IlSole24ore,domenica 16 Maggio 1999 Politica internazionale

Dietro la guerra, i «corridoi».

L’importanza strategica della Jugoslavia è nella sua posizione tra Europa e Asia

diAlberto Negri

A che cosa servono i Balcani e qual è il significato strategico di questa guerra, l’ultima del secolo, o forse la prima del ventunesimo? «Siamo qui anche per difendere le vie di comunicazione Est­Ovest e dell’energia», si è lasciato sfuggire qualche settimana fa il generale britannico Mike Jackson, che comanda le forze di terra Nato in Macedonia. L’importanza strategica della Jugoslavia è nella posizione che occupa come più importante via di comunicazione terrestre tra l’Europa, il Medio Oriente e le rotte del petrolio in Asia e nel Caucaso. Mentre esplodono le polemiche sull’intervento Nato, questa guerra in apparenza evitabile non sfugge alla logica di un confronto più ampio tra Occidente e Oriente, tra Nord e Sud del mondo iniziato con il crollo del Muro. In realtà, per motivi contingenti ma collegati tra loro, si sta combattendo da dieci anni un lungo conflitto tra potenze e blocchi di potenze.
I livelli dello scontro sono sempre gli stessi — politici, economici e militari — ma è il teatro che è cambiato. Con la fine della guerra fredda e la disgregazione dell’Urss — in cui si riflette come in uno specchio quella della Jugoslavia — si è liberato uno spazio immenso con le sue risorse economiche ed energetiche: l’«Eurasia», l’area compresa tra l’Oceano Artico, il Mar Caspio, il Caucaso e il Lago d’Aral. Questo continente riemerso dalla glaciazione delle guerra fredda, agganciato alla Russia, confinante con il Medio Oriente e l’Asia sud­occidentale, percorso un tempo dalla Via della Seta, è il nuovo scenario di conflitto ma anche di cooperazione tra gli Stati.
Sull’asse tra Occidente e Oriente si combatte da dieci anni una battaglia a colpi di pipeline, gasdotti, autostrade e ferrovie. «I Balcani non valgono la vita di un solo granatiere di Pomerania», fu la storica frase di Bismarck alla vigilia della Conferenza di Berlino del 1878 ma in realtà, come già avvenne alla fine dell’800 nel gioco delle potenze coloniali dell’epoca, anche oggi si sono riaperte le mappe per disegnare i corridoi Est­Ovest e Nord­Sud dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni e, naturalmente, della politica.
Nasce così in Europa l’idea di dare ai nuovi stati dell’ex «Impero rosso» un’alternativa al monopolio di Mosca sui grandi assi commerciali con il Transport Corridor Europe­Caucasus­Asia, in sigla Traceca, appoggiato con forza anche da Washington. L’asse euro­asiatico, dal punto di vista americano, ha il doppio vantaggio di tagliare fuori Mosca e Teheran e consolidare il ruolo di stato­cerniera tra Est e Ovest del principale alleato Usa nella regione, la Turchia. L’accordo militare tra Ankara e Israele completa l’arco delle alleanze in Medio Oriente cogliendo altri due obiettivi: rafforzare il controllo strategico sugli Stretti, nel Mediterraneo orientale e quello su Kurdistan e Anatolia, le chiavi di accesso al bacino del Tigri e dell’Eufrate e alle risorse idriche di buona parte del mondo arabo (Irak e Siria). «La prossima guerra in Medio Oriente scoppierà per l’acqua», è il mantra che ripetono da anni le diplomazie mediorientali e gli studiosi di geopolitica. Intanto il caso Ocalan ha messo al passo in pochi mesi Damasco, Mosca, Atene, logorando i rapporti tra Europa e Turchia.
In fondo lo «zio Apo» è stata una vittima eccellente della nuova geopolitica euro-asiatica. È interessante notare come il caso Ocalan, iniziato con Siria e Turchia sull’orlo di una guerra, e continuato tra potenti frizioni internazionali, sia stato "risolto" con un manovra di diplomazia segreta. Dove è finita invece la questione curda?
L’Europa da tempo si sta giocando a Oriente e nella polveriera balcanica la partita per aprire sotto il suo controllo le rotte dell’Eurasia. È guidata da una serie di programmi comuni delineati a Bruxelles — sono previsti investimenti da qui al 2015 per 90 miliardi di Ecu e interventi su 18mila chilometri di strade, 20mila di ferrovia e 13 porti marittimi — ma in realtà nelle retrovie dei campi di battaglia, in Jugoslavia, Kosovo, Albania e Macedonia, ogni stato dell’Unione spinge per la soluzione geopolitica ed economica più conveniente.
Esemplare è il caso del Decimo Corridoio, la via che da Germania e Austria, passando per Zagabria-Belgrado-Skopje, ha un terminale nel porto ellenico di Salonicco e un altro nella valle che dalla Morava conduce al porto bulgaro di Vardar sul Mar Nero. Lo sviluppo di questa direttrice Nord­Sud è appoggiata da Grecia, Serbia e Russia, con la Germania pronta a infilarsi nel Corridoio del Danubio dove la sua diplomazia lavora tenacemente da un secolo, dai tempi del Congresso di Berlino alla caduta del Muro.
Da sempre posta in palio nel grande gioco geo-politico dei Balcani questo asse, in cui si è visto una sorta di collegamento tra i Paesi ortodossi (Russia, Serbia, Grecia), non ha ancora un’alternativa definita. La guerra nei Balcani, interrompendo le comunicazioni tra Nord e Sud, prima per l’embargo e poi per gli eventi bellici, ha sottolineato ancora una volta quanto sia indispensabile il Decimo Corridoio. Non è forse Salonicco la base di partenza per il build up logistico della Nato in Macedonia?
Lo stato di necessità creato da dieci anni di instabilità e guerre balcaniche ha costretto a sviluppare nuove vie, soprattutto attraverso l’Adriatico. Una di queste è l’Ottavo Corridoio che ha l’ambizioso progetto di collegare i porti della Puglia con quelli dell’Albania per poi arrivare in Turchia e in Asia attraversando la Macedonia e la Bulgaria. Un’altra strada è costituita dal Quinto Corridoio, con il collegamento tra Ancona e il porto bosniaco di Ploce: da qui si può andare a nord­est ricongiungendosi con l’Ungheria o scendere verso la dorsale balcanica dell’Adriatico. Sia l’Ottavo che il Quinto sono vie più costose rispetto al Decimo, ma con l’integrazione nel sistema dei trasporti possono diventare molto competitive. È evidente che lo sviluppo dei corridoi adriatici porta un beneficio immediato all’economia dell’Italia, inoltre queste vie rappresentano un’alternativa strategica che sfugge al controllo diretto di alcuni Stati balcanici, della Russia e anche della Germania. Non è un caso che l’Ottavo Corridoio abbia i suoi sponsor a Roma ma anche in Usa e in Francia. Questa oggi è la complicata realpolitik di quella che è stata definita la guerra «etica» del Kosovo, la prima del ventunesimo secolo, certamente non l’ultima nel gioco del potenze tra Est e Ovest.

guerra

nel mondo

EconoSua

finanzaLoro

fisco

omicidi

lotte

fiat

varie

prima pagina