Commo chi est cuncordada sa tucchedda .... e su conzu amus approntu, contamus unu contu .... arrustindenos fava affochilada "

ESTRATTO DEL VOLUME INTITOLATO "CORO DI NUORO E DINTORNI: La storia e la memoria" edito dal Coro di Nuoro nel 1990.

Ripercorrere, sul filo della memoria, l'itinerario di questi ultimi 40 anni, fissando i momenti più qualificanti dell'attività di questo sodalizio nuorese, riteniamo sia cosa giusta, anche se si presentano delle obiettive difficoltà. Si ha comunque il conforto della "memoria" di quel manipolo di giovani, allora ventenni, che, ancora operano nel campo della etnofonia sarda, per fissare, senza tema di smentita, date, avvenimenti, e personaggi che hanno caratterizzato la vita del Coro sin dalla sua costituzione, nel 1952. Si ha, infatti, timore, che alla lunga, l'inevitabile processo di stratificazione storica, non giochi brutti scherzi alla trasparenza di quella che chiameremo la memoria comune del nuorese. Questo diciamo, da conoscitori del nostro microcosmo sociale, così complesso per ricchezza di rapporti umani, e assolutamente completo, per la presenza di un costante gradiente di quella ideale funzione che ne rappresenta le varietà caratteriali. A Nuoro sono presenti, come in tutte le società, diverse classi sociali, con scansioni minime tra individui di diversa provenienza, per lo meno negli atteggiamenti esterni, sì da far dire, a molti osservatori o studiosi della nostra società, che a Nuoro si viveva, almeno sino agli anni sessanta, un tipo di socialità tutta particolare.

Ad esempio era facile che nello stesso iscopile gustassero un bicchiere di vino l'illustre penalista e il contadino di Seuna, il pastore di Santu Predu e l'ingegnere tal dei tali. Una simpatica forma di socialismo pratico e del tutto disinteressato. Più che altrove, questo cromatismo di individualità fa dire che a Nuoro si realizza il detto sardo "chentu concas, chentu berittas. A significare la presenza di temperamenti forti, permeati di un buon grado di sana anarchia, dove come nella "Arasulè" di Francesco Masala, ognuno ogni giorno, sparge al sole la propria verità. E poichè in questi ultimi anni si è assistito a tentativi di innescare processi di cristallizzazione di errate e bugiarde memorie, è bene colmare certe lacune con una sana esposizione; col conforto, appunto, di chi questi ultimi 40 anni li ha vissuti immerso nelle propria città, maturando assieme, vivendo, in buona sostanza, un processo di confortante simbiosi. Negli anni '90 Nuoro presenta un panorama variegato di complessi, gruppi e cori folcloristici. Questo, tutto sommato, è un fatto positivo, in una città che ancora troppo poco ha da offrire ai giovani. Appartenere ad uno di questi gruppi significa spesso maturare nuove esperienze sociali, conoscere nuove realtà esterne alla Sardegna, riappropriarsi della propria storia, della propria etnìa, uscire, in qualche modo, dalla piatta omogeneità voluta dal consumismo musicale di oggi.

Tra i più maturi di questi gruppi si è inoltre innescato un processo di assoluto rispetto dei rispettivi studi e ricerche nel campo etnofonico che fà ben sperare per il futuro. La nostra (ne siamo convinti) verità, ha inizio intorno agli anni '50. Anche Nuoro curava le proprie ferite di guerra. I propri lutti non ha dovuto estrarli dalle macerie di un bombardamento, ma spesso ha dovuto attenderli sulla banchina della stazione delle Ferrovie Complementari, o nell'androne della locale Sezione d'Artiglieria, per l'arrivo di un feretro di guerra. Nulla cambia, il dolore è sempre lo stesso. Ricorda Antonello Mele: "Ad appena otto anni dalla fine dei conflitto mondiale la cittadina viveva in un'atmosfera carica di nuove ansie. li piccolo mondo tradizionale, chiuso, paesano, della Nuoro di prima della guerra era stato scosso da una ventata di sensazioni nuove.

Dopo le sofferenze, il buio, il torpore, degli anni della guerra era subentrata la più intensa gioia di vivere. In quegli anni a Nuoro il carnevale esplodeva in manifestazioni mai viste prima d'allora. Corsi mascherati, balli, veglioni, feste, erano occasioni di stordimento. Anche l'assetto urbano incominciava manifestare i segni di questa nuova era di esaltazione e tentava di acquistare un aspetto più moderno, ampliando gli ormai angusti limiti territoriali, fino ad allora ristretti nell'ambito dei quartieri che facevano capo a Santu Predu e a Seuna, al cordone ombelicale del corso Garibaldi (l'antica "bia Majore"). La caduta delle inibizioni imposte da una ferrea politica di chiusura verso il nuovo ed il moderno aveva prodotto un salutare effetto di rinnovamento anche culturale. La radio, la stampa, l'editoria in genere, esprimevano liberamente, e spesso in contraddittorio, una nuova filosofia della vita. La musica, il cinema, lo spettacolo di provenienza oltre Atlantico, senza più le barriere dell'oscurantismo, dilagarono promuovendo impressioni e conoscenze nuove di paesi prima ignoti o la cui nozione proveniva filtrata attraverso le maglie di una propaganda tutt'altro che obiettiva. La generazione dei giovani nati a cavallo degli anni trenta aveva avuto una sensazione epidermica del "regime", cogliendo di questo gli aspetti assolutamente coreografici e marziali (le adunate, i saggi ginnici, le colonie montane). Anche l'irruenza della passione politica contribuì, in quei primi anni del '50, ad infondere un maggior brio nella piccola comunità nuorese di cui, per tradizione e per carattere, erano note l'esuberanza dialettica, i sentimenti di autonomia e lo spirito libertario.

