Storia dei Carristi
e del 32° reggimento carri
di Maurizio Parri
CAPITOLO I
LE ORIGINI
Essere carristi significa già di per sé essere un po’ speciali. Un po’ particolari e, in un certo senso, unici, irripetibili e per questo preziosi. La storia avventurosa delle origini del corpo conferma questa nostra asserzione.
L’origine dei carristi risale al periodo centrale della 1^ guerra mondiale allorché la realtà del motore, del mezzo meccanico in genere, si affacciava - con grandi aspettative - alla ribalta del mondo militare. Un’origine in verità piuttosto recente dal punto di vista cronologico, ma già lontana anni luce se si osserva la stessa distanza con occhio tecnologico.
Le radici dei carristi affondano perciò in quell’epoca pionieristica, quando una semplice “scatola” di acciaio dotata di due mitragliatrici e mossa da due nastri metallici azionati con qualche difficoltà da un rumoroso motore rappresentavano l’apice della tecnologia in un mondo ancora in gran parte mosso dai quadrupedi. A quei tempi il carro armato suscitava la stessa sbalordita sorpresa che oggi riesce a suscitare una navetta spaziale ed era ancora un misterioso prodigio meccanico frutto dell’ingegno dell’Uomo.
Comparso il nuovo congegno bellico, occorreva dunque inventare un soldato completamente nuovo, per il quale - come si vedrà più avanti - bisognava addirittura inventare il nome. Il carrista, come più tardi verrà chiamato questo nuovo genere di guerriero, è -dunque - anch’egli un’invenzione, non potendo essere l’evoluzione di nessun altro tipo di soldato, come testimoniano i prodromi della sua storia.
Né poteva immediatamente essere messa a punto, né immediatamente compresa la dottrina del loro impiego moderno ed efficace. Ai suoi primordi, in un mondo che lo osservava ancora ondeggiando tra stupore e diffidenza, tra eccessivo entusiasmo ed incredulità, il carro armato si proponeva come lo strumento capace di reintrodurre il concetto del “movimento” e quindi della “manovra” nella battaglia immobilizzata dall’avvento del binomio mitragliatrice - reticolato. Insomma, al suo comparire, il carro, elegante sintesi tecnologica di potenza, mobilità e protezione, era visto come il rimedio per liberare finalmente le fanterie, inchiodate nelle putride trincee, imprigionate dal filo spinato e martellate senza sosta dal fuoco incessante delle armi a ripetizione. Insomma, un mezzo per aumentare la potenza offensiva della fanteria. Come vedremo, “la macchina da guerra con rotaie a cingoli”- come alcuni la chiamarono allora - fu molto di più.
Seguire le vicissitudini dei primi anni del carrismo italiano non è affatto semplice e risulta sempre un complicato cimento che solo la passione e l’interesse possono aiutare superare. In questo fascicolo si è cercato di raccogliere le informazioni frammentarie desunte da più fonti, riordinandole e cercando di ricostruire il filo cronologico delle tappe e degli avvenimenti che hanno caratterizzato la storia della specialità e, in particolare, del nostro magnifico reggimento che di questo racconto è il protagonista fondamentale.
La comparsa del carro armato in Italia
Furono le vicende della Grande Guerra a portare i primi carri armati in Italia.
L’interesse delle autorità militari italiane per la nuova macchina da guerra si manifestò e si sviluppò dopo la comparsa dei primi carri sul fronte di guerra francese in occasione dell’offensiva britannica sulla Somme del 15 settembre 1916.
L’Esercito Italiano iniziò comunque ad interessarsene con molta cautela giacché l’introduzione dei rivoluzionari e costosissimi mezzi bellici avrebbe richiesto un addestramento specifico di quadri e truppa e la disponibilità di specialisti per la logistica che allora erano del tutto mancanti.
Mancava, inoltre, una precisa idea di come impiegare i carri armati in combattimento ed esisteva una diffusa diffidenza circa le loro reali possibilità d’affermarsi sul campo di battaglia.
I pionieri
Il primo Ufficiale italiano incaricato di interessarsi alla modernissima arma fu un Artigliere, il Capitano Alfredo BENNICELLI che nei primi del 1917, per ordine del Ministro della Guerra Tenente Generale ZUPPELLI, si recò in missione nelle Fiandre per visionare i primi esemplari di carro armato impiegati da Francia e Inghilterra e in seguito diresse tutte le prove tecnico-dimostrative sui carri affluiti in Italia.
Il Conte Alfredo Bennicelli nasce a Roma il 19 febbraio 1879, milita come Ufficiale di Complemento di 1° Nomina nel 13° Reggimento di Artiglieria di stanza nella Capitale, procede nella carriera militare fino al grado di Generale di Brigata e quella politica fino alla dignità di Senatore del Regno, muore a Roma il 20 Maggio 1960 all' età di 81 anni dopo aver ricoperto importanti incarichi in Vaticano. Attivamente introdotto nel mondo industriale francese, intuisce l’utilità dell’impiego del carro armato nelle operazioni militari e, ottenuta la necessaria autorizzazione del Ministero della Guerra, introduce l’idea del carro da combattimento nell’Esercito Italiano, l’esperimenta e la realizza. Primo tra i primi, il Maggiore Conte Alfredo Bennicelli è idealmente considerato il “fondatore” dei carristi italiani.
All’inizio del 1917 fu chiesto ed ottenuto dalla Francia un esemplare di carro Schneider allo scopo di sperimentarne le caratteristiche sul fronte italiano. Le prove svolte a Tricesimo diedero buoni risultati per cui l’Italia richiese altri esemplari all’alleato francese che però non ritenne di doverceli concedere.
Nel 1918 la Fiat progettò e realizzò di propria iniziativa due esemplari del carro Fiat 2000, pesante 40 tonnellate, con un equipaggio di ben 10 uomini e mosso da un motore da 600 cavalli e capace di conferire al mezzo una velocità di 6 km/h. L’armamento era costituito da un cannone da 65 mm installato in torretta e ben 7 mitragliatrici.
La fine del primo conflitto mondiale nel novembre 1918 impedì comunque all’Italia di sperimentare sul campo di battaglia la nuova arma, ma alla fine della guerra erano presenti in Italia ben sette carri armati! (due Fiat 2000, un carro Schneider e quattro Renault 17 avuti, sia pure dopo molte insistenze, dalla Francia).
Nel 1918 il “cospicuo” parco carri italiano fu riunito nel primo ente addestrativo per l’impiego dei carri armati istituito presso la Sezione speciale per l’istruzione sui trattori cingolati del Reparto di Marcia Trattrici d’Artiglieria di Verona, in seguito trasformata in “Reparto Speciale di marcia carri d’Assalto” comandato dal Maggiore Corsale ed alle provvisorie dipendenze della Sezione Auto dell’Intendenza Generale. Era questo - infatti - l’unico ente presso il quale esisteva, all’epoca e in una certa abbondanza, il personale con le cognizioni meccaniche indispensabili per il mantenimento e l’impiego dei mezzi cingolati che, con un po’ d’immaginazione, potevano essere assimilati ai carri armati.
Questo primordiale ente addestrativo aveva il compito di impartire ad Ufficiali e Truppa volontari provenienti da tutte le armi, una prima istruzione sulla condotta dei carri armati tipo Schneider e Renault.
Il primo vero e proprio reparto di carri armati dell’Esercito Italiano fu però la “1a Batteria Autonoma Carri d’assalto” su 2 sezioni di 4 carri ciascuna (un Fiat 2000 e tre Renault 17, 2 Ufficiali e 17 tra Sottufficiali e truppa), costituita a Torino nel dicembre 1918 in seno all’Arma di Artiglieria e posta al comando di un Capitano.
Fino al 1918, il personale assegnato ai carri armati portava cucito sulla manica destra della giubba il simbolo dell’Artillerie d’Assault francese (ideato dal Sottotenente de Rebaud) e mutuato da parte degli Ufficiali italiani che avevano frequentato in Francia il corso per carri armati. Il distintivo, che dapprincipio raffigurava un elmo d’armatura sovrapposto a due cannoni incrociati, fu modificato in seguito alla costituzione della 1^ Batteria autonoma carri d’assalto, sostituendo uno dei due cannoni con una mitragliatrice. Da questa versione del simbolo avrà più tardi origine l’attuale fregio tradizionale della specialità carristi.
Nel febbraio del 1919, una sezione della 1^ Batteria autonoma carri d’assalto fu inviata, con due carri Renault 17 ed il Fiat 2000, in Tripolitania per un breve ciclo operativo contro gli arabi ribelli.
Nello stesso momento in cui vedeva la luce la 1^ Batteria autonoma carri d’assalto, il Sindaco di Verona chiedeva alle autorità militari di trasferire altrove “l’ingombrante” flotta corazzata accasermata in città e così il 5 marzo venne sciolto il Reparto speciale di marcia carri d’Assalto e disposto il trasferimento a Roma del terzo carro Renault 17. La scuola carri d’assalto del parco trattrici venne anch’essa sciolta.
Il 2 aprile dello stesso anno, la seconda sezione della 1^ Batteria eseguì una dimostrazione allo stadio nazionale di Roma, cui assistette anche la Famiglia Reale, organizzata per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle possibilità offerte dalla nuova arma.
A questa esibizione presero parte, oltre ad alcuni mezzi blindati su ruote, uno dei due carri Fiat 2000, il Renault 17 mitragliatrice ed un Renault 17 con obice da 105 mm.
Rientrata in patria dalla Tripolitania la prima sezione (che lasciò a Tripoli il suo Fiat 2000), la 1^ Batteria fu destinata a Nettuno, presso il poligono di Artiglieria che là ancora oggi esiste, alle dipendenze amministrative del 13° Reggimento Artiglieria da Campagna di stanza in Roma nella caserma del Castro Pretorio.
Accantonata dapprima presso la caserma del 1° Reggimento Granatieri, fu poi trasferita a Castro Pretorio. Nel settembre del 1919 fu raggiunta dal carro Schneider che era stato lasciato all’autoparco di Verona. Il 21 novembre 1919, la specialità “carri armati” transitò nell’arma di Fanteria (Regio Decreto n. 2149 noto come “ordinamento Albricci) e, nel dicembre successivo, la batteria, ribattezzata dapprima “Compagnia Autonoma Carri Armati” e successivamente “Compagnia Carri Armati”, si trasferì infine nei baraccamenti di San Lorenzo, sempre a Roma.
Nel mese di maggio dello stesso anno tutti i carri allora in dotazione all’Esercito furono perciò riuniti presso la Scuola centrale di Artiglieria di Nettuno ove si costituì la “Scuola di condotta carri d’assalto” anch’essa alle dipendenze della Direzione Generale di Artiglieria.
Nel giugno del 1920, la Fiat approntò il primo esemplare di carro Fiat 3000 che si rifaceva quasi del tutto al carro Renault e che entrò in linea nei primi mesi dell’anno successivo con il nome di Fiat 3000 mod. 21.
Nello stesso anno veniva costituito il “Gruppo carri Armati” dotato di carri FIAT 3000 ordinati in tre squadriglie.
Benché già inserito nella Fanteria, la denominazione “gruppo” era di chiaro stampo artiglieresco. L’ordinamento in “squadriglie”, termine di chiara derivazione aeronautica, era stata mutuata dall’ordinamento dei reparti autoblindo e rimase in auge sino al momento della costituzione del Reggimento carri armati che, benché svincolato dalla Fanteria, fu articolato come i reggimenti di questa.
Nel 1921 non si era ancora provveduto a stilare un ordinamento dei carri inquadrati nell’Esercito, ma si era definitivamente stabilito che la “specialità carri armati” (il termine “carristi” non era ancora stato coniato) fosse una specialità dell’Arma di Fanteria. Non si faceva, però, ancora alcun cenno circa i criteri d’impiego delle unità carri armati e l’addestramento dipendeva ancora dalla Direzione d’Artiglieria.
Nel 1922 si aggiungevano un “Centro Formazione Carri Armati” ed alcuni non meglio precisati gruppi di istruzione. Ma l’altalena di nomi era solo all’inizio: il 7 gennaio 1923 fu disposta la creazione del “Reparto Carri Armati”, che si costituì il 23 gennaio successivo. Accasermato in Roma al Forte di Pietralata (la sede del Comando rimase, in via Marsala, fino al 9 gennaio 1924 quando si spostò anch’esso a Pietralata insieme ai suoi due gruppi), il neonato Reparto carri armati era incaricato della formazione, addestramento e mobilitazione delle unità carriste ed era organo di studio sperimentale della nuova specialità. La responsabilità di tali studi rimaneva comunque di competenza della Direzione superiore del servizio tecnico di artiglieria.
In agosto il primo gruppo iniziò a ricevere i primi carri Fiat 3000. Nel febbraio 1924, al primo gruppo carri (ordinato in tre squadriglie) se ne affiancò un secondo uguale per un totale di 25 carri armati Fiat 3000.
Fino al 16 luglio 1923 i 265 carristi di truppa del Reparto carri armati rimasero comunque effettivi al 13° Reggimento di artiglieria da Campagna.
Il primo Comandante del Reparto Carri Armati fu il Colonnello di Fanteria Noè GRASSI che lo rimase fino all’11 marzo 1924 e che coniò, per rprimo, il termine “carristi”. Suo successore fu il Colonnello di Artiglieria Enrico MALTESE, entrambi primi dotti teorizzatori dell’impiego tecnico-tattico del nuovo mezzo (il Colonnello Maltese, per esempio, fu il primo curatore del lemma “Carro Armato” per l’Enciclopedia Italiana).
Il 9 giugno 1924 il Reparto si trasferì al Forte Tiburtino, tant’è che ancor oggi nei pressi della stessa località esiste ancora una via “del carro armato”.
Da un documento rilasciato dal Comando il 28 agosto 1926, si apprende che il motto del Reparto Carri Armati era:
“Pondere Ignique Auxilium Fert”.
Gli Ufficiali delle varie armi che, entrando nel reparto, avevano scelto di avventurarsi nel nuovo mondo dei corazzati, continuavano intanto a portare sui loro copricapo il fregio e, sul bavero dell’uniforme, le mostrine dell’Arma o del corpo di provenienza. I Sottufficiali e la truppa portavano invece il fregio dell’Arma di Fanteria e, sulle loro giubbe, le fiamme rosse a due punte sovrapposte sul risvolto del collo ancora di velluto o panno nero.
Furono tutt’altro che anni facili all’affermazione del carro che in Italia godette sempre di forti incomprensioni. Ad ogni buon conto, alla fine del 1924, il Reparto Carri Armati poteva contare su una forza di 62 carri Fiat 3000 e il 1° dicembre 1924 poteva avviarsi il primo corso per Ufficiali carristi.
Con la legge n. 396 dell’11 marzo 1926, si costituiva ufficialmente la “specialità carri armati” in seno all’Arma di Fanteria per la cui formazione si attingevano Ufficiali da tutte le altre Armi e Corpi dell’Esercito. Il Reparto diventò così “Centro di Formazione Carri Armati” su due gruppi d’istruzione.
CAPITOLO II
IL REGGIMENTO PROGENITORE
Il 1° ottobre 1927, per trasformazione del Centro di Formazione Carri Armati, i carristi vennero finalmente riuniti nel “Reggimento Carri Armati”, unità capostipite con sede in Roma nel forte Tiburtino dalla quale dipendevano cinque battaglioni: e il cui primo Comandante fu il Colonnello Giuseppe MIGLIO (nel 1957 fu eletto Presidente dell’Associazione Nazionale Carristi d’Italia dal 1° congresso dell’associazione) al quale, nel 1933, subentrò il Colonnello Edoardo QUARRA.
Le uniformi del personale del Reggimento Carri Armati erano quelle previste per le truppe a cavallo, stivali o gambali compresi, unica eccezione, il divieto di indossare gli speroni che avrebbero costituito un pericoloso orpello a bordo dei carri. É noto che il personale di truppa del Reparto Carri armati, della cui esistenza non tutti erano al corrente in Italia, suscitava stupore quando in licenza fuori Roma (era allora d’obbligo l’uniforme) tra quanti non riuscivano a capire come mai un soldato di fanteria (tali erano infatti le mostreggiature) fosse vestito da cavaliere!
Con la nascita del Reggimento carri armati fu finalmente sancita l’introduzione del fregio di specialità, uguale per tutti gli effettivi all’unità, lo stesso che ancora oggi è il fregio esclusivo dei carristi, costituito da una granata con fiamma dritta, a cinque punte, su un cannone ed una mitragliatrice incrociati e sovrapposti alla sagoma laterale sinistra di un carro armato.
Con la circolare del 1 marzo 1928, fu stabilito che anche gli Ufficiali di arma combattente effettivi al Reggimento dovessero portare sul loro copricapo un fregio la cui unica differenza era d’avere al posto della sagoma del carro una sezione di cingolo su cui scorrevano i rulli del treno di rotolamento (questo fregio fu poi esteso a tutto il personale nel gennaio del 1937).
