John Dalton

 

John Dalton chimico e fisico inglese nacque in una famiglia quacchera nel 1766 e fu istruito in casa e presso le scuole religiose quacchere. Nel 1781 divenne aiuto del fratello che insegnava a Kendal. Nel 1793 si trasferì a Manchester dove trascorse il resto della sua vita. In questa città insegnerà fisica e matematica divenendo poi un divulgatore della scienza, che illustrava in conferenze che teneva passando di città in città. Le sue ricerche spaziarono su un’ampia gamma di temi. I suoi studi sull’atmosfera lo dovevano portare gradatamente all’elaborazione della sua teoria atomica.
Dalton inizialmente si concentrò sui miscugli di gas e sulla loro composizione. Egli osservò che in una miscela di gas ogni componente esercita la stessa pressione, come se esso fosse il solo gas presente nel volume dato, e enunciò la legge seguente: in un miscuglio di gas ideali la pressione totale è data dalla somma delle pressioni parziali dei singoli componenti  (pressione parziale di un dato componente è quella che esso eserciterebbe se occupasse da solo il volume dato). Basandosi sul fatto che l’aria atmosferica è un miscuglio omogeneo mentre i suoi componenti hanno densità differenti, ed escludendo che si trattasse di un composto chimico, formulò l’idea che gli atomi di ogni componente dovessero essere diversi, che dovessero avere pesi diversi, e che in un dato volume dovessero essere presenti in numero differente. Si faceva così strada l’idea che esistesse un tipo di atomo per ogni elemento.
Dalton si occupò inoltre, prendendo le mosse dai risultati di A. Volta sul "gas delle paludi", della solubilità dei gas in acqua. Questi studi lo condussero a interpretare le analisi chimiche dei composti in base ai pesi relativi degli atomi dei componenti elementari, primo passo verso una legge delle combinazioni chimiche.

Dalton (1766-1844) si rese conto che alcuni elementi combinandosi tra di loro, potevano dare origine a due o pi composti, ad esempio, idrogeno (H) e ossigeno (O) potevano dare origine a due composti diversi: acqua(H2O) e perossido d'idrogeno (H2O2). Dalton tenendo conto della teoria di Proust (leggi delle proporzioni costanti) e della legge di Lavoisier (conservazione della massa) impostò il seguente esperimento:



Dalton osservando i dati sperimentali si rese conto che le masse di ossigeno presenti nei due composti (H2O e H2O2) si trovavano nel seguente rapporto:

semplificando otterremo:


1/2 dove , si legge in questo caso, 1 a 2 e non un mezzo. Uno (1) e due (2) stanno ad indicare il numero di atomi di ossigeno presenti nei due composti. Infatti nell'acqua (H2O) presente un solo atomo di ossigeno, e nel perossido d'idrogeno (H2O2), sono presenti due atomi di ossigeno. Concludendo, Dalton disse:

Se due elementi danno origine a due o più composti (ad esempio H2O e H2O2) mantenendo costante la massa di un elemento (in questo caso la massa dell'idrogeno presente nei due composti ), notiamo che le masse del secondo elemento (in questo caso dell'ossigeno presente nei due composti), sono esprimibili con un rapporto di numeri interi e piccoli.

Dalton da queste tre leggi (legge della conservazione della massa, legge delle proporzioni costanti, legge delle proporzioni multiple) formulò la seguente teoria. La materia che ci circonda sia allo stato solido, liquido o gassoso è formata da tante piccolissime particelle chiamati atomi. La sua teoria prende il nome di Teoria atomica di Dalton.

La teoria atomica di Dalton si basa su questi concetti fondamentali:

 

Ma Dalton, oltre a essere un grande chimico, aveva una singolare caratteristica, di cui è rimasta traccia nel termine “daltonico”: era discromatoptico, ossia cieco ad alcuni colori. A lungo non si era reso conto di vedere il mondo in maniera diversa dagli altri: lo scoprì di colpo nel 1794, quando, per sbaglio, indossò un abito rosso vivo invece di quello nero impostogli dalla fede quacchera, e i suoi correligionari lo rimproverarono per l’errore. Affascinato, prese ad indagare sul proprio difetto visivo, chiedendosi come e perché vedesse le cose in quel modo; e descrisse per la prima volta la discromatopsia ereditaria. Solo suo fratello, annotò, sembrava avere il suo stesso difetto.

Ripeteva spesso che, per lui, l’erba e il sangue avevano il medesimo colore, e i fiori di campo azzurri il colore di ciò che per gli altri era “rosa”; e si chiedeva interdetto come mai la gente distinguesse il rosso dal verde e il rosa dall’azzurro, mentre lui no. Il rosso, scrisse, gli appariva “poco più di un’ombra o una mancanza di luce”. Poiché il difetto congenito apparteneva ad un personaggio così famoso, presto fu coniato il termine “daltonismo” per designare la discromatopsia.

Alla fine lo scienziato elaborò una possibile spiegazione del fenomeno. Forse, pensò, il gel dei suoi occhi, il cosiddetto umor vitreo, era blu anziché trasparente e lo induceva a vedere il mondo attraverso un filtro che rendeva il rosso e il verde un’identica sfumatura di grigio. Ma verificare l’ipotesi era arduo, perché per farlo Dalton avrebbe dovuto rimuovere i propri occhi dalle orbite e controllare il corpo vitreo. Sebbene amasse molto la scienza, non se la sentiva di compiere quel sacrificio, sicché optò per un’altra soluzione: quando egli fosse morto, il suo assistente avrebbe dovuto eseguire un esame autoptico dei suoi occhi.

Dalton morì il 27 luglio 1844, all’età di settantotto anni, e poco tempo dopo Joseph Ransome, il suo assistente, obbedì all’ordine impartitogli dal maestro: rimosse i bulbi oculari, versò l’umor vitreo di un occhio su un vetro da orologio, e constatò che era, come poi scrisse, “perfettamente trasparente”, sicché l’ipotesi di Dalton risultava errata. Allora prelevò un frammento dall’altro occhio e vi guardò attraverso per vedere se oggetti rossi o verdi gli apparissero grigi, ma così non fu, per cui concluse che qualunque fenomeno avesse causato la discromatopsia di Dalton, doveva essersi verificato non nei bulbi oculari, ma nei nervi che collegavano l’occhio al cervello. Poiché Dalton era molto famoso e il daltonismo assai strano, quei bulbi oculari furono infilati in un vaso e conservati fino all’epoca moderna dalla John Dalton Society.

A oltre centocinquant’anni dalla morte del grande chimico, spiegò Taubenberger ai suoi colleghi, era giunti il momento della verità. La biologia molecolare era diventata uno strumento così efficace che, esaminando un frammento di tessuto dei bulbi oculari di John Dalton, gli scienziati erano riusciti a stabilire l’origine della sua discromatopsia. Già in passato si era scoperto che la cecità per i colori era causata da un gene che, avendo subito una mutazione, mancava di alcune informazioni genetiche e non funzionava a dovere. Il problema era capire se Dalton avesse il gene mutato, cioè se la sua discromatopsia fosse straordinaria o comune.

Con una tecnica rivoluzionaria chiamata PCR, reazione polimerasica a catena, gli scienziati avevano potuto lavorare su un numero infinitesimo di cellule di Dalton, che avevano prelevato all’interno dei suoi bulbi oculari conservati e verificare se fosse presente o meno il gene mutato. Ecco di che cosa parlava l’articolo di “Science”, intitolato La chimica della discromatopsia di John Dalton. La risposta, disse Taubenberger si colleghi riuniti in laboratorio, era stata che Dalton aveva una comunissima discromatopsia ereditaria.