Anche il dramma della guerra era stato sentito di riflesso e solo per quel tanto che i "grandi" lasciavano trasparire, nel commentare i fatti tra di loro, in presenza dei bambini. Si è saputo successivamente che tutto ciò che si era detto a scuola sulla guerra era stato un colossale falso. Questa generazione nel 1953 aveva circa 20 anni ed un immenso bagaglio di speranze. Nuoro offriva ben poco per il tempo libero dei giovani. Qualche sala cinematografica, i balli durante il carnevale ed il corso Garibaldi per le 365 serate dell'anno. Anche le vacanze al mare erano privilegio di una ristretta fascia sociale. Le sedi delle associazioni cattoliche e di partiti politici diventarono ricettacolo dei giovani, secondo le inclinazioni di ciascuno". Al Teatro Eliseo imperversavano dei versatili "monelli" che con la rivista musicale leggera, tutta casereccia "Sardegna anno zero", mettevano alla berlina i vizietti o le virtù dei loro concittadini. Il riferimento ai vari Tonino Conchedda, Gigi Floris (Baffi), Andrea Romagna e Banneddu Ruju, sapientemente incoraggiati dal più adulto Mario Ganga. Il campo musicale, bisogna riconoscerlo, a Nuoro, ha sempre avuto particolari attenzioni. A parte i momenti del carnevale che culminava in sos seranos di gennaio e febbraio, (1) vi è sempre stata, si diceva, la tendenza all'aggregazione, almeno in questo settore, con la costituzione di famose Filarmoniche. Celebre, negli anni '30 il complesso diretto dal maestro Giuseppe Rachel, denominato: "Corpo Musicale Filarmonico". Giova ricordare che il Rachel compose la musica per la poesia A Diosa, anche conosciuta con il sottotitolo di Non potho reposare, dell'avv. Salvatore Sini, nuorese di adozione e di origini sarulesi.

Il complesso da lui diretto comprendeva anche una sezione canora, di voci miste, alla cui preparazione collaborava anche il Maestro Tomaso Madrigali, organista della Chiesa delle Grazie e insegnante di musica presso l'Istituto Magistrale di Nuoro. (Diorama della musica in Sardegna. Anno IV E.F.). E' doveroso ricordare la partecipazione di questa corale alle manifestazioni del Maggio Fiorentino del 1930, dove venne eseguito un canto all'unisono dal titolo Sa par'historia 'e Balubirde. Di seguito racconteremo come il "Coro di Nuoro" nel 1966, riscoprì questa melodia. Tanto fermento di vita quotidiana dell'immediato dopoguerra, era il prodotto di una piccola città in armonico equilibrio con i suoi pochi servizi e con il suo territorio. I segni di crescita sono evidenti nella documentazione fotografica di Goffredo Guiso. La costruzione dell'Ospedale Sanatoriale; la prima autovettura; il Monte Ortobene che si prepara alla forestazione degli anni '30; il Corso Garibaldi, cuore pulsante della città, vetrina della nuova classe borghese nata dall'essere Nuoro nuova Provincia del Regno. Lo scorcio, un tempo familiare, di via Roma 51, ingresso principale della Rotonda, carcere giudiziario, con i preparativi per il falò di Sant'Antonio. La rassicurante porta aperta verso il progresso, gli scambi, le comunicazioni, nella veduta della Stazione delle Ferrovie Complementari; il palazzetto di piazzetta Plebiscito, con il bar di Ziu Jubanneddu Mascia, demolito nel 1965 per far posto alla più artistica "Piazza Sebastiano Satta" di Costantino Nivola. Già nell'800, molti studiosi ebbero modo di documentare le espressioni canore e musicali di Nuoro, come Vittorio Angius nella sua storia di Nuoro e il maestro Nicolò Oneto, già Direttore della Cappella e dei Teatro Civico di Cagliari e Alghero, negli anni dal 1830 al 1845, (2) nonchè. la nostra concittadina Grazia Deledda (1893-1895).

