|
Le crisi carbonifereL'A.Ca.I, sino all'entrata in guerra dell'Italia, spinge al
massimo la produzione. Le vicende belliche, la dichiarazione delle miniere come
stabilimenti ausiliari e la conseguente militarizzazione della manodopera, mutano
nella sostanza i problemi dell'attività carbonifera. Se nei primi anni è
possibile mantenere la produzione sui valori del 1940, con una lieve tendenza
decrescente (1.200.000 tonnellate nel 1941 e 1.153.230 tonnellate 1942), nel
1943 si registra un calo vertiginoso (312.208 tonnellate). Siamo al 1950, la popolazione raggiunge il massimo storico di 47.858 abitanti, già nel 1955 scende a 45.255 ab., con una produzione annua di carbone di 1.100.000 t. (erano 1.295.779 nel 1940), nel 1960 gli abitanti sono 39.847, la produzione scende a 714.144 t.; nel 1965 abbiamo 34.404 abitanti e una produzione di 510.105 t.. Oggi Carbonia ha circa 32.300 abitanti, e sicuramente i flussi migratori sono minimamente influenzati dalla produzione di carbone. Si susseguono anche i piani per cercare di porre rimedio a questa situazione, il più avanzato viene proposto nel 1948 da Mario Giacomo Levi, allora presidente dell'Azienda Carboni, oltre alla forte presenza di zolfo i problemi sono infatti legati alla mancanza di mercato per il carbone minuto (pezzatura al di sotto dei 10 mm) e dello slamm (il residuo di laveria); il piano prevede l'impianto di una centrale termoelettrica alimentata a minuto e slamm e l'utilizzo del carbone per la produzione di prodotti azotati per l'agricoltura. Il piano viene accolto positivamente dagli operai e diviene uno dei principali obbiettivi della ripresa economica, anche agricola. Tuttavia esso è destinato a naufragare perchè il governo appoggia la politica di due società come la Società Elettrica Sarda e la Montecatini; la prima aveva il monopolio della produzione elettrica nell'isola e non vedeva di buon grado la creazione della nuova centrale fuori dal proprio controllo, la seconda era la società leader nella produzione di prodotti chimici in campo nazionale e avrebbe subito dei contraccolpi negativi, dalla produzione di prodotti azotati con il carbone Sulcis. Il piano rimane quindi sulla carta, solo nel 1950 il Ministero dell'Industria finanzierà la costruzione di una centrale termoelettrica presso Portovesme. Nel 1952 l'Italia entra nella C.E.C.A. (Comunità Economica del Carbone e dell'Acciaio), a favore della "Carbonifera Sarda" vengono stanziati dei finanziamenti dal 1953 al 1955, per soli due anni, mentre per altre attività i contributi arrivano per cinque anni. Appare evidente che la stessa CECA non crede e non ha interesse nel mantenere in vita l'estrazione carbonifera nel Sulcis. Del resto la produzione carbonifera è in crisi ovunque a seguito del boom dell'industria petrolchimica, la stessa Inghilterra, ricca di giacimenti, vede le sue imponenti miniere in crisi. Il 1954 vede lo scioglimento dell'Azienda Carboni a seguito del piano Landi per il risanamento e riordino delle miniere, è la smobilizzazione e l'esodo dalla città. Si passa da 9.601 occupati nelle miniere del 1951 a 4.432 del 1961, e l'emorragia sembra inarrestabile. Nel 1959 rinasce un certo ottimismo, legato alla decisione del governo di costruire una supercentrale da 400.000 chilowattora a Portovesme, a questo si aggiunge la ricezione da parte del governo regionale del piano della società tedesca "Zimmer", che prevede l'utilizzo del carbone Sulcis sia come fonte energetica che chimica. In questo crescente ottimismo si arriva al 1962, si prospetta l'acquisizione di tutte le attività della "Carbosarda" all'ENEL, ma nelle intenzioni di quest'ultima vi è tutto il contrario di ciò che gli operai, i sindacati e la città ambivano. L'ENEL non ne vuole saperne di utilizzare il carbone Sulcis per alimentare la nuova supercentrale, gli preferisce l'olio combustibile, e vuole smobilitare le miniere, anzi sarebbe più propensa a non rilevare le miniere, lasciandole al loro destino ed evitando così problemi di licenziamenti e cassaintegrazione. L'ENEL chiude progressivamente le miniere, nel 1971 le ultime attive di Nuraxi Figus e Seruci chiudono i battenti. Ad allentare la tensione provvedono la realizzazione di una serie di attività, soprattutto presso Portovesme, a partire dal 1968 sono realizzati gli stabilimenti metallurgici "Amni Sarda", "Eurallumina", "Alsar", "Metallotecnica Sarda", un totale di circa 4.000 posti di lavoro. Oggi molte di queste attività sono entrate in crisi, altre hanno cambiato gestione, appare evidente che la mancanza di diversificazione delle attività porta al ripercuotersi dei periodi di crisi di quel determinato settore su tutto il territorio, una diversificazione delle attività riuscirebbe a rendere meno duri questi periodi, almeno permetterebbe l'assorbimento parziale dei licenziamenti e dei cassaintegrati in altri settori. Nel 1977 la Regione sarda spinge per il rilevamento delle attività minerarie dalla "Carbosulcis", togliendone all'ENEL la gestione. Oggi, sulla carta, ci sono alcuni progetti legati al carbone Sulcis, legati alla nuova politica di diversificazione energetica, che secondo stime della Confindustria potrebbe ammontare a circa 3-4 milioni di tonnellate annue. Il nodo da sciogliere riguarda però la creazione del gassificatore, eliminando la componente sulfurea si renderebbe finalmente competitivo il carbone Sulcis, le implicazioni economiche e ambientali sono però da anni oggetto di opinioni contrastanti. |