Montella:

la flora, la fauna e il Parco dei Monti Picentini

Montella è un paese situato ai piedi del massiccio dei Monti Picentini, massiccio che si completa con l’Appennino Campano ed è compreso tra le valli dei fiumi Ofanto, Sele, Tusciano, Picentino, Irno, Sarno, Sabato e del fiume Calore, fiume quest’ultimo, che nasce e percorre il suo primo tratto appunto nel nostro territorio.

Il nome di questi monti, che comprendono due province, quella di Avellino e quella di Salerno, e nella cui circoscrizione operano ben 4 comunità montane (Terminio-Cervialto, Alta Irpinia, Alto e Medio Sele e Valle dell’Irno) con il coinvolgimento di 31 comuni (di cui ben 19 nella nostra provincia), forse deriva dal nome degli abitanti dell’antica Picentia che i romani rasero al suolo perché aveva ospitato il condottiero cartaginese Annibale.

Questo massiccio montuoso, con le sue mirabili cime, quali il Cervialto (1809 m.), il Terminio (1788 m.), il Polveracchio (1790 m.), l’Acellica (1660 m.), il Mai (1607 m.) e il Sassosano (1419 m.), rappresenta un imponente polmone verde della Campania e presenta, al suo interno, una flora ed una fauna che, per la sua varietà, bellezza, interesse ed unicità, va sicuramente ammirata, amata, rispettata e protetta.

Per questi motivi, già da tempo, il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, con decreto del 28 marzo 1985, ha dichiarato l’intero territorio "di notevole interesse pubblico" ed ha individuato nel nostro comprensorio aree di particolare interesse naturalistico-ambientale perché: "costituiscono una serie di incomparabili quadri ambientali, osservabili da numerosi punti di belvedere, formati da massicci calcarei, pianori appenninici, da boschi e verdeggianti pascoli posti ai margini di faggete di notevole estensione. L’integrità ambientale delle vette, la ricca vegetazione che, tipica della montagna appenninica, ricopre i Monti Picentini, nonché la unitarietà inscindibile dell’area sotto l’aspetto ambientale, geologico, naturalistico danno vita ad un patrimonio di grande pregio paesaggistico degno di un’adeguata tutela."

Sempre in questa ottica, negli ultimi anni, le autorità territoriali competenti, si stanno adoperando affinché sia istituito il "Parco dei Monti Picentini".

La costituzione di detto parco, comunque, non ha come solo ed unico scopo quello di salvaguardare le flora e la fauna presenti al suo interno, ma rappresenterebbe anche una importante fonte di ricchezza e potrebbe dare un notevole impulso al turismo con le conseguenti ripercussioni sul suo indotto (agriturismo, ristorazione, souvenir, prodotti tipici, ecc.).

Purtroppo, ancora oggi, c’è gente che pensa che con la realizzazione del parco avrebbe dei notevoli svantaggi (maggiore controllo dei tagli boschivi, restrizioni venatorie, limiti edilizi, ecc.) non considerando che i vantaggi sono di gran lunga superiori agli eventuali svantaggi.

Comunque, al di là di queste diatribe, a noi preme soprattutto soffermarci sugli aspetti naturalistici della zona che, per la loro bellezza ed il loro estremo interesse, vanno senz’altro salvaguardati.

Prima di scendere in più approfonditi dettagli, circa la flora e la fauna presenti sulle nostre montagne, vogliamo soffermarci, seppur brevemente, su alcuni aspetti paesaggistici di particolare bellezza che sono ubicati nel territorio del nostro comune.

Non possiamo esimerci dal segnalare alcune bellezze naturali che sarebbe bene non trascurare di inserire nei nostri itinerari escursionistici.

Percorrendo la via per Acerno, dopo 2-3 km, si giunge al Varo della Spina, da dove, prendendo il sentiero sulla destra, immediatamente prima del ponte sul fiume Calore, e al cui imbocco vi è una freschissima sorgente, con un poco di coraggio, percorrendo uno stretto e impervio viottolo, si oltrepassa la Jonta, dove la Scorzella confluisce nel fiume Calore, e si giunge al Ponte del Fascio (un ponte costruito per l’Acquedotto dell’Alto Calore, così chiamato per gli stemmi che ancora porta impressi) e che sovrasta una spettacolare cascata.