Il nuovo fregio era comunque assai poco diverso da quello riportato sull’intestazione di un diploma rilasciato il 28 agosto 1926 dal Comandante del Reparto Carri Armati. Quest’ultimo, al posto della sagoma del carro armato, aveva una sezione di cingolo con rulli e la fiamma, anziché dritta era quella tipica dell’artiglieria (tanto per la cronaca, nel 1998, in seguito all’inserimento dei carristi nell’Arma di Cavalleria si era paventata l’idea improvvida di sostituire il cannone con una lancia il che avrebbe significato un evidente falso storico. Una frettolosa circolare in tal senso fu diramata dallo Stato Maggiore dell’Esercito nel 1999 per poi essere poco dopo abrogata con una successiva).
Nel 1929 due battaglioni di Fiat 3000 parteciparono alle grandi manovre in Piemonte in seguito alle quali si decise di sostituire le mitragliatrici dei citati carri con un cannone da 37/40.
Il battesimo del fuoco i carristi lo ebbero nei ranghi dei reparti del Reggimento capostipite aliquote del quale furono impiegate nei vari Teatri di guerra coloniale dell’epoca (Eritrea, Libia, Somalia, Abissinia).
Nel 1931 il Comando del Reggimento carri armati si trasferì da Roma a Bologna e nel 1932, con un’apposita legge (Legge n. 293 del 24 marzo 1932) si assegnò al reggimento la versione rivista dell’antico motto del Reparto Carri Armati:
“Pondere et Igne Iuvat”
Il motto (in italiano, reca aiuto con il peso e con il fuoco). L’antico motto lascia trasparire quali fossero i primitivi criteri di impiego dei carri armati, intesi per lunghissimo tempo come elemento di supporto all’azione della fanteria.
Nel 1933, l’allora Ispettore dell’Arma di Fanteria, il Generale Ottavio ZOPPI (lo stesso che “inventò”, durante la 1^ Guerra Mondiale, i celebri “arditi”), ancorché poco convinto, si fece promotore del potenziamento della componente corazzata del nostro esercito in seno a quell’Arma, giacché, fino a quel momento, né l’Artiglieria, né la Cavalleria si erano dimostrate adeguatamente interessate al carro armato.
Intanto i Carristi iniziarono a maturare esperienza operativa partecipando con i loro piccoli carri L 3/35 a tutte le imprese coloniali e l’11 novembre 1935, in Somalia ad Hamanlei, meritarono le prime ricompense al Valor Militare concesse alla memoria rispettivamente del Sergente Maggiore Giovanni SAROTTI (M.O.V.M.) e del Carrista Fao OCCIDENTE (M.A.V.M.).
Complessivamente, nel decennio compreso tra il 1935 ed il 1945, i carristi hanno meritato: 8 Ordini Militari d’Italia, 44 Medaglie d’Oro al V.M., 412 d’Argento, 617 di bronzo e 716 Croci di guerra al V.M. Gli stendardi dei reggimenti carri sono decorati complessivamente di: 3 Medaglie d’Oro al V.M., 2 d’Argento, 3 di Bronzo.
Il carro L 3/35, a bordo del quale caddero i primi due eroi carristi, un tempo esposto al Museo delle Colonie, è tuttora conservato presso il Museo dei Carristi in Roma.
I carri in Cavalleria
L’Arma di Cavalleria iniziò a dotarsi in via sperimentale, parzialmente e soltanto di carri leggeri, solamente il 27 ottobre 1933 premettendo, nonostante almeno undici anni di evidente ritardo, il riluttante assioma “é il carro che spiana la via ai reparti a cavallo”. Ciò nonostante il reggimento meccanizzò uno dei suoi due gruppi, precisamente quello allora comandato dal Colonnello Gervasio BITOSSI, futuro comandante della Divisione Corazzata “Littorio” (133^) in Africa Settentrionale.
Giova ricordare che in Gran Bretagna, terra natia dei carristi, ove il Tank Corps fu formato nel corso della I Guerra Mondiale, la meccanizzazione della Cavalleria iniziò ben prima con l’11° Ussari che fu il primo reggimento della Cavalleria britannica, insieme al 12° Lancieri a meccanizzarsi nel lontano 1928 e che, essendo stato trasferito in Egitto già dal 1934, ebbe diversi anni di tempo per approfondire la conoscenza della realtà del deserto i nord africano dove svolse innumerevoli esercitazioni, e in particolare del confine libico-egiziano che aveva presidiato.
Aldilà della diversità del nome, poichè ciò che si chiamava carro d’assalto o carro veloce ero in realtà esattamente lo stesso modello di carro (L 3/35) a seconda che fosse assegnato alla Fanteria (ossia ai Carristi) o alle truppe celeri (vale a dire alla Cavalleria), poté quindi accadere che qualche reparto carri d’assalto (carristi) fosse organizzato dal Reggimento Guide e, viceversa, che taluni reparti di carri veloci (cavalleria) fosse organizzato dal Reggimento Carri Armati o, a partire dal 1936, da uno dei quattro reggimenti da esso figliati.
APPRONTAMENTO UNITÀ CARRI DAL 1934 al 1936 |
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Reggimento Carri Armati dal 1935 al 1936 |
Reggimento Guide (19°) dal 1934 al 1936 |
- I btg. cr. d’assalto “Ribet”, II “Berardi”, III “Paselli”, IV “Monti”, V “Suarez” poi “Venezian”; VI “Lollini”, VII “Vezzani”, VIII “Bettoia”, IX “Guadagni”, X “Menziger”, XI “Gregorutti”, XII “Cangialosi” “(tutti btg. carri d’assalto per C.d’A.); - battaglioni coloniali Carri d’Assalto: XX “Randaccio” (Eritrea e Libia), XXI “Trombi” (Libia), XXII “Coralli” (Libia), XXIII “Stennio”, XXXI “Cerboni”, XXXII “Battisti” (Libia); - squadrone speciale Carri Veloci (Somalia); - squadriglia speciale “S” (Somalia); - sezione autoblinde Fiat 611 (Somalia); - V gruppo squadroni Carri Veloci (Somalia); - battaglioni Carri d’Assalto, IX, XXIII, XXIV, XXXI; - compagnia complementi per il 2° reggimento bersaglieri; - compagnia Carri d’Assalto per la Sardegna. |
- tre gruppi squadroni Carri Veloci (“San Giorgio”, “San Marco” e “San Martino” (poi “San Giusto”) su quattro squadroni ciascuno (61 carri) assegnati alle Divisioni Celeri (tutti nel 1934); - IV gruppo squadroni Carri Veloci “Duca degli Abruzzi” e V gruppo squadroni Carri Veloci “Baldissera” (nel 1935) - uno squadrone Carri Veloci per ciascuno dei Reggimenti “Nizza”, “Aosta”, “Alessandria”, “Piemonte Reale”, “Vittorio Emanuele II”, “Savoia”, “Novara”, “Firenze”, “Saluzzo” e “Guide” poi soppressi nell’ottobre 1938. |
L’esperienza dei carristi maturò anche nella Guerra di Spagna dove il 16 agosto 1936 sbarcò un nucleo di 10 istruttori con cinque carri veloci al comando del Sottotenente G. BARABAGLI.
Il 29 settembre i carristi erano già 25, sotto il comando del Capitano Oreste FORTUNA (M.O.V.M.) e partecipò ai primi aspri combattimenti a Navalcareno.
L’11 febbraio del 1937 fu costituito il “Raggruppamento carri d’assalto e autoblindo”, forte di cinque compagnie carri che poco più tardi divenne “Raggruppamento reparti specializzati” al Comando del Colonnello Carlo RIVOLTA proveniente dai bersaglieri.
Nell’estate del 1937 quest’unità fu poi ribattezzata “Raggruppamento carristi” ed affidato inizialmente al comando del Colonnello carrista Valentino BABINI e poi al Colonnello Roberto OLMI, proveniente dagli Alpini, che ne rimase il comandante sino alla fine della guerra (1° aprile 1939).
In Spagna si maturarono preziose esperienze e, forte anche dell’anticipo con cui era partita rispetto alla Cavalleria, nel 1936 iniziava a sviluppare l’idea dei carristi in grande stile.
I QUATTRO REGGIMENTI CADETTI
Con la circolare n. 33700 del 9 maggio 1936 del Gabinetto del Ministro della guerra, si sancì che:
- i “carri armati d’assalto” erano quelli leggeri in dotazione alla Fanteria;
- i “carri armati veloci” erano quelli leggeri in dotazione alle “truppe celeri” (leggasi Cavalleria);
- i “carri armati di rottura” erano quelli medi e pesanti in dotazione alla Fanteria (al momento erano i Fiat 3000);
- le specialità “carri di rottura” e “carri d’assalto” erano riuniti nella specialità denominata “Fanteria Carrista” (i fanti ad essa appartenenti si sarebbero chiamati “Fanti carristi”). Tale specialità veniva ordinata in quattro nuovi reggimenti comprendenti “battaglioni carri di rottura” e “battaglioni carri d’assalto di corpo d’armata”;
- tutti i preesistenti battaglioni carri di rottura vengono contratti in cinque battaglioni di 2 compagnie ciascuno;
- i battaglioni carri d’assalto, ordinati provvisoriamente su 2 compagnie, avrebbero dovuto poi averne in numero corrispondente al numero delle divisioni di fanteria inquadrate nel corpo d’armata territoriale di assegnazione (l’organizzazione territoriale dell’epoca dell’Esercito italiano comprendeva 15 Corpi d’Armata territoriali).
Il 15 settembre 1936 fu così sciolto il Reggimento Carri Armati, che era da nove anni l’unica unità carristi del Regio Esercito italiano. La specialità mutò il proprio nome che da “specialità carri armati” divenne “fanteria carrista” articolandosi su quattro reggimenti di “Fanteria Carrista”, ciascuno su 4 battaglioni variamente equipaggiati. E, finalmente, agli appartenenti alla specialità fu conferita la definitiva mostreggiatura che ancor oggi contraddistingue i carristi italiani: le Fiamme Rosse su bavero di panno o velluto azzurro, colore che contraddistingueva tutte le unità motorizzate.
A titolo di cronaca, negli anni successivi allo scoppio della II Guerra Mondiale, l’uso sempre più comune nel Regio Esercito del termine “carro”, abbreviazione militare per “carro armato”, indusse l’Ispettorato delle Truppe motorizzate e corazzate alla proposta di sanzionare ufficialmente la denominazione dei “reggimenti fanteria carrista” in “reggimenti carristi”. Nonostante il parere favorevole dello Stato Maggiore dell’Esercito, l’Ispettorato della fanteria, in vista della creazione di una nuova Arma Corazzata, decise di rinviare “a fine guerra la soluzione definitiva della questione”. Dopo la guerra, nel 1949, con la ricostituzione del 1° Reggimento, si utilizzò in effetti la dizione “carristi” che resistette sino al 1954 allorché per i Reggimenti carristi fu adottata la dizione ancor oggi in vigore e divennero Reggimenti carri, per brevità ed anche in ricordo del reggimento capostipite.
Le numerazioni assegnate ai nuovi quattro reggimenti non tennero alcun conto dell’anzianità, ma furono verosimilmente attribuite con un criterio “geografico”, partendo da quello più a Nord, ed arrivando a quello più a Sud. Le sedi dei quattro reggimenti erano state scelte in funzione delle due possibili direttrici d’attacco all’Italia: Francia-Vercelli; Germania-Verona; Riserva-Bologna; Meridione-Roma.
Tali reggimenti non erano comunque unità d’impiego, avendo essi compiti addestrativi, logistico-amministrativi e disciplinari nei confronti dei battaglioni dipendenti che, per l’impiego, erano invece assegnati a diversi Comandi di Grande Unità e che erano dislocati in sedi diverse e distanti.
Il 1° Reggimento Fanteria Carrista, con sede a Vercelli nella caserma “Bava”, il cui primo comandante fu il Colonnello Giovanni CASULA, era formato da:
- I, II e III battaglione carri d’assalto (equipaggiati con carri L 3/35 e dislocati rispettivamente a Vercelli, Alessandria e Monza);
- IV battaglione carri di rottura [ex III battaglione carri leggeri (sempre con Fiat 3000, prima denominati “leggeri” ed in seguito ribattezzati “di rottura”)] dislocato a Vercelli;
Il 2° Reggimento Fanteria Carrista, con sede a Verona nella caserma “Piannell”, il cui primo Comandante fu il Colonnello Livio NEGRO, era formato da:
- IV, V e XI battaglione carri d’assalto, con carri L 3/35 dislocati rispettivamente a Bolzano, Trieste e Udine (i tre battaglioni carri L del 2° reggimento fanteria carrista erano intitolati ciascuno ad una Medaglia d’Oro al V.M. della 1^ G.M.: il IV al Gen. Tommaso Monti, il V al Maggiore Giacomo Venenzian e l’XI al Capitano Pier Antonio Gregorutti);
- III battaglione carri di rottura [ex IV battaglione carri leggeri (sempre con Fiat 3000, prima denominati “leggeri” ed in seguito ribattezzati “di rottura”)] dislocato a Verona.
Il 3° Reggimento Fanteria Carrista, con sede a Bologna nella caserma “Mazzoni”, il cui primo comandante fu il Colonnello Valentino BABINI (O.M.I. e M.A.V.M.), diretto erede del cessato unico Reggimento Carri Armati, era formato da:
- VI e VII battaglione carri d’assalto (carri L 3/35, dislocati rispettivamente a Treviso e Firenze);
- I battaglione carri di rottura [ex V battaglione carri leggeri (sempre con Fiat 3000, prima denominati “leggeri” ed in seguito ribattezzati “di rottura”)] dislocato a Bologna;
- compagnia meccanizzata di Zara;
- battaglione Scuola Allievi Ufficiali di complemento e allievi sottufficiali.
Il 3° Reggimento fanteria carristi, era l’erede diretto del “Reggimento carri armati” essendosi formato “per trasformazione” del Comando del Reggimento capostipite del quale inquadrava anche alcuni battaglioni carri (fu ricostituito nella metà degli anni ’60 presso il comprensorio di Persano, con un’interessante fisionomia di Reggimento Corazzato, ed inquadrò per qualche anno - curioso precedente - anche uno squadrone dei Lancieri di Alessandria).
Il 4° Reggimento Fanteria Carrista, con sede a Roma nel Forte Tiburtino, il cui primo comandante fu il Colonnello Lorenzo D’AVANZO (M.O.V.M.), era formato da:
- VIII, IX, X e XII battaglione carri d’assalto [con carri L 3/35, dislocati rispettivamente a Roma, Bari (una compagnia del IX era però a Chieti), Caserta e Palermo];
- II e V battaglione carri di rottura (con carri Fiat 3000 prima denominati “leggeri” e poi ribattezzati “di rottura”), entrambi dislocati a Roma;
- compagnia carri d’assalto della Sardegna (Cagliari).
Questi reggimenti erano sorti da altrettanti battaglioni del Reggimento capostipite e presso ciascuno di essi erano inoltre formati un centro di istruzione carrista ed una officina per la manutenzione del materiale.
Ma la numerazione dei diversi battaglioni, per la quale sino al 1975 si sono utilizzate le cifre romane, forse si comprende meglio con l’aiuto della seguente tabella:
Battaglioni carri d’assalto |
Rgt. |
Sede |
carro |
n. cp. |
Corpo d’Armata territoriale |
I |
1° |
Vercelli |
L 3/35 |
2 |
Torino |
II |
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Alessandria |
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Alessandria |
III |
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Monza |
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Milano |
IV |
2° |
Bolzano |
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Bolzano |
V |
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Trieste |
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Trieste |
VI |
3° |
Treviso |
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Treviso |
VII |
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Firenze |
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Firenze |
VIII |
4° |
Roma |
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Roma |
IX |
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Bari |
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Bari |
X |
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Napoli |
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Napoli |
XI |
2° |
Udine |
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Udine |
XII |
4° |
Palermo |
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Palermo |
cp. cr. Sardegna |
3° |
Cagliari |
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1 |
Cagliari |
Battaglioni carri di rottura |
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I (già V) |
3° |
Bologna |
FIAT 3000 |
2 |
II |
4° |
Roma |
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III (già IV) |
2° |
Verona |
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3 |
IV (già III) |
1° |
Vercelli |
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V (già I) |
4° |
Roma |
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Poiché mancavano ancora le Grandi Unità corazzate, a questi reggimenti restava essenzialmente, come per il reggimento capostipite, la funzione di centri addestrativi, formativi e logistici, per i battaglioni carri assegnati ai comandi dei vari Corpi d’Armata. In effetti tali corpi d’armata erano anche responsabili dell’addestramento tattico e d’impiego dei battaglioni loro assegnati, mentre i compiti addestrativi devoluti al reggimento si limitavano all’addestramento tecnico-carrista. Ciò valeva particolarmente per il 3° di Bologna. Al 4° spettavano anche i compiti di rappresentanza tipici delle unità di stanza nella Capitale.
