unica ‘testata’ che i giornalisti italiani hanno a disposizione per confrontarsi, porsi domande e azzardare risposte. In altre parole: condividere la passione per questo mestiere.

Una passione che la redazione de Il Barbiere conosce bene: nessuno ci guadagna o impone una linea editoriale o, tantomeno, pensa di farlo divenire un "business". Figaro dice che il sito è nato per amore di una sana informazione che comincia a scarseggiare.

 E la colpa, spesso e volentieri, non è neanche dei giornalisti. E' difficile, per fare un solo esempio, che un editore tolleri che, parlando male di un prodotto, si rischi di perdere qualche importante contratto pubblicitario. D'altronde oggi è la pubblicità il vero motore dell’editoria.

Ciò, però, non è onesto nei confronti dei lettori, i veri destinatari del giornale. Da questa considerazione e da una chiacchierata tra amici in vacanza, dice Figaro, è nata l’idea di realizzare il sogno di ogni giornalista: una testata senza compromessi, ma rispettosa di tutte le regole della professione: diritto di replica, fondatezza della notizia e garanzia della riservatezza delle fonti.

Gli obiettivi che si sono prefissati i componenti di quella che sarebbe divenuta la redazione de Il Barbiere della Sera, sono semplici ma ambiziosi: fare luce sul mondo dell’editoria e sul potere; creare una piazza dove sia possibile scrivere la propria opinione sulla qualità dell’informazione. Per dirlo con le parole di Figaro: "fare informazione sull’informazione”.


Il bello del Web

Ma per farlo veramente, bisognava diventare un vero e proprio editore, avere doti manageriali e, soprattutto, un capitale cospicuo da investire.

Oppure sfruttare le potenzialità di Internet: “Il bello del web è che non c’è bisogno di essere un imprenditore per far lanciare un’iniziativa editoriale. Basta un po’ di buona volontà e una zucca che funziona”, spiega Figaro, che nel primo editoriale scrive: “siamo giornalisti, le notizie sono il nostro pane quotidiano, abbiamo il web a nostra disposizione: possiamo e dobbiamo far vedere i sorci verdi a tutti, compresi gli editori che hanno deciso negli ultimi mesi, con le trattative in corso per il rinnovo del contratto nazionale, di darci una bella strapazzata”.

Un gioco di parole sul nome del più grosso quotidiano italiano e una famosa opera di Rossini e il gioco è fatto: nasce Il Barbiere della Sera. Chi ci sia dietro rimane un mistero. Per proteggere la propria identità i giornalisti che curano il sito utilizzano pseudonimi presi in prestito proprio dal rossiniano Barbiere di Siviglia come Figaro e il Conte d’Almaviva.

Il motivo dell’anonimato viene spiegato sul secondo editoriale: “ Il Barbiere deve tutelare i suoi collaboratori da eventuali pressioni che potrebbero subire all'interno delle testate di appartenenza. 

Poi, diciamola tutta, a questo punto esiste una ragione di marketing. Del tutto involontariamente Il Barbiere della Sera è venuto allo scoperto troppo presto, grazie ai bravissimi colleghi di Panorama che hanno fatto ‘tana’. Ma visto che anche oggi Panorama torna su di noi, abbiamo ora capito che l'anonimato fa montare il caso. Il Barbiere non ha certo i mezzi per lanciare una campagna pubblicitaria, e così ne ottiene una gratis.”

Il primo editoriale si chiama “Un soldo di libertà” ed è firmato da Figaro, il personaggio misterioso che è, come dice lui, “un semplice collega che invita alcuni amici a casa a prendere il tè”.

L’invito che viene lanciato nell’editoriale è però chiaro: contribuire “con notizie, indiscrezioni, idee e suggerimenti”. In cambio, chi si cela dietro a Il Barbiere della Sera s’impegna a “servire tutti i giorni piattini assai gustosi per il palato dei giornalisti”. 

A chi si chiedeva “Ma dove la trovo una notizia?”, Figaro rispondeva senza mezzi termini “ogni giorno, nel nostro lavoro, abbiamo sotto gli occhi la vita delle redazioni, abbiamo a che fare con i direttori e con il management delle nostre aziende, registriamo automaticamente nella nostra memoria piccoli episodi, commenti, idee e spunti, avventure e disavventure dei singoli colleghi, mille notizie di ogni genere che rimangono spesso nel cassetto perché non c’è spazio, perché sono ‘fuori linea’, perché il direttore ha deciso che ‘non è il caso’.

Al Barbiere della Sera, se una notizia è vera e controllata, è sempre il caso di pubblicarla.”  

Se si gioca, bisogna rispettare le regole

Sono diverse le sezioni del giornale online dove compaiono le notizie neglette, quelle che ‘non trovano spazio’ perché antipatiche a qualcuno.

C’è spazio, inoltre, per una serie di rubriche più direttamente pertinenti la vita del giornalista: le pagine dei Comitati di redazione, le informazioni delle Associazioni, quelle che riguardano Inpgi, Casagit e Ordine, e così via.

A proposito delle notizie, però, i principi fondamentali sui quali si basa Il Barbiere della Sera sono ben chiari: la loro veridicità e la piena applicazione della Legge sulla stampa. L’articolo due della legge n. 69 del 3 febbraio 1963 sulla professione giornalistica e sull’Ordine che cita, infatti, che: “è diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica, limitata all’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede”.

L’applicazione di questo punto ha dato credibilità a Il Barbiere della Sera, tant’è vero che tra i nomi dei numerosissimi lettori/collaboratori spiccano quelli di Enrico Mentana, Paolo Serventi Longhi, Giuliano Zincone, Franco Abruzzo e così via.

In un anno di attività Il Barbiere ha dovuto rettificare soltanto tre o quattro notizie. Arriviamo qui al secondo principio fondamentale al quale si attengono Figaro e i suoi. Riprendendo ancora la legge sulla professione giornalistica e sull’Ordine si legge “ Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte, e riparati gli eventuali errori”.

Su questo punto Figaro è sempre stato molto fermo: oltre ad applicare l’art. 2 della legge professionale, Il Barbiere della Sera ha sempre rispettato l’art. 8 della legge sulla stampa: la rettifica deve essere gratuita; la sua pubblicazione deve avvenire entro i termini stabiliti dalla legge; e, infine, deve essere contenuta in un massimo di trenta righe, con le medesime caratteristiche tipografiche della notizia da rettificare.

Rispettando le regole del gioco Il Barbiere della Sera si è guadagnato la fiducia di giornalisti e di appassionati che desiderano capire i segreti della professione, ma Figaro sembra puntare molto più in alto: “Il Barbiere della Sera, come avrete capito, è il frutto, ancora acerbo, dell’iniziativa di un pugno di colleghi. Bene, noi vogliamo che diventi la prima ‘public company’ dei giornalisti italiani. 

Lavoreremo affinché diventi un punto di riferimento forte della nostra categoria, un luogo dove ritrovarci, ritrovare le ragioni del nostro lavoro e spiegarle agli altri. Un giorno, speriamo non lontano, ogni giornalista dovrà possedere almeno un’azione del Barbiere della Sera. Un’azione per esserci, per partecipare da protagonista, per pensare e scrivere liberamente. Un soldo di libertà”.


8 Ottobre 2001 - I processi che saltano

Dopo il voto favorevole del Senato quella sulle rogatorie è legge dello Stato. Benché in passato vi siano state leggi che l’inquilino del Quirinale ha rispedito al mittente si è quasi sempre trattato di provvedimenti che non garantivano un’adeguata copertura finanziaria. Un fatto tecnico insomma. E infatti Ciampi ha controfirmato la legge. 

In questo caso la mancata firma di Carlo Azeglio Ciampi (che ricordiamo – particolare non insignificante – è anche presidente del Consiglio Superiore della Magistratura) avrebbe bollato la legge come incostituzionale se non addirittura come eversiva con conseguenze politico istituzionali devastanti.

Legge e’ passata con un muro contro muro di inaudita durezza fra maggioranza ed opposizione. Alla Camera si è rimasti nell’ambito della decenza (forse perché, come ha fatto acutamente notare Sebastiano Messina su la Repubblica, Pierferdinando Casini avrà forse letto con meno attenzione del suo omologo Marcello Pera i testi di Popper e di Heidegger ma ha certamente appreso da Toni Bisaglia e da Arnaldo Forlani come districarsi in situazioni politiche spinose).

La Camera Alta ha invece fornito agli italiani uno degli spettacoli più indecorosi della recente storia della Repubblica. Solo il muro dei commessi ha evitato il peggio e dopo avere assistito alle performances dei nostri patres conscripti, Davids e Montero hanno chiesto l’iscrizione al club damine di San Vincenzo.

Per tutti l’impeccabile comportamento di quel gentiluomo di Domenico “Mimmo” Contestabile che non contento di avere dato del cornuto al collega Cambursano ha ribadito il giorno dopo, in un virgolettato non smentito sul Corsera di averlo fatto “sulla base di informazioni precise”.

Molto probabilmente se Cambursano fosse stato eletto nel collegio di Corleone o di San Giuseppe Jato la storia avrebbe avuto un diverso epilogo, ma essendo un mite sabaudo di Chivasso la vicenda è finita lì. E pazienza per la signora Cambursano che, una tantum, si è trovata in compagnia delle signore Collina, Borriello e Trentalange

Nessuna persona sana di mente può lontanamente ritenere che la maggioranza voglia proteggere spacciatori, riciclatori, assassini, terroristi anche se tutti costoro ne trarranno benefici in termini processuali.

Ma tutti, la candida Biancaneve, Cucciolo il più naif dei sette nani e la sottoscritta, ancor più naive di Cucciolo, siamo sfiorati dal dubbio che questa sia una legge fotografia per favorire Silvio Berlusconi e alcuni personaggi del suo entourage. Ma vediamo quali sono i processi più clamorosi che potrebbero saltare per decorrenza dei termini o che, comunque, subiranno un rinvio (ricordo le parole di un celebre penalista degli anni sessanta: “processo rinviato imputato mezzo salvato”). 

Processo Imi Sir. Sulle presunte tangenti (70 miliardi) pagate dagli eredi di Nino Rovelli. Imputati gli avvocati Previti, Pacifico e Acampora e i magistrati Squillante, Verde e Metta.

Processo Sme. Su presunti fenomeni di corruzione connessi alla vicenda Sme Buitoni. Indagati Silvio Berlusconi, Previti, Pacifico, Verde e Squillante.

Lodo Mondadori. Presunte tangenti per aggiustare la sentenza sul passaggio della proprietà della Mondadori. Imputati Berlusconi, Pacifico, Previti, Acampora e Metta. 

Altri processi minori vedono come imputati o indagati Marcello Dell’Utri, Paolo Berlusconi e alcuni alti dirigenti Mediaset.  

C’è da aggiungere che, pur di far passare la legge, la maggioranza si è dichiarata disponibile ad allungare – e questo sì che è un obbrobrio giuridico – quei vergognosi tempi di custodia cautelare per la lunghezza dei quali siamo stati più volte rampognati in sede europea. Proroga che non sfiorerebbe in alcun modo i personaggi sopra descritti essendo tutti a piede libero o, comunque, sotto l’ombrello dell’immunità parlamentare. 

Inquietante la decisione - che sa tanto di epurazione -  del ministro della Giustizia Roberto Castelli (i cui occhialini tondi senza montatura mi ricordano, chissà perché, quelli di Lavrenti Beria) di rimuovere  - eufemismo al posto del più rude licenziare - cinque magistrati dell’ufficio legislativo di via Arenula il cui solo torto è stato quello di avere stilato un documento di critica (tecnica si badi bene e non politica) sulla legge in questione. I cinque neo disoccupati sono Antonio Patrono, Antonietta Carestia, Elisabetta Rosi, Giuseppe Cascini e Vittoria Stevanelli.

Boris Vishinski non avrebbe saputo fare di meglio. 

Durissimi i giudizi che vengono dall’estero. Quello del procuratore generale di Ginevra Bernard Bertossa secondo il quale “il provvedimento non ha nulla a che fare col diritto ma è di chiara natura politica ed è destinato a salvare determinate persone vicine al governo italiano.

Solo nella Russia di Eltsin – prosegue – esistono capi di governo che controllano televisione e stampa e che usano tutto il potere di cui dispongono per salvare personaggi a loro vicini”. Più cauto Guido Calabresi, capo della Corte d’Appello di New York. “Non solo la giustizia americana ma anche il governo e l’opinione pubblica finiscono per chiedersi cosa ci sia dietro. Queste vicende alimentano un clima di sospetto sull’Italia”.

Mata Hari


8 Ottobre 2001 - Avete letto Manlio Dinucci?

Invito tutti i colleghi a segnalare articoli seri sulla situazione attuale che non siano pastoni d'agenzia con commenti personali o, peggio, commenti personali basati su pastoni d'agenzia (meglio noti come editoriali). Corriamo il rischio di subissare Pennina di un numero immenso di mail inutili, ma forse riusciamo a salvare qualcosa nello squallore sconfortante di questo presente per nulla allegro.

Io -nonostante la pervicacia che lo porta con impietoso masochismo ad affiancare  quotidianamente a otto pagine la parola 'Apocalisse' - difendo il manifesto. Per cui: avete letto Manlio Dinucci?
 La ragazza del bar

 AFFARI&POLITICA
Il business degli uomini del presidente
MANLIO DINUCCI

Chi ha detto che l'amministrazione Bush non è democratica? Ci sono rappresentati tutti. Tutti i principali gruppi economici. Qualche favoritismo, a dir la verità, c'è: particolarmente agevolate le industrie belliche e petrolifere. D'altronde è sulla guerra e l'oro nero che la famiglia Bush ha costruito le sue fortune, trafficando anche con la famiglia bin Laden (v. il manifesto del 25-26 settembre e 3 ottobre).

La connection delle armi
La General Dynamics, uno dei maggiori contrattisti del Pentagono (costruisce, tra l'altro, sottomarini nucleari) è ben piazzata. Ha fatto fare a Colin Powell, prima che divenisse segretario di stato dell'amministrazione Bush, un ottimo affare. L'ex capo delle forze armate Usa all'epoca della guerra del Golfo, una volta a riposo era entrato nel consiglio di amministrazione della Gulfstream Aerospace, di cui era divenuto anche azionista. Quando la General Dynamics ha acquistato nel 1999 la Gulfstream Aerospace, il pacchetto azionario di Powell, già cresciuto con la vendita di aerei per executive e generali al Kuwait e all'Arabia Saudita, è fortemente aumentato di valore.

