IL GIORNO CHE TUTTI RICORDEREMO

 

Di Lyla ( lylalay@virgilio.it

 

 

 

Questa fan fiction è dedicata alla memoria di tutte le vittime degli attentati di New York e ai passeggeri del volo 93.


 

La vita di una Cacciatrice e di coloro che le sono vicini si trova agli antipodi di una vita “normale”, eppure, come da qualsiasi altra vita, a grandi linee sai sempre cosa aspettarti. Gli imprevisti erano la costante della vita di Buffy, ma neppure lei avrebbe mai immaginato quello che sarebbe successo. Quel giorno non sarebbe iniziato diversamente da quello precedente, e da quello prima ancora e ognuno si aspettava che anche il giorno seguente sarebbe iniziato allo stesso modo. 

 

Buffy si svegliò alla solita ora, quella mattina, ed iniziò a preparare la colazione per sé e per sua sorella. Non accese la radio. Le due ragazze sedute al tavolo parlavano di tutto e di niente come al solito: i pasti per loro erano i momenti più pesanti della giornata. <<Se hai ancora 5 minuti di pazienza ti accompagno io>> <<Lascia stare, faresti tardi all’università. Non preoccuparti, andrò con Melinda.>> <<Come vuoi. Ci vediamo dopo la scuola.>> disse Buffy salutandola. Pochi minuti dopo la sorella, anche Buffy si apprestava a lasciare casa sua. Salì in macchina e si diresse all’Università. Arrivò alle otto meno un quarto, ancora intontita dal sonno e persa dietro le sue preoccupazioni, non si accorse che qualcosa decisamente non andava.La sonnolenza le passò di botto non appena fu in vista edificio scolastico: attorno regnava una grande confusione, ma l’atmosfera era decisamente diversa da quella degli altri giorni. Non era la solita accozzaglia di studenti che si raggruppavano davanti all’ingresso chiacchierando a tutto spiano per svegliarsi e per ritardare fino all’ultimo istante possibile l’entrata in classe, non c’erano coppiette che svicolavano dietro l’angolo del fabbricato per sbaciucchiarsi un po’ senza avere addosso gli occhi carichi di disapprovazione dei professori, il signor Heywood –il bidello– non era lì intorno a brontolare come ogni maledetto giorno dell’anno scolastico, in poche parole non c’era la solita gaia, spensierata e colorata confusione: benché il sole cominciasse a mostrarsi, qualcosa rendeva tutto grigio e freddo. Gli studenti che si trovavano sul piazzale quella mattina erano divisi in gruppetti che parlavano più o meno concitatamente, altri telefonavano dai cellulari, altri ancora piangevano, chi in silenzio, chi singhiozzando leggermente, mentre alcuni avevano già gli occhi pieni di lacrime eppure non si decidevano; molti attraversavano il piazzale correndo come se ne andasse della loro stessa vita, altri camminando come zombie . Qualunque cosa stessero facendo, c’era una cosa che accomunava tutti quanti: il senso di smarrimento e angoscia che traspariva dai loro occhi, da ogni minima azione. Buffy era costernata, non riusciva a spiegarsi quello che vedeva e nonostante questo entrò nell’edificio. Nei corridoi la scena si ripresentava uguale a quella del cortile, con lo stesso identico copione. Tra gli attori ora si vedeva anche qualche insegnante. Ancora più confusa e stupita, con la sensazione di vivere in un sogno, Buffy si decise a chiedere spiegazioni a qualcuno. Tra gli studenti che percorrevano i corridoi a razzo, riconobbe e fermò Jeremy Anderson, un ragazzo timido e tranquillo che frequentava il suo stesso corso di Storia. <<Ehi, si può sapere che diavolo succede?>> gli chiese. <<Ma dove vivi? Non lo sai che c’è una guerra!?>> la aggredì questo lasciandola senza parole. Mentre Jeremy si allontanava, il cellulare di Buffy iniziò a squillare e dopo alcune difficoltà, la ragazza riuscì a rispondere. <<Pronto?>> rispose. Dall’altro capo del filo le giungeva la voce concitata di Giles. Mentre ascoltava ciò che, con sempre maggiore agitazione, Giles le riferiva, Buffy impallidì violentemente e si sentì vacillare. Appoggiò la schiena contro la colonna alle sue spalle e si lasciò scivolare a terra, sconvolta e senza neanche la forza di parlare. <<Mio Dio…Non è possibile>> furono le uniche parole che riuscì a pronunciare.

