Giuseppe Crea De Lorenzo SINTESI, ARGOMENTI E PROBLEMILa presente antologìa è il risultato di un lavoro di ricerca sulle tradizioni popolari orali da me avviato fin dal 1963, in quel lembo di terra che ha avuto per prima il merito di chiamarsi Italia o Vitalia. Alcuni di questi argomenti sono noti
perché li ho ceduti ad amici e conoscenti
in copie private, altri sono stati pubblicati nella edizione riservata
del 1985 ne La Voce di Mauro e Severina.
Man mano che ho proseguito nella carriera scolastica, oltre alle leggende consegnatemi dalla nonna paterna, ho avuto l’opportunità di scoprirne altre in ogni angolo del Marchesato ed ora mi trovo con un ampio patrimonio inedito che merita di essere pubblicato. Poiché, a forza di leggere, rileggere, chiedere spiegazioni, dette leggende si ampliano e arricchiscono sempre più di particolari che mi costringono a riordinare le cose secondo una prospettiva diversa, non vedo l’ora di pubblicarle, in qualsiasi modo, per non restare intrappolato in una ricerca avviata per gettare in altri il seme della curiosità e che invece ha finito con l’avvolgere me fra i mille tentacoli del pitagorismo tradizionale. Quanto troverete scritto è quindi il risultato di una ricerca un po’ anomala, impostata come un romanzo in stile arabo, proseguita con l’intento di stimolare la curiosità del lettore e farlo accostare piacevolmente ad un patrimonio di tradizioni locali del Marchesato crotonese e della Presila, che, per un caso particolare, si identificano spesso con il dialetto calabrese e la prima cultura italica. Per conseguire i numerosi obiettivi, che mi impegnavano su più fronti, senza appesantire la lettura, ho utilizzato uno stile espositivo che trasforma i vari argomenti in qualcosa di gustabile in dialetto, piacevole in italiano, fruibile in altri contesti linguistici, che consegue i suoi obiettivi proprio avvalendosi di linguaggi metaforici tipici dei pitagorici, strutture grammaticali dialettali, segni di interpunzione finalizzati più alla creazione di un effetto semantico che di rigore ortografico. Quanto il risultato sia un qualcosa che valorizza la lingua italiana o mortifica il dialetto calabrese, sarete voi a giudicarlo!
FINALITA’ DELL’ OPERA Tutta l’opera è un tentativo di capire il modo di
vivere-pensare-operare nel luogo che, storicamente, ebbe il privilegio di
chiamarsi Italia
e dimostrare, con la storia dei popoli ed il
primato della sua memoria, che il nostro piccolo territorio, (Cosa Nostra più di quella che ci hanno
rifilato) è stato il centro della cultura integratrice italica, di quella
dignità ed umanità che ci ha reso grandi e famosi nel mediterraneo e nel
mondo. E’ anche il tentativo di
fare prendere coscienza che noi siamo sempre stati maestri di vita e che se,
talora, siamo validi altrove e
impotenti nel nostro paese, ciò non dipende da nostre capacità e attitudini ma
da orientamenti e legami politici, pastoie burocratiche con i quali il potere
centrale continua a legarci! La riproposizione di Pitagora, come simbolo della curiosità intellettuale e
teorico della libertà e del diritto dell’uomo di scegliere è un modo per
invitare tutti, anche i nostri giudici ed amministratori, a prendere coscienza
di alcuni valori morali e far loro capire che è tempo di riappropriarci delle
libertà ed autonomie che ci competono perché solo con esse potremo tornare ad
essere uomini veramente liberi e non servi! In un tempo di libera(ta) e
incontrollabile circolazione satellitare delle idee su beni di consumo, giùdici,
giudìzi e giudicàti, finalmente i politici, burocrazia e strutture di servizio, non possono più
continuare a determinare il nostro destino con politiche di emarginazione e scelte che ci relegano a ruoli