Altro affare Powell lo ha realizzato nel campo multimediale. Entrato nel consiglio di amministrazione di America OnLine, grazie soprattutto all'influenza politica acquistata come capo delle forze armate, ha visto il valore delle sue azioni crescere di 4 milioni di dollari quando la società si è fusa nel 2000 con il colosso dei media Time Warner.

Sarà un caso, ma il figlio di Colin Powell, Michael, era stato l'unico membro della Commissione federale per le telecomunicazioni a sostenere che la fusione doveva essere approvata senza essere sottoposta a esame.

Per i suoi meriti, Michael è stato nominato da Bush presidente della suddetta Commissione. Powell senior ha anche qualche altra entrata: nel 2000 ha guadagnato 7,7 milioni di dollari (16 miliardi di lire) per 108 conferenze, pagate ciascuna oltre 71mila dollari (150 milioni lire). A remunerare l'arte oratoria di Powell alcune tra le maggiori multinazionali Usa.

Direttore della Gulfstream Aerospace era l'attuale segretario (ministro) della difesa Donald Rumsfeld, il cui pacchetto azionario di 11 milioni di dollari è lievitato quando la società è stata acquistata dalla General Dynamics. Rumsfeld, già segretario della difesa nell'amministrazione Ford, è stato messo a capo della commissione congressuale incaricata di valutare la minaccia dei missili balistici: ha raccomandato la realizzazione dello "scudo spaziale", alimentando un nuovo colossale business dell'industria bellica.

La General Dynamics può contare anche sul vicesegretario di stato Richard Armitage, già membro del consiglio di amministrazione della General Dynamics Electronic Systems, e sul segretario della marina militare, Gordon England, già executive della stessa General Dynamics.
Messa bene è anche la Lockheed Martin, tra i principali contrattisti del Pentagono sia per lo "scudo spaziale" (che ha ricevuto sinora fondi per 140 miliardi di dollari), sia per il caccia F-22 (26 miliardi), che per il caccia Joint Strike (4,3 miliardi, ma siamo sono all'inizio).

Il Ceo (Chief executive officer) della Lockheed, Anthony Principi, è divenuto segretario del dipartimento per gli affari dei veterani. Uno dei vicepresidenti della Lockheed, Norman Minetta, è segretario dei trasporti, mentre un altro vicepresidente, Michael Jackson, è vicesegretario dello stesso dipartimento. Si aggiungono a questi Otto Reich, già lobbista della Lockheed e ora assistente segretario per gli affari dell'emisfero occidentale al dipartimento di stato, e David Aufhauser, già avvocato della Lockheed e ora consigliere generale del dipartimento del tesoro.

Altre industrie belliche sono ben rappresentate. Segretario dell'aeronautica è James Roche, già executive della Northrup Grumman, società contrattista dei caccia F-22, Joint Striker e F/A-18E/F (finanziato finora con 19 miliardi di dollari). Al posto di sottosegretario della difesa per l'acquisizione, la tecnologia e la logistica, c'è Pete Aldridge, già Ceo della Aerospace Corporation, anch'essa contrattista dello "scudo".

Maureen Patricia Cragin, già lobbista della Raytheon (altra contrattista dello "scudo"), è divenuta assistente segretaria del dipartimento per gli affari dei veterani, mentre Leo Mackay, già presidente di una divisione della Bell Helicopters, è divenuto vicesegretario.

La connection del petrolio
Altrettanto ben rappresentate nell'amministrazione Bush sono le compagnie petrolifere. Dick Cheney - già Ceo della Halliburton, la maggiori fornitrice mondiale di servizi per le industrie petrolifere - ricopre la carica di vicepresidente. Capo dello staff del vicepresidente è Lewis Libby, che ha interessi nella Texaco e ExxonMobil. Condoleezza Rice, già membro del Cda ella Chevron (hanno dato il suo nome a una petroliera), occupa l'influente posto di consigliera per la sicurezza nazionale.

Donald Evans, che è stato presidente della società petrolifera Tom Brown Inc., è segretario al commercio. Kathleen Cooper, già economista capo alla Exxon, è sottosegretaria per gli affari economici al dipartimento di stato. Gale Norton, già avvocata della Delta Petroleum e rappresentante di una coalizione repubblicana finanziata da BpAmoco e Ford, è segretaria del dipartimento degli interni. Vicesegretario è Steven Griles, già lobbista di varie compagnie petrolifere.

La protezione dell'ambiente è assicurata da Christine Whitman -amministratrice dell'Agenzia per la protezione ambientale - che ha fatto notevoli investimenti nei pozzi petroliferi della Texas Oil e in altre industrie petrolifere, e da Spencer Abraham, segretario del dipartimento dell'energia, beneficario di grosse donazioni delle compagnie petrolifere alla sua (fallita) campagna elettorale per il senato. La giustizia è amministrata dal procuratore generale John Ashcroft, che ha ricevuto ingenti donazioni da compagnie petrolifere e automobilistiche.

Altri importanti consiglieri del presidente sono Karl Rove, principale stratega politico, che ha fatto grossi investimenti nella BpAmoco e nella RoyalDutch-Shell; Nicholas Calio, direttore della Casa bianca per gli affari legislativi, già lobbista di compagnie petrolifere e automobilistiche; Clay Johnson, direttore del personale presidenziale, che possiede un grosso pacchetto azionario nella El Paso Energy.

Questi e altri - tra cui la segretaria all'agricoltura Ann Veneman, già membro della Calgene (società biotecnologica acquistata dalla Monsanto) e di un gruppo politico finanziato dalla stessa Monsanto - sono gli uomini e le donne del presidente. Sono loro, e soprattutto chi è dietro di loro, a consigliare e orientare Bush nella "guerra contro il terrorismo", nella "crociata" che parte tra le lacrime di chi piange le vittime degli attentati e la tacita soddisfazione di chi pregusta altri colossali profitti ricavati dalle armi e dal petrolio.
Manlio Dinucci


4 Ottobre 2001 - Appena arrivata, Pennina già ha qualcosa da ridire

Ci siamo rotti le palle! Non sarà elegante dirlo, ma esprime bene il concetto. E se una missione devono avere i giornalisti è proprio quella di esprimersi in maniera chiara. Dunque ci siamo rotti le palle. Il Barbiere sta diventando il sito... del pianto, uno sfogatoio telematico, un confessionale virtuale di nefandezze più o meno gravi. 

Lungi dal rifiutare le preziose segnalazioni dei lettori, quello che chiediamo è di scrivere nelle e-mail che mandate riferimenti con nomi e numeri di telefono, che, naturalmente, assicuriamo non verranno resi pubblici, ma che a noi servono per verificare (di far questo non ci siamo ancora rotti) la fondatezza di quanto ci scrivete. 

Dateci anche qualche esempio di virtù giornalistiche miracolosamente sopravvissute al cinismo ed alla superficialità dilaganti. E' di esempi positivi che abbiamo bisogno, non di lagne. Abbiate pietà dei giovinastri che stanno imparando 'sto mestiere... ci vuol davvero coraggio a volerlo fare ancora nonostante quello che si sente in giro e si legge pure su questo sito. 

Siamo convinti che ognuno di voi è in grado di offrire esperienze felici: dal redattore anonimo che fa coscienziosamente il suo lavoro, all'editore illuminato, al direttore democratico... Non siate scandalizzati. Non è di utopie che parlo, ma di quotidianità vissuta senza dimenticare gli ideali degli inizi. 

In bottega cambiamo l'aria, abbiamo bisogno di una ventata di ottimismo. Quindi finitela di criticare come vecchie ed acide zie tutti gli errori degli altri. Solo chi non fa nulla non sbaglia. E in questo mestiere la fretta rende tutti vulnerabili. Tutti. Nessuno escluso. 

Badare bene: non ci sono correnti buoniste sotterranee in bottega, né abbiamo fatto endovene di nutella per addolcirci un po’. Tanto meno è un' invito a chiudere gli occhi davanti ad ingiustizie e scorrettezze. Solo fate caso anche al buono che c'è e sopravvive senza che nessuno lo noti e se ne ricordi. Rilevarlo di solito fa bene all'umore

Un'altra cosa che fa molto bene all'umore del Barbiere è seguire le regole che trovate appese all'entrata e che in pochi rispettano: mandate i pezzi divisi in blocchi di testo, con i neretti e possibilmente con un titolo. Siete tanti e di più, una mano dovete darla nell'editing

Un'ultima raccomandazione e non snobbatela perché arriva dalla punta di una pennina. Siate giornalisti: mandate pezzi e non comunicati stampa pallosissimi.

Voi stessi cosa fate? Non lo cestinate subito un comunicato stampa? Il cestino è il luogo naturale in cui vengono archiviati (ora ci sarà l'insurrezione degli uffici stampa, ma vabbè...). 

Anzi, raccomando una cosa pure a questi ultimi: scrivete diei righe e non di piu'. Sul Barbiere il vostro comunicato verrà pubblicato sicuramente con maggior piacere (e siamo pronti a scommettere che sarà letto di piu'). Ok, basta pontificare che non si addice ad una Pennina. Posso ritornare al frenetico da fare della bottega.
Pennina

Questa nota di Pennina merita una breve spiegazione. Pennina e' da poche settimane "in charge" per il disbrigo degli affari correnti qui a bottega (ovvero l'evasione della posta, la direzione del traffico dei curricula e via discorrendo) oltre che per i suoi articoli di giovane giornalista agli inizi di una luminosa carriera. E gia' si e' resa conto in che guaio si e' cacciata.  E' per questo chiede aiuto e comprensione. La nostra raccomandazione e': statela a sentire. E' giovanissima, ma se si arrabbia...
Bds


3 Ottobre 2001 - L'altra metà del campo

È stata sempre una roccaforte maschile. Da qualche anno però la valanga rosa ha infranto le ultime difese ed è entrata di prepotenza nella cittadella fortificata delle redazioni sportive. E nella maggior parte si tratta di colleghe brave, molto brave.

“Mi occupo di sport da diciotto anni” dice Enrica Speroni, vice capo redattore de La Gazzetta dello sport.

“Ma perché ci sono molte più donne che si occupano di sport che di uomini, ad esempio, di moda?”
“Forse perché siamo più curiose; abbiamo più voglia di cimentarci , di metterci alla prova. E poi, sai, una donna in una redazione sportiva deve essere mediamente più brava. Insomma, dobbiamo sempre dimostrare qualcosa. È una sfida all’inizio; poi, come spesso accade in una qualunque redazione è routine”.

Speroni non fa mistero della sua juventinità (nessuno è perfetto); le altre hanno tutte una squadra del cuore ma mi hanno chiesto di non rivelarla. 

Nell’albo delle veterane, capo servizio sempre della rosea, Gabriella Mancini. Per carità, non confondetela con la Gabriella Mancini che tiene (o teneva) una melensa rubrica del cuore sul sito della Adn Kronos.

“So di avere un’omonima” ha detto Gabriella (quella vera) senza commentare. Ma dal tono ho capito che la possibile confusione non la rendeva particolarmente entusiasta. Di tutto rispetto il suo palmarès

“Sono marchigiana e ho cominciato al Corriere Adriatico. Mi sono diplomata all’Isef e ho conseguito a Coverciano nel 1980 il diploma di allenatore di calcio (cosa della quale mi è sembrata molto orgogliosa, ndr). Insomma, ho lo sport nel sangue”.

Mancini cura una seguitissima rubrica su quanto appare sui media. 

“Occuparsi di sport per una donna oggi è normale. Quando cominciai, nel 1976, lo era un po’ meno” dice Emanuela Audisio, inviata de la Repubblica. Ricordo che negli anni ’80 ero a Forio d’Ischia per il mondiale di pugilato vinto da Oliva. Ero l’ultima della fila fra i molti colleghi che stavano prendendo posto nello spazio riservato alla stampa quando venni fermata da un carabiniere; gli mostrai tesserino e accredito ma lui replicò che era impossibile che una donna si occupasse di sport; ergo i documenti dovevano essere falsi o rubati

Fui portata in caserma per accertamenti e poi rilasciata con mille scuse. O come quella volta a Las Vegas “prosegue Audisio “ che, sempre ad un match di pugilato, per recarmi al terzo piano del Palasport dove si trovava la sala stampa e dovendo passare dal piano degli spogliatoi venni bendata da un guardiano preoccupatissimo che potessi incontrare atleti... discinti. Mi feci due piani con un asciugamano sugli occhi, accompagnata e tenuta per mano come una cieca”.   

Numerosissime le colleghe del video e mi scuso sin d’ora per i peccati d’omissione in cui incorrerò citandone alcune e dimenticandone altre. Sempre puntuali e pertinenti le analisi tecniche (calcistiche) di Francesca Sanipoli, Cinzia Maltese e della garbata e gradevolissima Paola Arcaro, mentre l’automobilismo è territorio esclusivo di Federica Balestrieri che, è il caso di dire, sull’argomento ha una marcia in più.

E che dire di Ivana Vaccari super esperta di sci e tennis e che svolge un importantissimo (oscuro e ignoto ai più) lavoro come capo redattore al desk di Rai Sport. In più è anche una impeccabile conduttrice e, cosa che non guasta, una bella donna. Insomma, come direbbe Martufello “di più nin zo’”. 

Sulle spalle di Donatella Scarnati (e onor del vero anche di Fedele La Sorsa) tutto il fardello sportivo del Tg 1. Con ottimi risultati; e non è da poco. 

Molte le colleghe della redazione sportiva di TMC. Cito per tutte Marina Sbardella (che se la memoria non mi inganna è stata anche presidente della Federazione Gioco Calcio Femminile) e soprattutto Pina Debbi che per la sua competenza calcistica potrebbe candidarsi alla successione di Giovanni Trapattoni alla guida della nazionale maggiore. 

Il fatto di possedere una parabola mi consente di vivere perennemente in stato di overdose calcistica ma anche di apprezzare su Tele+ i collegamenti da bordo campo di Alessandra Ferrari e di Martina Maestri. Anche nelle interviste post partita le due se la cavano mica male: difficile che esca loro di bocca una domanda banale o scontata. 

