Dal sito: http://www.regione.veneto.it/videoinf/periodic/precedenti/numero9/catari.htm
Veneti nel Mondo  
Anno II - Numero 2
Febbraio 1998
LA COLONIZZAZIONE ITALIANA IN SANTA CATARINA (BRASILE)
Una breve ricerca storica curata dall’Associazione Veneta della Grande Florianopolis

Se della Conferenza dei Veneti in America Latina, tenutasi in Brasile nel novembre scorso, è stato da tutti tracciato un bilancio positivo, lo si deve anche all’efficienza e alla capacità dimostrata dagli organizzatori di questa "tre giorni" di confronto e dibattito, che ha di fatto aperto una nuova stagione della politica della Regione Veneto nel settore dell’emigrazione.
I meriti sono dell’Associazione Veneta della Grande Florianopolis (e-mail:
veneto@veneto.org.br), che promuove diverse attività di carattere formativo e culturale. Oltre allo studio delle lingue, offre la possibilità di frequentare altri corsi professionali (turismo e scuola alberghiera, decorazione, disegno) e didattici (letteratura, storia, geografia, storia dell’arte, economia, ecc.), organizza viaggi culturali, mostre e cicli di proiezioni dedicati alla cinematografia italiana.
In una nota di presentazione dell’Associazione, si legge: "Non dobbiamo soltanto ricordare. Dobbiamo conoscere e recuperare le radici profonde della nostra storia. Sappiamo che il Veneto è stata la regione italiana che ha maggiormente contribuito alla formazione del popolo catarinense e, pur conservando nel nome dell’Associazione il cordone ombelicale con questa regione, sappiamo che non è possibile continuare nel nostalgico".
A dimostrazione dell’importanza che attribuisce ai contenuti culturali e storici, l’Associazione Veneta della Grande Florianopolis ha distribuito ai partecipanti alla conferenza di novembre una breve ricerca dal titolo "La colonizzazione italiana in Santa Catarina".
Si tratta di un pregevole lavoro che, partendo dalla storia dell’emigrazione verso l’America Latina, analizza l’attuale situazione socioeconomica dello stato brasiliano.
Ci è parso quindi opportuno riportare nelle nostre pagine questo interessante contributo.

LA COLONIZZAZIONE ITALIANA IN SANTA CATARINA

Il fenomeno della colonizzazione iniziò nel 1875 e la causa principale fu la situazione travagliata che colpì il mondo contadino del Nord Italia e che ebbe la miseria come fattore determinante per l’esodo della popolazione rurale.
Chi giunse in Brasile come emigrante, non lo fece per spirito di avventura, ma costretto dalla miseria.
D’altro canto, l’esodo fu favorito dalla politica che alcuni paesi dell’America del Sud attuò per attirare contingenti di popolazione destinati a promuovere la colonizzazione dei loro territori.
Fu così che migliaia di contadini presero il treno per Genova o per i porti francesi, da dove si imbarcarono con un solo scopo : "Fare l’America".

"Piuttosto complessa è la storia della colonizzazione in Santa Catarina. Molti furono gli esperimenti tentati nella regione e il loro esito molto vario.
Per la Provincia di Santa Catarina, le ragioni che consigliavano la colonizzazione con agricoltori europei erano in parte diverse dalle ragioni che consigliarono il Brasile a cercare l’immigrazione europea. Innanzitutto non si trattava di fornire le "fazendas" di manodopera per sostituirvi gli schiavi.
Al massimo, i governi nazionali sfruttarono l’immagine delle colonie di Santa Catarina per accelerare l’immigrazione europea in tutto il Brasile e guidarla verso le fazende.
Non era impellente nemmeno il bisogno di "far più bianca" la popolazione. Bisognava innanzitutto popolare la regione e ciò fu lo stimolo che condusse le autorità locali ad agire nel secolo XIX con coerenza per aumentare il numero delle colonie e l’affluenza dei coloni europei.
Era questo un interesse che coincideva con un altro interesse del governo centrale: difendere le frontiere del sud del paese dalle pretese argentine." (da "Vincere o Morire" di Renzo Maria Grosselli – Trento, 1986).