Alla fine del 1936, la forza corazzata italiana venne a consistere di cinque battaglioni Fiat 3000 e di altri diciannove su carri L 3/35 oltre ad una dozzina di unità diverse e in genere minori comprese quelle che servivano oltremare.
CAPITOLO III
L’ARIETE ED IL 32° CARRI
Il 16 luglio 1937, il Ministero della Guerra ordinava la costituzione entro un anno della I e II Brigata Corazzata, costituitesi entrambe il 15 luglio 1937 ciascuna delle quali doveva inquadrare due nuovi reggimenti carristi:
- il 31° Reggimento fanteria carrista costituitosi “ex novo” il 1° luglio 1937 a Siena cui furono assegnati, all’atto della costituzione, il I e II battaglione carri di rottura, poi il XXXI battaglione carri d’assalto che divenne III carri d’assalto;
- il 32° Reggimento fanteria carrista costituitosi il 1° dicembre 1938, per trasformazione del 2° Reggimento di Verona, che assorbì il IV e il III battaglione carri di rottura divenuti rispettivamente I e II e, più tardi, il XXI carri d’assalto.
Nel frattempo, con il Regio Decreto del 6 luglio 1938, si concedeva lo Stendardo ai Reggimenti di Fanteria Carrista.
Costituzione dell’Ariete
La II Brigata Corazzata, con sede a Milano darà origine, il 1° febbraio 1939, alla Divisione Corazzata “Ariete”(132^) che, in pochi anni di vita operativa, doveva conquistare sul campo fama leggendaria.
La I Brigata Corazzata, con sede a Siena, darà vita, il 20 aprile del 1939 alla Divisione Corazzata “Centauro” (131^).
Con le due divisioni corazzate, a far data dall’11 novembre 1938, si sarebbe dovuto creare il Corpo d’Armata corazzato che ebbe vita effimera.
Il 6 novembre successivo, veniva costituito in Parma il 33° Reggimento carristi, il cui primo Comandante fu il Colonnello Ugo DE LORENZIS (M.A.V.M.), inquadrato nella Divisione Corazzata “Littorio”(133^) con sede a Parma, nell’antica caserma farnesiana della “Pilotta”.
Costituzione del 32° Carri
Il 1° dicembre 1938, quindi, il 2° Reggimento Fanteria Carrista, assunse la nuova numerazione di 32° Reggimento carri “Ariete”, ed il 1° febbraio successivo entrò a far parte della neonata 132^ Divisione Corazzata “Ariete” insieme all’8° Reggimento Bersaglieri, al 132° Reggimento Artiglieria Corazzata ed altri minori reparti divisionali.
Sino al 1940, tutti e quattro i reggimenti condividevano l’antico motto ereditato dal Reggimento Capo stipite. Il 13 Agosto 1940, l’allora Ministro della Guerra, con un’apposita circolare (numero di protocollo 65850) annulla il precedente motto che, peraltro, come già detto, era stato attribuito con una apposita legge, stabilendo di sostituirlo con quello adottato dal Colonnello Valentino BABINI per il Raggruppamento Carristi di Spagna (per dirla tutta, il motto del Raggruppamento carristi era inizialmente “Ad Victoriam Velociter” e, dopo il successo ottenuto nel combattimento che ebbe luogo a Pinell (Spagna) il 3-8 novembre 1938 fu modificato dal Colonnello Babini):
“Ferrea Mole, Ferreo Cuore”
Anche il nuovo motto continuava ad essere unico per tutti i reggimenti carri. Esso fu bene accolto perché riconosceva alla giovane specialità dell’Esercito la dignità di specialità di combattimento e anziché di semplice supporto ad esso.
L’11 giugno 1940, allo scoppio della seconda guerra mondiale, il Reggimento, si trasferì con l’Ariete dal Veneto alla frontiera con la Francia, passando alle dipendenze dell’Armata del Po.
La lotta su quel fronte fu assai breve e non consentì l’impiego dell’Ariete. Nel Frattempo, a partire dal 28 luglio 1939, in seno al 32° Reggimento carristi, due nuovi battaglioni (il I e II carri medi) erano stati formati contemporaneamente all’adozione di 96 carri armati M 11/39 armati con cannoni e mitragliatrici.
Il I battaglione carri M aveva sede a Verona, il II battaglione, aveva sede in Vicenza.
L’avvenimento fu percepito come un grande salto di qualità e, con l’occasione, il 32° reggimento adottò il distintivo metallico reggimentale che ancor oggi lo distingue e nel quale è raffigurato, appunto, un carro M 11/39 tra una fronda d’alloro ed una di quercia, sormontato dalla corona reale, stemma che s’ispira senz’altro a quello del Royal Tank Corps britannico.
Con l’introduzione in servizio dei carri M 11/39 con i carri FIAT 3000 si andarono ad equipaggiare unità di 2^ linea e così con gli stessi carri dei 5 battaglioni FIAT 3000 appartenuti ai primi 4 reggimenti si formarono 5 battaglioni come si evince dalla seguente tabella indispensabile, come le precedenti, per seguire la genesi dei battaglioni carri.
numerazione originaria |
prima rinumerazione |
seconda rinumerazione |
terza rinumerazione |
Sedi |
quarta rinumerazione |
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1932 |
1936 |
1938 |
1939 |
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1940 |
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V /3° |
I / 3° |
I / 31° |
CCCXI / 31° “M.O. Raggi” |
Siena |
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II /4° |
II / 4° |
II / 31° |
CCCXII / 31° “M.O. Suarez” |
Massa |
btg. misto L/M dell’Egeo |
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IV /2° |
III / 2° |
II / 32° |
CCCXXI / 32° “M.O. Matter” |
Verona |
I / 4° |
|
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III / 1° |
IV / 1° |
I / 32° |
CCCXXII / 32° “M.O. Prestinari” |
Vercelli poi Vicenza |
II / 4° |
|
|
I /4° |
V / 4° |
V / 1° |
CCCXXIII / 1° |
Roma poi Riva del Garda |
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III / 32° |
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carri leggeri |
carri di rottura |
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carri M |
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FIAT 3000 |
|
M 11/39 |
M 13/40 |
Intanto, il 26 ottobre 1939, a causa dei numerosi difetti riscontrati sui carri M 11/39, si decise di sostituirli con gli M 13/40 con i quali, nel corso della guerra, si provvide ad equipaggiare tredici battaglioni carri fra cui tre del 32°.
Con il primo lotto “sfornato” dall’Ansaldo di Genova nell’ottobre 1940 fu equipaggiato il III battaglione carri M 13/40 (ex III battaglione carri di rottura - su due compagnie carri) cui furono assegnati i 37 carri con le targhe comprese tra la 2762 e la 2999. La targa del carro posto sul monumento della Caserma "Forgiarini" non è dunque casuale (RE 2786).
In quel momento nessun carro avversario aveva un armamento superiore al cannone da 47/32 installato sulla torretta dell’ M 13/40 e soltanto i Matilda inglesi avevano una corazza più spessa a fronte di una maggiore lentezza. Ma fu un vantaggio che, come vedremo, durò per poco e che non poté essere messo degnamente a frutto perché, quando se ne poteva approfittare, mancava ancora, prima d’ogni altra cosa, l’esperienza.
CAPITOLO IV
DIARIO DI GUERRA DEL 32° CARRI
Africa Orientale
Il 24 aprile 1940 una compagnia forte di 24 M 11/39 fu inviata dal I battaglione carri M di Verona in Africa Orientale ove, quando vi giunse, fu scissa in due compagnie su quattro plotoni ciascuna: la 321^, destinata in Eritrea, e la 322^, destinata ad Addis Abeba.
La prima (321^) partecipò il 31 gennaio 1941 al combattimento del Monte Koben presso Cassala fu poi distrutta presso Agordat verso la fina del successivo mese di marzo.
La seconda (322^) fu invece impiegata nella conquista del Somaliland e si distinse ad Hargeisa, il 5 agosto 1940, a Daharboruc, l’11 e a Lafaruc il 17. Nelle operazioni che seguirono subì molte perdite ad opera dei Sudafricani e cessò di esistere il 22 maggio 1941.
Le Avanguardie del 32° carri in Africa Settentrionale
Già prima che lo stendardo del 32° sventolasse al sole del deserto del Nord Africa, alcuni battaglioni del Reggimento avevano raggiunto quella ardente zona di operazioni.
Sbarcando in Libia l’8 luglio 1940, aprirono l’avanguardia eroica il I battaglione carri medi, comandato dal Maggiore Vittorio CEVA (M.A.V.M.), e il II Battaglione Carri M 11/39, comandato dal Maggiore Eugenio CAMPANILE (M.B.V.M.).
Entrambi i battaglioni erano già del 32° Reggimento che, insieme con il Colonnello Pietro ARESCA (O.M.I.), erano passati a far parte del 4° Reggimento Carristi, da tempo mobilitato ed inviato anch’esso in Africa.
La forza complessiva dei due battaglioni carri M 11/39 ceduti dal 32° al 4° Reggimento carri ammontava a 600 uomini, 72 carri, 56 automezzi, 37 motocicli e 76 rimorchi che si andavano ad aggiungere ai 324 carri L 3/35 già presenti in Libia.
Per effetto della mobilitazione, il XX btg. cr. L “Randaccio” comandato dal Capitano Russo (Comando Truppe della Tripolitania) creava il LX btg. carri L per la Divisione “Sabratha” e il LXI btg. carri L (Ten. Col. Sbrocchi) per la Divisione “Sirte”; il XXI btg. carri L “Trombi” (Comando Truppe della Cirenaica) creava il LXII btg. carri L per la Divisione “Marmarica” e il LXIII btg. carri L per la Divisione “Cirene”. Dall’Italia affluì, dal 4° rgt. fanteria carrista, anche il IX btg. carri L per la Divisione “Libica”. Quest’ultimo fu semidistrutto il 16 giugno 1940 con la colonna del Colonnello D’Avanzo nel corso di una ricognizione ove morì anche il Col. D’Avanzo. Per la creazione di questi battaglioni erano stati impiegati i carri L 3/35 immagazzinati in colonia e personale mobilitato. I comandanti dei citati btg., tutti di nuova costituzione, non avevano mai appartenuto alla specialità carristi
I carri M 11/39 ebbero il loro battesimo del fuoco il 5 agosto a Sidi El Azeiz. Furono questi i primi reparti del 32° a varcare il confine egiziano, nel settembre di quell’anno e a raggiungere Sidi El Barrani e Marsa Matruk per immolarsi più tardi, rispettivamente, in terra egiziana ed a Tobruk.
Il 29 agosto 1940, tutte le unità carri disponibili in Libia prima distribuiti tra le varie divisioni con un criterio contrario ad ogni norma carrista, furono riunite nel “Comando Carri Armati della Libia” agli ordini dell’esperto Generale Carrista Valentino BABINI (O.M.I. e M.A.V.M.).
Tale comando si articolava in:
- I Raggruppamento carristi, agli ordini del Colonnello Pietro Aresca (Comandante del 4° reggimento carri), formato dal I battaglione carri M 11/39, e dai XXI, LXII e LXIII battaglione carri L 3/35;
- II Raggruppamento carristi, agli ordini del Colonnello Antonio TRIVIOLI (M.A.V.M. - cadde il 3 febbraio a Maraua e il 5 successivo fu sostituito dal Tenente Colonnello AUTORI), formato dal II battaglione carri M 11/39 (meno una compagnia), e dai IX, XX, e LXII battaglione carri L 3/35;
- un battaglione misto carri armati formato dalla compagnia carri M 11/39 sottratta al II battaglione e dal LX battaglione carri L 3/35 ed il V battaglione carri L 3/35 “Venezian” proveniente dal 3° Reggimento carristi di Vercelli.
Purtroppo, tale accentramento fu limitato a motivi addestrativi e di controllo e perciò l’unità di formazione, che aveva peraltro avuto pochissimo tempo per prepararsi, finì con l’essere nuovamente disgregata per l’impiego, con risultati tutt’altro che favorevoli.
Il III Battaglione Carri M 13/40, comandato dal Tenente Colonnello Carlo GHIOLDI (M.A.V.M.), proveniente dall’Italia forte di 37 carri M 13/40 suddivisi tra le due compagnie, che si aggiungevano ai 417 carri di vario tipo presenti in Libia, arrivò a Bendarsi a fine settembre 1940 e iniziò una intensa attività addestrativa in previsione dell’impiego.
Nel novembre si spostò ad El Mechili dove rimase fino ai primi di dicembre. Il 9 dicembre iniziò la prima offensiva britannica per ricacciare indietro le forze italiane che penetrate per 100 km in Egitto avevano raggiunto Sidi Barrani e il III battaglione fu subito avviato al ciglione di Sollum e dell’Halfaja.
Nel frattempo, presso la sede del reggimento a Verona, era in fase di approntamento anche il IV battaglione carri M 13/40, comandato dal Maggiore Achille GIANI (M.B.V.M.) inizialmente destinato all’Africa Settentrionale. Tuttavia, nell’imminenza dell’apertura della campagna contro la Grecia, questo battaglione fu inviato in Albania ove sbarcò il 15 novembre 1940 (per poi passare alle dipendenze del 31° Reggimento carristi a sua volta assegnato alla Divisione “Legnano”, e finì la sua esistenza in Africa nell’ottobre-novembre 1942 con il 133° Reggimento carristi costituitosi a Pordenone nel settembre 1941 in seno alla Divisione Corazzata Littorio completamente distrutta nella Battaglia di El Alamein. Il IV battaglione, nato dal 32° rgt. cr. è il solo battaglione ad aver combattuto su tutti i teatri di guerra).
Intanto, proveniente dall'Italia, il V Battaglione Carri M 13/40, comandato dal Tenente Colonnello Emilio IEZZI (M.A.V.M.), giunse a Bengasi anch’esso forte di 37 carri suddivisi tra le due compagnie in organico.
Sia il III battaglione (rimasto nel frattempo con soli 24 carri), sia il V furono incorporati come battaglioni autonomi nella “Brigata Corazzata Speciale”, insieme al 4° Reggimento Carri. Tale Brigata si era costituita il 25 novembre 1940 nella zona di Marsa Lucch, per ordine del Maresciallo d’Italia Rodolfo GRAZIANI, Comandante Superiore delle Forze Armate Italiane in Africa Settentrionale, ed era comandata dall’indimenticabile Generale Carrista Valentino BABINI (O.M.I. e M.A.V.M.) che subentrò, dal giorno 22 dicembre 1940, al Generale di Brigata Alighiero MIELE designatone Comandante all’atto della costituzione, in attesa del rientro dall’Italia del Generale Babini.
Entrambi i battaglioni continuarono però ad essere impiegati per aliquote, in supporto alle Divisioni di Fanteria ivi operanti e senza tener conto che i carristi avevano potuto effettuare scarsissimo addestramento sul carro M 13/40 di recentissima acquisizione ed ancor grezzi e difettosi perché appartenenti ai primi lotti di produzione.
I carri infatti venivano prodotti, assegnati ai reparti che venivano quasi immediatamente avviati al fronte senza consentire il necessario addestramento del personale, in massima parte costituito, per quanto riguarda gli Ufficiali, da complementi cui era stato impartito presso le scuole una frettolosa, parsimoniosa e quindi carente, formazione di base.
La lacuna più evidente era però l’assenza di apparati radio che costringeva gli equipaggi degli M 11/39 e degli M 13/40 a comunicare tra loro per mezzo di bandierine.
Il 9 dicembre 1940, ad Alam Nibeiwa, il II battaglione carri M 11/39 investito dall’attacco di unità britanniche su carri Matilda tentarono il contrattacco, ma la situazione, già senza speranza, fu aggravata dal fatto che, mancando le radio, una compagnia non capì i segnali ottici e ritardò il movimento. I segnali con bandierine consentivano esclusivamente lo scambio di ordini essenziali: alt, avanti, indietro, a destra, a sinistra, rallentare, accelerare. Niente di più. Tra i 37 carri del III battaglione, pare che soltanto tre fossero quelli dotati di radio.
L’11 dicembre 1940 la brigata corazzata speciale, malgrado dovesse ancora essere completata e malgrado dovesse ancora ultimare l’indispensabile addestramento, fu messa a disposizione della 10^ Armata con soltanto il LI battaglione carri L 3/35 ed il III battaglione carri M 13/40.
A partire dal giorno 11, intanto, la Brigata veniva difatti ancora una volta smembrata e le sue componenti sottoposte ad un ingiustificato logorio che non teneva alcun conto delle caratteristiche tecniche dei carri.