Benché parlando di  colleghe le classifiche siano sgradevoli corro il rischio citando quella che, a mio personalissimo e sindacabile giudizio, considero la numero uno: Nicoletta Grifoni (alla quale mando un gigantesco in bocca al lupo, lei sa perché, ndr) della redazione Rai di Ancona.

Incredibile la sua versatilità. Si è occupata (e si occupa) soprattutto di volley ma tiene i collegamenti per Tutto il calcio minuto per minuto, alle Olimpiadi è esperta di tennis tavolo, ha condotto la trasmissione Tuttobasket e certamente dimentico qualcosa. In fatto di sport una tuttologa.

Chi l’ascolta ha la sensazione che legga su un gobbo. Veloce, precisa, competente, puntuale, mai una pausa, un’esitazione, una sbavatura, un tempo morto. Paga purtroppo il fatto di essere dislocata in una redazione periferica. Meriterebbe un’altra platea.

“Non ho subito “dice Grifoni “ostracismo o discriminazioni per il fatto di essere donna in un mondo sostanzialmente maschile”

“Mai?”
“Solo una volta”.
“Quando?”
“In Canada, l’anno scorso, per la World League. Eravamo tutti, giornalisti ed atleti alloggiati in un residence. Vado a trovare Anastasi (il trainer, ndr) e Libenzio Conti per concordare alcune interviste e li trovo sepolti sotto venticinque camicie di altrettanti atleti, lavate ma da stirare.

Come unica donna del gruppo mi sentii in dovere di chiedere se potevo dare una mano. Mal me ne incolse: mai un’offerta fu accolta con tanto entusiasmo e in men che non si dica mi trovai sommersa da cinquanta metri quadri di camicie da stirare. Anche perché la camicia di un pallavolista, altezza media due metri, è circa il doppio di quella di un uomo normale. Fu l’unica volta” dice Nicoletta ridendo “che capii cosa significava essere donna in un mondo di uomini”.

Ragazzo spazzola


1 Ottobre 2001 - Hai letto la Fallaci sul Corriere?

Carissimo Bds, sono due giorni che vengo bersagliata dalla domanda 'Hai letto la Fallaci sul Corriere?'. L'iniziativa è partita da un mio vicino di quartiere, è passata attraverso il mio edicolante, poi mi ha raggiunto in panetteria, quindi dal verduraio, poi al baretto dove gioco il Superenalotto.

Tornata a casa si è proseguito coi colleghi, su Internet, a cena e nel dopocena. Domenica sono stata svegliata da due telefonate (la mia ex suocera e il mio ex marito) che invitavano le figlie a leggere la Fallaci. Anche alcuni giornali, che ho distrattamente sfogliato nel festivo facevano riferimento alla Fallaci. Così, se mi dai spazio, vorrei partecipare anch'io.
 

Niente contro la Fallaci, a parte inessenziali opinioni personali divergenti da quelle della Fallaci. Quello che mi infastidisce cerco di spiegarlo con due articoli che recupero col copia-incolla dal Manifesto. 'Avete letto Piccioni e Aldo Busi?'

Se no, per favore, fatelo. Grazie.Comunque non sarà tempo perso.
Francesca Longo
 

da il manifesto di martedì scorso....

Bush e Bin Laden, soci d'affari e amici per la pelle La saga infinita dei rapporti tra le due famiglie, in cui sono i bin Laden a perdere. Decine di news su Internet
FRANCESCO PICCIONI

Quel vecchio pirata di Prescott Bush sarebbe veramente contento di vedere fino a che punto i suoi discendenti hanno assimilato il suo spirito. Lui che nel 1918 guidò un'incursione in un cimitero Apache per prendersi il teschio di Geronimo e farne il trofeo della sua società di studenti, la Skull & Bones (teschio e ossa).

Lui che negli anni '30 - e nei primi '40 - trafficava con la Luftwaffe fino a vedere tre società di cui era azionista importante sanzionate per aver commerciato col nemico (violando il Trading with Enemy Act). Lui che pranzava quotidianamente con Allen e Foster Dulles (capo della Cia al momento dell'assassinio di John Kennedy) e che aveva convocato il capo della nazione Apache per una cerimonia di restituzione del teschio di Geronimo; finita male, perché provò ad affibbiargli un teschio qualsiasi, offendendolo a morte.

Era certamente contento del primogenito George Herbert, petroliere di scarsa fortuna ma agente della Cia in grado di scalarne la vetta (fu nominato direttore nel '76) nonostante il non esaltante risultato dello sbarco nella Baia dei Porci, a Cuba, di cui era il coordinatore.

Però dimostrò di tenere alle radici texane, al petrolio e alla famiglia, chiamando le tre navi da sbarco Houston, Zapata (la sua prima e scalognata società petrolifera) e Barbara (la moglie). Deve aver sorvolato su quella strana liason del figlio, negli anni '60, con un costruttore arabo che ogni tanto veniva in Texas e cercava di introdursi nell'alta società locale.

In fondo, quel Muhammad Bin Laden lì, non durò poi molto: cadde col suo aereo mentre attraversava il cielo sopra i pozzi che così poca soddisfazione davano al suo prediletto. Era il '68, il mondo pensava ad altro. George W., all'inizio, deve avergli dato parecchi grattacapi. Un asino a scuola (la media del "C", a un passo dalla bocciatura), ultimo all'esame di ammissione alle forze aeree della Guardia Nazionale (giusto per schivare il Vietnam), assiduo frequentatore di bottiglie di bourbon e piste di cocaina.

Ma finalmente, anche lui, si lanciava nel business del petrolio. A metà degli anni '70 fonda la Arbusto (bush, in spagnolo) Energy, raccogliendo come soci un po' di amici paterni (la Cia ha molti amici). Il suo compagno di scuola e di servizio militare, James Bath, gli procura investimenti da parte di Khaled Bin Mafouz e Salem Bin Laden, il figlio maggiore di Muhammad e nuovo capo della famiglia. Personaggio notevole, il Mafouz. Banchiere della famiglia reale saudita, sposo felice di una sorella di Salem e Osama, gran capo di Relief e Blessed Relief, le due "ong" arabe accusate di essere una copertura per l'organizzazione di Osama.

George, negli affari, è sfortunato. La Arbusto fallisce, si trasforma in Bush Exploration, poi in Spectrum 7. Immancabile arriva sempre la bancarotta. Ma Salem non gli fa mai mancare il suo generoso appoggio. Il successo pare arridergli quando la Harken Energy rileva la Spectrum pagando la sua quota azionaria ben 600.000 dollari. Che corrobora con un contratto di consulenza da 120.000 dollari l'anno.

In breve si mette in tasca un milione, mentre la Harken ne perde decine. Ma procura un contratto di trivellazione in mare da parte del Bahrein, battendo Amoco e Esso. E' il '91, la guerra del Golfo sta per scoppiare, Bush padre è il presidente; e lo sceicco locale, Khalifa, preferisce non rischiare. Del resto sono anche vecchi amici di famiglia. Khalifa, Bin Mafouz, Salem Bin Laden erano nel board della Bcci quando passavano immensi movimenti di denaro per l'affare Iran-Contra.

Del resto quando, alla fine dell'80, i repubblicani si incontrano segretamente a Parigi con i khomeinisti moderati per ritardare il rilascio degli ostaggi americani a Teheran e fregare così Jimmy Carter alle elezioni, George padre raggiunge di corsa il summit a bordo dell'aereo di Salem Bin Laden. George W. è sfortunato, con i suoi soci. Su quello stesso aereo, nell''88, Salem trova la morte (anche lui) mentre attraversa il cielo sopra i pozzi del Texas.

La coincidenza sembra a molti eccessiva, ma l'inchiesta fu molto accurata. Le conclusioni, infatti, non furono mai rese note. Nel frattempo un altro protagonista dell'incontro di Parigi, Amiram Nir - agente del Mossad - muore in un incidente aereo. Nessun sospetto, però: cade in Messico, mica in Texas.

La sfortuna perseguita anche i giornalisti che si occupano dei Bush. Danny Casolaro sta lavorando a un libro ("Untanglig the Octopus") che ricostruisce la rete degli scandali grandi e piccoli della presidenza paterna. Prima di finirlo, però, decide di suicidarsi "come un incapace", racconta Steve Mizrach. Stessa sorte per James H. Hatfield, 43 anni, che è riuscito a pubblicare "A fortunate Son: George W. Bush and the making of an American President". Una biografia non autorizzata che, nel '99, rivela come George abbia tenuto nascoste le sue frequentazioni con la cocaina.

Per la legge del contrappasso, viene trovato morto per overdose in un albergo di Springdale, Arkansas, il 18 luglio di quest'anno. Ora tocca a Osama, naturalmente. Sodale non d'affari, ma di operazioni targate Cia. Forse gli altri 52 fratelli avranno qualcosa da obiettare. Ma, direbbe Prescott, in una guerra mondiale c'è spazio a sufficienza per risolvere le beghe tra vecchi soci.

1 Ottobre 2001 - E hai letto Aldo Busi sul Manifesto?

Lettera di Aldo Busi al Manifesto

Leggendo l'articolo di Francesco Piccioni, "Bush e Bin Laden, soci d'affari e amici per la pelle" apparso su il manifesto di martedì scorso, mi sono sentito, giornalisticamente, una nullità.

Mi chiedo, al di là di ogni possibile fraintendimento sull'amor proprio fishing for compliments, se interventi come i miei da scrittore abbiano un qualche peso, a parte buonumore sparso e amore per il rischio del ridicolo: io posso divinare e persino essere sensato, ma divinare lo può anche qualunque vecchietta accanto al caminetto che voglia raccontare "come andrà a finire".

E' molto più difficile raccogliere schede sul passato e ordinarle secondo tematiche e personaggi e nazioni e epoche, e io, poi, ho un rifiuto totale verso Internet e non possiedo alcun archivio, neppure per quanto riguarda la ricezione della mia stessa opera letteraria e dei miei spogliarelli televisivi, e neppure sono molto affidabile quanto a nomi con la corretta grafia e impiego due ore e mezzo per (è roba di ieri) trovare da qualche parte come si scrive Castel Goffredo (mentre ancora non ho trovato da nessuna parte "Auschwitz", non riportato da alcun atlante e qui trascritto a braccio), e, se devo trovare un volume nella mia biblioteca, preferisco andare a ricomperarlo addirittura, tanto non lo troverò e se lo troverò, lo troverò in triplice copia quando non saprò più che farmene.

Da qui, quella mia predilezione per quel tipo di giornalismo puntuale, molto bene sintetizzato nell'articolo in questione, poco scritto, scremato da ogni arabesco elzeviristico e tanto più impressionante, che è l'unico accettabile dopo quello d'assalto (il cui esempio migliore sta proprio in coloro che per questo ci rimettono la pelle come Casolaro e Hatfield, per restare in terra americana, citati da Piccioni).

Mi piacerebbe, per mia utilità, che il manifesto aprisse un dibattito con i suoi lettori su cos'è e cosa non è giornalismo scritto oggi (visto che è ormai chiaro ai più che "anche le immagini mentono"), che cosa si aspettano, che cosa vi trovano e cosa non vi trovano, come si accumula e come si perde credibilità, quanta autonomia intellettuale e politica si richiede al giornalista e in che misura è tollerabile che non sia totale, se è il contesto del giornale a determinare sempre e comunque il testo del giornalista o se è talvolta possibile essere dissidenti, innovativi dall'interno.

E' da troppo tempo che in Italia non si fa un'inchiesta così: imparare a leggerne le fondamenta, prima di ripararsi sotto un tetto qualsiasi. A me piacerebbe molto anche una vostra pagina dedicata ai giornalisti italiani già ammazzati in passato - su quelli che vorrei ammazzare con le mie stesse mani appena posso sono in grado di scrivermela da me.

Ma, tornando a bomba sul mio scrivere articoli giornalistici (e sui troppi articoli di fondo - ovvero filosofici memento sulla fritola negata - in tutti i quotidiani e su sempre più pagine a firma più o meno illustre), io mi sento definitivamente, come dire, fuori gioco e fuori disco orario, ecco, vado in crisi per ogni articolo che vi mando, mi sembra una manifestazione di insopportabile arroganza e inconsapevole, infame vanità; anche se, rileggendoli, sono esteticamente entusiasta uno per uno del loro imprevedibile punto di vista (il mio), non posso fare a meno ogni volta di pensare "è l'ultimo, vergognati", e adesso ci mancava anche l'articolo di questo Piccioni: non bastano tre fave favellate di Busi per prenderne uno solo, cià. Chissà che ne pensano gli altri Scrittori dei loro e se mai ce lo faranno sapere. Umilissimamente più mio, ahimé, che Vostro.
Aldo Busi


28 Settembre 2001 - Tutti alla guerra che non c'e'

Bush l'aveva detto quasi subito :"non vi diremo nulla che possa mettere in pericolo anche soltanto la vita di un soldato americano". E sta mantenendo la promessa:da qualche giorno non arrivano più notizie dal fronte. La CNN  va in onda con la scritta “war against terror”, la BBC, con scarsa fantasa con “war on terrorist”.

Tutti sembrano accettare come un accidente del destino che questa guerra non si potrà mostrare se non in minima,  e supercontrollata,  parte. La flotta "continua ad avvicinarsi"ad un paese senza coste, i rangers "sarebbero"già in azione in Afghanistan, in questo clima surreale Bruno Vespa ci ricama tanti bei dibattiti ( 25, 04% il 27 settembre, 22. 56% il 26, 19, 66% il 25 settembre), con un corrispondente da New York(Giulio Borrelli) il quale fa sempre più fatica a restituire la linea, un'inviata (Lilli Gruber) che si piace più che mai.

In mancanza di fatti certi le domande futili e le risposte sciocche aumentano a vista d’occhio. Maurizio Costanzo che non ha ancora trovato la cifra giusta per trattare la guerra che arriva (ma quando arriva? Non doveva scoppiare al ritorno del papa in Vaticano? Boh). Ma il panorama non è tutto negativo, anzi.

La struttura di Michele Santoro manda in onda (martedi 25 settembre, share 19. 66%) una splendida puntata di "Sciuscià" da New York e replica mercoledì da Roma con “Dio mio” (share 18. 18%) con ottimi servizi,  la solita lieve spocchia e un discreto dibattito.