Ma il vero Cenacolo del buon canto nella Nuoro dei secondo dopoguerra furono le Sacrestie, dove si impastava il Canto Sacro con le più originali vibrazioni e timbri della coralità sarda più antica, la polifonia de su cuncordu. E allora nella memoria si ricompongono le semplici, essenziali linee architettoniche della Chiesa delle Grazie, e del Rosario, nel cuore di Seuna e Santu Predu. Il Reverendo Don Sergio Piras, senza alcun dubbio, ebbe modo di apprezzare le naturali doti canore di molti giovani, già nel momento di passaggio dallo stato di voce bianca a quello di voce adulta. Dotato egli stesso, di un vibrante e caldo timbro basso della propria voce, nonchè valente organista, seppe impostare un primo gruppo di giovani, fissando per ognuno gli spazi canori e insegnando loro l'arte,del Canto Sacro. Analoga esperienza fece il gruppo delle Grazie, sotto la guida di Padre Pio dei Giuseppini e del Maestro Madrigali. La Schola Cantorum della Chiesa della Madonna delle Grazie è stata, infatti, l'accademia e la prima palestra di canto polifonico per molti giovani. C'era in loro lo stimolo, quasi fosse un'esigenza interiore, a fare sempre meglio eliminando le dissonanze e le imperfezioni. Ed era vivo, nel contempo, il desiderio di conoscere più intensamente le antiche melodie nuoresi che sentivano essere loro e la cui nozione era, tuttavia, frammentaria ed imprecisa perchè frutto di solo ascolto sporadico avvenuto in maniera disordinata durante una cerimonia religiosa officiata da un prete anziano e "cantata" da qualche confraternita, ovvero in occasione di un festino campestre.

Ricorda ancora Antonello Mele: "Si aveva la sensazione che si stesse perdendo qualcosa di molto importante che le generazioni precedenti non avevano tramandato in maniera adeguata attraverso documenti scritti. Questa consapevolezza, unita ad una grande sensibilità per la musica, é stata un incentivo ad organizzarsi in "coro". Fatale conseguenza di questo indottrinamento musicale, fu il trasformare in altrettante "Cappelle Sistine" molti iscopiles dei vicoli intorno al Corso Garibaldi. Una delle più suggestive "Cappelle" fu l'androne dell'Ufficio Sanitario di Palazzo Mereu, vecchio Municipio, posto nell'antica Via Majore, e già, prima del 1842, luogo Sacro. In quel sito sorgeva, infatti, la chiesa de Sa Purissima, poi demolita per far posto al Palazzo Civico, nella imminente occasione di una visita in città del Re Carlo Alberto. Per noi quel vasto androne incombente sulla gradinata, costituiva, molto goliardicamente, la "Cappella si stona", per via di certe dissonanze di qualche amico raccattato dalla adiacente passeggiata all'ultimo momento. Le esperienze canore extra ecclesia, in sostanza, tendevano a verificare la conciliabilità dei canto vocale più colto e gentile, con il canto profano più tradizionale.

L'originalità del canto Nuorese consisteva, dunque, nel fondere il "sol" e il "la", tipiche note del canto melismatico sardo, con partiture monosoniche eseguite in assenza della tecnica del "basso sardo", che veniva, ricordiamolo, ottenuto mediante "fusione" delle corde vocali, nell'abbraccio dei due "sol" distanti un'ottava musicale. Del resto, la tradizione locale, da sempre presentava questa varietà melodica e di esecuzione. Si pensi al canto sacro del Natale e della Settimana Santa, e ai gosos in genere. Più sereno il primo, che si individua in Su Ninnieddu; benchè non mancasse di una sua drammaticità nel descrivere il misero stato dell'ambiente, e se è vero che, comunque, nel canto sardo non c'è molto spazio per le "allegrie". La gioia è, uno stato dell'animo che più si abbandona alle movenze della danza. Nel canto vi è un atteggiamento più severo e sofferto da parte dell'esecutore, del resto mosso dal contenuto poetico da lui prescelto; sentimento forte e sempre fortemente sentito. Per questi ultimi motivi il canto della Settimana Santa ha una sua originalissima drammaticità. I meno giovani, tra i nuoresi, ricorderanno ancora i cantori delle confraternite, Sos Crofàrios. I fratelli Soru (Soreddu), Ziu Nanneddu Guiso (Verachi), nonchè la calda voce baritonale di Pride Antoneddu Sanna, vecchio organista della Cattedrale e suonatore di chitarra in occasione di liete cerimonie. Quattro voci più un discontinuo "zippiri', quinta voce, costituivano la polifonia sacra, non sul modello della polifonia classica, ma su quello della polifonia de su cuncordu e dell'accordo delle launeddas. Una polifonia sarda, la più originale dell'area Mediterranea, nella quale ogni voce ha una sua partitura. Sa boche e sa mesu boche, dal timbro mozarabico, con i ricami melismatici, e libere di intrecciarsi alle due voci di contra e bassu, che invece vibrano su note per così dire monotòne. Risultano accordi ben differenti da quelli prodotti da una polifonia classica, incastro di voci incanalate in partiture intendenti a melodia autonoma, e con ulteriore possibilità di aperture al canto anche differenziate.

A parte il modello più arcaico de su cuncordu il nuorese ha sempre avuto nella propria tradizione la pratica di altre forme di canto popolare, con più varie sfumature e colorature di esecuzione. Il canto "a chitarra" ad esempio. Interessante notare che sarà proprio certo tipo di canto "monodico" la più originale matrice di famosi brani per serenate e dai contenuti amorosi, come i muttos, poi armonizzati per esecuzioni corali e voci pari. Di matrice orientale, introdotta dagli arabi nell'area Mediterranea, la chitarra, ha, anche in Sardegna, risentito, nel suono e nei virtuosismi, del naturale impatto ambientale. Diffusa dagli invasori spagnoli nel centro-nord dell'isola, a Nuoro non ha mai avuto celebrati virtuosi, come i suonatori del Logudoro, Marghine e Planargia. Probabilmente il carattere stesso del nuorese ha modificato, indurendole, certe morbidezze del canto logudorese, come del resto avviene nella lingua, modificando e rielaborando un particolare tipo di canto. Rimbalzando verso il Logudoro esso verrà distinto dalle forme più ortodosse del canto in "re" in "mi-la". Si intende parlare dei canto a sa nugoresa, cioè alla "moda dei nuoresi". E' un po' quello che è capitato nel Ballo, con il celebre ballu tundu che ancora oggi a Oliena chiamano Su nugoresu.