 

Quasi nello stesso momento nella Città degli Angeli, un altro telefono stava squillando con insistenza. Angel dopo aver vanamente tentato di ignorare lo squillo, si decise a trascinarsi fuori dal letto e rispondere. <<Pronto?>> sbadigliò nel telefono con la voce di uno che è più morto che vivo. <<Angel…Mio Dio, è orribile…E’…è>>. La voce era familiare, ma irriconoscibile tanto la sua proprietaria era sconvolta. <<Ma chi parla?>> <<Sono…Sono Cordelia. Oh, Angel sta succedendo il finimondo!…A New York c’è stato un terribile attentato terroristico…Ci saranno centinaia, forse migliaia di morti, e la Casa Bianca brucia!>> <<Che cosa? No, ma come…>> <<E’ così, ti dico!>> <<Non muoverti: vengo in ufficio>>

 

<<Spike! Spike, svegliati!>> urlò Crystal iniziando a scuotere violentemente il vampiro. <<Lasciami dormire, Christy, ho sonno!>>. La ragazza lo lasciò andare e andò ad alzare al massimo il volume della televisione. Nonostante cercasse di ripararsi la testa con un cuscino, le parole del cronista riuscirono a raggiungerlo e farlo schizzare fuori dal letto. <<Ma come…?>> <<Sta succedendo di nuovo, Spike. E’ come l’altra volta, è tutto come l’altra volta>> gemette Crystal sull’orlo della crisi di nervi. Spike non capì cosa intendeva, finché non la sentì dire che sessant’anni dopo la storia si ripeteva. Allora comprese quello che voleva dire: quasi sessant’anni prima era avvenuto l’attacco di Pearl Harbor, e Crystal, che allora aveva poco più di undici anni, all’epoca era rimasta molto scossa. <<Su, non aver paura. Vedrai che andrà tutto bene.>> disse il vampiro stringendola tra le braccia. Ma quelle parole le diceva anche per sé stesso, giacché dentro sentiva uno strano brivido freddo.

 

Buffy barcollava per i corridoi: le ginocchia non la tenevano, il volto le bruciava come se l’avessero schiaffeggiata e vedeva il corridoio deformarsi davanti a sé, senza capire che erano i suoi occhi pieni di lacrime a farle vedere il mondo in quell’ottica distorta. Era stata travolta come da un’ondata da quell’ enorme tragedia, più grande di lei. I suoi pensieri schizzavano da tutte le parti come perle di una collana rotta, e lei non sapeva cosa fare per fermare quella giostra impazzita; camminava senza neanche rendersi conto di dove andava. Attraverso il velo di lacrime vide una ragazza in un angolo, gettata a terra come un fagotto di stracci, che urlava con quanto fiato aveva in gola, mentre alcune persone intorno a lei cercavano vanamente di calmarla. Si chiese chi era, e sentì una voce sconosciuta rispondere che era Jenny Difranco, ed era di New York. Bastava a piegare tutto, e Buffy si domandò se aveva espresso il pensiero ad alta voce senza rendersene conto…Se c’era qualcosa di cu si rendeva conto.  <<Che cosa ne sarà di noi?>> si chiese sconsolata, e un pensiero tremendo, come una lama di ghiaccio, le attraversò la mente. <<Down!>>. Con le mani che tremavano, riuscì a ripescare il cellulare dalla borsa, e dopo alcuni vani tentativi, riuscì a ricordare il numero della scuola di Down e a mettersi in contatto col preside. Apprese così che la scuola, giacché era frequentata da numerosi studenti di origine ebraica, sarebbe rimasta chiusa: gli studenti erano stati rimandati a casa. Subito la Cacciatrice telefonò a casa per raccomandare alla sorella di non muoversi: lasciò suonare il telefono venti volte e non rispose nessuno. Down avrebbe dovuto essere già a casa. La Cacciatrice si impose di riacquistare il dominio di sé stessa, e si precipitò a cercare la sorella. <<Sarà sconvolta almeno quanto me>> pensò mettendo in moto l’auto.

 

<<Che cosa facciamo, Angel?>> chiese Wesley cercando di apparire calmo. <<Andiamo a Sunnydale>> <<A SUNNYDALE!?>> urlò <<Ma che ci andiamo a fare? Non dovremmo andare a New York?>> <<Come e a far che? Non c’è niente che possiamo fare>> <<Angel ha ragione. Anch’io in questo momento sento il bisogno di tornate a casa>> mormorò Cordelia.

 

Nella sua cripta, Spike guardava la sua ragazza dormire: il sonnifero che le aveva somministrato di nascosta aveva finalmente fatto effetto. Si alzò dal bordo del letto, si diresse verso una cassapanca e dopo aver frugato un po’ tirò fuori una pistola. Spike controllò l’arma: tolse il caricatore e tornò ad infilarlo. Tutto era a posto. Tornò ad avvicinarsi a Christy, riprese a guardarla dormire. <<Succederà qualosa>>  pensò <<E’ inutile far finta di niente: lo sento, è nell’aria…E quel freddo…Odio ammetterlo ma ho paura: non so neanch’io di che cosa ma…Ho paura per me e per Christy.>> Guardò ancora la ragazza, poi la pistola, nuovamente la ragazza e infine la pistola…<<Al diavolo!>> esclamò ad alta voce <<Non ci hanno ancora battuti.>>

 