Milena Gabanelli (giovedi 27 , share 8, 08%) propone  una puntata sul lusso estremo veramente interessante e aggiunge un'idea:ci propone servizi di tv locali che altrimenti non potremmo vedere. E si scopre (ma guarda un po’…) che anche in periferia ci sono colleghi che si scontrano con palinsesti farciti di materassi ortopedici, creme miracolose e maghe per lenire ogni dolore e la sfangano egregiamente.

Mediaset è un po'assente ma domenica sera riprende "
Terra", il settimanale del tg5 e se la dovrà vedere con TV7  su Rai Uno. Sarà una bella battaglia. La Tv questa settimana offre quanto meno parecchia scelta . Non si parla quasi del "Grande Fratello"(vi ricordate lo scorso anno?). E anche questa, secondo noi, è una bella notizia in mezzo a uno scenario internazionale deprimente. 
T.C.


27 Settembre 2001 - Se potessi avere 10 lire (lorde) a battuta

“Questo giornale va avanti anche senza di voi”.  E finimmo tutti a casa per aver chiesto le 8 lire a battuta che l'Editore ci aveva promesso. Dopo mesi di lavoro gratis abbiamo chiesto all'editore di essere pagati.

Caro Danilo, volevamo SOLO quello che ci avevi promesso, mica ti chiedevamo di pagarci i pezzi secondo tariffe dell'Ordine (ma qualcuno le rispetta davvero?), ma tu, dietro quel colorito marroncino (nonnò, non è lampada, è proprio made in Tropici, amici miei) e quegli occhioni blu, non hai fatto una piega, e ci hai buttati nel water ( ma con grazia) e ci hai detto: "passa in amministrazione per il saldo".

Forse intendevi il saldo delle prese in giro, ma, parlo per me, non l'ho capito, perchè non era mica la Editrice Pippo&Pluto.  Tutti, chi più chi meno, si saranno imbattuti in quelle pubblicazioni specializzate in concorsi pubblici che invadono le edicole; qualcuno avrà comprato uno dei testi consigliati; qualcun'altro leggerà i giornali dedicati alle offerte di lavoro, pubblicazioni fiorite come un prato in primavera negli ultimi anni.

Volete farvi due risate? Proprio una delle più grandi case editrici del settore non paga i giornalisti che scrivono sui suoi giornali...come dire: troviamo il lavoro agli altri ma non paghiamo il vostro. 

Ecco, è proprio quello che succede in questa casa editrice di un periodico dedicato ai concorsi e di altri periodici sullo stesso argomento (per azzerare la concorrenza ha invaso il mercato di sue pubblicazioni, così, quando credi di "sentire un'altra campana", senti sempre la stessa e non lo sai).

La stessa casa editrice, un identico settimanale venduto in tutta Italia al prezzo di £ 1.800, infarcito per altro di remunerativa pubblicità.  Bene, la ex redazione combatte da oltre un anno per essere pagata.

Senza successo. Dopo l'esodo scaglionato dei collaboratori, che man mano recuperavano la ragione, al momento il giornale si avvale di una redazione tutta nuova (leggi: ragazzi di belle speranze che credono di aver svoltato scrivendo per un settimanale nazionale, e che accetteranno di essere pagati oltre ogni tempo massimo e a prezzi sotto ogni decenza umana per questo motivo, e che saranno brutalmente disillusi quando gli arretrati arriveranno a tal punto da spingerli a chiedere il saldo...e lì passeranno in un sol colpo dall'infanzia all'età adulta, e non sarà bello).

Il nostro sbaglio è stato quello di credere che l''Editore, nonchè unico amministratore e rappresentante legale (in effetti noi siamo i Fantozzi della situazione, lui, già sapendolo, si è assimilato al Gran Cap Figl Di...ecc. del povero ragioniere) fosse una persona onesta.

AHAHAHAH! Così lui prometteva che presto avrebbe pagato, e intanto il tempo passava.  Io, come tutti i miei colleghi, vorremmo solo i NOSTRI soldi. Tra l'altro, il Grande Editore, ci pagava 10 lire LORDE  a battuta, dunque non ci deve certo miliardi, a tirar le somme di 10-15 redattori. 

Eppure, al meglio che ci andrà, dopo aver portato a termine la causa legale che, ciascuno di noi in tempi diversi (chi si è svegliato prima, chi dopo) ha avviato o sta avviando, TRA CINQUE - SEI ANNI (i tempi rapidi della Giustizia) riusciremo ad avere chi i suoi 5, chi i suoi 10, chi i suoi 3 milioni. Oltre ad una serie di ulcere perforanti, ictus e trombosi da arrabbiature che nessuno ci ripagherà. 

Vi racconto questa storia perchè è grave che un Editore di questa portata venga lasciato libero di sottopagare i giornalisti (pardon: di illudere di sottopagare eppoi di non pagare affatto); di fare tariffari a suo piacimento (o si intende questo quando si parla di flessibilità del mondo del lavoro?); di continuare ad uscire REGOLARMENTE con tutti i suoi giornali quando ci sono in corso VERTENZE, DENUNCE e simili? 

Qualcosa non funziona, nel nostro dorato mondo dell'informazione, se l'Editore è tanto sicuro di averla vinta  da ignorare convocazioni ufficiali, perchè sa che un avvocato costa L'IRA DI DIO e un poveraccio qualunque NON SE LO PUò PERMETTERE a cuor leggero. Sicuro almeno sui lunghi tempi della Giustizia (perchè a costo di vendermi casa i miei soldi non rimarranno sul SUO conto in banca)

In fondo da qui a cinque anni qualcuno di quelli che gli sta facendo causa potrebbe precipitare da una scarpata mentre fa trekking, possibilmente quello a cui deve di più, e gli altri magari molleranno, la guerra di logoramento non l'ho inventata io. 

Vi scrivo perchè spero che qualcuno che sta pensando di collaborare con i giornali pubblicati da questo editore, leggendomi, ci ripensi e non si illuda di essere pagato; se vuole ingrossare il curriculum ok, ma sappia SIN DALL'INIZIO che lo farà gratis...ma poi, tra parentesi, non esistono forme LEGALI di volontariato di questo tipo, dunque gradirei che, qualcuno che ha la facoltà, faccia qualcosa, visto che pago la mia brava iscrizione annuale a Ordine dei Giornalisti, Associazione Sindacale di categoria e INPGI. 

Insomma, non mi va molto di mantenere chi collude con i ladri. Perchè se non si fa nulla per impedire a chi ruba di rubare, si aiuta l'illegalità, non sono un avvocato ma questa cosa la so anch'io.  E mi sento TRADITA da chi DEVE proteggermi, perchè sa e, pur sapendo, permette all'Editore di farsi i soggiorni in Sardegna, girare con il suo parco macchine (ma la mattina sarà dura, poverino, decidere quale tirare fuori...secondo me la sceglie intonata ai calzini) e rifiutarsi, allo stesso tempo, di "pagare" i suoi collaboratori. 

Noi, ex redattori proseguiamo nella lotta, ma segnaliamo alle autorita' competenti, da questa tribuna (in tutte le altre siamo presenti con nomi e cognomi e facce afflitte&inferocite), quello che sta accadendo. Speriamo che non si debba essere costretti a scrivere al Gabibbo per veder smuovere la situazione.  Grazie.
Giovanna d'Arco

27 Settembre 2001 - I guai del Parco dell'Arcipelago toscano


Parchi nazionali nella bufera: l’Arcipelago Toscano a rischio chiusura

Non arriva dal Ministero la nomina del coordinatore tecnico amministrativo: il 30 di settembre si blocca l’attività dell’Ente

 

Tira aria di crisi nei Parchi nazionali. Nell’Arcipelago Toscano l’Ente si prepara a chiudere ogni tipo di attività. Senza direttore dal 1° di giugno, ieri pomeriggio ha ricevuto dal Ministero dell’Ambiente l’ennesima doccia fredda.

Il Servizio Conservazione Natura ha, infatti, dichiarato illegittima la delibera con la quale il Consiglio Direttivo del Parco individuava un Coordinatore tecnico amministrativo che avrebbe dovuto sostituire, pro tempore, il Direttore non ancora nominato. Una figura che poteva consentire all’Ente almeno l’attività di ordinaria amministrazione.

E il Ministero vigilante che ha ritenuto la delibera illegittima non ha indicato una procedura alternativa se non un riferimento ad un elenco di Direttori di Parco, ragionevolmente datato 1994, nel quale non si ritrova altro riferimento se non una serie di nomi senza curricola né indirizzi.

Nell’attesa quindi della nomina del nuovo Direttore che dovrà arrivare dal Ministero il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano il Parco potrà sopravvivere solo fino al 30 di settembre.

In quella data, infatti, scadranno tutti i contratti di collaborazione delle persone che in quattro anni avevano permesso all’Ente di strutturarsi e di svolgere regolarmente le proprie attività. Il Parco, infatti, non ha ancora personale dipendente (i concorsi per ricoprire la pianta organica sono in atto proprio in questi giorni) e dalla data della sua istituzione aveva attivato una serie di contratti di collaborazione.

Così, dal 1 di ottobre  gli uffici del Parco resteranno vuoti e le attività si bloccheranno.

Ci si chiede, a questo punto, cosa sarà dei concorsi in atto, dei numerosi cantieri aperti nell’Arcipelago per i quali esistono precise scadenze ed impegni economici che, in caso di inadempienza, prevedono precise responsabilità di ordine patrimoniale, del Piano del Parco e del Piano di sviluppo economico e sociale in allestimento che avevano portato il Parco nazionale dell’arcipelago toscano fra gli enti parco che nei primi cinque anni di attività potevano riuscire a concludere la fase di strutturazione.

Sarebbe anche importante, in questa situazione,  riuscire a capire quale sarà l’esito di alcune pendenze presso i Tribunali Amministrativi che vedono l’Ente impegnato a contrastare pesanti interventi cementificatori.

 In questo momento si stanno inoltrando all’Ente i nuovi strumenti urbanistici per i quali, come prevede la 394 e il D.P.R. 22 luglio ’96, si rende necessaria nelle aree di competenza il nulla osta del Parco da emanare entro i tempi previsti dal D.P.R.

E poi Pianosa, che proprio in questi giorni vede avvicinarsi la conclusione del complesso iter amministrativo per la tutela e la valorizzazione dell’isola. Un patrimonio naturale e culturale, per la cui salvaguardia il Parco, la Regione e gli Enti locali sono da anni fortemente impegnati al fine di evitare utilizzazioni improprie del territorio. Forse il Parco non è ancora nella bufera, sono solo nuvole di speculatori.

 

Intanto il Presidente del Parco ha spiegato la gravità della situazione in un’articolata lettera inviata al Ministro e ha convocato un Consiglio Direttivo straordinario per il 21 settembre.

Tutti gli atti relativi alla vicenda possono essere consultati nelle News del sito internet del Parco (www.islepark.it).
Ufficio stampa 0565 919422


26 Settembre 2001 - Vale la pena di mettere il curriculum sul Barbiere

Caro Barbiere, anch'io ho risposto (con foto)all'inserzione di Hse, e anch'io ho ricevuto un messaggio di rifiuto che mi è sembrato un po' strano, in quanto sembra non prendere in considerazione l'ipotesi che io, che sono milanese, possa e magari voglia trasferirmi a Roma.

Oltretutto la dichiarazione d'amore verso la mia città mi è parsa un po' esagerata. Insomma, il tono mi ha ricordato quelli che dicono "non sono razzista" prima di spiegare che brucerebbero tutti i negri, ma non per il colore della pelle.

Comunque vorrei dire a tutti che vale la pena di mettere il curriculum su l Barbiere : grazie a voi ho trovato una collaborazione con una casa editrice e domani ho un colloquio per una seria proposta di lavoro nella redazione di una radio.
Polentina


26 Settembre 2001  - Anch'io!!

Caro Barbiere, non ci crederai ma qualcuno mi ha chiamata dopo aver letto il curriculum sul tuo sito. Il colloquio è per giove, non so come andrà ma già la telefonata la considererei un successo del Siviglia. No?

Comunque, per evitare che, dopo il mio "immenso impegno" in materia, ci sia ancora chi mi chiama "pubblicista", ti aggiorno il curriculum, così di certo non mi chiama più nessuno (lo sai, no, che un professionista a colloquio è peggio di un marchigiano fuori la porta).

Vedi allegato, ti ringrazio se aggiorni la mia scheda . Ah!! Grazie per lo sconto anagrafico. Che dici, quello lo lasciamo così?? Fai tu
23 Settembre 2001 - La situazione e' critica. Ora basta

Non pensavo sarei mai arrivata a farlo…ma se lo faccio vuol dire che la situazione è critica…anche di più. Fino a oggi sono riuscita a mantenermi, e a mantenere la mia famiglia, facendo la giornalista free lance dalla provincia più a est d’Italia. Chiudo definitivamente i battenti, saluto questa professione e mi offro come barista o tutto fare …redazioni o no…porto cornetti, svuoto cestini, lustro video…

La crisi (che non è solo mia, ma più in generale di molti che come me, giornalisti professionisti, si sono mantenuti con corrispondenze da mezza Italia e non solo) s’è fatta sentire a giugno, ma ora è diventata insostenibile

Ancor più perché, comunque, pur non avendo lavoro il solo status di giornalista a spasso costa, tra Ordine, Inpgi e Casagit parecchi milioni. Aggiungici le spese telefoniche alla ricerca della 30/40 mila lire perdute o per proposte che inevitabilmente vengono cestinate e il quadro è completo…

Ho provato ad analizzare le cause (collaboro con circa una decina di testate):

1)      Giornali monotematici: luglio e agosto sono stati completamente dedicati al G8. Ora tutto si concentra sugli Stati Uniti e la guerra. In materia ho un minimo di competenza, ma riuscire a spiegare a colleghi al desk, oberati di lavoro, che ce l’ho è impresa tanto cosmica quanto inutile. Inutile perché…passate al punto due…

2)      Le collaborazioni costano, sempre meno, ma costano…quindi meno ce ne sono (possibilmente solo di firme essenziali del giornalismo mondiale, che paghi molto, ma in teoria fanno vendere), meglio è…che te ne fai di un/una giornalista che tutt’al più ti elenca, su dati certi, tutti gli articoli dei trattati internazionali o va, ormai a memoria, sulla funzione bellica degli F16, sulla loro struttura, sulla struttura del 31° stormo, sugli accordi che regolamentano l’uso delle basi Usaf e Nato in territorio italiano, ecc.? C’è l’esperto, e il collega al desk che assembla, copia, incolla, riporta, titola, sottotitola…

3)      Giornali specializzati: collaboro con alcuni giornali specializzati, da sempre interessati a quanto accade nella mia area. Il cambio d’amministrazione è riuscita a far sì che, a parte la satira, nella mia area non accada più nulla. Anche a voler scrivere è impossibile. 