Il 12 dicembre 1940, due compagnie del III battaglione furono inviate a Sollum e poi a Sidi Azeis e la restante all’ Halfaya e poi ad Ain El Gazala per difendere le retrovie di Tobruk. La 1^ compagnia carri, comandata dal Tenente Elio CASTELLANO (M.A.V.M.), rimase a disposizione della piazzaforte di Bardia. Nella marcia del battaglione da Sidi Azeis a Bardia, secondo le relazioni di alcuni Ufficiali del battaglione, gli M 13/40 avrebbero evidenziato tutti i loro limiti tecnici (difetti alle pompe, consumi difformi tra carro e carro, autonomia inferiore a quella dichiarata dal fabbricante, rapida usura del motore costantemente sotto sforzo, fragilità della corazza. Le pompe, in particolare, erano di fabbricazione italiana, e furono sostituite con pompe tedesche Bosch negli esemplari dei lotti di produzione successivi).
Il V battaglione fu avviato a Derna per unirsi alla Brigata del Generale Babini soltanto il 16 gennaio successivo.
Durante questi lunghi spostamenti, costretti a muovere su cingoli per la mancanza di rimorchi adeguati, i carri M 13/40 subirono moltissime avarie e la loro disponibilità nell’ambito dei due battaglioni si ridusse in modo drastico. Il 19 dicembre le autorità italiane disposero quindi l’immediato invio a Tripoli di tutti gli M 13/40 disponibili al momento.
Dal 3 al 5 gennaio 1941 si svolse la battaglia di Bardia conclusasi con la caduta della piazzaforte. La eroica 1^ compagnia carri contro un avversario euforico per le recenti vittorie e molto più forte numericamente e qualitativamente, affrontò con coraggio il suo martirio. In una lotta impari e logorante, i carristi della 1^ Compagnia seppero battersi da eroi infliggendo al nemico gravi perdite ed affrontando stoicamente la totale distruzione, carro per carro, in scontri sanguinosi aggiungendo nuovi serti alle glorie del Carrismo Italiano. La sera del 5 gennaio i “Leoni di Bardia” non avevano più superstiti!
Il 23 gennaio 1941 la Brigata Corazzata Speciale fu dislocata in zona Scebib El Ghezze (a sud del quadrivio di El Mechili) e ricevette l’ordine di frenare provenienze avversarie tendenti a tagliare l’interno dell’altopiano cirenaico. In corrispondenza di tale quadrivio si ebbero i primi scontri fra carri. Il giorno 24, dapprima il V, poi il III battaglione carri, furono lanciati contro l'avversario avanzante su El Mechili con una cinquantina di carri e nonostante i difetti dei loro carri riportarono una vittoria mostrando reattività ed intraprendenza.
Sette carri italiani e dieci avversari rimasero sul terreno mentre il nemico ripiegava. Altri scontri si ebbero a Bir Semander ove l’11° Ussari inglese, unità esplorante della 7^ Divisione Corazzata Britannica, perse 8 autoblindo.
Ma l'avversario, potentemente armato ed imbaldanzito dalla propria superiorità numerica e qualitativa, riprese l'avanzata. La Brigata del Generale Babini mantenne il contatto con l’avversario sino al 26 gennaio, quando per sottrarsi all’avvolgimento da parte della 7^ Divisione Corazzata inglese, ripiegò lungo la carovaniera Mechili- Bir Melez - Antelat che i carri percorsero per la prima volta in quell’occasione.
Incuranti di ogni insidia, spinti da una spasmodica volontà, tormentati dal ghibli, i carristi del III e del V battaglione si spinsero nell’interno del deserto percorrendo per la prima volta l'impervia carovaniera che da El Mechili, attraverso Bir El Melezz, giungeva ad Antelat e procedendo sino ad Agedabia, dopo 220 km di marcia estenuante, l’avversario che avanzava lungo la litoranea per conquistare la Cirenaica.
I due battaglioni riuscivano comunque a precedere l’avversario.
Nei giorni 5, 6, 7 e 8 febbraio 1941, a cavaliere della via Balbia, fra il Km. 60 ed il Km. 35 da Agedabia (Beda Fomm) la battaglia divampò furiosa fra le centinaia di carri e autoblindo inglesi della IV Brigata e dell’11° Ussari ed i superstiti del III e del V battaglione carri. Il duello fu impari e sanguinoso, altissima la posta!
I carri dei due battaglioni si batterono nel tentativo di assicurare il ripiegamento delle fanterie e delle artiglierie italiane che procedevano lungo la via Balbia e la costa verso sud per sfuggire all’aggiramento da parte del XIII Corpo d’Armata britannico.
Tutti i carri del III e del V battaglione furono distrutti o immobilizzati: il 50% degli equipaggi cadde sul campo o rimase ferito, ma l'avversario fu comunque arrestato ed interruppe ad Agedabia la sua già vittoriosa avanzata. A Beda Fomm il III e V battaglione attaccarono infine affiancati alle ore 0800 del 7 febbraio 1941 i reparti della Brigata Fucilieri Sud Africana. L’ultimo carro fu fermato presso il Posto Comando di quella Brigata. Con ciò il X Corpo d’Armata Italiano aveva perso la battaglia ed il nemico catturò 130.000 soldati italiani! Se la Brigata corazzata del Generale Babini avesse potuto disporre anche del VI battaglione M 13/40 e del XXI, impiegati irrazionalmente, le sorti della giornata forse sarebbero state diverse.
Gloriosi caduti, pionieri dei fasti dello Stendardo, furono i Sottotenenti Luigi LOLINA (M.A.V.M.) e Giovanni PRENDIBENE (M.A.V.M.), i Sergenti Firmo MORETTI (M.A.V.M.) e Carlo RIBOLDI (M.B.V.M.), i Caporal Maggiori Mario PAGANO (M.B.V.M.) e MASSOLARI, i Caporali Isaia BRAMBILLA (M.B.V.M.) e Mario ZAMBELLI (M.B.V.M.), i Carristi Isidoro GATTONI (M.A.V.M., proposto per la M.O.V.M. alla memoria) e Giuseppe BELLAZZI (M.B.V.M.).
L'indomito valore della Eroica Avanguardia fu consacrato dalle motivazioni delle ricompense al Valor Militare concesse allo Stendardo del 32° Reggimento carri:
“...Più grandi delle loro sfortune i carristi del III seppero immolarsi alla pura bellezza del dovere e dell'onore...”
“...strenuamente, anche senza speranza, affrontando la propria distruzione e chiudendo con pochi superstiti la sua gloriosa e cruenta epopea nel rogo degli ultimi carri armati, incendiati dagli stessi equipaggi di fronte al soverchiante nemico...”.
A ricordo dell’immane sacrificio dei due battaglioni, la data dell’8 febbraio fu scelta quale Festa di Corpo del 32° Reggimento carri.
L’Ammaestramento
Poiché però l’esperienza della guerra non è fatta soltanto di eroismi, e poiché se è vero che dall’esempio degli eroi l’animo si fortifica, è altrettanto vero che è dagli errori che si deve trarre il massimo ammaestramento, vale la pena di sottolineare che il sacrificio dei due battaglioni sarebbe stato meno vano se i materiali affluiti dall’Italia fossero stati impiegati con maggiore razionalità da parte degli alti comandi in Libia non ancora avvezzi alla guerra motorizzata.
Come già ricordato, dal 19 dicembre dall’Italia era stato dato l’ordine di far affluire in Libia tutti i carri M 13/40 disponibili, il che avvenne. Il 22 gennaio 1949 giunse a Bengasi, proveniente dal 33° Reggimento carristi di Parma, il VI battaglione carri M 13/40 con i suoi 37 carri e insieme ad altri 36 carri “sfusi” dello stesso tipo con cui fu frettolosamente “riconvertito” in battaglione carri M il XXI battaglione carri L 3/35 che aveva lasciato i suoi carri leggeri a Tobruk ed era corso a Bengasi per montare sugli M 13. Il VI e XXI battaglione carri, quest’ultimo comandato dal Capitano SACCHITANO, senza il tempo di né ambientarsi né addestrarsi all’impiego del carro appena ricevuto, furono immediatamente immessi in battaglia nei pressi di Solluch e, fatto più grave, furono sottratti dal Comandante della 10^ Armata al Generale Babini che - di fatto - non poté impiegarli con criteri carristi per aumentare le forze della sua Brigata.
Il mattino del 6 febbraio il Generale Babini disponeva ancora di 16 Ufficiali e 2300 uomini, 24 carri del V battaglione e di 12 del III, in retroguardia. 24 pezzi di artiglieria, 18 pezzi controcarro, 320 autocarri e altri mezzi minori. Arrivato il momento decisivo, alle ore 13 di quel giorno, a una cinquantina di chilometri da Agedabia, gli M 13/40 del V battaglione si scontrarono con corazzati britannici sopraggiunti da oriente. In loro aiuto intervenne il III battaglione. Gli inglesi, ripiegando, perdettero tre carri e lasciarono dei prigionieri. Alle 16 i carri del III, appoggiati dalle batterie del 12° artiglieria, intervennero nuovamente con successo in aiuto ad un’altra colonna della 10^ Armata attaccata da una ventina di carri inglesi. Durante il movimento dell’Armata, molte colonne erano intanto rimaste intrappolate tra Beda Fomm e il mare. A sbarrare il passo una ventina di carri Cruiser inglesi. Dopo aspri combattimenti, soltanto quattro M 13/40 del VI battaglione, caduto nell’agguato dei Cruiser britannici, si salvarono. Fu così distrutto il VI battaglione carri medi, formato dal 33° Reggimento carristi di Parma, passato al deposito del 32° di Verona e sbarcato in Libia soltanto ventiquattro giorni prima!
I carri del XXI battaglione, in ritardo e tagliati fuori da un campo minato steso nel frattempo dal nemico, non riuscirono a contribuire allo sforzo. Verso le prime ore del 7 febbraio, anche a causa della già ricordata mancanza di radio, la lotta perse ogni coordinamento frantumandosi in combattimenti slegati ed episodici e al comando, perduta ogni speranza, non restò che arrendersi. La 10^ Armata lasciò così sul campo ben 101 dei suoi M 13/40, 39 dei quali (in gran parte carri del XXI battaglione) intatti.
CAPITOLO V
TUTTO IL 32° CARRI
NELL’INFERNO DELLA CIRENAICA
Il 32° carri, agli ordini del Colonnello Alvise BRUNETTI (M.A.V.M.), s'imbarcò sulla Nave da carico “Marco Polo” a Napoli il 22 gennaio 1941 e sbarcò a Tripoli il 24 insieme al resto della Divisione Corazzata Ariete, proprio nello stesso giorno in cui i battaglioni carri III e V che lo avevano preceduto, combattevano vittoriosamente ad El Mechili.
Il Reggimento, ordinato su I, II e III battaglione carri d'assalto agli ordini dei Tenenti Colonnelli Andrea RISPOLI (M.B.V.M.), Enrico MARETTI (O.M.I., M.A.V.M. e M.B.V.M. poi comandante del 132° carrista) e dei Maggiori Giuseppe MANGANO (M.B.V.M.), visse subito la sua breve tormentata vita africana, scrivendo pagine memorabili di eroismo.
Il VII battaglione carri M 13/40 comandato dal Tenente Colonnello Alberto ANDREANI (M.O.V.M.) sbarcò a Tripoli per unirsi al reggimento l’11 marzo.
In seguito, al Reggimento si unì prima l’VIII battaglione carri medi, formato a Roma in seno al 4° Reggimento carristi e comandato dal Capitano CASALE DE BUSTIS Y FIGAROA (M.A.V.M.) e, poco più tardi, il IX battaglione carri comandato dal Tenente Colonnello Pasquale PRESTISIMONE (M.O.V.M.), creatura del 3° Reggimento carristi e che si era costituito a Bracciano con elementi tratti anche dall’XI battaglione carri di Udine già dipendente dal 32° carristi.
Il 14 febbraio 1941 il Reggimento si trasferì nella zona di Misurata.
Si preparava l'offensiva Italo-Tedesca per la riconquista della Cirenaica. Dopo un breve periodo di ambientamento e di addestramento nella zona Sirtica, nel marzo del 1941, il 32° si schierò con le altre unità dell’Ariete nella zona di Bir Cahela - Bir Haddadia, per garantire il fianco e il tergo del corpo d’armata tedesco comandato dal leggendario Generale Erwin ROMMEL a partire dal 6 febbraio 1941.
Non era un impiego dinamico, ma le esigenze operative del momento imponevano tale operazione.
Tende, armi, carri, automezzi, erano sparsi e seminterrati per proteggersi dall'offesa nemica e dalle intemperie. Il ghibli investiva tutto e tutti mettendo a dura prova la resistenza degli uomini, costretti a vigilare nella tempesta di vento e di sabbia. Insufficienza qualitativa e quantitativa di mezzi, impiego non sempre adeguato, terreno operativo fra i più inospitali della terra, non rallentarono l'impeto dei carristi del 32°.
Battaglie spesso epiche, nelle quali la genialità e l'ardimento supplirono all' insufficienza numerica, scontri durissimi dove carri e carristi furono unico blocco d'acciaio, ovunque e sempre, il Reggimento tenne alta la fiamma della nostra Bandiera e del Carrismo Italiano.
La Pasqua del 32° ad El Adem
La controffensiva di Pasqua trovò i carristi del 32° pronti alla battaglia. Marada e Marsa el Brega furono occupate mettendo in fuga i reparti meccanizzati nemici; Agedabia fu riconquistata.
Occorreva non dare tregua al nemico. Mentre le colonne Fabris e Montemurro puntavano verso Tobruk. L’Ariete fu lanciata il 6 aprile 1941 a tagliare la ritirata al nemico, che, avendo sgomberato Agedabia, Bengasi e Barce, avrebbe certamente tentato di raggiungere, con il grosso delle sue forze il confine egiziano per la seconda volta.
Ebbe così inizio l'inseguimento che portò a compiere in tre giorni 220 km di tormentata marcia nell'interno del deserto. Alle rabbiose reazioni del nemico che, con ripetuti contrattacchi, tentava di impedire l’accerchiamento, si univa un ghibli di inaudita violenza. Problematico l’orientamento, difficili i collegamenti e i rifornimenti, frequenti gli incontri con i campi minati, dura la resistenza cui erano sottoposti uomini e macchine. Alle difficoltà naturali e alle continue offese terrestri da parte di un nemico pratico del deserto e perfettamente organizzato, si aggiungeva l’offesa aerea. Ma nulla e nessuno poteva fermare l’ Ariete che, di giorno e di notte, superando ogni avversità, vincendo ogni insidia, travolgendo ogni resistenza avversaria, conquistò tutti gli obiettivi assegnati.
El Mechili e Okruna furono raggiunte, aggirate e superate, le difese di Tobruk aggirate, e la sera di Pasqua salutava l’ingresso del 32° a El Adem a sud est della piazzaforte nemica.
Terminava così la prima parte delle operazioni per la riconquista della Cirenaica nella quale, per la prima volta, carristi, bersaglieri e artiglieri corazzati combatterono fianco a fianco nel segno dell’Ariete, in una cooperazione fraterna di spiriti e di intenti, in una nobile gara di emulazione la cui meta era la vittoria delle nostre armi.
L’assedio della piazzaforte di Tobruk
Al nemico, che aveva dovuto sgomberare in tutta fretta la Cirenaica sotto l’impeto delle nostre forze corazzate, non restava ormai che il possesso della piazzaforte di Tobruk, munitissima per imponenti lavori effettuati in alcuni mesi di occupazione.
Il 14 aprile il Generale Rommel decise di attaccare la piazzaforte. La direttrice centrale di attacco, la rotabile El Adem - Tobruk, venne affidata all’Ariete.
I reparti della Divisione, già affluiti El Adem e cioè il 32° Reggimento carrista, un battaglione bersaglieri, un gruppo di artiglieria corazzata e una compagnia cannoni da 47/32, si prepararono ad affrontare le fortissime posizioni nemiche.
Il 1° maggio ebbe inizio la battaglia di rottura. Di fronte ad un nemico enormemente favorito dalle posizioni fortificate, carristi, bersaglieri e artiglieri, combatterono fianco a fianco con sovrumano coraggio, dando vita a quella efficace e brillante cooperazione tattica che doveva diventare un pilastro basilare della futura dottrina dei corazzati.
Reagendo con fuoco preciso al tiro controcarro del nemico, infilando con perforanti le feritoie delle opere, contro manovrando per sventare le sortite dei mezzi corazzati avversari, lanciandosi arditamente dove si apriva anche un piccolo varco, duellando col nemico, in una lotta senza quartiere, i carristi del 32° portarono avanti i loro cingoli d’acciaio, con “ferreo cuore” sino a travolgere le posizioni nemiche.
Dalle piazzole cominciarono ad uscire i primi prigionieri, meravigliati - come essi stessi dichiararono - che i carri italiani fossero riusciti a penetrare in una cintura fortificata da essi ritenuta invulnerabile.
Ma non vi era tempo per pensare, per riordinarsi, per ricevere rinforzi! Decine di batterie avversarie vomitarono acciaio, seminando morte e distruzione, interrompendo i collegamenti, mettendo a dura prova la resistenza dei nostri reparti mentre, appoggiati da mezzi corazzati, alcuni battaglioni australiani portarono un contrattacco di inaudita violenza che travolse in un primo tempo la nostra linea più avanzata. Sotto la guida del comandante del reggimento, i carristi del 32° trovarono ancora una volta, nei loro ardenti spiriti, la volontà per risorgere.