La prima colonia italiana in Santa Catarina - 1836

La fondazione della prima colonia italiana nella Provincia di Santa Catarina risale al 1836.
La colonia, chiamata "Nova Italia", nacque dall’iniziativa di due imprenditori: Enrico Schutel, cittadino svizzero e agente consolare del Re di Sardegna a Genova e Carlo De Maria, cittadino inglese nato a Genova. Essi ottennero dalla provincia la concessione di una certa estensione di terra e nel 1836 vi condussero 186 coloni, prevalentemente italiani di origine genovese, alcuni tedeschi e brasiliani.
La colonia non ebbe molta fortuna: gli imprenditori si comportarono come schiavisti, il fiume Tijucas, sulle cui rive era situato l’insediamento, straripò, numerosi coloni furono uccisi nel corso di attacchi da parte degli indios.
Molte famiglie lasciarono la colonia (situata a pochi chilometri da dove, quarant’anni più tardi sorgerà Nuova Trento) e le terre tornarono alla Provincia, che le rinomino prima in "Don Afonso" e più tardi in "Sao Joao Batista".
Nel 1875, anno in cui si insediarono i primi coloni trentini, veneti e lombardi, esistevano in Santa Catarina cinque colonie attive: Blumanau, D.  Francisca, Itajahy - Principe D. Pedro, colonia militare Santa Teresa, colonia Nazionale Angelina. Le tre prime erano colonie in cui l’elemento europeo, soprattutto di origine tedesca, era predominante. Le ultime due accolsero soprattutto coloni brasiliani.

La spedizione Tabacchi

Attorno all’anno 1872, Pietro Tabacchi, trentino, stipulò un contratto con il governo brasiliano per l’introduzione di un certo numero di emigranti trentini. Era una forma molto comune di contratto per il Brasile di quegli anni. Il governo concedeva delle terre agli imprenditori, ottenendo la promessa che esse sarebbero state popolate e coltivate da coloni europei. Il prezzo e le condizioni di pagamento sarebbero state molto vantaggiose. L’imprenditore, che generalmente faceva parte di una società, si impegnava col governo a trasportare i coloni sul posto più o meno gratuitamente e a dar loro un pezzo di terra, che generalmente doveva essere pagata a rate. Sull’enorme differenza di prezzo, l’imprenditore ci guadagnava moltissimo.

Il contratto Caetano Pinto

Nel 1874 la febbre Americana entrò nella vita di molte comunità contadine del nord Italia. Era l’inizio di un fenomeno che raggiunse il suo apice negli anni 1875-76 e che rimase una costante fino agli anni 1940. Nel 1874, il governo Imperiale di Don Pedro II stipulò con l’impresario Caetano Pinto un contratto per il trasferimento in Brasile di centomila coloni europei in dieci anni. L’organizzazione Caetano Pinto usò una strategia particolare per poter avvicinare i potenziali emigranti: in poco tempo il nord Italia fu percorso da decine di uomini che avvicinavano i contadini, prostrati dalla crisi economica e dai cambiamenti socioculturali, convincendoli ad emigrare in Brasile.

La partenza

La partenza dal paese avveniva, di solito, in grandi gruppi, specie negli anni 1874 e 1877. I loro punti di ritrovo erano le stazioni ferroviarie delle città più vicine. La seconda tappa era la città di Verona dove gli emigranti si radunavano.
Dopo la sosta di una notte a Verona si dirigevano in treno verso il porto di Genova; chi partiva da Marsiglia o le Havre, in Francia, faceva una sosta in più tra Verona e Parigi, nella città di Modane.

Il viaggio

L’epoca dell’emigrazione ha conosciuto pagine tristissime: per migliaia di esseri umani sono stenti e malattie durante il viaggio con la nave o durante i primi anni di vita nelle colonie e nelle piantagioni oltremare.
Molti emigranti fecero un viaggio in condizioni dignitose, molti altri pessimo e non pochi pagarono con la vita. Alcuni furono trattati giustamente e secondo gli accordi firmati nel contratto, altri furono miseramente ingannati.
Il mezzo di trasporto più comune per trasportare questa gente erano le navi a vela, invece delle promesse navi a vapore. uestoQuesto Questo significava almeno raddoppiare il tempo di navigazione (e perfino e triplicarlo o quadruplicarlo) con conseguenti maggiori rischi di malattie e morti a causa della cattiva alimentazione a bordo e dell’ammassamento di persone.
Con la nave a vapore il tempo previsto per l’attraversamento era di circa un mese. Con la nave a vela era, minimo, di due mesi.