E ciò coinvolge, inevitabilmente, anche quella minima possibilità di dedicarsi agli uffici stampa…nel deserto totale nemmeno la polvere sente il bisogno di venir pubblicizzata…se poi aggiungiamo che la nuova amministrazione si appoggia a figure che in futuro, e grazie a lei, contano di acquisire professionalità…

4)      Giornali aperti e chiusi. No comment. Giornali aperti, ma che non pagano. No comment. E’ un classico del giornalismo nazionale.

5)      Accorpamenti editoriali. Per chi vive e lavora in provincia questa è stata una vera e propria jattura. L’osmosi con l’agenzia e le testate del gruppo è totale.

6)      Assunzione o sostituzione in provincia: suppongo si stia scherzando, caso mai si prepensiona, almeno finchè non sarà possibile licenziare.

7)      Assunzione o sostituzione fuori provincia (trasferirsi in questo caso è un piacere): campa cavallo!!! Io poi non ho nemmeno quel bell’aspetto necessario per rispondere alle inserzioni del Barbiere!!!!

E così, aiutata anche da alcuni episodi di encomiabile idiozia facenti capo alla categoria, ho deciso. La barca sta affondando e, da topo, mi cerco un lavoro.

Domani provo, con le supplenze, a rinverdire i fasti della laurea. Poi mi presento al Comando militare e chiedo se hanno bisogno di una matura signora esperta a livello ministeriale in armamenti, guerre ed affini…Poi darò un’occhiata agli annunci sul quotidiano locale e alla fine chiederò al mio barista se ha bisogno di una ragazza del bar…caffè e cornetti per tutti…al banco e al tavolo….

La ragazza del bar

Ps: Così facendo non guadagnerò molto, ma almeno risparmierò in telefono, Ordine, Inpgi e Casagit. Questo mese ho incassato 160.000 lire lorde…l’Inpgi 2 mi costa più di 200 mila….A proposito, come si fa a dimettersi?


20 Settembre 2001 - L'insostenibile indifferenza dell'essere

Dopo aver rischiato di essere "messa al rogo" come la tipa alla quale ho scippato il nome, vorrei puntualizzare delle parole che ho scritto nel pezzo di ieri "Il business delle mostruosita'" e che qualcuno non ha forse ben compreso.

Mi riferisco a queste parole: " previsioni che nemmeno il Mago Oronzo azzarderebbe ( terza guerra mondiale, guerra atomica ) che suscitano altrettanto assurde paure (mio figlio partirà per la guerra? Dovrò fare scorta di alimenti? )."

Insomma, pare che i miei colleghi che mi leggono non abbiano gradito la parola "assurda" messa accanto alla "paura" di un figlio in guerra o alla penuria di cibo; inoltre mi è stato contestato il fatto di ritenere "azzardi" la terza guerra mondiale o la guerra atomica.
Suppongo allora che forse altri lettori del Barbiere si siano indignati, così spenderò altre due parole sulla paura del codardo occidentale e sull'inutilità di previsioni catastrofiche.

Assurda è la paura di chi si sveglia dal letargo e scopre che esiste la guerra.
Assurda è la paura di chi, benestante, rampante, cellular-parlante, si preoccupa non per il Male, che anch'egli, diciamolo pure, contribuisce comunque ad alimentare ogni giorno - con l'indifferenza, con i danni terribili all'ambiente, con il cinismo di farsi andar bene tutto, purchè porti ricchezza e, al limite, scarichi lontano dagli occhi gli effetti negativi del bel vivere -, ma perché dovrà rimetterci del suo. Finchè la bomba atomica esplode a Mururoa va bene, tanto sta li, chi se ne importa se la gente muore di tumore.

L'insostenibile indifferenza dell'essere: il cinismo di chi, anche ora, continua solo a pensare agli affari propri. In effetti chi entra nelle Forze Armate trascorre, in genere, la vita a giocare alla guerra, svolgendo certo un duro lavoro, ma in fondo a che servono le Forze Armate, oltre a fare le sfilate, se non a fare la guerra, quando serve? Allora perché mai ci si dovrebbe stupire se "i nostri" partiranno? Lo hanno scelto, come chi fa il poliziotto mette in conto le sue piccole guerre quotidiane.

Quando siamo entrati nella NATO ci ha fatto comodo, ora vorremmo ingoiare quel trattato.

E la paura della penuria di cibo? C'è chi vive con meno di un dollaro al giorno, ce la faremo anche noi, malati di diabete e di obesità. E' inoltre azzardato parlare di terza guerra mondiale e guerra atomica perché si evocano scenari passati che non torneranno più, impediscono di capire che la guerra, nemmeno quella, sarà più quella di una volta.

Questa guerra ci mette tutti in gioco, non potremo farla combattere solo ai militari, perché  il terrorismo non è Saddam Hussein, il mondo oggi è unito sì, ma contro una degenerazione di se stesso. Tutti siamo chiamati a difendere la civiltà, a ripensarla in termini più equi, perché gli eccessi generano sempre schegge impazzite. È contro noi stessi che combattiamo, contro il nostro peccato originale: l'attitudine all'evangelizzazione.

Perché non è pensabile imporre il nostro modo di vivere presentandolo come il migliore dei mondi possibili. Questo terrore ci ricorda che ci sarà sempre chi la pensa diversamente da noi, e che tentando di schiacciarlo ne eccitiamo il desiderio di rivalsa. Proprio ciò che, questa volta, sta succedendo a noi. Dopo decenni qualcuno sta tentando di schiacciarci. E ci scopriamo feriti. E non ci va affatto bene.

Se tutto questo restituirà a ciascuno di noi, attraverso la paura, un pezzetto di colpa e scalfirà, attraverso i deliri suicidi dei kamikaze, la nostra granitica superbia, allora avrà forse un senso tutto questo. E non dobbiamo fare gli ingenui. Ogni epoca ha prodotto le sue guerre, il mondo pacifista è l'utopia di chi sogna l'eliminazione della diversità; la guerra la dimostrazione che ciò non è possibile, e anche del fatto che gli uomini non sanno proprio imparare dai propri errori.
Giovanna d'Arco


19 Settembre 2001 - E ti pareva che non c'entrava la Mafia?

Pronto, Giulietto?
Si?

Chiesa?
Si?

Lo storico ex corrispondente dell'Unita' da Mosca, ora articolista della Stampa?
Precisamente.

Veniamo subito al punto. Qualche sera fa alla trasmissione di Michele Santoro dedicata alla tragedia americana avevi cominciato a fare un discorsetto interessante sui soldi dei Taliban. Poi ti sei appiccicato con Gustavo Selva e la storia e' rimasta appesa a mezz'aria. A noi sembrava interessante. Ti dispiacerebbe riprendere da dove ti sei interrotto?

Ma ti pare, e' un piacere. Ci ho scritto un libro su questa faccenda...

Ok, vai con lo spot.
Si chiama "Afghanistan anno zero", sara' in libreria dal 28 settembre, edito da Guerini e Associati.

Bene. E che ci hai scritto dentro?
Tra le altre cose c'e' un saggio dedicato ai Taliban e alle loro origini. Dimostro e documento come la nascita dei Taliban sia stata organizzata per filo e per segno dall'Isi, Inter Service Intelligence, ovvero i servizi segreti pakistani.

Non che sia una novita'. Ma continua.
L'Isi e' stato l'organizzatore e il finanziatore, sin dall'inizio, della guerriglia antisovietica durante l'invasione dell'Afghanistan da parte dell'esercito di Mosca. Quando poi la guerriglia ha vinto, i servizi segreti pakistani hanno pensato bene di mettere le mani sul ricco mercato dell'oppio coltivato in Afghanistan.

Fin qui tutto chiaro. E poi?
Bisogna sapere, e questo cercavo di spiegare da Santoro, che in Afghanistan si coltivano dalle 230 alle 250 tonnellate di oppio all'anno, per un valore di piu' o meno 10 miliardi di dollari. Non lo dico io, sono stime dell' Undpc (l'organizzazione Onu che si occupa di questi problemini). Le famiglie che si dedicano a queste coltivazioni sono circa 100 mila. Ogni famiglia guadagna intorno ai 7-8 mila dollari l'anno. E' tutto il denaro che rimane in Afghanistan.

E il resto?
Il resto va nelle tasche dei Taliban, dei servizi pakistani della classe dirigente locale. Mezza Islamabad prospera su questi commerci. Come puoi capire una tale quantita' di denaro scorre con l'impetuosita' di un fiume generando criminalita' e corruzione. Tutti questi miliardoni finiscono in gran parte nella banche occidentali che li riciclano allegramente.

Interessante. Ma che c'entra tutto questo con l'attentato alle Twin Towers di New York e al Pentagono?
C'entra eccome. Cio' che voglio dire e' che quand'anche gli americani catturassero Osama bin Laden, non avrebbe risolto un bel nulla. Il vero problema sta nelle cascate di dollari che ruzzolano nelle banche occidentali, e in chi le amministra e gestisce. Intorno a questo succoso mercato ruotano le mafie di mezzo mondo, e quando parlo di mafie intendo Cosa Nostra, la mafia colombiana, la mafia russa e cosi' via. Un intreccio criminale che secondo me e' all'origine dell'attentato dell'11 settembre.

E ti pareva che non c'entrava la Mafia.
Io credo che al vertice di questo network ci siano esponenti di primo piano di un grande paese arabo. l' XXXX (omissis, senno' ci querelano dritti dritti. n.d.r.). Avrai notato, in tutte le voci che si sono levate per condannare la tragedia dell'11 settembre, da XXX non si e' sentito un fiato.

Vero. Confermo. Ma obietto: visto che tutto questo network criminale propera sul traffico dell'oppio e fa girare un mucchio di quattrini, chi mai avrebbe avuto interesse a scatenare questo casino? Non sarebbe stato meglio per loro continuare a macinar soldi in silenzio?

Obiezione ragionevole. Io credo che le cose siano andate cosi'. Possiamo immaginare che questo mondo criminale abbia due facce: la prima e' la faccia delle cordate tutte intente a far soldi che non hanno come priorita' la causa dell'Islam ma che, per cattiva coscienza di fronte ai loro popoli, finanziano e sostengono i gruppi estremisti. Insomma fanno il doppio gioco. 

L'altra faccia e' quella del terrorismo fanatico, al quale i network del grande capitalismo arabo pagano una sorta di pizzo. Dicono gli integralisti: "voi che lucrate e siete schiacciati sull'Occidente, almeno sganciate".

Ora il compromesso si e' spezzato. Gli integralisti hanno deciso di sferrare il grande colpo al Satana americano e il network criminal-politico che, effettivamente avrebbe avuto ogni interesse a lasciare le cose cosi' com'erano, si trova tra l'incudine e il martello. L'incudine di un Occidente furioso e il martello delle formazioni integraliste che trovano spesso consenso nel popolo.

Sono tesi interessanti. E ora che succede?
Non lo so. Intanto ho chiesto un visto per il Pakistan. Vorrei partire al piu' presto. Circostanza interessante, l'ambasciatore a Roma del Pakistan mi ha fatto sapere che mi vuole parlare.

Ottimo. E quando lo vedi?
Domani.

E che vorra'?
Non so. Forse vuole discutere del mio libro e di cio' che ci ho scritto. Gli rispondero' che quei fatti li ho appresi leggendo libri pubblicati a Islamabad.

Be', facci sapere.

Bds


19 Settembre 2001 - E' vero, e' stato D'Alema

Mi dispiace deludere la "Ragazza del bar", ma l'articolo 5 del trattato della Nato è stato modificato nel 1999 (a capo del governo italiano c'era il compagno D'Alema, dal quale abbiamo ascoltato sagge e acute parole, nel corso del dibattito alla Camera dei deputati sugli attentati terroristici di NY e Washington), con il consenso di tutti gli Stati membri e proprio al fine di perseguire questa "internazionale" di mattacchioni (che a qualcuno/a della sinistra italiana stanno, alla fine della fiera e neanche troppo sotto pelle,abbastanza simpatici in quanto hanno dato una "lezione" agli odiati porci yankeee... e mi dispiace che lo scrivano a caratteri cubitali solo "i giornali con l'elmetto" di Belpietro e di Feltri, ma - ahinoi - è vero) che fanno da troppo tempo danni (e vittime, innocenti o meno, sempre di vittime si tratta) in giro per il mondo...

Ora, capisco bene che il divo Giulio è sempre stato simpatico a molti, all'interno della sinistra, per la sua nota politica filoaraba e "a-americana" (che non vuol dire anti, ma insomma, siamo lì lì...), a differenza del matto sardo (una volta detto Kossiga con la K), che abbiamo sempre odiato perché faceva mettere le bombe per conto della Cia (insomma, se non lui, i suoi...), simpatia che conduce pericolosamente certa sinistra a essere più vicina - oggi come ieri - a Cl, Compagnia della opere e via belinando che ai "lacché" dell'imperialismo Usa che avallano le loro sporche guerre, ma vorrei che la Ragazza del bar (e altri/e con lei) riflettessero almeno su un punto.

Meglio discutere - e "scazzarsi" - con i generaloni stelle e strisce per avere ragione (e le giuste riparazioni) su tragedie come quelle del Cermis (o di piazza Fontana...) oppure continuare a trafficare con "Stati canaglietta" come Libia, Iraq e tanti altri (sull'Iran lascerei aperte le porte al dubbio), magari con il rischio che poi salta fuori un'altra Ustica o Bologna? No, dico, alla luce di cinque-dieci-venti mila morti, s'intende...

Ps. Cl (sul glorioso Sabato di tanti anni fa), imbeccata dal divo Giulio, sosteneva che Mani Pulite fosse stata opera della Cia... E già, magari anche le Twins Towers le hanno tirato giù Cia e Fbi... in nome del complotto giudo-pluto-massonico delle multinazionali (c'è poco da sorridere. "A sinistra" si sente dire anche questo...). 
Giovanni dalle Bande Nere
(bande mai così di moda come oggi, ahilui)


19 Settembre 2001 - Il business delle mostruosita'

Ad una settimana esatta dall'Attacco, sento il dovere di fare un bilancio. Anche perchè lo ha fatto anche Cucuzza ieri, coadiuvato dalle Cucuzza's girls (qualcuno ha detto alla Cancellieri che era in diretta dalla devastata New York mentre parlava di estasianti gospel e miracoli?) dunque mi sento in diritto di farlo anch'io.