Poco oltre, sul fianco nord-occidentale del Monte Serralonga (1205 m), in destra idrografica del vallone Scorzella e ad una quota di 770 m./s.l.m., si apre l’ingresso della Grotta del Caprone (o del Caperrone), ricca di concrezioni stallatitiche e stallagmitiche.

Continuando per la via di Acerno, dopo aver fatto ancora qualche chilometro, prendendo a sinistra, ci si può inoltrare nello stupendo scenario delle Petiniti e risalire il corso del v.ne Salecone e del v.ne Cupo, ove si può ammirare uno spettacolo naturale di indicibile bellezza e delle affascinanti cascate.

Viceversa, prendendo a destra della suddetta strada, possiamo percorrere il primo tratto del Calore, che offre uno spettacolo analogo.

Andando ancora avanti per la SS che conduce ad Acerno, a 6,6 km. dall’abitato, deviando a destra, tra boschi cedui e maestosi castagneti, si può giungere alla incontaminata Acellica, dove l’intervento dell’uomo ancora non ha prodotto alcun danno e al Vallone della Neve, una impervia gola ove la neve persiste per tutto l’arco dell’anno.

La scalata alla vetta della "Célica", che è posta a 1657 metri, è dura e faticosa, ma la visione che si gode, una volta raggiuntala, compensa abbondantemente la fatica dell’ascesa.

Un panorama sconfinato si apre ai nostri occhi: a sud il Golfo di Salerno e il suo retroterra costellato di paesi; dagli altri lati vette che si succedono a perdita d’occhio il tutto accompagnato da un ameno silenzio e da una gradevole pace.

Un’altra meta di grande interesse è il Piano di Verteglia che può essere raggiunto percorrendo l’omonima strada provinciale.

Dopo aver costeggiato la contrada Lago, giunti a Croci, all’incrocio con la strada che porta a Volturara, si prosegue a sinistra per circa 14 km ove, a 1178 m./s.l.m. si disloca il pianoro di Verteglia racchiuso fra monti coperti da una intensa vegetazione ad alto fusto ricchi di fragole, origano e numerose varietà di funghi.

Il pianoro è costellato da narcisi, viole, crochi, bucanevi, gigli tigrati e asfodeli (è interessante notare che, contrariamente ai bovini di altre zone, per le quali gli asfodeli risultano tossici, la razza bovina presente sui nostri alpeggi, ovverosia la razza podolica irpina, dimostra di gradire questa pianta in modo particolare).

Su una piccola altura è situato il rifugio comunale e, ad ovest di questi, poco oltre, la sorgente dell’acqua della Madonna che dopo essere uscita da una grotta e finisce in un inghiottitoio.

Più innanzi la sorgente dei Candraloni, la cui acqua, dopo un breve percorso, finisce nell’omonimo inghiottitoio da dove riemerge, qualche centinaio di metri più a valle, nel sottostante piano delle Acque Nere, la cui incantevole bellezza può essere da qui ammirata.

Sempre in zona si possono ammirare i Butti della Tofara, formati dalle acque provenienti dalle Acque Nere, e il Varo dell’Orso, due posti che sono di particolare interesse.

Dal Piano di Verteglia si dipartono numerosi sentieri che ci consentono di esplorare ameni pia-nori e panoramiche vette quali il Sassetano (m. 1441), il Cercetano (m. 1342), e il Terminio (m. 1806).

Prendendo la SS 574 e fermandosi al km 11, quando le condizioni meteorologiche lo consentono, si gode di un paesaggio a dir poco eccezionale: la nostra vista può spaziare su parte del Golfo di Napoli, sulla costiera Sorrentina e riuscire a vedere persino l’isola di Capri; una interminabile catena di monti fa da cornice a tutto il resto e un piacevole senso dell’infinito pervade il nostro spirito.