L’arrivo nella nuova terra

I NA BEN PASA’ TANTE’STI ANI
I PRIMI CHE E’ VEGNU’ EN MEZ AL BOSCH !
COS E’ CHE TE MAGNI DE COLP ?
NDE CHE TE VAI A DORMIR ?
NDE CHE TE GAI LA CASA?
NO L’E’ MIGA BRINCADERE,
SAVE’ FIOI, SACRAMENTO !
Celso Pasqualini, Rodeio

Gli immigrati che arrivarono a Rio e direttamente nei porti di Santa Caterina confluirono nelle case di ricezione, di cui una certamente nel porto di Itajai.
Da Desterro (poi Florianopolis), capitale della provincia, vi erano condotti via mare e accolti da un agente di colonizzazione che, nel periodo in questione era un tedesco, M . TrompovsKy.
Queste case di ricezione erano generalmente costruite male, senza conforti e poche comodità. Il cibo era a base di pesce, farina di manioca, fagioli, carne fresca, riso, patate, pancetta, pane, zucchero raffinato, caffè, arance e legumi.
Gli immigrati non amavano la farina di manioca, "farina di legno" (segatura), e non l’hanno mai apprezzata. Volevano mangiare polenta, come fanno tutt’oggi nelle colonie italiane di Santa Catarina.
La permanenza in queste case di ricezione solitamente durava soltanto alcuni giorni, ma molte volte si prolungava per settimane.

La nuova terra

Quando finì la tragedia dei baracconi cominciò quella della foresta.
I territori in cui furono insediati gli immigrati italiani erano foreste vergini. La foresta era un ambiente fisico totalmente nuovo ai coloni: vegetazione intricatissima e lussureggiante, fauna molto diversa da quella che conoscevano e numerosa, presenza terrificante di popolazioni selvagge.
Per reperire il materiale indispensabile alla costruzione dei primi rifugi i capifamiglia si inoltravano nelle foreste con i figli maggiori. Furono costruite capanne con tronchi di palamito legati, coperti di argilla e terra rossa. Il tetto inizialmente era coperto di foglie di guaricanga che duravano molti anni. Il pavimento della casa era in terra battuta e i mobili erano tronchi d’albero.
I coloni brasiliani si rivelarono indispensabili per la sopravvivenza di quelli italiani. Infatti, insegnarono loro a costruire le capanne, a difendersi dalle intemperie, a conoscere gli animali, le stagioni e le piante.
"La personalità dell’emigrante fu sottoposta a sollecitazioni tali che condussero molti alla disintegrazione emozionale, alla follia. La società contadina vive della stretta unità dell’uomo con l’ambiente fisico che lo circonda. In questo caso l’ambiente era totalmente diverso e quindi sconosciuto al colono. Si trattava di iniziare di nuovo a vivere" (da "Vincere o Morire" di Renzo Maria Grosselli).
Dovettero abituarsi a nuovi usi igienici e a una nuova dieta per adattarsi al clima e all’ambiente. Oltre al pericolo della disintegrazione della personalità, c’era quello delle disintegrazione culturale.
L’emigrazione italiana non fu guidata e i coloni italiani non avevano intellettuali fra loro. Tuttavia le colonie italiane non persero le loro caratteristiche culturali grazie ad alcuni fattori: il senso religioso dei contadini del nord Italia, l’isolamento delle comunità contadine della foresta da quelle di cultura diversa.
Un fenomeno molto importante che nacque dentro la foresta fu la totale solidarietà tra i coloni: sempre, nei momenti difficili le piccole comunità si aiutarono tra di loro.

Immigrati italiani in Brasile e in Santa Catarina

Stando a una statistica pubblicata nella tesi di dottorato del prof. Roselis Correa, tra il 1820 e il 1908 entrarono in Brasile 1.277.040 immigrati italiani. Nello stesso periodo sarebbero entrati 672.213 portoghesi e 96.006 tedeschi.
E’ molto difficile reperire dati certi per quanto riguarda Santa Catarina, perché si persero o furono bruciati i rapporti sull’immigrazione che, in quell’epoca, era sotto la responsabilità del ministero dell’agricoltura, organo promotore dell’immigrazione durante l’Impero e la Repubblica. Secondo una statistica del Principe Gherardo Pio di Savoia, console in Florianopolis, fatta nell’anno 1901, fino al 1900 sarebbero entrati in Santa Catarina più di 26.868 immigrati.
Oggi i discendenti degli immigrati formano una percentuale del 65 per cento della società catarinense.
Gli immigrati italiani che sono arrivati qui, hanno conquistato poco a poco Santa Catarina, non con le armi, ma con gli attrezzi di lavoro.
Le foreste, che al loro arrivo erano popolate quasi esclusivamente dagli indios Kaiguangues, furono trasformate in città.