Encomiabile il lavoro svolto nel primo giorno, quando abbiamo vissuto in diretta l'attacco, quando il mondo si è indignato come non succedeva da tanto. Ma tutto il resto è Vergogna e Oltraggio. Centinaia di trasmissioni, palinsesti sconvolti per ripresentare SEMPRE le stesse immagini, ma da angolazioni diverse (ah 'mbè allora); dibattiti e talk show per diffondere nell'etere il clima bellico tra diktat di stampo mussoliniano ("Vinceremo!" "Il Bene trionferà!") e previsioni che nemmeno il Mago Oronzo azzarderebbe ( terza guerra mondiale, guerra atomica ) che suscitano altrettanto assurde paure (mio figlio partirà per la guerra? Dovrò fare scorta di alimenti? ).

E sì, siamo tutti americani, se gli americani stessi hanno già inventato il business delle mostruosità, tra gadget e cappellini che ritraggono le due torri distrutte, sul modello napoletano dell'"Adda passà a nuttata...e intanto io faccio due lire prima che passi". Ma che è? Nessuno sembra capire che sono morte migliaia di Persone. E solo il silenzio sarebbe degno di onorare quelle Persone, non tutta questa girandola delirante che stiamo vivendo.

Silenzio, non oblio. Ma perchè ricordo fa rima con circo e Cucuzza's girl? Ma una via di mezzo? Certo, il mondo non sarà più quello di una volta, ma dobbiamo proprio far vedere al rallentatore, decine di volte, quel disperato che si getta dal novantesimo piano per salvarsi? Sappiamo essere ottimi indifferenti ed eccellenti lacrimatori a pagamento. Un pò di decenza, se qualcuno sa cos'è.
Giovanna d'Arco

19 Settembre 2001 - E se il primo della classe non fosse cosi' divino?

Il terrorismo non è mai giustificabile. Ma SOLO il terrorismo è stato in grado di portare sulle nostre tavole, tra lasagne e pasticcini, la questione palestinese. E' dura da mandar gù, ma prima di questo attacco ben pochi si sono indignati per la guerra mai finita tra Israele e Palestinesi. Oggi è tutto un corri-corri di notizie, in cui i palestinesi sono gli animali barbari e gli israeliani gli angeli scesi in terra.

Voglio essere chiara ancora una volta. Il terrorismo è la forma più inumana di "lotta", se ce ne fossero di umane, ma non condivido l'odio incondizionato verso i musulmani e l'amore incondizionato verso gli israeliani che permea l'attuale quotidianità. 

Se qualcuno ha visto il dossier mandato su La7 qualche sera fa, avrà notato come fosse costruito in forma dialettica, tra interventi e dichiarazioni di palestinesi e israeliani. Palestinesi sempre integralisti, uomini-bomba esaltati, pazzi assassini. Israeliani mutilati dagli uomini-bomba e, nonostante tutto comprensivi, buoni.

Ma perchè nessuno dice che i palestinesi ebbero l'unica colpa di aver occupato un territorio che non era di nessuno, ma che prima della diaspora era degli israeliani, e che poi furono costretti dall'America a restituirlo ai legittimi proprietari poco più di 50 anni fa? 

Insomma, non dico che gli israeliani ora sono i cattivi, ma certo l'America non è stata spinta solo da motivi filantropici nell'appoggiare gli israeliani a riprendersi ciò che era in origine loro ma che, nel frattempo, era diventato di qualcun'altro.

Mi piacerebbe che si abbandonasse questo senso di onnipotenza che, equiparandoci a Dio, ci fa dire con tanta certezza che è buono e chi è cattivo. I tempi della scuola sono finiti, forse è il caso di capire che non è più tempo del primo della classe che segna alla lavagna i nomi degli eletti e dei dannati

Mi sento colpevole per ciò che è successo. Per le immagini di giubilo che ho visto tra i palestinesi alla notizia della strage. Ho la sensazione che tanto orrore sia figlio della sordità occidentale. Nessuno si è mai indignato per il dramma di un popolo senza terra, che deve elemosinare "strisce" di terra e vivere in "riserve". E se il primo della classe non fosse così divino? 

Giovanna d'Arco


17 Settembre 2001 - Siamo gia' un po' meno americani

L’aria sta cambiando e gia’ non siamo piu’ “tutti americani”. Se mercoledi’ 12 settembre, a ventiquattrore dal terribile schianto delle Twin Towers gli Stati Uniti avessero raso al suolo Kabul e l’Afghanistan intero, dall’Occidente, culla di civilta’ e diritto, probabilmente si sarebbe levata solo qualche flebile voce di protesta.

Lunedi’ 17 il panorama e’ radicalmente cambiato. Un sondaggio della Tv americana Nbc ci informa che proprio quattro cittadini Usa su cinque sconsigliano il presidente Bush di prendere iniziative frettolose. 

Secondo l’81 per cento degli intervistati, prima di agire gli Stati Uniti dovrebbero essere assolutamente certi di avere individuato i colpevoli della strage di New York. E un medico che abita nel mio stesso palazzo mi informa che nell’ospedale dove lavora ha sentito molti lasciarsi andare a battute sconcertanti: “Be’, pero’ bisogna dire che gli americani se la sono cercata”.

Travolti dal cuore e dall’orrore, diciamo la verita’, poche ore dopo il massacro avremmo probabilmente applaudito l’immagine di un Osama bin Laden appeso per i piedi. La vendetta ha sempre un buon sapore.

Leggiamo i giornali di ieri e di oggi e ci accorgiamo che la musica e’ un’altra e che insospettabili editorialisti, dopo aver esplorato la mistica del suicidio combattente e aver evocato le tesi di Samuel Huntington sullo scontro fra civilta’, si chiedono ora (e ci chiediamo anche noi) come mai sugli Stati Uniti si concentri la smisurata e inconcepibile quantità di odio che ha generato l’attacco alle Twin Towers e al Pentagono.

La sola risposta che mi viene in mente e’ una risposta senza cuore, da ragionieri. Unico impero planetario rimasto del potere finanziario e politico-militare, gli Stati Uniti debbono tener conto di una bilancia dei pagamenti morale e umana diversa e piu’ grande di ogni altro Paese del mondo. Questa ideale bilancia dei pagamenti e’ divisa in crediti e debiti.

Noi, l’Europa, quello che viene chiamato l’Occidente, siamo sul piatto dei crediti. Nessun europeo, pur coltivando dentro di se’ quella particolare puzza sotto al naso che lo divide dal piu’ raffinato intellettuale americano, puo’ dimenticare i ragazzi caduti sulle spiagge della Normandia che ci hanno salvato dall’impero di quell’altro Osama bin Laden che fu Hitler con i suoi Taliban in uniforme nera che non inneggiavano ad Allah bensi’ alla razza. 

Per quanto si possa detestare la politica americana nel mondo, noi europei, noi “occidentali” che ci vantiamo di conoscere Kirkegaard oltre che Lutero, siamo e rimaniamo debitori dell’America.

Ma c’e’ anche il piatto dei debiti che gli Stati Uniti hanno contratto, il cui peso e’ stato forse fino a oggi trascurato. E’ il debito maturato dal Grande Principe del pianeta con quei popoli ai quali la forza politica e militare dell’America non ha regalato libertà e benessere, quei popoli che dell’America hanno conosciuto solo il pugno di ferro e non il sapore della liberta’.

Sono i popoli che hanno fatto nascere gli Osama bin Laden che “ringraziano Allah” per l’accaduto. Sono le genti di cui ci racconta Bernardo Valli nel suo articolo sulla Repubblica di oggi, quando ci dice che i suoi amici arabi “pur indignati per l’accaduto, sono mossi da emozioni contrastanti, pensando che finalmente anche gli americani vivono esperienze come quelle gia’ vissute da decenni da molti popoli arabi”.

Ora dobbiamo chiederci non tanto (o solo) con chi dobbiamo combattere, ma piuttosto con chi (e se e’ possibile) dobbiamo parlare. Poiche’ non e’ possibile parlare con coloro che uccidono in nome di Dio, questi sono i nostri nemici. Con essi non c’e’ trattativa percorribile.

Per me, un Osama bin Laden che “ringrazia Allah” invece di maledire il Dio che ha permesso la strage di New York, e’ e rimarra’ sempre un nemico mortale di cui non posso che desiderare l’eliminazione.

Ma parlare dobbiamo con chi, sempre per dirla con Bernardo Valli “prova emozioni contrastanti”. O con coloro che buttano li’ con noncuranza parole nucleari come: “gli americani se la sono cercata”. 

Per spiegar loro che se l’America (e l’Occidente) ha sbagliato, dove ha sbagliato e quando ha sbagliato, questo e’ accaduto anche per la spaventosa responsabilità che gli Stati Uniti portano sulle loro spalle come potenza regolatrice del pianeta e non solo per la loro arroganza (che pur c’e’ e c’e’ stata), per il loro cinismo (che pur c’e’ e c’e’ stato).

Perche’ anche fra chi uccide e affama c’e’ differenza. Chi lo fa nel nome di un Dio non lascia speranza alcuna. Chi lo fa in nome degli uomini, dei loro interessi e della loro crudelta’ o stupidità, per quanto orrendo possa essere il suo crimine, lascia aperta la porta alla via del ritorno.
Ariel

17 Settembre 2001 - Israele e' l'unico che ci sa fare

In teoria si fa una guerra per vincerla. In pratica ultimamente gli Usa (e la Nato) non ne hanno vinta una. Nè si può dire che siano riusciti a imporre una pace. Dayton è stato solo il prologo della guerra in Kosovo (il solo cessate il fuoco per la Bosnia), così come dal Kosovo s'è passati alla Macedonia e dalla Macedonia si passerà probabilmente ad altro (il vero bubbone della questione balcanica).

Saddam è eternamente al potere e, se Milosevic è all'Aja, sua moglie (vera artefice delle sue fortune) e tutto l'establishment serbo continuano a farsi gioiosamente i cazzi loro a Belgrado.

L’impreparazione militare degli Stati Uniti è stupefacente. Non hanno imparato nulla dal Vietnam, nulla dall'Iraq, nulla dai Balcani, quasi che le guerre per loro fossero (e paradossalmente non sono nemmeno questo) solo un modo per buttar via armamenti obsoleti e riprodurne nuovi, occupare gran parte del sottoproletariato che altrimenti morirebbe di fame, passerella di una forza che non va oltre gli attacchi aerei (spesso per nulla intelligenti e sovente nemmeno chirurgici) cui seguono altrettanto improponibili embarghi (che affamano la gente e arricchiscono i dittatori).

Nel frattempo, mentre Usa e Nato s'allenano a trasformare ultras di calcio in soldati e a rinominare eserciti e operazioni belliche con i nomi più pittoreschi, bande paramilitari (provenienti dalle frange terroriste interne ai paesi…e, perché non Eta o Ira?) si armano, si preparano, si organizzano –alcuni con l’aiuto delle stesse vittime, vedi talebani e Uck- con regole loro, che nulla hanno a che vedere con le vecchie e secolari regole militari. La (mancata o quanto meno incompiuta) trasformazione degli eserciti in polizia (del mondo) è stata accompagnata di pari passo dalla crescita di associazioni criminali intrecciate tra loro.

Solo che queste ultime, con la tragedia statunitense, hanno dimostrato di essere molto, ma molto avanti col programma. E non si tratta di Spectre, si tratta di un qualcosa di sicuramente più complesso e pericoloso.

Questa lunga premessa mi porta a ipotizzare uno scenario futuro allucinante (già preannunciato da Bush) per cui si finirà per combattere i criminali con gli strumenti delle vecchie guerre (utili solo nel caso la Cina decidesse di dichiarare guerra a Usa e Europa). Motivati dal comprensibile desiderio di vendetta di un paese, gli Stati Uniti, e dalla demenza inaccettabile di altri (l’Italia?). Ulteriori morti, ulteriori embarghi e ulteriori risultati zero (o peggio…).

C’è, che io sappia, un solo paese occidentale –oltre al Vaticano- in grado di vantare esperienza nella lotta al terrorismo, ed è Israele. Non piacerà alla sinistra integralista, ma è realtà.

Israele è l’unico paese che non ha ceduto al buonismo dilagante, che ha finanziato l’intelligence, che se ne frega delle condanne del mondo. Sul piano politico ha saputo rispondere con la ricerca reale di una politica di pace- ricordare, sempre, Rabin- o con la belluina volontà sanguinaria di Sharon.

Il giudizio sull’operato di entrambi, in democrazia, è ovviamente libero (e, personalmente, ritengo che l’attuale desautoramento di Arafath sia suicida). Ma i servizi, sotto un governo o un regime, hanno continuato a funzionare, in collegamento con l’esercito. Se proprio si decide, sull’onda dell’emozione e non della ragione, di andare in guerra …beh, almeno s’affidi a Israele il coordinamento delle operazioni…non vinceremo ugualmente, ma almeno si limiteranno i danni...
Von Klausewitz
17 Settembre 2001 - Il morbo di Nostradamus

Quando scrissi il manuale che mi rese ricco e famoso, le torri del World Trade Center di New York erano ancora in piedi. Non avevo avuto modo, dunque, di analizzare compiutamente il dilagare del virus che in questi giorni ha colpito l’informazione italiana, meglio noto agli scienziati come ‘Morbo di Nostradamus’.

Il Morbo di Nostradamus si manifesta annullando nel soggetto colpito qualsiasi coscienza di essere al servizio del lettore e non di una classe politica, nazionale o internazionale. Al malato si paralizzano i bulbi oculari di fronte a notizie di stampo anglosassone (chi, dove, come, quando, perché) e, per far fronte al conseguente attacco di panico, mette in moto un meccanismo d’onnipotenza che lo porta ad analisi personali tanto inutili, quanto infondate. Il contagio è favorito dal sistema editoriale italiano che prevede l’omologazione di tutte le testate.