subalterni! MODALITA’ SEGUITE NELLA RACCOLTA DEL MATERIALE UTILIZZATO. Nel raccogliere la tradizione orale per trasformarla in scritta, quando questa non faceva parte dei miei ricordi, ho proceduto nel seguente modo: 1° Ho raccolto il materiale non eccessivamente scurrìle con un registratore di suoni. 2° Inizialmente, ho trascritto testualmente le parole adoperate dai vari novellatori. 3° Ho chiesto spiegazioni sul significato da dare ai termini dialettali o al messaggio nascosto. 4° In seguito, ho rielaborato e personalizzato gli argomenti sia per conservare il loro fascino anche in lingua italiana, sia per inserire note di chiarimento secondo il punto di vista della gente, senza tenere in alcuna considerazione la congruità di detti racconti con i possibili dati d’archivio e mi sono fatto aiutare da colleghi ed alunni per renderli sempre più piacevoli. ACCOSTAMENTO AI CONTENUTI Volendo iniziare l’esposizione in forma
piacevole ed impersonale, ho fatto ricorso all’espediente tecnico di uno zio
tornato dall’America per rievocare il passato ed a questi ho affidato il compito
di far immergere il lettore nel mondo surreale della fiaba, del simbolismo,
della esuberante vitalità ed empatìa italica, nel modo di vedere e pensare del
Grande Maestro Pitagora. Inizialmente, pensavo di far rivivere
come premessa il viaggio di Pitagora alla
ricerca della propria identità culturale. Successivamente, questo strano viaggio a
ritroso, fatto di riflessioni che permettono di scoprire che il presente è figlio di tanti passati ma non
c’è nulla, anche nel passato, che non si possa intuire con il cuore o con la
mente, mi ha obbligato a parlare di tanti argomenti che hanno dilatato ciò
che doveva essere una premessa fino a farlo diventare un vero e proprio volume indipendente,
che era meglio pubblicare a parte, come supporto teorico e pratico di tutto il precedente lavoro di ricerca su
canti, racconti e tradizioni. In tal modo, il pensiero italico imperniato nei miti di Mari e della religiosità orfica, viene
rivisto prima nel contesto della
macchia mediterranea (mavros) e della sua civiltà agro-pastorale e
silvicola, poi in quello di una
società multietnica sibarita-crotoniate-metapontina che è stata capace di integrarsi col pensiero
induista-semita e con quello
delfico, per dare origine ad un modo
di parlare e pensare (pitagorein) per
metafore, simboli, proverbi, che è più espressione della nostra cultura italica che un parto della mente del
filosofo greco Pitagora, venuto a
noi da non si sa quale Samo. In questa fase, gli argomenti di
tradizione popolare prima godibili solo come racconti, sono stati
interpretati come esemplificazioni del pensiero pitagorico e ha cominciato ad
emergere la consapevolezza che ci sia assimilazione o identità tra orfismo,
cultura italica e pitagorismo. Alla luce di questa nuova intuizione, poichè
mi sembrava ingiusto considerare greco ciò che è italico ed attribuire ad un singolo
filosofo Pitagora un modo di parlare e di pensare come la Pizia (pitagorein) che è ancora adesso
caratteristico della nostra zona, ho cercato di farlo intuire anche ai
lettori, preoccupandomi di capire e far capire, vedere al di là delle biografie
agiografiche, per recuperare e salvare il pensiero dei pitagorici che esiste
indipendentemente dal fatto che possa essere espressione di un singolo filosofo
Pitagora, di una struttura di potere o di una intera comunità che parlava come
la Pizia. Partendo dall’ipotesi che se esiste un
pensiero, è esistito certamente anche un qualcuno che lo ha affermato (anche se
forse Pitagora era solo un nomignolo o un epiteto riferibile a più Pitagora), ho
cercato di documentarmi su Pitagora ma mi sono sempre più convinto che quanto
detto dagli autori greco-romani, essendo stato scritto per la vanità degli
uomini o per allietare cenacoli di persone più potenti che colte, è meno
attendibile di quanto riferito dalla nostra tradizione. Il sentito dire riportato dagli autori greco-romani, li
rende degni di elogio per l’impegno profuso nel recuperare quanto attribuito a
Pitagora (e per questo io li ho citati quando trovavo rispondenza fra quanto da
essi riportato e quanto riscontrato nella tradizione), ma non toglie il dato
obbiettivo che essi siano
sostanzialmente estranei alla cultura italica sulla quale poggia sia il
pitagorismo che una tradizione orale che si irradia prima da Crotone verso
Metaponto, Sibari e Locri, poi da Sibari alla Lucania e Campania.