Non già come sostenuto tempo fa da un suonatore di quel centro in un'intervista radiofonica che si trattasse di un ballo diffuso in tutta la provincia di Nuoro, in quanto solamente da sessant'anni Nuoro è capoluogo di provincia, ma più facilmente perchè ballo di Nuoro, interpretato anche nel centro più vicino. Questo accade anche a Nuoro, quando diversi gruppi folcloristici locali interpretano il magnifico Arciu antíhu olianese in occasione di festivals internazionali che si tengono all'estero. Questa pratica che noi riteniamo poco corretta se attuata in Sardegna, diventa fatto squisitamente tecnico e per nulla campanilistico, quando in definitiva si rappresenta tutta l'isola. Del resto come poter impedire ai gruppi dei Campidani di cantare i canti ormai celebri del repertorio nuorese? Dipende, comunque, dagli enti selezionatori inviare direttamente ai concorsi, o incontri, i gruppi che in prima persona rispettano le tradizioni e potenziano la ricerca nel proprio ambito locale. La variante del canto a sa nugoresa non deve stupire poi tanto, se si pensa che Nuoro apparteneva linguisticamente al Logudoro; l'opinione comune l'inquadrava nel capo di sopra. Il poeta Solinas, in una poesia alla sua Nuoro, così si espresse: t'amo, t'adoro terra galana, de Logudoro repubblicana. Anche il canto in "mi-la" trova a Nuoro modi autonomi e originali di interpretazione. Mancano infatti i virtuosismi e leziosi ricami vocali che appesantiscono spesso, la più corretta liquidità vocale originaria. Oggi Nuoro è la città-territorio della Barbagia. Analizzando appunto il ritmo di questo canto, non è difficile pensare ad una matrice spagnola del "bolero", ovviamente "volgarizzato" dalla pratica locale. E' frequente imbattersi in esecuzioni di questo canto, che non usa più il registro di gola melismatico e naturale, a imposta l'esecuzione sulla potenza della voce lirica, assolutamente fuori luogo.

Terminiamo questa parentesi sul canto monodico, accennando al canto femminile a sa labadoria, che veniva praticato in occasione di fatiche quotidiane, come la discesa al fiume per lavare i panni. Un canto sul tipo dei muttos, da eseguirsi senza accompagnamento strumentale. S'attittu (1) canto funebre riservato anch'esso alla donna, trovava invece una forte eco nel canto della settimana santa, come ad esempio in No mi giamedas Maria, o nella proposizione musicale del tipo "monotono" de Su Rosariu. Come già detto in precedenza, il canto monodico e oggi alla base di numerosi canti in coro, come il celebre brano Apperimi sa janna. Tanta disponibilità di varietà di canti, lasciava intravvedere un potenziale repertorio da valorizzare con una ricerca corretta e continua. Fu dunque fatale l'incontro dei due nuclei storici, di Seuna e di Santu Predu. Intanto vi è da precisare che una sana amicizia univa questi elementi; molti di essi avevano frequentato assieme le classi elementari, al nuovo edificio F. Podda, e più tardi iniziarono la frequenza del "salotto" di Nuoro, il corso Garibaldi, con le varie diramazioni laterali, via Satta, piazzetta Malgaroli, via Cavour, piazzetta Plebiscito; erano luoghi interessati da un movimento pendolare serale, costante, di allegre brigate che, sulle orme di Frate Sole e i sette fratelli (Menotti Gallisay),

andavano alla ricerca di singolari cartelli indicatori, costituiti dalla "scopa" appesa all'esterno dell'uscio di piccoli ambienti dove si vendeva e si degustava al banco il vinello di Marreri, Su Grumene e Badde Manna. Anche il fatto che Bobore Rubeddu di Santu Predu e Amanzio Marras di Seuna, lavorassero da odontotecnici nello stesso laboratorio artigiano, certo contribuì ad amalgamare questi giovani. L'affiatamento e l'amicizia venivano anche esaltati dagli ambienti familiari. Era allora frequente terminare le serate festive in casa di uno o dell'altro, coinvolgendo, spesso anche gli adulti. Anzi, succedeva che proprio da un genitore partisse l'intonazione de Sa cozzula o di Bobore ficumurisca per sollecitare il canto dei più giovani. Un punto di riferimento per il Coro era la casa dei Delussu. L'edificio prospettava sulla via Alberto Mario, all'angolo con la via Ferracciu, e aveva annessa una corte interna, con una vecchia cucina. Questo insieme di casa e corte è sempre stato un po' il cuore pulsante del Coro, tanto ha vibrato di accordi sardi o spagnoli nelle notti d'estate. I fratelli Mario e Bruno accompagnavano le molto estemporanee e spontanee manifestazioni canore con le loro chitarre.