Il pilota colpito a morte veniva sostituito dal marconista, al capocarro ferito subentrava il servente, equipaggi di carri colpiti balzavano a terra combattendo, pistola in pugno, contro gli assalitori. Gli eroismi non si contarono più!
Il Tenente Colonnello Enrico MARETTI (O.M.I., M.A.V.M. e M.B.V.M.), intrepido soldato, rincuorava con la parola e con l’esempio i suoi carristi. Manovrando ripetutamente, investendo il nemico da più lati con il fuoco di tutte le armi e con l’urto travolgente dei cingoli, i carristi del 32° decisero con il loro valore e con il loro sacrificio le sorti di quella tremenda battaglia.
Il nemico tentò una estrema reazione, ma fu l’ultima, prima di volgere in fuga lasciando sul terreno centinaia di morti e di feriti, armi pesanti, carri immobilizzati. Gravi anche le perdite in uomini e mezzi, tributo eroico dei carristi italiani alla dura lotta che assunse l’aspetto irreale di impresa leggendaria.
“Me Vivo Numquam Eripieris” (in italiano: Me vivo non mi sarai tolto) aveva scritto un carrista sul suo carro ricordando l’incisione sulla spada di Orlando a Roncisvalle.
E così fu: che veramente in quegli scontri durissimi, le fiamme rosso-blu tennero fede al loro significativo motto araldico: “Ferrea Mole, Ferreo Cuore”.
Dopo i durissimi combattimenti per l’assedio di Tobruk, occorreva curarsi le ferite, riorganizzarsi, rimettersi in piena efficienza. I resti gloriosi del Reggimento, uomini stremati da 40 giorni di lotta senza quartiere, carri ancora recuperabili dopo le tre mende battaglie, furono avviati nella zona del villaggio Berta. Restarono ad Agedabia, ad El Mechili, ad Okruna, a Tobruk, a Bardia, le bianche croci a testimonianza di un sacrificio offerto serenamente alla Patria lontana. Fecero corona a quelle croci, i carri colpiti o bruciati, divenuti spesso bare d’acciaio per i valorosi carristi del 32°.
I superstiti, raccolti attorno alla gloriosa Bandiera rivolsero, prima di lasciare l’infuocato campo di battaglia di Tobruk, lo sguardo verso il mare, verso l’Italia lontana. Il vento copri, con la gialla sabbia, i tumuli di El Adem, quasi a proteggere con una morbida coltre, i resti mortali di coloro il cui ricordo sarebbe rimasto imperituro nel cuore dei compagni sopravvissuti.
Fianco a fianco con il 132° carri
Intanto l’Ariete si andava riorganizzando: oltre l’assegnazione di nuove unità, fu deciso di dar vita ad un altro reggimento carristi, interamente equipaggiato di carri M 13/40.
Nasceva così, il 1° settembre 1941 in zona di operazioni, nella zona di Elnet Lasga, lungo la pista Berta El Mechili, il 132° Reggimento carristi il cui comando fu affidato al Tenente Colonnello Enrico MARETTI (O.M.I., M.A.V.M. e M.B.V.M.).
La Compagnia Comando del 132° Reggimento carristi si formò invece a Roma, in seno al 4° Reggimento carristi , il 1° giugno 1941, fu trasferito in Africa Settentrionale e si unì ai battaglioni assegnatigli il 1° settembre successivo. Il reggimento inquadrò inizialmente i battaglioni citati nel testo che furono via via sostituiti dal X comandato dal Maggiore Luigi PINNA (M.A.V.M. e M.B.V.M.) proveniente dal 133° Reggimento carristi, e dal XIII comandato dal Tenente Colonnello Renzo BALDINI (C.G.V.M.) e formatosi a Verona nel deposito del 32° Reggimento carri.
A fine ottobre il Tenente Colonnello D’AIELLO DI SANT’IRENE, assunse il comando del Reggimento rimasto con i soli battaglioni carri d’assalto. Pur meno potente nei mezzi, il 32°, forte della sua esperienza africana e dell’entusiasmo mai sopito dei suoi gregari, continuò ad essere elemento prezioso in seno alla Divisione Ariete.
Bir Ei Gobi - Sidi Omar - Sidi Rezegh - El Adem - Ain El Gazala, tappe di duri scontri, videro ancora rifulgere il valore dei carristi dei 32°. Altro sangue fu versato. Ancora 79 giovani vite furono immolate alla Patria.
Primo Scioglimento del 32° Reggimento carri
Gli ultimi combattimenti avevano ormai ridotto il 32° a pochissimi carri, logorati dalle lunghe ed estenuanti marce.
Il 31 dicembre 1941 i superstiti furono portati al villaggio Crispi. L’8 gennaio 1942 fu deciso lo scioglimento del Reggimento e il rientro in Patria dello Stendardo.
Mai saluto fu più commovente e sentito tra i pochi veterani che si accingevano a rivedere la Patria e i molti nuovi, che restavano sulla “Quarta Sponda” a tenerne alta la dignità e l’onore dell’Italia. Nel febbraio 1942 lo stendardo del 32° carri ritornò quindi in Patria.
In Africa Settentrionale restavano comunque un migliaio di carristi del reggimento con una settantina di Ufficiali tutti concentrati nel “Centro di Istruzione Carristi” al Comando del Tenente Colonnello Antonio D’ERRICO (M.A.V.M.). Tale Centro, posto alle dipendenze della 133^ Divisione Corazzata “Littorio” Comandata dal Generale Gervasio BITOSSI, era organizzato nel Villaggio Corradini presso l’Oasi di Homs, ed ebbe il compito di occuparsi dell’addestramento e del perfezionamento del personale ed anche di “serbatoio di alimentazione” a favore di tutte le unità carriste operanti in Africa Settentrionale.
Prima Ricostituzione del 32° Reggimento carri
Nel maggio 1942 il Reggimento si ricostituì e sotto la guida del Tenente Colonnello CALVI, raggiunse la Sardegna con il glorioso Stendardo, nel settembre dello stesso anno, dislocandosi nella zona di San Luri e passò a far parte delle truppe impegnate nella difesa del l’Isola.
Formarono il ricostituito 32° Reggimento il XVI battaglione carri M 13/40, il I battaglione carri “Somua” di fabbricazione francese, il I battaglione carri L e due compagnie motocorazzate.
Intanto il deposito di Verona continuava a lavorare per formare altri battaglioni carri.
Secondo Scioglimento del 32° Reggimento carri
Il 2 ottobre 1944, il Reggimento fu nuovamente disciolto e la Bandiera entrò al Vittoriano per essere custodita nel sacrario dell’Altare della Patria insieme ai gloriosi vessilli delle unità non più in vita dell’Esercito Italiano sino al 1° marzo 1964.
Scrissero del 32° carri in Guerra
CORPO TEDESCO D’AFRICA
Il Comandante
Zona di Guerra, 6 maggio 1941
E’ per me un grande dovere trasmettere a tutti gli appartenenti alle Unità Italiane dipendenti dal Corpo Tedesco d’Africa il mio particolare elogio per il buon comportamento mostrato durante l’attacco alla cintura fortificata di Tobruk.
Fianco a fianco con i loro camerati tedeschi per i quali è un onore aiutarLi nella riconquista della Cirenaica, essi hanno compiuto cose straordinarie nelle ore più difficili. In combattimenti duri ed accaniti, che non hanno precedenti, sui terreni più difficili, si è potuto irrompere nella cintura fortificata e tenere la posizione conquistata nonostante i ripetuti, quotidiani attacchi degli Inglesi.
Il mio ringraziamento e il mio elogio va particolarmente ai valorosi reparti della Divisione Corazzata “ Ariete” che, in un inaudito combattimento difensivo, nella notte dal 3/5 al 4/5 hanno reso impossibile ogni avanzata al nemico ed hanno saldamente tenuto in mano i fortini conquistati il giorno prece dente. E’ per me un onore ed una gioia esprimere questo riconoscimento.
E con me saranno dello stesso parere e con la stessa volontà, tutti i camerati italiani per non lasciare nulla di intentato nella lotta pur di battere il nemico fino al suo definitivo annienta mento. Noi batteremo il nemico ovunque lo troveremo!
Prego far conoscere questo elogio a tutti i reparti della Di visione.
F.TO ROMMEL
COMANDO DIVISIONE CORAZZATA “ARIETE” (132^)
Sezione Op. Inf. Serv.
N. 266/ord. Z. G., 7 maggio 1941
OGGETTO: Encomio.
Al Comando 32° Regg. Carristi;
Al Comando 132° Regg. Artiglieria;
Al Comando 2° Regg. Art. Celere;
Al Comando V Battaglione Bersaglieri (8° Regg.);
Al Maggiore Lomaglio (per il III Btg. Bersaglieri);
Al Comando Colonna Santamaria;
Al Comando 132^ Compagnia mista Genio;
Al Comando Battaglione Guastatori.
^^^^^^^^^^^^^
Il Comando Corpo Tedesco in Africa comunica:
“Il 30/4 sera è stata attaccata la cintura fortificata nemica da tutte e due le parti di Ras El Medaur: in una lotta accanita ed inaudita durata più di 24 ore si è riusciti a frantumare pezzo per pezzo la linea di fortini molto fortemente fortificata. In assalti audaci furono presi uno dopo l’altro numerosi capisaldi organizzati e costruiti in cemento armato, nonostante gli accaniti contrattacchi del nemico. Sono stati respinti contrattacchi nemici di carri armati, appoggiati da intenso fuoco di artiglieria. Il caldo ed il ghibli hanno reso più difficili le operazioni. Durante l’intera giornata l’arma aerea è intervenuta ripetutamente e decisamente nel combattimento con gli stukas, apparecchi da distruzione e da caccia. Per il comportamento eccezionale e completo delle truppe e dei loro comandanti, esprimo il mio pieno riconoscimento. Questo combattimento passerà alla storia come uno dei più aspri della guerra d’Africa”.
A detti combattimenti ha partecipato con la maggioranza delle sue forze, 1’Ariete.
Paghi del riconoscimento avuto, alziamo reverente il nostro pensiero ai nostri gloriosi Morti ed ai nostri feriti. L’elevato numero delle nostre perdite, che conferma di quale gravità sia stato l’attacco respinto, è garanzia che ove si dice “Ariete ”, si dice, forza, tenacia, ardire!
Ai bravi ed eroici componenti della Divisione, che dopo 40 giorni di inenarrabili fatiche, hanno trovato tanta sicura forza di resistenza, sia fatto giungere il mio elogio di comandante.
IL COMANDANTE
Gen. Div. Ettore Baldassarre
COMANDO DIVISIONE CORAZZATA “ARIETE” (132^)
Sezione Op. Inf. Serv.
Zona di Guerra, 8 maggio 1941
ORDINE DEL GIORNO
Ufficiali, sottufficiali, graduati e soldati!
In questi giorni si è chiuso il primo ciclo mensile operativo, durante il quale l’ “Ariete” ha infaticabilmente marciato e combattuto con valore ed onore. Nessun ostacolo e nessun sacrificio hanno potuto fiaccare la nostra fede ed il nostro slancio. Il nostro cammino è stato irrorato dal sangue generoso di cento e cento soldati, immolatisi nel compimento del dovere. Davanti alle loro spoglie s’inchinano le insegne dei nostri reggimenti e si cementano il voto e la promessa dei nostri cuori: perseverare per essere degni di loro.
Ufficiali, sottufficiali, graduati e soldati!
L’Ariete ha già scritto pagine luminose di gloria: ne fa fede l’ordine del giorno del comandante del Corpo Tedesco in Africa ch’io vi trasmetto. Sono fiero di voi! Ho fede in voi! Viva l’Ariete!
IL COMANDANTE
Gen. Div. Ettore Baldassarre
p.c.c.
L’AIUTANTE MAGGIORE IN 1^ f.f.
BARBAGLI
32° REGGIMENTO CARRISTI
“Ferrea Mole - Ferreo Cuore”
COMANDO
Zona di Guerra, 10 maggio 1941
ORDINE DEL GIORNO N. 83
Carristi del 32°!
L’alto riconoscimento del C.T.A. e le parole di vivo, affettuoso, esaltante elogio del Nostro Comandante la Divisione “ Ariete ”, devono costituire per voi tutti il premio alla fatica, alle difficili prove ai vostri altissimi meriti conquistati durante questo primo, lungo ciclo di operazioni. Non ho mai dubitato che i carristi del 32°, dal cuore di acciaio come le corazze dei loro carri, fossero inferiori per valore, audacia, spirito di sacrificio agli eroici camerati che nella stessa terra d’Africa scrissero pagine di valore e di gloria. Gli avvenimenti vissuti confermano largamente le previsioni!
Quattro mesi or sono, col petto e con l’eroismo dei carristi si difendeva questa piazzaforte dalla tracotanza nemica: il destino vuole che oggi i carristi del 32° Reggimento siano chiamati ad infrangere la stessa resistenza che dovrà cadere per valore ed impeto ormai leggendari dei camerati Italo-Germanici.
Carristi!
Nella memoria sacra dei nostri caduti, nella certezza di una luminosa vittoria, stretti attorno alla nostra gloriosa Bandiera, lanciamo alto ed impetuoso il grido di promessa e di fede al giuramento per il bene supremo della Patria.
Evviva l’Italia!
IL COLONNELLO COMANDANTE
Alvise Brunetti
CAPITOLO V
ALBO DELLA GLORIA DEL 32° CARRI
MEDAGLIA D’ORO AL VALOR MILITARE
ALLO STENDARDO DEL 32° REGGIMENTO CARRI
(per il III Battaglione Carri)
“Durante due mesi di tormentato periodo di operazioni in A. S., lanciato contro un avversario che alla preparazione ed all’esperienza univa una schiacciante superiorità in armi corazzate, si impegnava oltre ogni limite di resistenza e di sacrificio. Nella difesa di Bardia sacrificava una intera compagnia, distrutta carro per carro, in lotte impari ed estenuanti ed infliggendo sanguinose perdite a uomini e mezzi avversari. Mutilato di questi suoi elementi, il battaglione continuava sempre in attacco e sempre animato dallo stesso indomito tenace spirito offensivo, anelando unicamente ad affermare, a costo della propria distruzione, la superiorità del soldato italiano ed imponendosi all’ammirazione dell’avversario. Consapevoli del loro destino e ben più grandi della loro sfortuna, i carristi del III Battaglione M/13, sapevano immolarsi serenamente alla pura bellezza del dovere e dell’onore, talché la loro unità veniva tutta praticamente distrutta”.
(Egitto - Marmarica (A.S.), 9 dicembre 1940 - 8 febbraio 1941)
MEDAGLIA D’ARGENTO AL VALOR MILITARE
ALLO STENDARDO DEL 32° REGGIMENTO CARRI
(per il V Battaglione Carri)
“Durante venticinque giorni di tormentate operazioni in A. S., lanciato contro un avversario che alla preparazione ed all’esperienza univa una schiacciante superiorità in armi corazzate, si impegnava con accanito valore, combattendo, giorno e notte, nel torrido e logorante clima desertico, spesso isolato, sorretto soltanto dalla fede e dall’animo indomito ed infliggendo al nemico perdite sanguinose. In situazione critica per le nostre armi, riunito con altri battaglioni in una brigata improvvisata, si opponeva alla offensiva nemica, da Bardia ad Agedabia, strenuamente, anche senza speranza, affrontando la propria distruzione e chiudendo, con i pochi superstiti, la sua gloriosa e cruenta epopea nel rogo degli ultimi carri armati, incendiati dagli stessi equipaggi di fronte al soverchiante nemico”.
(Cirenaica, 15 gennaio - 8 febbraio 1941)
Sottotenente carrista Salvatore MORICONI
Medaglia d’oro al Valor Militare alla memoria
(in commutazione della medaglia d’argento conferitagli con Regio decreto 3 dicembre 1938)
“Comandante di un plotone carri d’assalto, ardito, audace e sereno anche nelle circostanze più gravi della lotta, sempre primo nelle azioni più rischiose, già distintosi in tutti i combattimenti sul fronte d’Aragona, durante il combattimento sulla strada di Cherta, faceva olocausto della sua giovane vita, con supremo atto di puro eroismo, provvedendo col suo carro alla difesa di reparti già fortemente decimati ed al ricupero dei morti e dei feriti. Ferito egli stesso da molteplici schegge, non desisteva dall’opera assunta con generosa fede e sublime spirito di sacrificio, finché cadeva colpito in piena fronte” (Strada per Cherta, 8 aprile 1938).