Se diamo un’occhiata a tutti i quotidiani nazionali, da mercoledì 12 settembre, o ripercorriamo Tg e speciali televisivi a partire dall’11 settembre ci accorgeremo che il Morbo di Nostradamus ha colpito tutti, senza distinzione, aggravando lo status di pazienti che, come Fede o Vespa, ne soffrivano da tempo.

I danni sui lettori sono evidenti: nessuno sa bene cosa è successo (a parte quanto i cineoperatori sono riusciti a riportare), ma tutti sono a conoscenza di cosa pensa Alan Friedman o Furio Colombo o Paolo Mieli o Maria Giovanna Maglie.

Prendiamo il ‘caso Pentagono’. Per quattro giorni un’area pari a quella dell’intera superficie dell’Empire States Building è andata a fuoco. 189 morti, compresi quelli dell’aereo kamikaze, un miliardo di dollari di danni. Se ne è parlato? Nei pastoni, solo nei pastoni.

Certo, la tragedia di New York ha giustamente messo in secondo piano quella che, in altre circostanze, sarebbe stata ‘la notizia del secolo’, un attentato alla roccaforte della difesa del mondo. Certo, c’è il segreto militare. Che dovrebbe vincolare gli Stati Uniti, non l’Italia.

Per inciso, persino la Cnn ha dedicato ampi servizi alla distruzione di quell’ala di Pentagono dove erano occupati i vertici della Marina, da cui, poffarbacco, dipende anche il corpo dei marines.

Siamo generosi, ammettiamo pure che il meglio degli inviati è stato costretto dagli eventi a restare in Italia e che quindi la notizia non poteva venir ‘coperta’ adeguatamente. Ma c’erano, ci sono comunque le agenzie, i collaboratori e c’è quella Cnn che in questi giorni è stata saccheggiata a man bassa da tutti, televisioni private incluse.

Insomma, senza il morbo di Nostradamus, lettori e telespettatori avrebbero potuto seguire anche quella vicenda, invece che sorbirsi le sbrodolate dei politici italiani, dei tuttologhi e di Feltri.

Contro il Morbo la scienza sta mettendo a punto un vaccino: collegamento con le agenzie per tutti e satellitare per collegamento in diretta con la Cnn. Parlano inglese, ma le immagini spesso valgono più di centinaia di parole. Sopravviveranno solo i colleghi delle agenzie, i cineoperatori e i fotografi ossia tutti i giornalisti abituati all’anonimato. Oltre, a onor del vero, a quelli che seguono le orme di Giulietto Chiesa e Ettore Mo. Gente che, come i colleghi della Cnn, si ostina a informare. Vaccinati alla nascita…

Prof. C. Magrìt
17 Settembre 2001 - Ma Donatella che c'azzeccava?

La situazione è grave ma non è seria”. La frase non è mia ma del mai troppo compianto Ennio Flaiano. Credo si adatti però a questa mia riflessione. Venerdì sera, Rai Uno, prima serata, Porta a Porta. Come milioni di italiani sono incollata al televisore. Argomento obbligato l’attentato alle Twins.

Ospiti di tutto rispetto quelli del Vespone nazionale. Due grandi inviati di politica estera (Ettore Mo del Corsera e Wolfgang Achtner, noto in Italia per essere stato fra l’altro vice presidente dell’Associazione della Stampa estera), il ministro della Difesa Antonio Martino, un leader del maggiore partito di opposizione (Valter Veltroni) e padre Jean Marie Bénjamin – un equivoco sacerdote filo iracheno – che ha rilasciato dichiarazioni quanto meno inquietanti e che forse qualche magistrato avrebbe il dovere di approfondire. 

Collegamenti  con l’ottimo Paolo Longo (Rai) da Gerusalemme, con Giulio Borrelli (Rai) e Giampiero Gramaglia (Ansa) da New York. Ottimo inoltre - sotto il profilo giornalistico -  il collegamento in diretta con la Cnn mentre il presidente Bush, il sindaco di New York Rudolph Giuliani e la senatrice Hillary Clinton effettuavano un sopralluogo sul luogo del disastro. Insomma, gli ingredienti per mettere in onda una trasmissione con i fiocchi c’erano tutti.

In mezzo a questo parterre de roi spiccava la lunga chioma bionda (finta) di Donatella Versace. Non voglio entrare nel merito del personaggio che considero quanto di più trash possa esprimere il cosiddetto jet set. Non so se il Barbiere della Sera annovera Bruno Vespa fra i suoi lettori. Probabilmente no ma forse qualcuno del suo staff (so che dispone di un efficientissimo ufficio stampa) sì. E lo pregherei di sottoporgli queste mie poche righe.

Mi piacerebbe chiedergli le ragioni (giornalistiche ovviamente) alla base della sua scelta di invitare la Versace; quale contributo al dibattito e alla riflessione si aspettava; quale profonda analisi politica e sociologica auspicava che la nostra ci regalasse. Chiedergli, insomma, dipietramente: “Ma la Versace cosa ci azzeccava?”

Mi chiedo – cazzo – e prego Figaro di non togliere né il sostantivo né il neretto, è possibile che non si possa assistere ad una trasmissione, soprattutto se incentrata su argomenti così drammatici senza avere in mezzo ai piedi veline, letterine, bionde finte, soubrettine sculettanti, tette più o meno siliconate e via andare?

Giro la domanda ai colleghi che avranno la bontà di leggermi e qualche minuto di tempo, se vogliono, per dirmi la loro.

Mata Hari
mata@hari@katamail.com


4 Settembre 2001 - La signorina Tim mi dice: "Ma lei e' una troglodita"

Carissimo Bettanini, mi rivolgo a te, in qualità di esperto della comunicazione, per approfondire alcuni meccanismi che a me paiono demenziali, non fosse che, alla resa dei conti, la demente sono io. Il caso che ti esporrò è relativo a Tim, ma può essere esteso tranquillamente a tutte quelle aziende private che forniscono servizi o para-obbligatori (vedi assicurazioni) o già pubblici (telefonia, ferrovie, luce, acqua e gas, ecc). 

Premetto che non sono una fanatica dei cellulari, strumento di tortura che uso esclusivamente quando sono fuori casa e solo perché ormai sono scomparse le cabine telefoniche.

Tant’è, ormai ne ho uno anch’io…Per una serie di ragioni inessenziali (non ultimo il fatto che avevo un po’ di tempo da perdere) decido di appurare qual è il farraginoso sistema alla base degli scatti, ossia come ho fatto a consumare 50.000 lire di scheda in due giorni tenendo il cellulare quasi sempre spento, e telefono al 119.

Incappo nell’ormai consueta segreteria digitale (sempre più gradevole di quella metallizzata ‘se vuole …dica 33’), digito una buona mezza dozzina di numeri e finalmente arrivo alla solerte impiegata, che mi saluta con il consueto ‘Sono bzzbzzbzz. Posso esserle utile?’. Mi rimangio per la milionesima volta la frase che mi verrebbe spontaneo pronunciare (‘No, volevo solo parlare con qualcuno…’ et similia) ed espongo il mio problema.

L’impiegata è di quelle più che efficienti: mi elenca ogni dettaglio, mi spiega il funzionamento degli aggiornamenti sulle telefonate lunghe, mi ricorda che ho appena ricaricato la scheda e in finale mi pone la fatidica domanda ‘Posso farle un paio di domande? Lei è contenta del servizio Tim?’. Risposta ‘No’.

Caro Bettanini, per motivi inessenziali, la mia vita trasuda domande e risposte di questo tipo. Chiudere bruscamente una telefonata di lavoro perché il telefono squilla sull’altra linea e incappare nella soave voce di un’impiegata Telecom, che vuole sapere se sono soddisfatta del servizio, è ormai parte integrante della mia quotidianità.

L’ex municipalizzata luce- acqua – gas m’invia bollette ogni quindici giorni (più o meno attendibili), spesso corredate da richieste di suggerimenti per migliorare il servizio (una bolletta alla settimana?).

Le assicurazioni, ad ogni rinnovo polizza, me la riaggiornano ‘certi di fare cosa gradita’, invitandomi, in caso non fossi soddisfatta, a recarmi all’agenzia dove il loro esperto m’attende con ansia per studiare soluzioni ottimali (ossia riconsegnarmi il vecchio contratto con bollettino annesso). La stessa Tim mi blocca sul più bello una chiamata (magari urgente) con un garbato Sms che magnifica nuovi prodotti.

Vedi Bettanini, per una questione d’età e forse d’educazione, faccio parte di quella categoria di consumatori che: 1) Ignorano l’esistenza della pubblicità, degli spot, dei gadget, delle promozioni, dei testimonial e di quant’altro. 2) Comprano e pagano in contanti quanto serve (o anche no) sulla base delle situazioni contingenti, partendo dal presupposto che anche il tempo è denaro.

Dalla gentilissima signorina Tim ho appreso di essere quanto meno un reperto giurassico. ‘Lo sa che Tim le offre 10 Sms gratis per un mese?’. Lo so, stavo per chiamare una persona per motivi di lavoro e ho dovuto cancellare l’Sms e ridigitare il numero.

Rispondo sinteticamente: ‘Lo so, ma non mando Sms, anzi li detesto…’. ‘Non manda Sms? Forse non ne conosce i vantaggi…’ Affermativo, non interrogativo, dal momento che la fanciulla tenta di spalancarmi le porte di questo nuovo tipo di comunicazione (che consento a mia figlia, la minore, solo per non farla sentire una disadattata).

Concordiamo sul fatto (bontà sua) che sono troppo vecchia e con problemi di vista per picchiettare sui tasti di un cellulare. Quale? Leggo la marca e la sigla. ‘Ma è un rottame…per forza che non è soddisfatta dei servizi…’

Rispondo (anche se non era una domanda) che mi va a pennello, essendo l’unico compatibile col computer portatile, ossia, per me, l’unico al momento che mi consente di collegarmi in Internet anche in viaggio.

La mia idiozia pare basirla per una frazione di secondo. Poi, basita ma non domata, la ragazza riprende: ‘Lei non può incolpare Tim di problemi esterni’. Io non incolpo Tim di nulla, sta di fatto che s’è ciucciata 50.000 lire in due giorni e in massimo dieci telefonate, che ogni dieci parole casca la linea o sono costretta a urlare ‘Scusa, puoi ripetere…’, che ricaricare la scheda dal Bancomat in alcune zone d’Italia (quelle di villeggiatura, in particolare) è impresa ciclopica.

Ignoro chi abbia tenuto i corsi di formazione, ignoro se la signorina Tim in questione abbia sembianze umane o sia un modello sofisticato di segreteria telefonica dell’ultima generazione.

Sta di fatto che in un’ora mi ha spiegato che: 1) Sono colpevole per non aver mai dato, neanche per sbaglio, un’occhiata a tutta la pubblicità che Tim sta facendo anche per gente come me (quelli, per capirsi, con tariffe obsolete), né di aver telefonato prima al 119 (‘aperto 24 ore su 24’) al fine di ottenere una tariffa adeguata alle mie necessità.

Ne abbiamo concordata una nuova (10.000 lire di spesa e passa la paura)- ma sono rimasta irremovibile sul contratto carta di credito/banca (perché ne ho abbastanza anche delle loro ‘promozioni’)- e abbiamo convenuto che è necessario aggiornarsi ogni tre mesi ‘Perché siamo nel libero mercato, c’è la concorrenza e Tim è all’avanguardia…’

2) Se mi casca la linea è perché ho un telefonino obsoleto e vivo e frequento località che storicamente danno problemi (città di confine, località montane, o Roma, dove pare che la concorrenza spopoli nei ristoranti…). E, chi è causa del suo mal, pianga se stesso.

Se telefono da Milano per sapere a che ora buttare la pasta o se lui mi ama, tutto funziona a meraviglia.

3) Perla finale, mi legge l’elenco delle banche-Bancomat munite a cui posso far riferimento per le ricariche, nel caso escludessi definitivamente la possibilità di stipulare –solo altre 100.000 lire- il contrattino di cui sopra.

Con la mia obiezione –‘Non ho visto nessuna indicazione sul servizio nelle filiali delle banche che mi cita, né nella mia città, né in villeggiatura’- vengo seduta stante incaricata di denunciare tali anomalie con particolari precisi, ora, luogo e quant’altro.

Felice di aver trovato un nuovo lavoro non retribuito, ma fisso, chiedo a Bettanini: i grandi comunicatori, consulenti delle grandi aziende di comunicazione, hanno intenzione di comunicare anche con noi, grandi consumatori coatti della comunicazione?
La Ragazza del Bar

3 Settembre 2001 - Che bello lavorare in un service

Caro Barbiere, sono un giornalista e lavoro in un service, oltre a collaborare con chiunque capiti, anche la giustizia.

Che bello lavorare in un service. I grandi giornali spendono miliardi per mettere in piedi una sorta di redazione, mentre un service con due lire é capace di confezionare più di cento pagine al mese. Tanto chi nota la differenza?

Per fare un bel giornale basta prendere qualche scribacchino, un buon grafico e un archivio fotografico porno-soft. Metti insieme la squadra, prendi qualche Mac, e la redazione è fatta.

Poi proponi a tutti un contrattino di un anno o sei mesi (se c'é qualcuno che la beve), illustri il progetto del giornale ("per ora duriamo un anno, ma se le vendite vanno bene e la pubblicità ci sostiene, c'è trippa per tutti"), e abbozzi una sorta di linea editoriale.

"Siamo una rivista di settore ma dobbiamo farci capire da tutti" che tradotto in italiano vuol dire "so che di queste cose non ci capisce un cazzo nessuno, ma con una buona enciclopedia e l'aiuto di internet non sarà difficile scrivere un pezzo da 2000 battute".

Tanto - diciamocelo pure - chi è che va ad esaminare i contenuti? I mensili e i settimanali sono fatti a colori proprio perché alla gente piace guardare le foto, sfogliare le pagine di carta lucida e sentire quel buon profumo di colla che si sprigiona dalla rilegatura, poi, se ci sono un paio di tette o qualche posa allusiva, mica si volta pagina, anzi.

Così, con un pizzico di fantasia e qualche foto "d'autore", un buon service riesce a confezionare per le grandi case editrici fior fior di riviste specializzate. Che si tratti di cucina, computer, vacanze, moda viaggi, creme di bellezza, fitness, tutto fa brodo, l'importante è sapersi riciclare: se dovesse andare male il mensile di fitness si chiude tutto e ci si trasferisce a quello di scienze biologiche.