Un altro spettacolo grandioso ci viene offerto dalle imponenti Ripe della Falconara, in comune di Serino, raggiungibili prendendo la via per Campolaspierto e deviando a sinistra per qualche centinaio di metri.

Da queste altissime rupi lo sguardo si estende sulla Valle del Sabato abbracciandone una vastissima porzione; il panorama è maestoso, sconfinato, superbo, e se abbiamo un po' di fortuna potremmo fare il nostro incontro con l’aquila reale, signora incontrastata del luogo.

Ma le bellezze che ci offre il Parco dei Monti Picentini, anche a volerci limitare solo a quelle ubicate nel territorio di Montella, non finiscono qui.

Numerose grotte e inghiottitoi costellano il nostro territorio: la grotta della Malandrena, in località M. Sovero; le grotte Germania e Gautelle, in località Gautelle; la grotta del Riccio, in zona Felettosa; la grotta Savina, nell’omonima località; ed ancora le Grotticelle al Varo della Spina e la Cevata, nella zona detta Nido dell’aquila.

Innumerevoli sono le sorgenti ed i corsi d’acqua, che serpeggiano fra boschi incontaminati ed inaccessibili dirupi, gorgogliando limpidissimi verso valle e formando spettacolari cascate.

Volendo ora considerare gli aspetti faunistici ci soffermeremo dapprima sulle piante ad alto fusto presenti all’interno del parco.

L’albero più diffuso è senz’altro il faggio (fagus sylvatica) che ricopre la maggior parte del territorio.

Questo albero può raggiungere i trenta metri di altezza con un tronco che può superare il metro e mezzo di diametro; ha foglie caduche, di forma ovale, con margini ondulati e il suo legno è duro, compatto e assai apprezzato per lavori di falegnameria oltre che per legna da ardere.

Il secondo posto, in ordine di diffusione, spetta certamente al castagno (castanea sativa), albero questo che occupa un posto predominante nell’economia del nostro paese e di cui si parla più diffusamente nell’articolo dedicato all’argomento.

Quindi troviamo la quercia, nelle sue molteplici varietà, [quercus ilex (elce o leccio), q. cerris (cerro), q. pubescens (roverella), q. petraea, q. frainetto, q. robur, q. coccinea], pianta ad alto fusto dal legno duro e compatto, molto apprezzato sia come legna da ardere che in falegnameria, foglie con margine lobato e i cui frutti, le ghiande, un tempo venivano utilizzate per l’alimentazione degli animali (in tempo di guerra le ghiande, non di rado, sono state utilizzate anche per l’alimentazione umana).

Vi sono poi il pino, albero maestoso delle conifere con la caratteristica chioma dilatata ad ombrello; l’abete bianco (abies alba), il larice (larix decidua, l. kaempferi, l. x eurolepis); il ginepro (juniperus communis); l’olmo montano (ulmus glabra); l’acero, nelle diverse varietà, (acer campetre, a. palmatum, a. monspessulanum, a. platanoides, a. rubrum, a. labellii) ed in particolare l’acero fico o acero di monte (acer pseudoplatanus) e l’acero napoletano (acer abtusatum), una varietà di acero esclusivo delle nostre zone; il frassino (fraxinus excelsior, f. ornus); l’ontano napoletano (alnus cordata); il pioppo nostrano (populus alba); il carpino (ostrja carpinifolia e o. betulus); il tiglio (tilia cordata); ed ancora un bosco autoctono di betulle (betula pubescens, b. pendula) ubicate nella Valle d’Acera, sul pianoro del Laceno, e che sono un residuo dell’era glaciale.

In maniera sporadica si incontrano anche alcune varietà molto rare, come il tasso (taxus bacata), il sorbo degli uccellatori (sorbus aucuparia), il pino loricato (pinus leucodermis), il maggiociondolo (laburnum anagyroides), il ciliegio selvatico (prunus mahaleb), il melo selvatico (malus sylvestris), il perastro o pero selvatico (pirus comunis); il lauro o laurotino (viburnum tinus) e il nocciolo selvatico (corilus avellana).