Sottotenente carrista Fulvio JERO
Medaglia d’oro al Valor Militare (alla memoria)
“Ufficiale carrista c singolare valore, avuti i carri del suo pio tone inutilizzati dal fuoco nemico e visto occupato un caposaldo che comprometteva la resistenza del battaglione di fanteria al quale era assegnato di rinforzo, chiedeva l’onore con pochi carristi rimastigli di guidarli al contrassalto per la rioccupazione del caposaldo. Ferito appena allo scoperto continuava nel suo slancio generoso, rincuorando i fanti. Ferito una seconda volta, si gettava sul nemico, ingaggiando una lotta corpo a corpo. Falciato a bruciapelo da una raffica di mitra, cadeva sul posto riconquistato, consacrando col suo sacrificio la fratellanza delle tradizioni eroiche del fante e del carrista d’Italia”. (Bardia, 3 gennaio 1941).
Sergente Maggiore carrista Bruno GALAS
Medaglia d’oro al Valor Militare (alla memoria).
“Durante una azione contro forze nemiche penetrate in un caposaldo di una nostra piazzaforte respingeva l’irruzione col carro in avaria allo scoperto. Sotto il fuoco provvedeva alla riparazione benché ferito e riprendeva il combattimento alimentato da nuove unità nemiche. Colpito una seconda volta e immobilizzato il suo carro, continuava il fuoco col cannone di bordo, fatto bersaglio da tutti i suoi avversari. Colpito da granata che esplodeva nell’interno del carro incendiandolo, immolava la sua vita al dovere” (Africa Settentrionale, 3 gennaio 1947).
Tenente Colonnello carrista Alberto ANDREANI
Medaglia d’oro al Valor Militare (alla memoria)
“Subito dopo l’armistizio, soldato deciso e fedele, riprendeva la lotta di liberazione molto distinguendosi per esimie doti di animatore e di organizzatore e fornendo in numerose difficili circostanze, belle e sicure prove di coraggio. Attivamente ricercato dai tedeschi finiva per cadere, insieme ad un collega in mani nemiche. Interrogati sulla organizzazione partigiana, venivano, a causa del pieno silenzio, sottoposti ad inaudite sevizie che, protrattesi per più giorni, causavano la morte del collega e compagno di martirio che spirava tra le braccia del Ten.Col. Andreani. Per altri 6 giorni si protraevano sul vivente le torture senza poterlo indurre a deflettere dal nobile ed esemplare atteggia mento. Ridotto una larva di uomo, pressoché cieco ed ormai mortalmente lesionato, trovava ancora la forza di tenere alta fra i compagni di prigionia, in un campo di concentramento germanico la fede nell’avvenire della Patria” [Zona di Verona - ottobre 1943 - aprile 1945].
Sottotenente carrista Leo TODESCHINI
Medaglia d’oro al Valor Militare.
“Con la ferma determinazione di sacrificarsi con il suo plotone di carri armati, per impedire al nemico l’avvolgimento e la distruzione, sosteneva durante tre ore l’urto di soverchianti forze corazzate avversarie, ne frenava lo slancio e ne disordinava la manovra, infliggendo all’assalitore durissime perdite. Anche dopo che 4 dei suoi mezzi, gravemente colpiti ave vano dovuto abbandonare la lotta, restava con due soli carri sul terreno di combattimento e fronteggiava almeno 20 carri nemici con si disperato coraggio da riuscire ad intimidire l’avversario e farlo deviare verso altri settori del nostro dispositivo. Essendo stato colpito il comandante della compagnia, che immobilizzato serviva da facile bersaglio al tiro dei cannoni inglesi, dopo aver constatato il fallimento di alcuni tentativi di recupero del carro stesso, divenuto gloriosa tomba di eroi, decideva di tentare il rimorchio. Mentre scendeva dal suo carro per agganciare il cavo, una cannonata gli sfracellava la gamba destra. Vincendo con ferrea volontà l’atroce dolore, si dirigeva, appoggiandosi su una sola gamba, verso il carro d’agganciare, quando una seconda cannonata colpiva in pieno il motore del suo carro immobilizzandolo ed impedendo a lui di condurre a termine la temeraria generosa missione volontariamente assunta. Raccolto e tratto in salvo, al suo comandante di battaglione che gli rivolgeva parole di commosso plauso, rispondeva con romana fierezza: “Coraggio signor maggiore, anche con una gamba di legno si può fare il carrista”” [Alam Ahu Hileniat (A. S.) - 19 novembre 1940].
Le Perdite del Reggimento
Relative a:
III, V, VII, VIII e IX Battaglione carri M 13/40
(nel periodo in cui essi furono inquadrati nel 32°)
I, II, e III Battaglione carri d’assalto
I Battaglione carri “Somua ”
1^ e 2^ Compagnia motocorazzata.
(Cifre non Confermate)
CADUTI n. 386
FERITI n. 626
DISPERSI n. 374
Le Ricompense al Valor Militare
ALLA MEMORIA A VIVENTI
MEDAGLIE D’ORO 5 1
MEDAGLIE D’ARGENTO 87 133
MEDAGLIE DI BRONZO 18 145
CAPITOLO VI
IL DOPOGUERRA
La seconda Ricostituzione del 32° Reggimento carri
Il 1 marzo 1964 viene ufficialmente ricostituito, in seno alla Divisione Corazzata Ariete, il 32° reggimento carri. Ad esso vengono assegnati il III ed il V battaglione carri, nati rispettivamente per trasformazione del CI battaglione carri di Verona, ed il I gruppo squadroni del Reggimento di cavalleria Lancieri di Novara (5°) già di stanza nel territorio del comune di Spilimbergo.
Al momento della sua ricostituzione, non ancora disponibile l’attuale sede, il reggimento era così dislocato:
- Comando di Reggimento e compagnia Comando a Pordenone;
- III battaglione carri a Verona (caserma “Martini”);
- V battaglione carri a Tauriano (compagnie carri e comando di battaglione presso la caserma “2 novembre”) e Istrago (compagnia comando presso la caserma “Zamparo”);
In data 20 ottobre 1964 al reggimento fu assegnato anche il XXIII battaglione bersaglieri, inizialmente stanziato a Pordenone.
Il 32° Reggimento carri condivide con il 132° e 31° reggimento carri, unici tra i reggimenti dell’Arma di Cavalleria, il privilegio di aver avuto nei suoi ranghi un battaglione bersaglieri.
Il 1° gennaio 1966, il Comando del reggimento, la compagnia comando reggimentale ed il XXIII battaglione bersaglieri sono trasferiti a Cordenons nella nuova caserma “De Carli”.
Nel giugno 1968, tutto il reggimento si trasferisce nell’attuale sede: la caserma “Forgiarini” di Tauriano si Spilimbergo.
La Caserma Arduino Forgiarini
La caserma di Tauriano è l’unica sede dell’Esercito intitolata ad un eroe della Marina Militare. Fu consegnata all’amministrazione militare nel 1964 e definitivamente completata nel 1968.
Sottesero alla individuazione del sito di Tauriano criteri che rispecchiavano gli orientamenti dell'Esercito maturati alla fine degli anni '50. Era infatti quello il periodo in cui la Forza Armata affrontò il problema della costruzione di nuove infrastrutture tenendo presenti i concetti di modernità e funzionalità.
Il sedime sul quale venne edificata la caserma, posto alla confluenza dei fiumi Cellina e Meduna ottimizzava l'afflusso ed il deflusso rapido dei mezzi corazzati verso le aree d'esercitazione. In tal guisa venivano conseguiti i due importanti obiettivi della conduzione in economia delle attività addestrative e del decongestionamento delle vie di comunicazione ordinaria, dato che per raggiungere il Cellina-Meduna dalla “Forgiarini” era stata predisposta una pista sterrata riservata ai cingolati, parallela alla strada asfaltata per Basaldella.
Non costituiva invece problema alcuno il trasferimento dei corazzati per ferrovia, visto che il vicino scalo della città di Spilimbergo, posto sulla linea Casarsa - Pinzano (rimasta in esercizio fino alla metà degli anni '80), era adeguato allo svolgimento delle operazioni di carico e scarico sui pianali ferroviari.
Naturalmente, alla scelta di Tauriano, unitamente alle ragioni di ordine pratico sopra esposte, ne sottesero anche altre di ordine operativo legate alla disposizione delle difese approntate lungo la frontiera orientale che, proprio in quel periodo, venivano in parte riviste e bilanciate.
Le unità di fanteria, allora schierate sulla prima linea rappresentata dal Carso triestino, soggette al pericolo di “insaccamento” qualora l’avversario avesse attaccato dalla Slovenia recidendo il confine nei pressi della città di Gorizia, venivano schierate più a Nord (nel Goriziano), mentre il loro posto sulle alture alle spalle della città giuliana fu preso dalla Brigata di cavalleria “Pozzuolo del Friuli”, unità interamente meccanizzata, che assunse il compito di presa di contatto e logoramento dell’avversario.
Era inoltre prevista una linea difensiva naturale sul fiume Tagliamento, luogo ove, in posizione arretrata, avrebbero operato le cosiddette forze di riserva, destinate a sferrare il contrattacco.
Fra di esse figurava anche la Divisione corazzata ARIETE, unità di punta dell’Esercito, ricostituita a partire dal 1949, avente sede nella città di Pordenone, che inquadrava, oltre al neo ricostituito 32° Reggimento carri, il 132° reggimento carri, il 132° Artiglieria corazzata e l’8° Bersaglieri.
Nel mese di Giugno deI 1968, a lavori ultimati, tutti i reparti inquadrati nel 32° carri, vennero trasferiti in modo definitivo nella caserma “Forgiarini”, che nell’occasione ricevette la visita del Presidente della Repubblica Giuseppe SARAGAT, come tuttora ricorda una lapide apposta in prossimità dell’ingresso principale della caserma.
Il 1968 fu anche l’anno dell’ingresso in linea degli M60, carri propulsi da un motore diesel ed armati da una bocca da fuoco da 105 mm, che consentirono alle nostre truppe corazzate di compiere un significativo salto di qualità.
Gli stessi carri comportarono però anche dei problemi a causa della loro ragguardevole mole. La prima aliquota di M60 raggiunse Tauriano proveniente dalla caserma “D’Avanzo” in località Aurelia presso Civitavecchia, dove i carri venivano impiegati fin dal 1965.
Dopo aver provveduto allo smontaggio dei cingoli e del gruppo di riduzione finale, operazioni necessarie per ridurre la carreggiata eccessivamente ingombrante in ferrovia, i carri vennero caricati sui pianali ferroviari per raggiungere il Friuli.
Il rischieramento degli M60 si rese necessario per due ragioni: la necessità di potenziare il dispositivo militare nord orientale con materiali adeguati alla minaccia e per ovviare al problema del loro difficile rischieramento, che, causa la loro mole eccessiva, limitava la mobilità strategica dei reparti che li avevano originariamente in dotazione.
Con questa ridistribuzione dei carri M 60, l’Ariete standardizzò definitivamente la sua linea carri su questo tipo di carro.
Terzo scioglimento del 32° carri
Il 30 Novembre del 1975, nel quadro del processo di ristrutturazione dell’Esercito mirante allo snellimento ed alla razionalizzazione delle unità corazzate e meccanizzate, veniva eliminato il livello reggimentale e di conseguenza il 32° Reggimento carri, all’epoca comandato dal Colonnello Antonio OLIVA, veniva sciolto dando origine, con il suo comando ed i suoi battaglioni, alla 32^ Brigata corazzata “MAMELI”. Tale unità era composta dal 3° battaglione carri “M.O. Galas” (contemporaneamente all’abolizione del livello ordinativo reggimentale, la numerazione dei battaglioni iniziò ad essere effettuata utilizzando cifre arabe anziché romane. A ciascun battaglione carri fu inoltre attribuito il nome in onore di un carrista decorato di Medaglia d’Oro al V.M. alla memoria) che, essendo il più antico, ereditava lo Stendardo e le tradizioni del 32° carri; dal 5° Battaglione carri “M.O. Chiamenti” e dal 23° battaglione bersaglieri “Castel di Borgo”. Ovvero dagli stessi battaglioni che costituivano il disciolto 32° e che ora assurgevano al rango di Corpi.
Il 12° gruppo artiglieria campale semovente “Capua” e tutti gli altri supporti di brigata venivano stanziati nella Caserma “De Gasperi” a Vacile di Spilimbergo (PN).
La 32^ Brigata Corazzata, assieme alla 132^ Brigata corazzata “Manin” con sede ad Aviano (PN) ed alla 8^ Brigata meccanizzata “Garibaldi” con sede a Pordenone, veniva inquadrata nella Divisione Corazzata Ariete.
Il sisma deI 1976
L’anno successivo alla ristrutturazione i reparti di Tauriano vennero direttamente coinvolti nel la tragedia del terremoto. La sera del 6 Maggio 1976 un violento sisma sconvolse il Friuli facendo tremare anche la “Forgiarini” che però, a differenza di molti altri edifici della piccola frazione, resistette alle scosse che non provocarono vittime fra i militari.
Il primo comandante della brigata, Generale di Brigata Gaetano PELLEGRINO, dal suo alloggio di Spilimbergo si recò immediatamente nella locale caserma dei Vigili del Fuoco, per coordinare i soccorsi che sarebbero stati di lì a poco prestati impegnando da subito tutti i reparti della Mameli.
Nei giorni successivi alla catastrofe le aree d’intervento vennero individuate in San Francesco, Vito d’Asio, Clauzetto e Castelnuovo del Friuli, comuni disastrati posti sulla fascia pedemontana delle Prealpi carniche.
Per avere contribuito in maniera determinante ad alleviare i disagi ed a restituire la fiducia alle popolazioni colpite dal sisma, sia la 32^ brigata che i battaglioni che la componevano ricevettero ricompense civili e militari.
In particolare, la Medaglia d’Argento al Valor dell’Esercito meritata dal 3° battaglione carri “M.O. Galas” che fregia ora lo Stendardo del 32° Reggimento carri:
“Direttamente coinvolto nel grave terremoto che colpiva il Friuli, interveniva tempestivamente in soccorso delle popolazioni colpite con tutte le risorse di uomini e di materiali. n condizioni di estrema difficoltà ed a rischio della propria incolumità per il perdurare delle scosse e dei crolli, si prodigava in un generoso slancio di fraterna solidarietà nel soccorso dei feriti e dei sepolti dalle macerie, contribuendo a ridurre i danni provocati dalla sciagura ed a infondere sicurezza e fiducia ai sinistrati. L’opera svolta ha riscosso il plauso delle Autorità e la gratitudine della popolazione soccorsa e sollevata dalle immediate sofferenze” (Friuli, 6 maggio 1976 - 15 marzo 1977).
La ricerca della mobilità
Un altro avvenimento che contraddistinse quel periodo fu l’esercitazione “MURGE ‘84”. Si trattava di un’attività tesa allo sviluppo di temi addestrativi all’epoca davvero inconsueti, consistenti principalmente nel trasferimento dell’intera brigata dalle sue sedi stanziali in Friuli ai poligoni pugliesi (distanti ca. 900 km) utilizzando le vie ordinaria, ferroviaria e marittima.
Lo scopo era verificare le capacità di mobilità della brigata corazzata verso il Sud del Paese nell’eventualità di una emergenza. Attraverso questa esercitazione si voleva inoltre verificare il livello addestrativo dei reparti su terreni diversi dal Cellina-Meduna e dalla pianura friulana in generale, mediante manovre a partiti contrapposti. In sostanza si tentava di superare la cristallizzazione conseguente all’addestramento schematico svolto in modo diuturno nello stesso luogo.
Un terzo tema dell’esercitazione “MURGE ‘84” fu quello del trasporto per via ordinaria di una compagnia carri attraverso l’impiego di ATC 81 dall’area di Torre Disperata in Puglia fino a Spilimbergo con tutti gli equipaggi al seguito.
Un periodo di transizione
Ad undici anni esatti dalla precedente ristrutturazione dell’Esercito, nell’ottobre del 1986, in seguito al riordinamento del 5° Corpo d’Armata venne soppresso il livello di comando divisionale. In conseguenza di questo fatto la 132° Brigata Corazzata Manin ereditò il nome della Divisione Ariete. La Mameli conservò il suo organico cui aggiunse, per qualche tempo, il 19° gruppo squadroni Cavalleggeri “Guide”.
L’avvenimento rappresentò il preludio di una serie di scioglimenti e trasferimenti dei reparti che caratterizzò il periodo a cavallo della cessazione della guerra Fredda e che conobbe il suo apice il 10 Aprile 1991 allorché fu decretato lo scioglimento della 32^ Brigata Corazzata “Mameli”.
I reparti in essa inquadrati passarono quindi alle dipendenze della 132^ Brigata Corazzata Ariete.
Nell’Agosto del 1992 il processo di ristrutturazione venne completato con lo scioglimento del 5° battaglione carri “M.O. Chiamenti”, ed il trasferimento in Sicilia del 23° battaglione bersaglieri “Castel di Borgo” poi trasferitosi a Trapani e divenuto 12° Reggimento bersaglieri .
