Il corpo "sparlante"

di Vittorino Carollo

 

Pauli Horner camminava e a tratti correva sopra il muretto, ch’era largo come alto, sessanta centimetri. Ogni due o trecento metri avevano lasciato dei varchi, saltava giù e risaliva un metro più avanti, erano passaggi per i pedoni. Si muoveva da venti minuti dopo le quattro e alle cinque e venti sarebbe sorto il sole, laggiù in mezzo il mare. Un spettacolo gratuito, il sole metà sott’acqua, non si pagava il biglietto. La spiaggia era deserta, intravedeva la battigia a cento metri, di là dagli ombrelloni chiusi, tante frecce indicanti il cielo. Gli antichi adoravano il sole la luna e le stelle, per forza, pensava Pauli, quand’era solo si sentiva attratto anche lui. Andava avanti e indietro lungo la spiaggia da una settimana e stentava ad entrare in forma, era ancora sfiatato, ma i muscoli non dolevano più come i primi giorni. Faceva l’insegnante da dieci anni e guai se non ci fossero le ferie per rimettersi in sesto.

Ad un varco salta giù e senza un vero motivo invece di risalire imbocca il sentiero tra la sterpaglia della pineta, si cammina nella sabbia anche lì. Dopo venti metri è costretto a fermarsi, il viottolo finisce contro un albero e torna verso il muretto formando una V molto aperta, con il pino come vertice. Non capisce. Ansima e si appoggia alla pianta, per ritrarsi subito spaventato, qualcuno lo apostrofa a voce alta: “Imbecille! Se ansimo la colpa è tua!”  

Si guarda attorno e c’è qualcuno seduto sul muretto, a trenta passi dal varco, proprio dove andava a sbattere e finiva l’inesplicabile sentiero. Pauli avvicina deciso l’uomo seduto.

“Mi ha dato dell’imbecille?”

“Io non c’entro, però conosco il colpevole. Lei è fortunato, quest’anno è il primo ad essere rimproverato dal proprio corpo.”

Pauli Horner fissa l’altro nell’alba che rischiarava. “Senta lei dev’essere anziano e…”

“Più di quanto lei possa credere. Pensi che il mio corpo mi ha dato dell’imbecille per la prima volta cinquant’anni fa…” una pausa e poi, “quando avevo cinquantasette anni.”

Pauli osserva l’uomo seduto, in maglietta, pantaloncini e sandali infradito. Gambe e braccia lisce e abbronzate, niente vene varicose eccetera. Il tipo, ha sì una fluente barba candida, ma il fisico è ottimo. Insegna matematica e cinquanta più cinquantasette fanno centosette. Costui, oltre a chiamarlo imbecille, conferma con quanto vuole dargli ad intendere. “Tra poco sorge il sole e sarà una bella giornata” fa il professore scuro in volto “non me la guasti! Se vuole farmi credere d’avere centosette anni e non si mette a discorrere in modo assennato, sarò costretto ad arrabbiarmi. La pianti e dica perché mi ha dato dell’imbecille!”

“Non sono stato io, lo ripeto. Quanto è capitato a lei a me succede ogni anno, la prima volta mezzo secolo fa. Se qualcuno si trova vicino a quel pino al sorgere del sole, il corpo di questo qualcuno può parlare, ma non succede a tutti. E adesso non chieda a cosa serve questo sentiero, vorrei saperlo da cinquant’anni. Lei è fortunato come lo sono io, non tutti sentono parlare il proprio corpo.” Con questo, si tappa la bocca e levato dalla tasca posteriore dei pantaloncini il portafoglio, mostra i suoi documenti. “Ecco la carta d’identità e la patente.”

Pauli Horner controlla attentamente patente e carta d’identità. Miztch Kosinski, nato a Varsavia il 7 aprile 1895. Non può essere vero. Salta di là del muretto e pregato l’altro di mettersi in piedi gli gira attorno, scrutando attentamente la faccia barbuta del polacco. I documenti sono stati rinnovati l’anno precedente e non ci sono dubbi, l’uomo corrisponde perfettamente alle fotografie.

“Ma lei ha centosette anni per davvero!”

“Compiuti tre mesi fa, l’avevo pur detto!”

“Sarà anche vero, ma non ho capito niente dei corpi che parlano.”

“Se non ci crede, pazienza, peggio per lei. Non vedo un medico da cinquant’anni, da quella famosa prima volta che il mio corpo mi ha parlato, ma sarebbe meglio dire sparlato. Vengo qui ogni anno e il mio corpo mi spiega tutto: cosa mangiare, come dormire e che non si deve sforzarsi nel fare l’amore, deve venire naturale. Posso affermare che da un bel pezzo non faccio brutte figure.”