Numerose sono le piante arbustive come l’agrifoglio (ilex aquifolium), il biancospino (crataegus monogyna e c. oxyacantha), il sambuco (sambucus nigra), il prugnolo (prunus spinosa), il nespolo (mespilus germanica), il corniolo (cornus mas), la mortella selvatica o lentisco (pistacea lentiscus), l’alianto (aliantus altissima), la ginestra di Spagna, (spartium junceum), la ginestra dei carbonai (sarothamnus scoparius) e numerose varietà di rose selvatiche (rosa canina, r. tormentosa, r. pimpinellifolia).

Centinaia, se non migliaia, le varietà di fiori spontanei e di piante terricole, moltissime delle quali officinali, e di cui molte rare, se non uniche, presenti nel nostro territorio. (vedi anche: Le erbe nella cultura popolare in medicina, in bellezza, in cucina e nella superstizione sul sito: www.xxxxxxxx)

A parte alcune varietà, già note ai più, come ad esempio la fragola (fragaria vesca), il rovo (rubus ulmifolius), il lampone (rubus idaeus), il pungitopo (ruscus aculeatus), l’asparago selvatico (asparagus afficinalis), l’iperico (hypericum perforatum), la camomilla (matricaria chamomilla), la malva (malva sylvestris), la borragine (pulmonaria officinalis), l’origano (origamun vulgare), il dente di leone o soffione (taraxacum officinale), la cicoria selvatica (cichorium intybus), il finocchietto (foeniculum vulgare), il crescione (barbarea vulgaris), il ciclamino (cyclamen hederifolium), il garofanino di montagna (dianthus deltoides), il narciso (narcissus poeticus), la viola mammola (viola odorata), la primula (primula vulgaris e p. veris), il croco (crocus sativum), il bucaneve (galanthus nivalis) o il giglio di S. Giovanni (lilium croceum) e le numerose varietà di orchidee (gymnadenia conopsea, orchis mascula, ophrys apifera, platanthera chlorantha, dactylorhiza maculata, anacamptis pyramidalis).

Vanno, particolarmente ricordate, per la loro importanza, la loro bellezza o la loro rarità: il vischio (viscum album), pianta semiparassitaria che vive abbarbicata a numerosi alberi e l’edera (hedera helix), alle quali, così come per l’agrifoglio, sono legate numerose leggende e credenze, la sabina (juniperus sabina), i velenosi elleboro fetido (helleborus foetidus), la belladonna (atropa belladonna), la cicuta maggiore (conium maculatum), lo stramonio (datura stramonium), il giusquiamo (hyoscyamus niger), la preziosa valeriana (valeriana officinalis), la felce maschio (polystichum filix-max Roth), il capelvenere (adiantum capillus Veneris L.), e la rarissima e curiosa pianta carnivora rosolida o drosera (drosera rotundifolia), tanto per citarne alcune.

Nel campo micologico numerosissime sono le varietà di funghi presenti sul territorio, fra i quali citiamo solo i più noti: porcini "muniti", ovoli "viruoli", gallinacci "addruzzi", ditole "addrinèddre", russule delica "piescki", mazze di tamburo "conocchie", le cosiddette "aleche" e i pregiati tartufi neri, ma anche le velenosissime amanite fra cui la bellissima, quanto pericolosa, amanita muscaride.

Anche per quanto riguarda l’aspetto faunistico, nei nostri boschi si riscontra la presenza di numerose specie animali di grande interesse.

Per quanto riguarda i mammiferi si possono incontrare diverse varietà fra cui il cinghiale, la volpe, la lepre, il riccio, lo scoiattolo, il ghiro, il criceto, la faina, la donnola, la martora, il tasso e, seppur raramente, il lupo (attualmente se ne contano circa 15 esemplari), il gatto selvatico e la lontra.

Purtroppo da tempo è scomparso l’orso bruno, mentre si sta cercando di operare la reintroduzione del cervo, del daino e del capriolo, una volta molto numerosi da queste parti.