Colonie del Sud

I coloni arrivarono con la nave: l’entrata era nel porto di Imbituba, o di Laguna, distante sette-otto ore dalla capitale Desterro.
Furono fondate le colonie di Tubarao, Criciuma, Urussanga, Araranguà, Imaruì (la laguna di Imaruì era la sede della commissione dei territori e colonizzazione delle colonie del sud), Treze de Maio, Pedras Grandes, Armazens, Rio Cocal, Belluno, Treviso, Orleans, Grao Parà e, ultima, Nova Veneza.

Colonie del Nord

Partendo da Florianopolis, facendo il cammino che fecero gli immigranti dai porti dove sbarcarono, incontriamo le seguenti colonie : Porto Belo, Itajai, Nova Trento, Brusque, Blumenau, Sao Francisco - Joinville, Sao Bento, Campo Alegre, Rodeio, Rio dos Cedros, Ascurra.

Colonie dell’Ovest

L’occupazione di queste terre avvenne tra il 1920 e il 1970 per un fenomeno migratorio interno. Il colono italiano lasciò le vecchie colonie del Rio Grande do Sul in cerca di nuove terre.
Lasciare subito le terre già sfruttate per disboscare terre nuove e fertili è stato il fine delle giovani famiglie di discendenza italiana. I 25 ettari comperati all’inizio dal governo furono disboscati e resi coltivabili fino al termine della prima generazione. Non c’era posto per le famiglie dei figli perché non si usava concime e non si conosceva il sistema di rotazione dei terreni. Dopo due anni di coltivazione, si doveva lasciare riposare la terra almeno cinque anni. Ogni famiglia, per questo, aveva bisogno di grandi estensioni di terra, pur coltivando pochi ettari per anno. E così partirono per occupare le terre vicine e fondarono le città di Videira, Caçador, Concordia, Chapeco, Sao Miguel do Oeste, Pinheiro Preto e altre.

Santa Catarina oggi

Santa Catarina che, per superficie, è uno degli stati più piccoli del Brasile, ha però una delle più floride e dinamiche economie del paese. Le ditte catarinensi sono in testa nella produzione di alimenti, ceramiche, prodotti metallurgici e siderurgici, confezione di carta e cellulosa.
La caratteristica importante dell’economia catarinense è la distribuzione bilanciata delle attività, fondata sull’allevamento del bestiame, sulla forza industriale e sulla crescita del settore dei servizi. L’economia catarinense si basa su sei realtà:
Joinville (tessile ed elettromeccanica);
Blumenau (tessile e informatica);
Criciuma (ceramica);
Lages (legno e cellulosa);
Chapeco-Concordia (alimentazione);
Videira-Joaçaba (alimentazione).

Sul fronte dell’import-export, le ditte catarinensi sono importatrici di fondi, conseguenza di un costante processo di aggiornamento tecnologico, ma sono pure grandi esportatrici.
Le ditte importano materie prime dagli stati brasiliani e da altri paesi, per poi elaborarle e vendere prodotti finiti, pezzi di macchine, compressori, prodotti tessili, ceramiche, carta, mobili. Viene inoltre esportato pollame, volatili e suini.
Nel 1995 sono state registrate esportazioni per un totale di 2.652 milioni di dollari. I maggiori clienti esteri sono: Stati Uniti (464,9 US$ milioni); Germania (290.9); Argentina (198.2); Giappone (129.3); Regno Unito (114.0).
I principali prodotti esportati sono: pollo intero e parti (341 US$ milioni); compressori (263); semola di soia (182); vestiti e asciugamani (160); mobili in legno (150); tabacco (110); olio grezzo di soia (100); carta e cartoni (90); ceramiche (89); motori elettrici (72).

Qualità della vita

In Santa Catarina si vive bene. L’economia è decentrata e differenziata e, come nella Regione del Veneto, prevale la piccola impresa a carattere familiare.
Non ci sono metropoli, la percentuale di alfabetizzazione è di oltre il 90% e il reddito pro capite è tra i più alti della nazione.
Il 30% della popolazione vive nei campi, in piccole proprietà dove prevale la manodopera familiare. Lo stato (regione) è stato colonizzato principalmente da immigrati europei che hanno trasformato il popolo catarinense in un grande mosaico etnico e culturale.
E’ una terra con forte vocazione turistica. Le bellezze naturali attirano un milione e mezzo all’anno di turisti brasiliani e stranieri. Su 500 km di litorale marittimo ci sono 170 spiagge ideali per praticare sport d’acqua e balneazione.
Esiste un profondo rispetto per l’ambiente naturale: il 27% della vegetazione è originale, con grandi superfici di foresta atlantica intatta.