Pauli Horner è costretto a ridere. “Andiamo signor Kosinski, vuole farmi credere che a centosette anni…”

“Pensi ciò che vuole! Uno dei difetti degli uomini è di fare l’amore senza averne voglia, con scarsa naturalezza. Gl’imbecilli non sanno che le donne ricordano la volta che fai cilecca e dimenticano le venti che sei andato forte. E’ stato uno dei primi insegnamenti del mio corpo vicino a quel pino, mi assicurò che avevo il cervello di una bestia. Non bisogna meravigliarsi di niente, lo sa? L’altro giorno ho letto che tantissimo tempo fa erano gambe anche le nostre braccia, insomma, siamo dei quadrupedi. Ma cosa ha detto di preciso il suo corpo là nel sentiero?”

“Ho sentito un’offesa: imbecille, se ansimo la colpa è tua!”        

“Vede? In giro non c’è nessuno, era il suo corpo che protestava contro di lei, cioè, contro il suo cervello. Il corpo e il cervello sono ben distinti, servo e padrone, un’ingiustizia. Una pallottola nel cervello cosa si sente? Niente, neppure lo sparo; ma una sulla rotula? Il cervello è corrente elettrica che funziona con sostanze chimiche: vuoi camminare sul muretto? Una sostanza chimica fa partire una scarica e sali sul muro, una sostanza di un altro tipo ti fa scendere. Per me quel pino è come un interruttore, può staccare l’elettricità che abbiamo nel cervello. Dobbiamo ammetterlo, è sempre il corpo a pagare per gli sbagli del cervello. Ma dica un po’, lei ansimava?”

“Sì, avevo corso, sono al mare da pochi giorni e ancora non sono in forma. Lei crede che se torno vicino a quel pino il mio corpo tornerà a parlarmi?”

“Può darsi, anche perché da lì non passa mai nessuno. La gente crede di sapere tutto, di non avere bisogno di suggerimenti.”  Kosinski alza le spalle e torna a sedersi.

Il cielo si rischiara e Pauli Horner torna al varco, vuole rifare il percorso di prima. Imboccato il viottolo, ci vuole poco per arrivare ad appoggiarsi al pino un’altra volta, proprio quando il sole fa l’occhiolino sopra le onde del mare. Malgrado se l’aspettasse ha un sobbalzo, viene apostrofato con più forza di prima: “Scemo, che non sei altro, conosci le galline? Ti sei mai chiesto perché vanno a dormire quando fa buio e tornano a becchettare all’alba? Perdipiù insegni in una scuola!”

S’intimorisce più di prima, non crede possibile che il suo corpo parli forte e chiaro in quel modo. Il vecchio è seduto sul muretto e Pauli, non ancora convinto, va a guardare dietro un grosso albero e attorno ad un cespuglio, non c’era nessuno. Il vecchio sorride e Pauli ha uno sprazzo…

“Lei è ventriloquo!”, dice appena gli è vicino.

“Mi faccia il piacere!” protesta il polacco “me ne vado, rimanga qui solo e si convincerà.”

Il professore lo trattiene per una spalla e siede al suo fianco. Il vecchio si calma e vuole sapere cosa aveva detto questa volta il corpo del professore.

“Strano signor Kosinski, il mio corpo mi odia, è contro di me.”

“Con chi dovrebbe avercela? Una persona s’identifica nel suo cervello e per corpo s’intende tutto quanto non è cervello. Pensi al dolore che può dare al proprio corpo un cervello che funziona male. Allora, mi dice cosa ha detto questa volta il suo corpo?”

Horner racconta delle galline, ma non parla della scuola, è imbarazzante. Si sfoga: “Se è davvero il mio corpo a parlarmi, mi ha offeso più di prima e non capisco cosa c’entrino le galline.”

Il vecchio polacco si rimette in piedi. “Me ne vado” dice “per me è facile, si capisce che i suoi orari nel lavorare e riposare non sono graditi al suo corpo.”

“Questo è giusto” ammette Pauli. “Rimango sveglio per certe scempiaggini alla televisione, che definire ridicole è poco, poi, spesso faccio tardi giocando a carte.”

“Vede? Il suo corpo soffre e protesta, deve osservare come vivono le galline. Però l’esempio delle galline è strano, è noto che mancano di cervello. La saluto, giovanotto fortunato, sono al mare per camminare anch’io!”

“Arrivederci signor Kosinski, e non sono un giovanotto, navigo verso i quaranta! Molte grazie ugualmente!” grida Pauli Horner al vecchio che si allontana.

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