E spesso era la voce di Graziano a sciogliersi liquida nelle ore più fresche della notte, cui facevano eco le voci di Francesco Mascia noto Diogene (per via del padre Dionigi), di Antonello Mele, Bobore Rubeddu, e gli accordi strumentali degli immancabili fratelli Pintori, Tonino e Umberto. Spesso il repertorio approdava in Spagna o Messico o Paraguay, quasi a ripetere quei canti ascoltati nel negozio di Alfredo Pellegrini, dalle novità discografiche, oppure dalla collezione dell'amico comune Vittorio Medda, che metteva a disposizione la sua fornita discoteca. E poi l'insieme era reso ancora più suggestivo dalla somiglianza di Graziano con il loro idolo Louis Alberto del Paranà, allora giovane solista del trio sudamericano Los Paraguayos. Graziano era affettuosamente soprannominato Gesù, per via di una presunta somiglianza con le sembianze del più famoso Nazareno. Da tanto ambiente scaturì il nostro Giovanni Maria, a tutti noto: Billi. E poteva capitare che, mentre quei magici suoni trasformavano Sa corte de Mastru Maureddu Delussu nei verdi giardini della Halambra di Granada e Siviglia, l'amico Giovanni Nonnis si desse da fare, in cucina, per immortalare nella cappa dei camino, tanto caro alla signora Costanza, le teste rampanti dei suoi famosi cavallini, con rapidi e sicuri tratti di carboncino. Da quel giardino si usciva per andare a fare la serenata alla ragazza, lasciata al corso Garibaldi solo qualche ora prima. Fu proprio in una delle tante serate trascorse nella casa di via Alberto Mario, che la "gentile e bella" signora Costanza, così la chiamò il poeta Montanaru in una sua poesia, ci parlò di mille storie sin dalla sua prima esperienza di insegnante elementare a Desulo, nel 1918. Molto più tardi, lo scrittore nuorese Enzo Espa, fece pubblicare l'inedita lirica di Antioco Casula, Montanaru, nella rivista culturale "Frontiera", Poesia a Costanza. Gian Paolo Mele nel 1978, ha rivestito dì musica la rima adattando gli elementi fondamentali del canto a chitarra in "mi-la".

1) Seranu: deriverebbe dallo spagnolo Serraño, luogo chiuso.
2) Nicolò Oneto: Memoria sopra le cose musicali di Sardegna. Tip. Monteverde. Cagliari, 1841.
3) Attítu: attizzare l'odio dei superstiti contro i nemici. Il Lamarmora nel suo "Voyage en Sardaigne", fa derivare la parola dal greco otòtoi oppure otòtotoi = Ahi! Ahimè1 Ampliando si può arrivare al verbo ottotízo cioe emettere grida di dolore.

Determinante fu l'incontro di questi giovani con Mario Ganga. Nuorese, funzionario dell'INPS, animatore di tante iniziative ENAL, Mario Ganga capì il valore di questi giovani, ma capì anche che era necessario un coordinatore tecnico, un direttore che curasse gli adattamenti dei motivi tradizionali. Venne inserito Banneddu Ruju, e il Coro fu fatto. La sua originaria struttura basata su quattro voci era la seguente: Amanzio Marras, Mario Delussu, Graziano Delussu, Bobore Rubeddu, Antonello Mele, Romano Romagna, Claudio Ticca, Tonino Pintori, Umberto Pintori, Giovannantonio Canalis, Romano Ruju e Diego Tanchis. Le prove si svolgevano in un'aula delle scuole elementari Podda, e una delle prime manifestazioni cui il Coro partecipò, vincendo il primo premio, fu la Cavalcata Sarda, a Sassari, nel 1953. Il Coro, per l'occasione, venne segnalato dal Comune di Nuoro, tramite il Rag. Gonario Verachi, che fu, anche in seguito, grande estimatore e sostenitore del sodalizio. Ma il grande trionfo in campo nazionale il Coro lo ottenne in occasione della trasmissione radio "Il Campanile d'Oro", condotta da Silvio Gigli. Per tutto l'inverno 1954-'55, l'Italia era impegnata in una gara fra regioni, che presentavano il meglio della propria etnia. L'Emilia si affìdò alla celeberrima Gea della Garisenda; la Sicilia, ai Canterini Peloritani; la Sardegna ai fratelli Medas di Cagliari, al quartetto nuorese di Giovanni Pintus, noto Mérriolu (alla trunfa), Giovanni Todde (all'armonica), Bachiseddu Nifoi (alla foglia dell'edera) e Ziu Flavio (alla chitarra).