La differenza fra un bicipite e una molecola mica sarà fondamentale, poi non è un furto farsi pagare due lire per scrivere di argomenti che non si conoscono. L'unico fastidio è che quando un giornale va male o il direttore del service ha deciso che ci sono nuovi campi dello scibile umano da esplorare, cominciano i tagli e i riassetti.

"Quand'è che ti scade il contratto?" "Hai voglia di occuparti di viaggi esotici?". Non c'è problema, è tutto regolare, e poi nei service per fortuna non ci sono quei rompicoglioni del Cdr che la menano con il riassorbimento, il ricollocamento, i diritti dei giornalisti.

Ma quali diritti? I giornalisti mica ci mettono i loro soldi nel giornale, al massimo perdono qualche mese di stipendio. Già, perché quando il giornale va male i soldi non arrivano, come ai bei tempi del cottimo. Se si vende ti puoi pagare l'affitto, altrimenti vai a dormire da un amico/a.

Se consideri che il pagamento è a 90 giorni, che poi diventano 120 perché si calcola il mese della pubblicazione e non quello in cui hai consegnato il pezzo, che poi diventano 180 perché il ragioniere è in vacanze e le notule sono nel suo ufficio, non è mica un problema se alla fine i tuoi soldi non li vedi proprio.

Già, che bello lavorare in un service. Questo è il futuro. Niente costi fissi, niente redattori, niente sindacato. Solo collaboratori pagati a pezzo e un redattore che passa il giorno al telefono per raccogliere gli articoli. Qualche copertina spiritosa, magari una firma prestigiosa e una serie di allegati studiati da quei geni del marketing.

D'estate c'é l'inserto sul sesso, d'inverno quello sulle diete, a Natale lo speciale regali. Magari, se si è in buona con le case discografiche, un Cd sui ritmi caraibici o la favolosa musica degli Anni 70, tanto Battisti e Mina tirano sempre e fanno molto "nostalgia canaglia".

Poi basta lamentarsi dei service o dei siti internet, con tutti i disoccupati che ci sono in giro. Per un redattore deluso ce ne sono altri mille pronti a scrivere al Barbiere per dire che chi si lamenta è un represso, non sa fare il proprio lavoro, come dimostra la sua lettera piena di errori grammaticali.

Se uno scrive che nei portali si lavora giorno e notte senza staccarsi dalla sedia e senza crescere dal punto di vista professionale, arriva subito la risposta "vorrei dire al collega (posso chiamarlo così)...", tanto per far capire che quella dei giornalisti è una casta solidale. Che bello lavorare in un service. Se non fosse che il giornale per cui scrivevo non esiste più, ci resterei per tutta la vita.
Lavoratore di un service


3 Settembre 2001 - Bruno Socillo e la sua bionda

Siate bipartisan. È il ragionevole appello lanciato dal Capo dello Stato e dalle colombe dei due schieramenti politici. Ma ciò non vale nel mondo del giornalismo, soprattutto se targato Rai.

Se volete far carriera a Saxa Rubra prima di flirtare con un (-a) collega verificate che appartenga ad un partito che conta. Infatti, nell’ultimo numero di Sette, in un boxino dedicato ai media, leggo un pezzo a firma Valeria Paniccia che dopo aver dato alcune “anticipazioni” molte delle quali già note persino alle piante della cittadella dell’informazione, altre – credetemi – assolutamente infondate conclude con questa chicca che riporto testualmente: “Bruno Socillo (vice direttore del Tg 2 e che non fa mistero delle sue propensioni politiche per An, ndr) punta a Rai International ma le sue simpatie per una bionda giornalista di sinistra potrebbero bloccarne l’ascesa”.

Una delle regole che dovrebbe regolare qualunque consesso di persone civili sarebbe quella di glissare su faccende strettamente personali: soldi, letto et similia. Tale norma, che mi risulti, viene rispettata anche dalle pescivendole della Vucciria.

Lungi da me impressionarmi se notizie del genere appaiono su Eva Express o Novella 2000, ma che il primo quotidiano d’Italia si presti a fare da pattumiera a porcherie di questo genere lo ritengo ignobile.

Non trovo nel tamburino il nome di Valeria Paniccia e ne deduco si tratti di una delle tante collaboratrici alla ricerca del sospirato scoop che dia loro quei quindici minuti di celebrità ai quali – secondo Andy Warhol – ognuno di noi ha diritto.

Curiosa per natura mi viene voglia di saperne qualcosa di più sulla (si fa per dire) signora e mi affido come sempre a google – se avete altri motori di ricerca abbandonateli, google è eccezionale – e voila, sono fortunata: la nostra, come tutte le persone che veramente contano, ha nientepopodimenoche un suo sito personale all’indirizzo
www.diginet/valeriapaniccia/home.htm.

Dove, oltre alla sua foto con lungo capello sciolto, capino inclinato e sorriso suadente fa sfoggio della sua dote principale: l’umiltà. Ci rende noto che il suo sito offre “servizio unico in Italia”, la mappa delle migliori scuole per attori e di essere l’autrice di Eros italiano, da lei stessa modestamente definito “un’antologia unica al mondo”.

Ma come mai è approdata al giornalismo? Troppo buona per lasciare che questo dubbio renda insonni le nostri notti, ci confida di “avere cominciato a scrivere in cambio di un abbonamento gratis al teatro della sua città”. Risolto un dilemma ne nasce però un altro non meno angoscioso: perché, ottenuto l’abbonamento, non abbia smesso. Vi prego, chi sa parli, voglio ricominciare a dormire.
Mata Hari
mata_hari@katamail.com


3 Settembre 2001 - Anche le spie nel loro piccolo dissentono

Anche le spie nel loro piccolo talvolta dissentono per cui mi trovo in totale disaccordo con quanto ha scritto la Ragazza del Bar (che resta comunque la mia barista preferita) circa il nuovo movimento virtuale il Mo’ Basta ekkekkazz. Finalmente, dico fra me e me, qualcosa si muove nella morta gora della politica italiana. Leggo che è “divertente e interessante” e mi fiondo sul sito dei mobbastisti, www.lonelyplanet.it.

La prima impressione è quella di essere capitata a casa della Famiglia Addams ma poiché sono abituata a trovare del buono in ogni cosa finalmente capisco cosa si vede dopo che ci si è impasticcati di LSD. Già qualcosa; è una delle (poche) esperienze che mi mancava.

Ma sarebbe ingeneroso fermarsi al puro giudizio estetico. Entro nel forum e le sorprese non mancano. Oltre al totale disprezzo per la lingua ufficiale della Repubblica mi colpisce la pochezza delle idee e immagino i partecipanti come una via di mezzo fra gli Indiani Metropolitani anni ’70 (quello di Cavallo Pazzo, ricordate?) e i Figli dei Fiori anni ’60. Niente di male però, ognuno ha il diritto di divertirsi come crede. Qui, però, si ha la pretesa di fare politica.

Non ci sto. Il discorso diventa serio, perché seria è la politica. L’autrice del pezzo parla del “duri e puri dei Ds”. Non so se posso ritenermi una dura; quanto alla purezza per trovarne tracce bisogna risalire al pleistocene; diessina sì. Come sono stata figiciotta in gioventù, elettrice del Pci prima, dei Pds poi, dei Ds adesso; tutte cose di cui meno vanto. Dire che la sinistra è in crisi equivale a scoprire l’acqua calda e la crisi coincide con quella dei Ds, che della sinistra sono (ancora) la formazione numericamente più consistente.

Ma escludo che si possa uscire da questo avvitamento con iniziative velleitarie, goliardiche e folkloristiche come quelle veicolate dai mobbastisti o da caravanserragli similari. La via d’uscita è nella riscoperta del senso dei nostri valori, delle nostre radici. Senza la memoria del proprio passato c’è solo spazio per la barbarie e la violenza. Cerchiamo di portare avanti un discorso serio che vada un oltre le incursioni da commandos nel sito de L’Unità.

Le proteste abbondano ma è al di sopra delle mie capacità fare intendere ai partecipanti al forum che la protesta, senza una proposta alternativa, è solo flatus vocis. Ci si lamenta dell’oscuramento di Agnoletto e Casarini; per me invece ignorarli sarebbe un fatto di igiene pubblica, una Zucchet mediatica.

Siete contro la globalizzazione? Bene è un vostro diritto. Ma basterebbe avere un minimo di senso della storia (sì, lo so, parlare di storia in un sito del genere è come invitare un vampiro ad una cena a base di aglio) per capire che si tratta di un fenomeno irreversibile.

Cerchiamo piuttosto di gestirla, di controllarla e non credo che il metodo migliore sia andando a fare casino a Genova, Napoli o che so io esponendo striscioni i cui contenuti erano già stantii trent’anni fa. Il tutto però con le mani dipinte di bianco, con le Nike ai piedi e dissetandosi fra uno slogan e l’altro con una bella lattina di Coca Cola.

Mi soffermo sul manifesto programmatico del sito e poiché credo di sapere leggere fra righe intuisco che un buon ottanta per cento degli adepti alle ultime elezioni non ha votato facendo più o meno un ragionamento similare: “Sono di sinistra ma poiché in questa sinistra non mi riconosco, mi astengo”.

Ancora al di sopra delle mie capacità spiegare quanto sia politicamente sterile ed autolesionistico questo ragionamento poiché la sensibilità politica dei mobbastisti e dei loro sodali è più o meno pari a quella di un dado da brodo. Di questo astensionismo, della smania di protagonismo e della ninfomania da telecamera di Fausto Bertinotti, Berlusconi e Fini sentitamente ringraziano.

La sinistra è alla frutta, ma se speriamo di risalire la china con questi sistemi vuol dire che la canna del gas è lì, pronta per l’uso. Ekkekkazz, ma stavolta lo dico io.  
Mata Hari
mata_hari@katamail.com


3 Settembre 2001 - Emilio, non sparire nell'etere

Leggo con orrore la notizia riportata da un noto settimanale, tanto noto che non mi pare il caso di farlo "notare" ancora di più citandolo, che dal 2003 Rete 4 verrà trasmessa "in nero", cioè potrà essere seguita solo pagando un abbonamento, tipo Tele + per capirci.

E' solo una proposta, ma il sangue si è gelato nelle vene. Ed Emilio Fido? Cos'è, alla fine per mettere a tacere quelli che chiedono di risolvere la questione del conflitto di interessi del Cavaliere - ma quanti Paesi possono vantare un premier Cavaliere? - si decide di oscurare il giornalista - show man?

Ma come, proprio ora che si era rifatto gli occhi - proprio nel vero senso della parola - e aveva assunto quell'aria da satiro? Proprio ora che stavo imparando ad apprezzarne coerenza e temerarietà?


Sì, perché Emilio Fido, nonostante ad uno primo sguardo passi per venduto e galoppino, è un esempio di giornalismo impegnato. Non si contano i giornalisti che, con la vittoria della Casa delle Libertà, hanno cercato di ingraziarsi i nuovi governanti - ma insomma è vero che Lasorella si è umiliata con Gasparri per ritornare in video, ditemi che non è scesa così in basso! - e i numerosi cambi di bandiera di cui devo leggere con tanta pena.

Ma Emilio no, lui sono anni che si sa per chi tiene! Gli altri salgono sul carro del vincitore? Lui già c'è, e almeno c'è salito in tempi non sospetti. Quanti giornalisti si legherebbero così ostinatamente e indissolubilmente ad un politico, precludendosi ogni via di migrazione verso nuovi eroi in caso di cambiamento del vento?


Nessuno crederebbe mai ad Emilio se dicesse: "voto Rutelli”. Emilio "in nero" no, vi prego, trovate un'altra soluzione, non posso pensare che ci verrà tolta l'unica voce del giornalismo trasparente.se mettete Emilio in controluce si vede il Cavaliere, potreste fare lo stesso con un altro giornalista?

Ma non vorrei venire fraintesa. Io ammiro Emilio, proprio perché è Fido. Quanti Fidi ci sono che si celano sotto tante pelli da non riuscire a capire cosa pensano veramente? Schierarsi politicamente è un rischio immenso, cioè, farlo apertamente, alla luce del sole; è più facile dichiararsi indipendenti eppoi lavorare sottobanco.


Tra il giornalista-che-lavora-negli-antri muscosi preferisco colui che sposa una bandiera e con essa cadrà e risorgerà. Un altro dolore, anche se un po' più piccolo del precedente, mi rende amara la notizia.

Francesca Senette. Una Bambina Inviata qualche mese fa - forse era la sua prima volta - ad accogliere la Regina inglese al suo viaggio in Italia, su cui Fido infieriva in ogni modo, riprendendola come se fosse un po' dura di comprendonio, mettendola in imbarazzo in maniera quasi dolorosa per chi guardava.


Un Bocciolo Timido che invece è sbocciato al sole dell'Emilio nazionale, che, contrariamente alla prima impressione, quella bambina l'aveva presa sotto la sua ala, nonostante in video evocasse un po' Flavia Vento, e questo non giocava a suo favore.

Oggi Francesca ha la scrivania alla Destra del Padre; Emilio la chiama in causa a leggere le agenzie nel tg serale, e lei è talmente diligente e succube dell'Emilio che i suoi occhioni adoranti hanno tolto in me ogni briciolo di antipatia per la "Paola Barale del Tg4".


Quante avrebbero resistito agli insulti in diretta del Direttore? Francesca conduce il Tg4 all'ora di pranzo, vi prego, guardatela, è meravigliosa, la sua somiglianza con Fido è inquietante. Quando il Direttore la lascia sola alla conduzione del Tg, lei dà il meglio di sé.

Gesticola, mima, usa il linguaggio dei sordomuti, poggia il gomito e stende l'altro braccio in maniera perfettamente speculare ad Emilio; legge le notizie interpretandole magnificamente, accompagna la lettura con le mani traducendo le parole in musica; è la prova che qualcuno, mentre Antinori getta fumo negli occhi dalle tribune dei convegni ai politici scandalizzati, nell'ombra, sta già clonando gli esseri umani.

Lasciare che solo i ricchi possano accedere a tali perle è ingiusto, Rete4 deve rimanere accessibile a tutti, in uno Stato democratico non si può lasciare che l'unica voce trasparente e annesso clone in versione femminile diventino beni di lusso.
Giovanna d'Arco


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