La Terza ricostituzione del 32° Reggimento carri
Fra le mura della “Forgiarini” restava unicamente il 3° battaglione carri “M.O. Galas” unità che, il 26 agosto 1992, a seguito della reintroduzione del livello reggimentale, ridava vita al 32° Reggimento Carri, sempre inserito nei ranghi della 132^ Brigata Corazzata Ariete. Il Reggimento risultava costituito da:
- Compagnia Comando e Supporti Logistici “Balbia”;
- 3° Battaglione carri “M.O. Galas” su 5 compagnie carri M 60, due delle quali (la 4^ cp. cr. “Tobruk” e la 5^ cp. cr. “Ghemines”) ereditate dal disciolto 5° battaglione carri “M.O. Chiamenti”.
Il ritorno in terra d’Africa
Gli impegni delle Forze Armate in Somalia nel Dicembre del 1992 implicarono un ritorno dei carristi italiani sul suolo africano, il primo a distanza di 50 anni dalla fine della seconda Guerra Mondiale.
Dal dicembre 1992 al marzo 1994, una compagnia carri M60 dell’Ariete prese parte alla missione multinazionale IBIS in Somalia schierandosi inizialmente nell’area dell’aeroporto di Mogadiscio in supporto al 186° Reggimento paracadutisti.
In Somalia, i reparti carri hanno svolto innumerevoli attività a favore del contingente nazionale e delle unità di altri paesi. Cinturazioni, pattugliamenti, check point, sicurezza ai convogli, guardia all’Ambasciata Italiana, attività umanitarie di vario tipo in favore della popolazione somala.
Nel Luglio successivo, in seguito al combattimento avvenuto il 2 luglio 1993 presso il check-point “Pasta”, risolto grazie al determinato intervento dei carristi dell’Ariete, la compagnia venne spostata nella zona di Balad, 29 km a nord di Mogadiscio.
Il carro M 60 si dimostrò un ottimo deterrente nei confronti dei Somali più facinorosi ed infatti fu utilmente impiegato a scopi dissuasivi, soprattutto nella fase di massima tensione coincidente con il periodo conclusivo della missione di pace.
In quella fase si intensificarono in numero ed in pericolosità le turbolente manifestazioni inscenate dalle fazioni somale, culminanti il più delle volte in fitte sassaiole dirette contro i militari italiani.
La Somalia evidenziò tutti i limiti degli M60 in forza all'Esercito Italiano ormai da un quarto di secolo e bisognosi di un aggiornamento tecnologico radicale. L'assegnazione di alcuni M60 dotati di corazze reattive ceduti in prestito dalla Guardia Nazionale statunitense, assicurò un margine di sicurezza più elevato agli equipaggi italiani impegnati nelle operazioni.
Per il comportamento tenuto dai reparti del 32° Reggimento carri alternatisi in Somalia, allo Stendardo è stata conferita la Medaglia di Bronzo al Valor dell’Esercito con la seguente motivazione:
“Il 32° Reggimento carri ha partecipato con proprie forze, inquadrate nel contingente italiano impegnato in Somalia, alle operazioni di soccorso e protezione alla popolazione martoriata dalla guerra civile. Per circa 15 mesi, operando diuturnamente, in oggettive difficoltà ambientali ed in condizioni di particolare sensibilità operativa, le sue unità hanno sempre evidenziato elevate capacità professionali ed altissimo senso del dovere e dimostrato, in ogni circostanza, la capacità di discriminare le loro reazioni, evitando così l’inutile spargimento di sangue. con propri mezzi le unità hanno garantito una eccezionale cornice di sicurezza e fronteggiato molteplici emergenze diventando così punto di sicuro riferimento per tutte le forze del Contingente. Chiaro esempio di grande perizia ed estremo valore che ha concorso ad elevare e nobilitare il prestigio dell’Esercito Italiano sia in Patria sia all’Estero.” (Somalia, 29 dicembre 1992 - 15 marzo 1994).
All'inizio del 1995 tutti gli M60 in linea vennero ritirati dal servizio ed avviati alla demolizione negli stabilimenti di Bologna e Nola. Il reggimento ne conserva uno come patrimonio storico.
I loro sostituti furono i Leopard 1 provenienti dai vari battaglioni carri e gruppi squadroni di cavalleria disciolti.
Ulteriori benemerenze
Nell’autunno del 1994, aliquote del 32° Reggimento concorrono alle operazioni di soccorso in favore delle popolazioni del Piemonte colpite da una drammatica alluvione, intervenendo nella zona di Alessandria. Nonostante la lontananza, le aliquote del Reggimento hanno raggiunto la zona d’intervento entro 24 ore dall’allertamento. L’impiego aveva termine dopo circa un mese.
Per il lodevole comportamento tenuto in quella circostanza dai carristi del 32°, il 1° ottobre 1999, in occasione delle celebrazioni dell’Anniversario della costituzione della Specialità, viene conferita allo Stendardo la Medaglia di Bronzo al Valore della Croce Rossa Italiana con la seguente motivazione:
“In segno di viva e tangibile riconoscenza per il generoso contributo offerto alle operazioni di soccorso sviluppate dalle unità della Croce Rossa Italiana in favore delle popolazioni colpite dall’alluvione del novembre 1994” (Roma, dicembre 1995).
Il 32° carri oggi
L’organico del 32° Reggimento carri, ancora dislocato nella sede di Tauriano di Spilimbergo, rimane oggi sostanzialmente invariato, eccezion fatta per la riduzione dell’organico del 3° battaglione passato da cinque a quattro compagnie carri i cui nomi si rifanno ai fasti storici dell’unità:
1^ Compagnia carri “Leoni di Bardia”;
2^ Compagnia carri “El Mechili”;
3^ Compagnia carri “Beda Fomm”;
4^ Compagnia carri “Tobruk”.
5^ Compagnia carri “Ghemines” (soppressa).
La Compagnia Comando e Supporto Logistico è invece denominata “Bardia”.
DEve essere ricordato che, come si è visto, il III carri M 13/40, cui sono fatte risalire le tradizioni dell’odierno 3° Battaglione carri “M.O. Galas”, derivava dalla trasformazione del CCCXXIII btg., originato a sua volta dalla ridenominazione del V/4° che era già stato il I btg. FIAT 3000 del Reggimento Carri Armati (1927). L’odierno 3° Battaglione carri “M.O. Galas” può dunque vantarsi d’essere il più antico dei battaglioni carri dell’Esercito Italiano, più antico dello stesso 32° Reggimento carri.
Tuttavia le novità sono molte: il reggimento è oggi interamente alimentato da personale volontario sia maschile che femminile. Dal 1995 il reggimento ha partecipato alle operazioni svolte dall’Esercito Italiano nella penisola Balcanica.
In particolare dal 1998 ha partecipato regolarmente con i propri reparti e con il Comando alle turnazioni in Kosovo per l’operazione “Joint Guardian” nel cui ambito è stata per tre volte responsabile dell’attivazione della Task Force “Sauro” dislocata a Decane. In tale veste, al termine del terzo mandato in Kosovo, in concomitanza della chiusura della menzionata Task Force, avvenuta il 4 agosto 2003, il Comandante della Forza NATO in Kosovo (KFOR), Tenente Generale Fabio MINI, ha concesso un Encomio Collettivo al 32° Reggimento carri con la seguente motivazione:
“Per aver contribuito in maniera determinante alle operazioni svoltesi in terra kosovara, rendendo così onore alle Forze multinazionali ivi operanti, all’Italia ed al 32° Reggimento Carri. “
In concomitanza all’assegnazione del personale di truppa volontario, da principio esclusivamente maschile ed in seguito anche femminile, di entrambe le categorie “in Servizio Permanente” ed “in Ferma Breve”, il 32° reggimento carri ha sostituito i carri Leopard A1 con i più moderni carri C1 Ariete e, nell’impossibilità di effettuare attività a fuoco nelle tradizionali aree addestrative del Cellina-Meduna ha iniziato a svolgere con regolarità esercitazioni nei poligoni di tiro ubicati all’estero utilizzati dall’Esercito Italiano (Ungheria, Polonia, Ucraina, Egitto, ecc.).
Il 4 ottobre 2003, infine, il Consiglio Comunale della città di Spilimbergo nel cui territorio il 32° carri è ininterrottamente insediato dal 1968, ha conferito al Reggimento la Cittadinanza Onoraria.
CAPITOLO VII
LE TRADIZIONI ROSSO-BLU DEL 32° CARRI
Si appartiene ad un’Arma o ad una specialità per lo Spirito che ne anima i Corpi, spirito che è nell’impiego, ma che nella vita quotidiana si esprime attraverso una miriade di valori, di abitudini, di espressioni formali e sostanziali, di mentalità e di costume, che sono l’essenza e l’anima stessa dei reggimenti: lo Spirito di Corpo.
Col nuovo ordinamento delle Armi combattenti dell’Esercito sancito il 1° giugno 1999 dal Ministro della Difesa dopo 72 anni di militanza la specialità carristi è transitata dall’Arma di Fanteria alla rinnovata Arma di Cavalleria. Tale passaggio nella nuova Arma, non ha riguardato i soli carristi del reggimento ed i loro mezzi di combattimento, ma anche il ricordo dei Caduti, le tradizioni, le memorie, il lavoro, i sacrifici, il sangue, la passione e l’entusiasmo di quanti marciarono e credettero nei ranghi sempre saldi e compatti del 32° carri.
L’Arma di Cavalleria ha perciò ereditato dalla Fanteria, l’impegno di onorare e salvaguardare - con eguale generosità e rispetto - il passato, il presente ed il futuro delle tradizioni rosso-blu.
Il nuovo ordinamento pur sancendo il passaggio della “specialità carristi” dalla Fanteria alla Cavalleria, ne ha lasciato non casualmente immutato il nome.
In tal modo, il decreto intende stigmatizzare la necessità che siano rispettate e valorizzate, anche in seno alla nuova Arma, le peculiarità e le prerogative della specialità carristi, il cui retaggio deve essere considerato autentico patrimonio storico dell’Esercito e della Nazione.
La natura dei carristi quale autonoma specialità dell’Arma di Fanteria è consolidata nella storia, nella memoria dei nostri eroi e va salvaguardata. Dell’Arma di Cavalleria, ove oggi sono fieramente inquadrati, i Carristi del 32° desiderano mutuare l’amore ed il rispetto per le tradizioni senza però confondere le proprie con quelle dei reggimenti di cavalleria di linea.
I carristi del 32° Reggimento carri vogliono perciò perpetuare con orgoglio le proprie peculiari caratteristiche: il “culto dei materiali”, la “passione per l’addestramento”, la “frugalità dei costumi”, la “duttilità mentale e l’intraprendenza”, la “tenacia nel perseguimento dei fini” la “consapevolezza d’essere speciali”.
La Fedeltà a sé stessi
Il rispetto delle prerogative ha un valore simbolico ed una valenza pratica che non si possono ignorare. Nel nuovo ordinamento, il 32° reggimento desidera rimanere orgogliosamente fedele a sé stesso, rimanendo com’è sempre stato: un reggimento di carristi.
Nel ricordo del passato, i carristi rifuggono la liturgia e la ritualità, ma alimentano il pieno e dovuto rispetto per coloro che li hanno preceduti nel servire in armi la Patria.
L’efficienza del moderno 32° carri non può fare a meno della forza delle tradizioni del reggimento e delle radici storiche cui il 32° appartiene.
Allo scopo di perpetuare tale verità, affinché sia chiaro a tutti coloro che accedono ai ranghi del reggimento il vivo sentimento d’orgoglio d’essere carristi che anima le generazioni che qui vi servono la Patria, in occasione del 61° Anniversario del fatto d’Arme di Bardia, il personale del reggimento ha voluto esporre la seguente iscrizione marmorea:
“Ricorrendo il 61° anniversario del consapevole olocausto in terra d’africa degli eroici equipaggi del 3° e 5° battaglione carri m13/40, gli uomini e le donne riuniti nei ranghi saldi e compatti del 32° reggimento carri, dedicano questo ricordo a quei prodi, pionieri delle glorie dello stendardo, e nel confermare l’impegno ad onorare con ferreo cuore il retaggio di cui sono custodi i carristi d’italia, oggi parte attiva e d’eccellenza della rinnovata arma di cavalleria, riaffermano con convinta fierezza il valore incancellabile delle più autentiche tradizioni del corpo che vogliono i carristi di tutti i tempi disciplinati ed allegri, solidali e concreti, determinati e sereni, concreti e capaci, accurati e rapidi, preziosi e frugali, potenti e generosi”.
Affinché l’impegno assunto sia ancor più tangibile e visibile, allo scopo di corroborare lo spirito di corpo del 32° Reggimento, sono di seguito riassunte le particolarità che contraddistinguono il reggimento e che debbono essere conosciute e comprese da tutto il personale di nuova assegnazione.
La passione per l’Addestramento
Nel corso della guerra, i carristi avevano trovato, in innumerevoli circostanze, la capacità di far rendere al meglio quel poco che avevano per mano. Sbaragliati a Beda Fomm, soprattutto per mancanza di addestramento e sconoscenza dei mezzi, si rifecero a Bir El Gobi, a Sidi Rezegh, a quota 204 di Ain El Gazala, a Rughet El Atasch, a Bir Hacheim, a Dahar El Aslagh e in cento altri luoghi grazie ad un addestramento, duro, severo, paziente con il quale è stato possibile apprendere i segreti della manovra su macchine complesse per combattere contro macchine ancora più complesse.
Il Tenente Colonnello Enrico MARETTI, già comandante di uno dei battaglioni con cui il 32° carri giunse in Africa Settentrionale e divenuto in seguito il primo Comandante del neonato e vittorioso 132° Carri, utilizzò, insieme ai suoi comandanti di battaglione, ogni secondo del tempo disponibile per condurre un definitivo addestramento al combattimento dei suoi carristi.
La consapevolezza che l’addestramento è indispensabile accompagna ovunque il Carrista. L’addestramento carrista è pertanto svolto con passione ed impegno, intelligenza e fantasia, con perizia e sempre con spirito competitivo in entrambi i suoi aspetti tecnico e tattico.
Il culto dei materiali
Un’altra severa lezione appresa in guerra riguarda il culto dei materiali. L’equipaggio è il padrone del carro. All’equipaggio spetta approntarlo ed accudirlo. Soltanto attraverso l’incessante pratica quotidiana, l’equipaggio apprende la conoscenza totale del proprio mezzo di combattimento. Il carrista si impegna oltre ogni limite per avere il proprio carro efficiente affinché sia possibile impiegarlo in addestramento come in battaglia. Il carro non si abbandona, né si chiede in prestito. Se lo si riceve in prestito, lo si tratta meglio di quanto si farebbe se fosse il proprio: “Egli (il carrista) cura con amore e passione il suo carro perché in combattimento lo porti sicuro alla vittoria” come recita il “Manuale per il pilota del carro L-35”(Edizione 1940).
Le dotazioni sono parte integrante dell’arma e servono a mantenerla efficiente.
Ogni pezzo di dotazione merita la stessa identica cura del carro in sé. Ogni parte dell’attrezzatura è indispensabile. Se un pezzo si rompe o si perde, deve essere immediatamente rimpiazzato. Ma non si deve aver paura di utilizzare l’attrezzatura.
A volte può capitare di dover utilizzare un carro diverso dal proprio, ma non dovrebbe mai essere necessario chiedere in prestito ad altri equipaggi pezzi della dotazione del carro! Ad ogni modo, gli eventuali prestiti dei singoli pezzi della dotazione del carro vanno considerati come quelli in danaro: si chiedono e si concedono solo se é si tratta di un aiuto veramente indispensabile e si pagano e si esigono immediatamente!
I Primati
Essere Carrista è già un primato. Tra i Carristi primeggia l’equipaggio, il plotone, la compagnia più addestrata. Fra questi, prevale chi dispone del maggior numero di carri pronti al combattimento.
Per i Carristi, gente concreta, valgono sempre più i fatti che le parole.
Anche in questo campo, i parametri di valutazione per i confronti e le graduatorie di merito non è mai il numero delle settimane trascorse in caserma, ma, piuttosto, la quantità del carburante consumato; il numero delle esercitazioni svolte; il totale dei colpi sparati; il numero dei cambi cingolo effettuati.
Le usanze rosso-blu
Il reggimento celebra le ricorrenze militari con cerimonie effettuate preferibilmente a bordo dei carri in dotazione. In tal caso, gli equipaggi non portano l’armamento individuale, fatta eccezione per il Gruppo Bandiera che impiega l’arma da fuoco individuale corta (pistola).
Ove, per ragioni di spazi disponibili, non sia possibile effettuare le cerimonie in tal modo, l’armamento di Ufficiali e Marescialli è costituito dalla sciabola, mentre la truppa impugna sempre armi da fuoco, mai armi bianche a tutela dell’identità e del rispetto del più autentico retaggio Carrista.
Nelle cerimonie e parate, l’arma da fuoco individuale va imbracciata con la cinghia “a tracolla” e non si fa mai uso della baionetta che rimane sempre nel suo fodero, appeso al cinturone.