Nel suo appartamento, Anya guardava fuori dalla finestra mentre alle sue spalle la TV continuava a trasmettere telegiornali. Xander le si avvicinò e, abbracciandola, vide le lacrime che le scorrevano sul viso. <<Pensi che verrà la guerra?>> gli chiese <<Non lo so. Non sappiamo neanche contro chi combattere>> <<Se succederà, tu andrai?>> <<Non credo cha avrei molta scelta comunque>> << Ma se tu potessi scegliere…>> <<Credo che andrei>>. Xander si aspettava che Anya iniziasse uno dei suoi monologhi di gelosia, invece la ragazza scosse la testa in senso affermativo. <<Sì, sarebbe sicuramente la cosa più giusta>>. I due tacquero, poi Anya parlò ancora. <<In duemila anni di vita dovrei averne viste di cose, ma…Non ricordo nulla che si avvicini anche solo lontanamente. E poi non…Non le avevo mai vissute così>>. Xander la strinse di più, senza saper cosa dire per fare coraggio a entrambi. <<Pensi che butteranno la bomba atomica?>> se ne uscì Anya. <<Non credo>>. <<Se lo faranno, spero che accada mentre sto facendo l’amore con te>>.

 

<<Dove diavolo si sarà cacciata?>> pesò Buffy sempre più nervosa. Improvvisamente nel suo campo visivo comparve per un attimo una macchia rosa. Buffy fece inversione a U, anche se era vietato, tornò indietro e fermò l’auto. Scese, e si trovò davanti una Down distrutta. La ragazzina si gettò tra le braccia della sorella e scoppiò in un pianto dirotto. <<Ho tanta aura, Buffy>> singhiozzò. Buffy sapeva che avrebbe dovuto dire qualcosa, per rassicurarla…Ma non riusciva a trovare niente, perché anche lei aveva paura.

 

<<Che cosa possiamo fare, signor Giles?>> <<Mi dispiace, Buffy, purtroppo non…non c’è niente che possiamo fare.>> <<No, non è possibile! Deve pur esserci qualcosa! Non possiamo arrenderci così!>> <<E non lo faremo, Buffy. Ho osservato  abbastanza gli Americani per sapere che…>> <<Non mi interessano le  sue osservazioni! Io sono la Cacciatrice, e devo fare qualcosa. Non posso starmene lì con le mani in mano mentre…>> <<Buffy, adesso ascoltami. Capisco che tu ti senta confusa e arrabbiata, ma tutto questo è qualcosa di troppo grande anche per te. E’ stato dato il via ad una catena di eventi che nessuno può controllare, neanche chi vi ha dato il via. Tutto questo fa paura, Buffy. Ti capisco…Ti senti indifesa e impotente. Ma non puoi salvare tutti. Tutto quello che accadrà ora…Non dipenderà da noi.>> <<Mi sta dicendo che non c’è niente che possiamo fare?>> <<Sì…Anzi, no. Dobbiamo reagire. Ma non soltanto “noi”: tutto il mondo Occidentale deve reagire. Ora come ora è nostro preciso dovere dimostrare che non siamo quei vigliacchi che ci considerano.>> <<E come dobbiamo fare? Contro chi…o contro che cosa dobbiamo combattere?>> <<Contro noi stessi Buffy. Contro la paura. Se  lasciamo che la paura prenda il sopravvento…Hanno già vinto.>> <<Capisco.. Ha ragione: non dobbiamo vivere nel terrore continuo, giusto?>> <<Esattamente, Buffy>> <<Adesso so cosa devo fare. La ringrazio, signor Giles>>. Buffy non attese risposta e mise giù il ricevitore.

 

Come se si fossero dati appuntamento, si ritrovarono al negozio di magia. Tutti quanti: quelli che erano rimasti e quelli che se n’erano andati tanto tempo prima. Sul tavolo era stato occupato dal televisore portatile che Xander era riuscito a scovare. Ognuno si era sistemato dove meglio poteva: Buffy ed Angel erano seduti per terra, Xander e Anya avevano portato su dalla palestra di Buffy alcuni dei materassini, lì vicino su alcune sedie sedevano Cordelia, Wesley e Giles, mentre sul bancone avevano preso posto Spike e Crystal e di fianco a loro c’erano le due streghe. Willow piangeva disperatamente: vedendo le immagini del crollo delle Twin Towers, non poteva fare a meno di pensare a suo zio e alla sua famiglia, che si trovavano in visita da una prozia a New York  e Tara stava facendo di tutto per consolarla. Down se ne stava nascosta dietro il bancone e alla fievole luce di una candela scriveva il suo diario. L’aria era corica di paura e tensione, perciò  su invito di Buffy, Giles ripeté il suo discorso. Non era sicuro però di essere riuscito a risvegliare “lo Spirito di Pearl Harbor”. Se avesse potuto leggere nelle anime dei presenti, avrebbe compreso di essersi sbagliato: il sottile brivido freddo che aveva posseduto tutti quanti, se ne stava andando, sciogliendosi alla calore della nuova fiamma che si era accesa nei loro cuori. Sotto il bancone, Down tirò fuori un foglio spiegazzato e lo aprì: era il foglio del calendario con la data di quel giorno. Non aveva bisogno per sapere che giorno era, perché non avrebbe mai più dimenticato quella data, quel fatidico 11 Settembre 2001.

Mentre la televisione trasmetteva il discorso agli Stati Uniti del Presidente Bush, Down avvicinò il foglio alla fiamma e lo guardò bruciare.

 

 

FINE…?

 

 

 

 

 

 

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