Partecipò anche il famoso "Coro di Aggius" dei fratelli Peru, (il vecchio Galletto di Gallura, Salvatore "Baroreddu" Stangoni, per motivi di età non partecipava più a serate folcloristiche), ma soprattutto impressionò il Coro di Nuoro per l'occasione diretto da Umberto Pintori, in quanto il direttore originario Ruju non ne faceva più parte. Colpi in particolar modo la calda e vibrante voce del basso allora ventenne Diego Tanchis, con la perfetta intonazione della celebre Zia Tatana Faragone. Diego aveva fatto anche esperienza di Conservatorio a Roma, assieme al fratello tenore Giuseppe Tanchis, che per questo motivo non poteva, suo malgrado, cantare nel Coro. Diego venne invitato a partecipare ad altre manifestazioni radiofoniche nazionali, come "Spettacolo in piazza", condotto sempre da Silvio Gigli, da Ozieri. In quell'occasione Diego cantò una famosa romanza russa, L'ubriaco, accompagnato dalla chitarra di Umberto Pintori. Il Coro conserva, come una reliquia, una registrazione di quella lontana manifestazione. Dal 1956 un brutto incidente ha privato Nuoro ed il Coro della voce di Diego. Oltre al già citato amico Giuseppe Tanchis, che con Nedo Pirisino costituì, senza alcun dubbio, la miglior coppia di tenori lirici che Nuoro abbia mai espresso, anche altri amici cantavano saltuariamente nel Coro, come Giovanni Todde Soru, nipote dei famosi frades Soreddos, che già come voce bianca lo inserirono nel Coro della Confraternita delle Grazie. A Banneddu Ruju va riconosciuto il merito di aver aperto a Nuoro la strada di una pianificazione musicale ricondotta a una esecuzione canora, in funzione di un dotto lavoro di armonizzazione polifonica. A lui si devono le armonizzazioni di Zia Tatana Faragone, Sa Cozzula, A s'andira, Bobore ficumurisca, che costituiscono il primo repertorio di canti profani nuoresi dei Coro. Ancora oggi, a distanza di trent'anni, si ascoltano con viva commozione le prime incisioni del Coro, effettuate a cura della RAI. Le estrazioni sociali dei componenti del Coro, erano in genere della piccola media borghesia locale, che indirizzava i propri figli ad attività artigianali o a studi superiori; il temporaneo allontanamento da Nuoro di diversi componenti, per motivi di studio, fu causa di stasi per una struttura non sufficientemente dimensionata ad una maggiore stabilità, sia in termini numerici che di tradizione di sodalizio.

L'amico Efisio Melis così ricorda quel momento di transizione: "Gli anni che seguirono furono testimoni di una certa stasi, conseguenza non già dei venir meno di un entusiasmo e di una passione nei giovani fondatori del Coro ma per gli inevitabili impegni di lavoro per taluni e di studio per altri che allontanarono da Nuoro molti componenti del gruppo. Di quel gran fuoco vennero meno temporaneamente le fiamme, ma le braci si conservarono bene, così che nell'autunno del 1963 per indiscusso merito di Gian Paolo Mele, giovanissimo fratello di uno dei fondatori, oggi meritatamente insignito del titolo di maestro del folclore, il coro riprese, sotto la sua direzione, progressivamente l'attività che non fu più interrotta e che lo impose all'attenzione di tanti nell'isola ed oltre i suoi confini. In questa impresa, non poco impegnativa, gli furono di aiuto alcuni amici che avevano precedenti canori di vario genere e che rappresentarono l'ossatura del coro per tanti anni, quali Romano Ruiu, Billi Delussu e Francesco Dore. Efisio Melis, allora, coordinava il coro che nel 1959 vinse il primo premio alla prima Testa Nazionale della Montagna che si celebrò sul Monte Ortobene. In quell'occasione venne eretta, in prossimità di Cuccuru Nigheddu la chiesetta dedicata a San Giovanni Gualberto, patrono dei forestali d'Italia. Nello stesso anno il Coro partecipò alle celebrazioni per la traslazione della salma di Grazia Deledda, dal Verano di Roma alla Chiesa della Solitudine. Gli interessi dei coristi si spostarono anche al ballo e all'esecuzione de su cuncordu sardo, trascurato al momento della costituzione per la mancanza, in seno ai componenti, di chi sapesse produrre i timbri vocali tipici dell'accordo.

In quel momento, con Efisio Melis, l'animatore era Peppanzelu Deiana. Poco più che ventenne, volle indirizzare la politica culturale del sodalizio verso un riuscito tentativo di valorizzazione dei poeti in lingua nuorese; egli stesso discendeva dal poeta Nicola Porcu, noto Daga, ed apparteneva ad una famiglia di poeti estemporanei e di cantori a cuncordu. Peppanzelu era in possesso di manoscritti di diversi poeti, poesie contenute in vecchi quaderni da lui gelosamente custoditi. Alla sua limpida voce facevano eco su bassu di Giovanni Todde e sa contra di Francesco Melis, noto Niola, o su cuncordu tutto orunese di Pietro Cossu, noto Dondoletta, e di Piolu. Gli archivi del Coro conservano una famosa esecuzione di canti sacri, con la voce di Peppanzelu Deiana; registrazione effettuata in occasione della festa di San Giovanni Battista a Fonni, nel giugno del 1962. Alla fine del 1961, intanto, venne invitato, come ricorda Efisio Melis, a far parte del Coro Gian Paolo Mele. Gian Paolo Mele già aveva gravitato all'interno del gruppo di ballo ENAL, quando ancora aveva sede in un locale del corso Garibaldi, attualmente occupato da un esercizio pubblico, vi era stato introdotto quale suonatore di fisarmonica e organetto diatonico. Questo suo inserimento era nella logica delle cose, avendo attinto in famiglia i principi della sardità. La madre signora Peppina, era un'abile suonatrice di armonica a fiato, e già praticante in gioventù del ballo sardo. Fu lei che iniziò Gian Paolo alla danza sarda, mentre il babbo, signor Gino, gli fece conoscere le prime armonie della polifonia sarda de su cuncordu, in occasione di incontri familiari nel quali venivano consumate feste e corde vocali sino alle ore antelucane. La casa di via Deffenu era un altro punto di riferimento del Coro di Nuoro. I raduni più simpatici avvenivano in occasione del carnevale, quando i ragazzi organizzavano quattro salti in famiglia. Si invitavano i compagni di scuola, e ospiti fissi erano gli amici del Coro.