Sempre in ossequio alle tradizioni rosso-blu che vantano le origini artiglieresche della 1a Batteria autonoma carri armati, le aste dei guidoncini dei reparti sono costituite da aste di scovolo per cannoni. Tale abitudine rappresenta anche “il culto dei materiali” senza i quali viene meno la ragion d’essere dei reparti carri.
Le Insegne dei Comandanti di Reparto
I Comandanti dei reparti inquadrati nel 32° Carri dispongono di una propria insegna costituita da una fiamma in tessuto a due punte con i colori caratteristici del reparto. Per testimoniare la recente appartenenza della specialità all’Arma di Cavalleria, le fiamme hanno dimensione e foggia uguale a quelle delle fiamme delle lance di ordinanza in uso nei reggimenti della cavalleria di linea.
Sui drappi delle compagnie è riamato il fregio di specialità, l’indicazione numerica del battaglione e su quelle dei comandanti di compagnia può essere cucito lo stemma della Compagnia.
Le fiamme sono fissate su un’asta ricavata da due sezioni di asta di scovolo, in legno nudo verniciato, unite con connettori a vite in ottone.
Lungo l’asta sono apposte le targhette metalliche riportanti i nomi dei Comandanti nel tempo avvicendatisi al Comando del reparto, compreso il Comandante in carica. Le targhette riportano la data di assunzione dell’incarico di ciascuno.
All’estremo superiore dell’asta sono annodate le medaglie commemorative delle missioni cui il reparto ha partecipato in configurazione organica.
Il drappo evidenzia, nella forma rifacentesi al drappo blu innestato in capo alle lance, l’odierna appartenenza all’Arma di Cavalleria, nei colori il reparto e l’unità di appartenenza. La foggia dell’asta non soltanto la fedeltà alle origini più antiche della specialità, ma anche, e sopratutto, la mentalità tutta protesa all’efficienza dei mezzi e delle armi in dotazione che da sempre contraddistingue i carristi.
I comandanti di reparto, sono i custodi del passato (e, con esso, del presente e del futuro) dei reparti loro affidati. Nell’impartire i comandi di ordine chiuso al rispettivo reparto, essi non rivolgono mai le spalle ai propri uomini.I Comandanti di reparto carri impartiscono infatti gli ordini guardando negli occhi il personale dipendente, così come si è sempre fatto nei ranghi del 32° Reggimento carri e degli altri reggimenti della specialità.
Assalto Carrista!
I Reggimenti carri non effettuano “la carica” che è tipico retaggio della cavalleria d’altri tempi e che quindi non ha alcun senso nell’ambito dei carristi. Essi, sin dai loro primordi, hanno avuto in dotazione “carri d’assalto” e pertanto, in ideale collegamento spirituale con i loro predecessori, specie coi caduti che costituiscono la gloria del reggimento, sia al termine della fase di attacco, sia in occasione delle cerimonie, i carristi eseguono:
l’ “Assalto Carrista”.
Per gli stessi motivi, nell’ambito del reggimento, l’emanazione degli ordini, dei termini o del linguaggio dell’antica tradizione della Cavalleria di Linea, sia a voce sia a mezzo dei relativi segnali di tromba, è ritenuta estranea alle tradizioni del 32° Reggimento carri.
Come in passato, su tutti i fronti di guerra, l’ordine di salita sui carri rimane quello tipico dei carristi, il solo che esprime - contemporaneamente - tradizione e modernità:
“Montate-Motori!”
L’ordine di discesa resta, naturalmente: “A terra!”
Per tradizione consolidata da ragioni pratiche e normative, il personale del reggimento, quando indossa l’uniforme da cerimonia o l’ordinaria con bandoliera e stivali, non calza mai gli speroni. Infatti, fino al 1945, tutti gli Ufficiali e Marescialli di tutte le Armi dell’Esercito Italiano calzavano gli stivali con gli speroni. Gli speroni erano vietati invece per gli Ufficiali ed i Marescialli delle sole unità motorizzate (e quindi anche quelle carri).
I Colori
L’abbinamento dei colori rosso scarlatto e blu, tipici dei carristi avviene sempre dando la precedenza al blu rispetto al rosso:
- se la partitura è orizzontale, il blu deve risultare sempre al di sopra del rosso;
- se la partitura è verticale od obliqua, il blu deve risultare sempre a destra del rosso;
- nelle coccarde, il rosso deve risultare sempre al centro.
I colori richiamano l’antica appartenenza alla Fanteria, alle truppe motorizzate ed alla città di Bologna che fu la seconda sede del Reggimento capostipite.
Il Basco Nero
Il basco nero è stato esteso all’intero Esercito solo nel 1982, mentre dal 1948 è stato prerogativa delle sole truppe corazzate (carristi, cavalleria, artiglieria corazzata).
Benché attualmente esteso, salvo rare eccezioni, a tutto l’Esercito, il basco nero è quindi considerato il copricapo tradizionale dei Corazzati in genere e dei Carristi in particolare.
Il basco nero, di dimensioni medie, va calzato sobriamente e, di norma, non deve mai essere stirato a guisa di “cresta”.
Per quanto riguarda le gale del basco, queste devono essere sempre lasciate sciolte e pendenti sulla nuca. La loro lunghezza deve raggiungere la base dell’attaccatura dei capelli, senza superarla, la loro larghezza deve essere moderata.
Il basco nero è indossato anche con l’uniforme da combattimento, o con la tuta quando non ci si trovi a bordo dei carri. Gli altri copricapi eventualmente in dotazione non si usano mai, a meno di specifica disposizione e comunque limitatamente allo svolgimento di attività addestrative particolari e atipiche.
Ogniqualvolta sia possibile, il basco nero é indossato anche con l’uniforme ordinaria, specie in occasione della Festa di Corpo o di Specialità e nelle circostanze in cui ci si trova a contatto con personale di altre Armi o Specialità che, con tale uniforme, indossano il copricapo tipico del corpo/specialità di appartenenza.
Il Drago
I Carristi aventi titolo (piloti, Capicarro e Comandanti di minore unità carri che abbiano svolto per almeno sei mesi il loro incarico di comando), indossano sempre sulla propria uniforme di servizio ed ordinaria il distintivo ovale in oro o argento raffigurante il “Drago alato” e recante il motto araldico della Specialità e del 32° carri. La foggia del distintivo rimane quella concepita nel corso della seconda guerra mondiale.
Il modo di indossare la Sciarpa Azzurra
Gli Ufficiali carristi indossano l’antico simbolo dell’Ufficialità italiana facendola passare al di sotto della spallina destra, a ricordo dell’origine della specialità ed in segno di devoto rispetto nei confronti degli Ufficiali che li hanno preceduti nei ranghi del reggimento.
Inoltre:
la noce della sciarpa (sempre integra) deve essere posizionata leggermente al di sopra dell’angolo superiore destro della tasca inferiore sinistra della giubba,ma senza superare l’altezza del giro vita;
le frange pendenti della sciarpa devono essere fra loro annodati al di sotto della noce per evitare lo scorrimento dei capi della sciarpa e l’abbassamento del barilotto.
La Sciabola, i Pendagli e la Dragona
L’elsa della sciabola di Ufficiali e Marescialli carristi ha due fenditure a significare l’origine artiglieresca della specialità e la sua lunga militanza nell’arma di Fanteria.
Per quanto concerne gli ornamenti della sciabola, esistono alcune differenze con le consuetudini in atto presso i reggimenti di cavalleria di linea di cui è opportuno ricordarsi:
- la dragona è sempre inserita nell’apposito foro della guardia anziché alla base dell’impugnatura;
- il cordone della dragona deve avvolgersi con un doppio giro intorno al raccordo tra l’elsa e l’estremo dell’impugnatura, realizzando un nodo attorno al raccordo stesso;
- i pendagli devono essere applicati agli anelli del fodero della sciabola tramite i moschettoni regolamentari.
L’utilizzo corretto di tutti gli ornamenti della sciabola simboleggia l’abitudine dei Carristi al puntiglioso rispetto delle norme tecniche che sovrintendono la cura e l’impiego dell’armamento in dotazione.
La custodia ed il trasporto dello Stendardo
L’Ufficiale Porta-Stendardo è designato tra i Subalterni del reggimento. Il titolare è il Tenente più giovane, il suo naturale sostituto è il Sottotenente più anziano.
Il Comandante del Reggimento si avvale del Porta Stendardo per:
- la difesa del vessillo allorché questo fuoriesce dall’Ufficio del Comandante;
- la custodia di tutta la documentazione e dei cimeli che riguardano lo stendardo (registri delle firme e drappi e cravatte dismessi e sostituiti perché logori).
Da sempre, per il trasporto dello Stendardo in parata, a piedi o a bordo dei carri, i Porta Stendardo del reggimento non usano il bicchiere a tracolla.
Nelle cerimonie, lo Stendardo del 32° reggimento carri può affluire o sfilare a bordo dei carri in dotazione all’unità o, se disponibili anche per la scorta, a bordo di carri d’epoca purché questi siano di modello corrispondente a quello che il reggimento aveva in dotazione all’atto della sua costituzione o nel corso delle campagne di guerra.
Il Porta Stendardo non trasporta mai il vessillo in arcioni, nemmeno in occasione di cerimonie congiunte con le altre specialità dell’Arma di Cavalleria. Non essendo il reggimento mai stato montato, lo sfilamento “a Cavallo” del suo Stendardo non ha infatti alcun senso.
Il Santo Patrono e la Preghiera del Carrista
Il Santo Patrono dei Carristi rimane la generosa figura di San Martino, patrono dell’Arma di Fanteria, non soltanto perché è così da sempre, ma anche per una certa “incompatibilità” tra San Giorgio, patrono dei reggimenti di Cavalleria di linea ed i Draghi, da sempre simbolo dei Carristi Italiani.
Martino nacque nel 317 a Sabaria, una città della Pannonia (attuale Ungheria) figlio di un Ufficiale dell’esercito romano. Trasferitosi a Pavia, qui sentì parlare del Cristianesimo che lo coinvolse fino al punto di diventare catecumeno. Il padre voleva che suo figlio diventasse un soldato e così prestò giuramento militare a soli 15 anni. Una notte d’inverno, mentre faceva la ronda, incontrò un povero vestito di stracci, Martino tagliò il suo mantello in due pezzi e ne donò la metà al povero. Per questa azione fu deriso dai compagni, ma la notte seguente, mentre dormiva, gli apparve Gesù rivestito del suo mantello che diceva agli angeli: “Martino ancora catecumeno, mi ha coperto con questo mantello”. Venne battezzato all’età di vent’anni e giunto ai 40 anni, decise di porre le armi per diventare monaco. Nel 371 essendo morto il Vescovo di Tours, i fedeli di quella città lo acclamarono come loro Vescovo. Il suo episcopato durò 26 anni e la sua fama si sparse ovunque. La morte lo raggiunse nel 397 e le esequie si celebrarono l’11 Novembre.
Con breve Apostolico, il Santo Padre Pio XII ha proclamato il Santo Vescovo Martino di Tours Patrono Celeste di tutta la Fanteria Italiana, accogliendo il desiderio espresso dallo Stato Maggiore dell’Esercito, con l’adesione del Ministro della Difesa, presentato a S. Santità dall’Ordinario militare per l’Italia, S.E. Mons. Carlo Alberto Ferrero.” Questo Atto Pontificio, sigillato con l’anello del Pescatore, porta la data del 24 maggio 1951.
La ragione principale di questa devozione sta nel fatto che i carristi sono gente concreta, genuina e dai costumi frugali, come quelli dei fanti. che si riconosce più agevolmente nella limpida, umile e schietta figura di San Martino distintosi per un gesto al tempo stesso generoso, semplice e vero.
I carristi da sempre, fanno dell’altruismo un credo ed un atto di fede:
“Il Carrista combatte per altri, per altri vince. Animato da altissimo spirito di cameratismo, deve saper compiere ogni sacrificio per ridurre le perdite delle truppe con le quali opera” come recita il “Manuale per il pilota del carro L-35” (Edizione 1940).
La Preghiera del Carrista
A te onnipotente Iddio, Signore del Cielo e della Terra, noi uomini d’arme, eleviamo la nostra preghiera.
Gran Dio, cui obbediscono il ghibli ed il sole cocente, benedici i carristi che riposano sotto la sabbia infuocata.
Dio della Gloria, accogli nella Tua pace le spoglie di coloro che, prima del mortale spasimo, conobbero il tormento dell’arsura.
Dio della potenza, esalta nella Tua gloria il valore dei nostri Caduti, tempra i nostri cuori e rendili più forti dell’acciaio che corazza i nostri carri.
Dio della pace e della bontà, benedici la nostra Patria, le nostre case i nostri carri.
Benediteci, o Signore.
Le Ricorrenze
I Carristi celebrano - tutti insieme - la festa della Specialità il 1° ottobre, data di costituzione del “Reggimento Carri Armati” (1927). Il 32° reggimento carri, celebra la sua festa di Corpo l’8 febbraio, anniversario del fatto d’arme di Bardia (A.S. 1941).
L’Inno dei Carristi
I Carristi del 32° conoscono e cantano le strofe dell’inno tradizionale della Specialità. La musica e le parole dell’inno furono scritte, in origine, dal Capitano Luigi POLETTO che volle comporlo per il 3° Reggimento carri, unità erede del Reggimento capostipite.
L’inno accomuna oggi i carristi di tutti i reggimenti della famiglia rosso-blu. Di seguito se ne propone la versione integrale.
Son d'acciaio i cingoli possenti,
Son d'acciaio come i nostri cuor
Che conoscon tutti gli ardimenti
...e non san cos’è il timor!
Cosa importa se il nemico è forte?
Con l’ardore della volontà
Il carrista sa sfidar la morte,
...E impetuoso avanti va.
Nella lotta ci guidano gli Eroi
I risorti che veglian su di noi!
Siamo carristi (!) tempra d’eroi (!)
Ferrea mole e ferreo cuor,
Le fiamme rosse (!)
che noi portiamo (!)
Simboleggiano il valor
E la vittoria sapremo conquistar,
...e la storia di noi dovrà parlar!
Siamo carristi (!) tempra d’eroi (!)
Ferrea mole e ferreo cuor.
Siamo nati all’alba del carrismo
E l’esempio il cuore ci forgiò!
Dei fratelli il nobile eroismo
alla lotta ci temprò!
Col sorriso andremo alla battaglia
Mentre mamma ci benedirà
Sfideremo, baldi, la mitraglia
Quando l’ora sonerà!
Con la fede, nel cuore e con l’ardir
Noi giuriamo di vincere o morir!
Siamo carristi (!)
tempra d’eroi (!)
Ferrea mole, ferreo cuor.
Le fiamme rosse (!)
che noi portiamo (!)
Simboleggiano il valor
E la vittoria sapremo conquistar,
...e la storia di noi dovrà parlar!
Siamo carristi (!)
tempra d’eroi (!)
Ferrea mole, ferreo cuor.
CAPITOLO VIII
STILE, SOSTANZA E SOLIDARIETÀ
Nel titolo d’onore d’essere Carristi e di servire il glorioso Stendardo del 32° carri, tutti gli uomini e le donne del reggimento, sono pari ed uguali.
I Carristi, così come hanno fatto in cento battaglie, procedono sempre idealmente schierati in linea, con le stesse possibilità e rischi: dal carro alla Compagnia, differenziati soltanto per la responsabilità del Comando e la formazione operativa.
Ufficiali, Sottufficiali e Carristi del Reggimento hanno mescolato, in guerra, il loro sangue. Tutti sono perciò consapevoli che la condivisione della fatica non mette mai in pericolo l’Autorità, al contrario, la rafforza con l’Esempio che la trasforma in Autorevolezza.
Pertanto, nell’ambito del reggimento, come in Campagna così in guarnigione, la superiorità del grado non giustifica mai i privilegi fini a se stessi, ma individua e definisce esclusivamente la suddivisione delle responsabilità, i compiti ed il livello della competenza professionale.
A prescindere dal rango, tutti i carristi sono perciò usi a condividere, indistintamente, comodità e disagi, non a parole, ma con fatti concreti.
I componenti di un equipaggio partecipano, tutti insieme, alla cura del proprio carro. I capicarro cui è affidato anche l’incarico di Comandante di Plotone carri partecipano comunque all’attività con il proprio equipaggio.
I Comandanti Carristi sono prima di tutto Carristi fra i Carristi. Ai dipendenti non è quindi mai negato ciò che può lecitamente essere concesso. A bordo del carro ognuno è indispensabile all’altro. Ogni equipaggio è elemento indispensabile della potenza di fuoco dell’ intera compagnia.
La compattezza e la saldezza sempre dimostrata dai reparti carristi si concreta volendo con determinazione l’equità e, nel contempo, sempre rifuggendo l’appiattimento e l’iniquità fine a se stessa: l’equità Carrista deve tendere - in sostanza - all’eccellenza.