Le lotte operaie
Il 25 gennaio 1948, il timore che la crisi possa provocare lo smantellamento
delle miniere si concretizza nella costituzione del Consiglio di Gestione. E'
una mobilitazione di tutte le forze, dei minatori e della città intera, compresa
la giunta comunale, che appoggia questa mobilitazione. Se già con il referendum
istituzionale e le elezioni per la Costituente era apparso l'orieniamento di
sinistra dell'elettorato, sin dalle prime elezioni comunali del 31 marzo 1946 si
capisce la ragione dell'appellativo di «Stalingrado sarda» attribuito a Carbonia.
La netta prevalenza dei voti di sinistra caratterizzerà, anche in seguito, le
consultazioni elettorali.
A niente valsero nel 1948 le richieste dell'Alto Commissario per la Sardegna al
governo perchè concedesse i finanziamenti alla Carbosarda; e neppure la
formulazione di una serie di piani di ristrutturazione dell'industria
carbonifera (Giardina-Russo, 1948; Levi, 1949; Carta, 1949).
Il più avanzato, il piano Levi, prevedeva la realizzazione di un impianto di
distillazione e gassificazione del carbone, dal quale si sarebbero così ottenuti
prodotti azotati e fertilizzanti indispensabili per lo sviluppo agricolo del
Sulcis; inoltre il piano prevedeva la costruzione di una centrale termoelettrica
(alimentata dal «minuto» o dallo «slamm»), che avrebbe dovuto soddisfare il
bisogno energetico delle miniere e degli impianti. Questo progetto, appoggiato
dalle organizzazioni sindacali e dai partiti isolani, venne formalmente
approvato dal governo, ma di fatto respinto dal nuovo corso dell'economia del
paese e dalla stessa Carbosarda. Influivano su quest'atteggiamento le pressioni
della Montecatini, preoccupata da un'eventuale concorrenza nel settore dei
concimi chimici, e della Società Elettrica Sarda, che paventava la perdita del
monopolio elettrico.
La Carbosarda attuerà, a partire dai primi mesi del 1948, un'azione di
licenziamento che riduce il numero delle maestranze da 17.200 del 1947 a 10.900
del 1950. La reazione dei lavoratori, sulle prime disposti a collaborare, sfocia
nella proclamazione dello stato di agitazione, e in un duro e logorante sciopero
che dura 72 giorni.
Alla fine del 1949 la lotta operaia riesce a strappare all'azienda una serie di
promesse e di impegni. Si tratta, però, di una «vittoria di Pirro»: i
licenziamenti per tutto il decennio successivo proseguiranno con ritmo costante,
la produzione decresce ulteriormente, Carbonia vive una lenta agonia.
Nel 1955 un'accordo dell'azienda col governo e i sindacati incentiva le
dimissioni volontarie con una superliquidazione di 450.000 lire, in pochi mesi
più di 2.000 lavoratori abbandonano le miniere.
L'intervento statale, nel nuovo clima di «programmazione» e di «partecipazione»
del centro-sinistra, attraverso il passaggio delle miniere all'azienda elettrica
pubblica, Enel, segna, paradossalmente, il tracollo definitivo di ogni attività
estrattiva.
La «città del carbone», l'avventura autarchica che conteneva nelle sue origini
le tare più gravi conosce, con lo stillicidio dell'emigrazione, un forte
spopolamento con la perdita di circa 15 mila abitanti. Soltanto oggi, a causa
della crisi delle fonti energetiche petrolifere e della perdita di economicità
dell'uso del petrolio rispetto al carbone, si riparla di una valorizzazione e di
un possibile rilancio delle miniere carbonifere sarde. Ma i problemi circa la
qualità e l'eventuale costruzione del gassificatore sono ancora irrisolti.
Da ciò che abbiamo detto fin'ora sembrerebbe che i problemi dei minatori e le
loro rivendicazioni fossero legate sempre alla possibilità della perdita del
posto di lavoro, in realtà queste situazioni erano stesso alimentate dalle
condizioni di vita della popolazione, gli anni della seconda guerra mondiale
sono durissimi, non si trova il cibo, nel 1939 l'orario di lavoro viene portato
da 7 a 8 ore ed è previsto il doppio turno di 16 ore sottoterra. Nel 1940
l'azienda è militarizzata ed ogni protesta è considerata sabotaggio, tuttavia è
proprio in quegli anni che sono segnalate le prime avvisaglie della propaganda
comunista. Un rapporto del presidente dell'ACAI relativo all'estate 1942 così
descrive la situazione: «nei mesi di luglio e
agosto non è esagerazione dirVi che nel bacino del Sulcis si è sofferta la fame»,
il documento è indirizzato personalmente al duce.
Il 2 maggio 1942 vi è il primo sciopero in Sardegna
e forse in Italia, i minatori dei pozzi di Sirai si fermano per protesta contro
il provvedimento dell'azienda che prevede l'aumento del fitto abitativo (tutte
le abitazioni erano di proprietà dell'ACAI) e l'introduzione della quota anche
per i residenti presso gli alberghi dei lavoratori. La protersa raggiunge il suo
obbiettivo.
Le condizioni di sicurezza sono del tutto inadeguate, nel 1937 nella miniera di
Sirai muoiono 14 minatori per un'esplosione, nel 1938 un'inondazione fa 5
vittime nella miniera di Serbariu, fra il 1939 e il 1941 si contano quasi 40
morti all'anno. Spesso si è detto di come la società carboniense sia stata
ostacolata nella sua formazione e organizzazione, tuttavia la solidarietà nata
da queste vicissitudini sarà incredibilmente compatta nel rivendicare i propri
diritti. Sono dei primi mesi dei 1944 le prime commissioni interne, e il 30
aprile 1945, cinque giorni dopo la Liberazione, sorge a Carbonia la Camera del
Lavoro. Negli stessi anni abbiamo le prime agitazioni contro la mancanza di beni
di sussistenza, per l'aumento del salario e contro il cottimo.
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