Tra un tango "Caminito" e "Adios pampa mia", erano allora frequenti sa cozzula e Bobore ficumurisca. Dopo le dieci serali arrivava molto di frequente "la pesante", la compagnia degli adulti: Ziu Cosomeddu, Ziu Bobore, Mastru Dionisi e altri, con l'immancabile Ziu Prededdu Chirone. Allora si mescolavano i canti tradizionali alle "scarpette con le rosette" e agli "augelletti che non cantassero", tra gli acuti di Giuseppe Tanchis, di cui veniva demolita la ritrosia alle esibizioni canore, con l'ausilio di qualche bicchiere abilmente somministrato da Bobore Rubeddu. e da Pinnaccu, l'amico Giovannantonio Canalis. In sostanza possiamo affermare che esiste un po' il "fenomeno" tradizione, riguardo ai fratelli minori che seguono le orme di famiglia, come per Delussu, Mele, Tanchis o come i Ticca, Claudio e Mario Franco. Altri esempi inoltre li abbiamo per i fratelli Mario e Bobore Seddone, cugini di Bobore Rubeddu, i fratelli Mario e Giuseppe Cadeddu, noti Pettenaju, Francesco Dore ed il nipote Badore Bardi e ancora i fratelli Pintori e i nipoti Domenico e Pasquale Canu. In questo "divagare" per i dintorni familiari, non possiamo non soffermarci su altri personaggi e ambienti che hanno fornito elementi di buona taglia al Coro. La famiglia dei fratelli Tonino e Umberto Pintori. Il babbo, Ziu Mimiu maestro di scuola elementare, in tanti anni di insegnamento ha avuto modo di inculcare a diverse generazioni di nuoresi i primi rudimenti della cultura e sani principi morali, non trascurando l'esercizio alla tagliente battuta della lingua. Il fratello maggiore Bobore detto "l'Africano", in giovane età partì per una delle colonie italiane in Africa, un po' per curiosità o avventura, ma anche per trovarsi quello spazio vitale che la Nuoro degli anni trenta non consentiva. Alla base della loro filosofia di vita era la musica.

Una famiglia di musicofili indubbiamente, iniziati dal padre suonatore di clarino nella banda musicale nuorese. Anche Peppino, secondogenito, era suonatore di clarino; intorno agli anni '50 amava percorrere i viottoli di Santu Predu in compagnia dell'amico barbiere Cunillu, fisarmonicista, e regalare struggenti serenate al suo quartiere. Altro svago per i Pintori era cantare i madrigali di Vivaldi e Palestrina assieme alle sorelle Mariangela, Maria e Linuccia. In questo ambiente Tonino e Umberto affinarono la loro innata sensibilità alla musica. Dal loro sodalizio con la famiglia di Ziu Franziscu e Serafino Brotzu, nacque alla fine degli anni quaranta il piccolo complesso musicale che "imperversava" in tutti i raduni ufficiali, quali carnevali, feste etc. con la immancabile tromba di Salvino Concudu e le percussioni di Paolo Guiso. Nei primi del '60 vi fu l'inserimento di nuova linfa nel Coro. Si potenziò la struttura del canto a cuncordu con l'inserimento di Francesco Mereu, Battore Belloi e Armando Piras, poliedrico cantore solista e buona contra. Inoltre era indispensabile ampliare l'organico per rendere definitivamente stabile l'attività del Coro. Nel 1962 entrarono a far parte del Coro due voci di pregio, il basso Antonio Soddu ed il baritono Luciano Tanchis.

La loro amicizia era nata assieme a loro, da sempre. Erano soliti provare i primi accordi ufficiali con Gian Paolo Mele, Sergio Marini, e Nino Murgia nel locale di Ziu Jubanneddu Mascia, in piazzetta Plebiscito, ora allargata come piazza Satta. Quando sul finir della sera si faceva rientro con il famoso cavallo di San Francesco, cioè, a piedi, Antonio, Luciano, Efisio e Gian Paolo erano soliti far tappa nella scala destra del palazzo degli impiegati, in via Lamarmora. A detta loro, la tromba delle scale aveva una eccezionale acustica, che metteva in risalto quel buon equilibrio di voci, raggiunto in tanto stare insieme. Tutti gli inquilini di quella "scala" ormai, abituati, attendevano simpaticamente questa molto estemporanea esibizione. Il Signor Bassu e il Maestro Apollonio Soddu, ai primi accordi dello Stabat Mater, aprivano discretamente l'uscio del loro appartamento e si mettevano in ascolto. Solo quando si accorgevano che il "concerto" stava per concludersi, facevano sentire la loro presenza indirizzando un sonoro applauso al cantori. Su tutto e tutti la voce possente di Mastru Apollonio: "Bravi! Eccezionali, per Dio!". Era una scena commovente, che orinai assume per noi cantori di quella "Scala" un valore particolare tant'era il sincero apprezzamento e la commozione dei nostri estimatori serali. Quando ci ritrovammo nel Coro, molto spesso questi nostri genitori ed estimatori, apparivano con molta discrezione nel retro della Cantina sociale di Ponte 'e Ferru dove il Coro provava, e continuavano ad assaporare la bontà di quegli accordi, forse rimpiangendo il religioso silenzio della "scala del "palazzo". Quando motivi seri di imminenti manifestazioni consigliavano prove più impegnate, spesso si era ospiti di casa Melis, dove la madre di Efisio, dietro nostre insistenze, ci regalava l'interpretazione di un canto a Sa Nugoresa, con l'accompagnamento della chitarra. La signora Carmela Manca della "Faragonea Gens", era infatti un'abilissima esecutrice di canti nuoresi.

