Caterina Caselli

 
 

Se Patty Pravo rappresentò nel beat l'aspetto prevalentemente ideologico, Caterina Caselli puntò soprattutto ad esprimere attraverso il veicolo musicale i fondamenti di questa nuova cultura. In questo si rivelò professionista seria ed instancabile, ma soprattutto dotata di intelligenza necessaria per capire che nel periodo in cui si era trovata ad agire non era possibile, al fine di un consistente "far breccia" nei gusti del pubblico italiano, non scendere a compromessi con la canzone di stampo tradizionale. Fu così che "casco d'oro" arrivò al successo nel '66 con brani come "Perdono", "L'uomo d'oro" o la notissima "Nessuno mi può giudicare", tipici esempi di come in un delicato equilibrio, si potessero far arrivare contenuti tutt'altro che ipocriti ad un pubblico impreparato, senza per questo ferirlo in alcun modo; "sostanza", questa, cui la Caselli non rinunciò mai. Il suo protofemminismo espresse comunque soltanto una minima parte delle sue reali possibilità, le quali rimasero sempre un po' offuscate dalla necessità di rimanere aderente al clichet di ragazza un po' sguaiata, grossolana, simpatica ed aggressiva che la gente aveva dimostrato di gradire maggiormente.I suoi inizi parlavano chiaro in proposito: cantante, bassista nonchè leader di un gruppo beat ("Gli Amici"), aveva esordito al cantagiro del 1965 con la sua personalissima versione di "Baby please don't go" dei Them. Il prevedibile insuccesso decretato dalla maggioranza di un pubblico composto essenzialmente da fans di Mario Abbate o, nella migliore delle ipotesi, Gianni Morandi, non la scoraggiò: sempre pronta a far suoi i più grossi successi inglesi ed americani attraverso ottime cover, continuò per questa strada che intuiva essere il futuro internazionale della musica. Alla fine dello stesso anno, con un repertorio nutritissimo, affronto il palco del Piper divenendone immediatamente il simbolo. Da qui a Sanremo e al successo di "Nessuno mi può giudicare" il passo fu brevissimo. Probabilmente altri avrebbero a questo punto rinnegato o, più furbescamente, accantonato del tutto la propria cultura musicale a tutto vantaggio di una produzione completamente rispondente alle logiche del mercato interno: come già sottolineato Caterina Caselli lo fece solo in parte inserendo in ogni suo LP un buon numero di brani che rappresentavano il suo appassionato spirito beat a cui aveva dovuto per forza di cose rinunciare. Dai Rolling Stones ai Monkees, da Donovan a Cat Stevens e Otis Redding, più o meno tutte le pietre miliari del beat prima, e del primo pop in seguito, ricevettero la sua calorosa visita. Sarebbe stato un vero peccato morale che una tale "mente" avesse cessato di operare sul piano musicale. Fortunatamenete non è stato così: infatti la Caselli è ormai da diverso tempo alla guida della sua etichetta discografica.

 
 

tratto da:
"C'era una volta il beat..."
di Nicola Sisto
Lato Side Editori