Fra i volatili ricordiamo la rarissima aquila reale, il falco pellegrino, la poiana, il nibbio reale e il nibbio bruno, il gheppio, lo sparviero, il lanario, il raro astore, il picchio rosso e il picchio nero, la bellissima upupa, il cuculo e vari rapaci notturni come il gufo reale, la civetta capogrosso e il barbagianni.

Purtroppo altre specie, come la starna italica e la coturnice, una volta presenti sul nostro territorio, sono oggi del tutto scomparse.

Fra i rettili si riscontra la presenza della vipera, l’unico serpente velenoso in Italia, e di numerose altre varietà, tanto innocue quanto utili, come: l’elafide, con la varietà (elaphe quatuorlineata), detta volgarmente cervone, lunga fino a 2,40 m, di colore chiaro con quattro strie marroni che percorrono longitudinalmente il corpo, e la varietà (elaphe longissima o coluber Aesculapii), detta saettone o colubro di Esculapio, lunga sino a 2 m, di colore bruno quasi uniforme; il biacco, detto anche colubro verde-giallo o milordo, (coluber viridiflavus), cioè la comune ed innocua serpe nera, lunga sino a 1,85 m e che varia da una colorazione giallo e nera a quasi del tutto nera; la biscia dal collare (natrix natrix); la serpe del latte (lampropeltide), e qualche altra varietà che non siamo riusciti ad identificare (una di colorazione completamente verde ed un’altra di colore nero con numerosissime macchie bianche, di forma rotonda, su tutto il corpo).

Sempre fra i rettili troviamo l’orbettino (angus fragilis), che pur non essendo un serpente viene assai spesso ritenuto tale, il ramarro, dal bellissimo colore verde smeraldo, e la tartaruga, mentre fra gli anfibi troviamo il tritone comune (triturus vulgaris) e il tritone crestato (triturus cristatus), la salamandra, e vari generi di rane e rospi come l’ululone a ventre giallo (bombina variegata).

Non è il caso di soffermarci sulle innumerevoli varietà di insetti che si rinviene all’interno del nostro parco, anche se alcune varietà costituirebbero la gioia di molti studiosi o collezionisti, vista la loro bellezza o la loro rarità.

Anche fra la fauna ittica, il Parco dei Monti Picentini, offre una sua varietà autoctona di trota fario, la (salmo truta ***)1, del tutto unica, e nelle limpide acque dei nostri rivi anche la presenza del granchio e del gambero d’acqua dolce.

Ma, se questo immenso patrimonio, che abbiamo ereditato dai nostri avi, non viene adeguatamente conservato e protetto, molto presto potremmo vederlo svanire, così come già è capitato in numerose altre parti d’Italia e del mondo.

Con questo non intendiamo dire che esso va posto "sotto una campana di vetro" senza che vi sia la possibilità, da parte di alcuno, di poterne usufruire; al contrario, l’uomo, in quanto tale, è parte integrante dell’ecosistema, cioè di quell’insieme di rapporti esistenti tra una comunità di esseri viventi, animali e vegetali, e del suo ambiente, ovvero l’insieme delle popolazioni animali e vegetali presenti in un dato ambiente, legati fra di loro da rapporti di cooperazione (società, simbiosi, ecc.) e di antagonismo (nutrizione, parassitismo, ecc.).

In questa ottica, anche il turismo ha una funzione importante per il bosco, poiché senza di esso, senza che l’uomo possa godere ed apprezzare il fascino e la magia della natura, è come se il bosco non avesse alcuna bellezza.

Ovviamente ciò non vuol dire che ognuno ha la libertà di "usare" la natura come gli pare e piace, raccogliere o uccidere tutto ciò che incontra sul suo cammino, che la usi come se fosse una pattumiera, o, peggio ancora distrugga e devasti ciò che essa ha saputo creare nel corso dei millenni, ma bisogna avvicinassi ad essa con rispetto e riverenza, oseremmo dire con religiosa sacralità.

1.

La varietà di Trota Fario (Salmo Truta Fario), che si trova nei nostri corsi d'acqua, è una specie autoctona presente solo nel massiccio del Monti Picentini e, a differenza delle altre varietà, presenta la caratteristica pigmentazione di puntini rosso.arancio anche sulle pinne.