Spiccava, fra diverse melodie, l'esecuzione di una stupenda Disispirada o disispirata (non significa disperata, bensì svegliata, dal verbo spagnolo despertar = risvegliare) mai più ascoltata a Nuoro se non con cadenze marcatamente logudoresi dalla signora Richedda Marroccu, consorte del signor Modesto, virtuoso suonatore di armonica e componente del gruppo ENAL. Molti componenti del Coro, in quegli anni, cantavano anche nell'unica corale polifonica cittadina di Santa Maria della Neve, diretta da Pietro Cottu. Da questo complesso provenirono nel '65 Salvatore Mura, noto Lanterna e Antonello Asproni. Nei coristi vi è sempre stato l'interesse per i canti sacri e profani del patrimonio non sardo. Tanto che nel 1966, sotto la spinta del soprano nuorese Professoressa Antonietta Chironi, di Romano Ruju e del Professor Muratori, docente di musica presso l'Istituto Magistrale di Nuoro, tutto il Coro aderì alla costituzione della Polifonica "Ennio Porrino" che per qualche anno operò in città con buoni risultati. Altri due elementi,entrambi provenienti dal gruppo di ballo ENAL, entrarono nel Coro, intorno al 1965: Salvatore Pinna, tenore solista del canto Sos pastores e Tonino Sanna, noto Punzitta, solista del canto Sa crapola e di A s'andira, assieme a Peppanzelu Dejana. Con l'ingresso nel '67 di Giovanni Zizi, Franco Ruju, Antioco Nurchis, Paolo Verachi, Giovanni Costa e Luciano Carroni, si raggiunse un massimo organico di 20 elementi circa. Con Nuoro cresceva anche il Coro.

Già dal '62 si era impostata una sistematica ricerca di canti sacri, come ad esempio lo Stabat Mater. Si andò a far visita all'anziano sacerdote Pride Antoneddu Sanna, che abitava nei dintorni dell'ex Banca d'Italia. Fu il vecchio organista della Cattedrale, al quale il Coro fece omaggio di una piccola pianola elettrica, ad impostare definitivamente l'intonazione originale del brano, riportandola dalla voce tenorile a quella del basso. Un po' sul modello di voce del canto di Bosa e Castelsardo. Giovanni Todde curò il canto Sos pastores, di origine tianese. Erano gli anni nei quali si immagazzinavano notizie e dati sui canti nuoresi e del circondario; testi poetici, o brandelli di antiche nenie, andando a fare visita a conoscenti, spontanei depositari della nostra comune memoria etnofonica. Era facile incontrare, nelle tiepide serate autunnali, un'allegra brigata di giovani, rimbalzare magari dalla casa di Ziu Zulianu e Zia Costanzina Sanna a Su Serbadore, verso casa di Francesco Mereu, spesso investiti dai bonari rimproveri del nonno Ziu Franziscu Cambosu-Contena: "Puzzi! Sa cumpannía conca 'e cane da est falande". Figura di patriarca, imponente e severo nel suo costume tradizionale. Nel 1962, momento qualificante fu la creazione della famosa canzone Adios Nugoro Amada. Peppanzelu Deiana, illustrando l'opera di quel grande della poesia nuorese dell'800, che fu il Canonico Solinas, fornì a Gian Paolo Mele, che allora collaborava con la direzione artistica del Coro tenuta da Efisio Melis, il testo della famosa poesia. Riassemblando in altro ordine i versi del Solinas, Gian Paolo Mele propose il canto a quattro voci, con la ricostruzione di una vecchia melodia di Fonni. Il canto ebbe subito successo per il naturale connubio tra contenuto poetico e struggente melodia, e venne in seguito cantato dalla corale Santa Maria della Neve, riportato a Pietro Cottu dallo stesso Gian Paolo Mele che era componente del complesso sin dalla sua costituzione. Altro pezzo forte della ricerca operata in quegli anni dal Coro fu Sa par'historia 'e Balubirde, (La leggenda di Valverde).

Prima persona ad insegnarci questa melodia, fu la madre del nostro Carlo Forteleoni, signora Ines, che ci consigliò anche di rivolgerci a Ziu Gonario Cadeddu noto Pettenaiu per saperne di più. Vecchio chitarrista, Ziu Gonario era stato componente della Filarmonica del Maestro Rachel, che nel 1930 eseguì questo brano al Maggio Musicale Fiorentino. Un pomeriggio, con l'amico ......

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