Di conseguenza, ho preferito accantonare
i biografi e tornare alla tradizione orale di cui non si è perso il ricordo
perché ancora oggi sa dare risposte
esaurienti ad ognuno di noi. Personalmente, io ritengo che il pitagorismo
continua ad esistere e vivere in noi perché abbiamo identificato Pitagora con
l’Uomo in astratto, col teorico della
libertà ed con il simbolo della curiosità intellettuale
insita in ogni uomo, capace di piegarsi sia verso l’analisi introspettiva che verso la ricerca
pratica! Anziché il Pitagora che può essere
esistito, ho preferito seguire questa mia idea del Pitagora in un viaggio
immaginario. Ne è venuta fuori una esperienza piacevole e più interessante dello
scoprire un documento anagrafico su questo personaggio. Riuscire a capire che il pitagorismo non
è solo trasposizione del pensiero delfico o orfico nella Krotonide (ma è anche
una teoria italica ed una metodologia didattica, fondata sul presupposto che il
progresso scientifico trae le sue origini in un passato remoto che continua a
vivere in noi, vive e cresce nella continuità storica di una civiltà, ha la
capacità di proiettarsi nel futuro prevedendolo, sa dare una risposta a tutti i
perché della vita) ma è pensiero italico, è un qualcosa di più importante del
sapere che tali idee siano veramente di un Pitagora o dei tanti Pitagora o scuola di pensiero che da lui prese il
nome. Tali conclusioni aiutano
infatti a capire che l’Italia o Krotonide, prima ancòra del mondo greco
che ha in Atene e Sparta i suoi centri di potere, è un punto di incontro di più culture e
che il pitagorismo, liquidato da tanti filosofastri come accozzaglia di
intuizioni bizzarre e stramberie, è stato e continua ad essere non solo
la prima ma anche la più valida
scuola di pensiero a cui tutti hanno attinto. Certamente, anche a me
interesserebbe sapere fino a che punto il pensiero pitagorico sia originale ma,
se ho potuto, non ho rifiutato l’opportunità di ricordare i nomi di tanti
filosofi che hanno riproposto le sue idee come proprie o dei tanti ricercatori
che se ne sono impossessati copiandole, rubandole, elaborandole,
fraintendendole, sopravvalutandole o sottovalutandole, interpretandole come
ricerca naturalistica, ricerca sperimentale, teologìa della Natura o Filosofìa
dello Spirito, esegesi critica o ricerca escatologica. ORGANIZZAZIONE DEI
CONTENUTI Poiché il materiale raccolto è enorme e
chi vuole leggere nei ritagli di tempo tende a scegliere un libro di modeste
dimensioni , mi si è posto il problema di suddividerlo in più parti, in base a
finalità educative o a caratteristiche più o meno simili. Nella INTRODUZIONE, ho cercato di
coinvolgere il lettore nella trattazione dei vari argomenti per abituarlo sia
allo stile espositivo che alle modalità di ricerca da me seguite; poi, ne IL VANGELO DI MARI, ho proposto, in
forma di brioso dialogo, i temi più comuni della nostra tradizione: credenze
popolari, riti che evocano i misteri della vita e della morte, tentativi di
dissacrare i miti posti in essere dallo stesso popolo che li ha creati.
Nelle revisioni successive, ciò che
inizialmente sembrava un insieme di raccontini, mi hanno rivelato la loro
essenza di favole pitagoriche ossia di favole inventate per esporre e far capire
agevolmente una verità del pitagorismo. In ognuna di esse non è stato difficile
riscontrare curiosità intellettuali, stimoli interiori, pensieri assillanti che
finiscono sempre col condizionare il nostro comportamento, il nostro modo di
vivere ed agire pratico.
In SCUOLA DI VESTA E PRECETTI DI SILENO ho raccolto altre fiabe, parabole, novelle auliche, sentite raccontare prevalentemente da Frandina Rosina (per la parte educativa destinata alle ragazze) e da Giovanni Borda (per la parte destinata all’educazione dei maschi) che rispondono alla domanda Come Cambiare e trasformano la cultura pitagorica e cristiana in esempi di vita dettati dal buon senso, che impongono regole morali dopo avercene fatto capire il perché. Poiché queste leggende sono arrivate fino a noi grazie alla tradizione orfico-pitagorica, (che ha assorbito o è stata assorbita poi dalla cultura cristiana) che parla come Cristo e gli esegeti cristiani che spesso i papi hanno considerato eretici, non ho potuto fare a meno di orientare i miei interessi investigativi verso la ricerca di quelle leggende più legate al pensiero teorico dell’orfismo e del pitagorismo e, da tale lavoro sono nati i due volumi intitolati DA MARI A PITAGORA e TRA SILLOGE E SOFISMA. Nel proporre alcune favole orfico-pitagoriche, spesso cristianizzate, per aiutare a capire gli argomenti, ho sentito il dovere di far notare anche le contraddizioni tra il pensiero orfico e quello cristiano, ogni qual volta la logica umana di una religiosità naturale mediterranea mal s’accordava con la presunzione di un diritto divino avallato dal papa romano. Motivi di contrasto fra pitagorismo e cristianesimo ce ne erano e ce ne sono tanti. Non mancano neppure i motivi che avallano pretesi limiti e superiorità di una dottrina sull’altra, di una gestione comunitaria rispetto all’altra. Il pensiero pitagorico infatti era stato talora male usato da infiltrati nella scuola pitagorica. Essa infatti era una struttura simile per alcuni aspetti ad un convento medievale, per altri alle logge massoniche nostrane, frequentate sia da laici che da asceti, nelle quali era possibile infiltrarsi e riuscire a deviare le finalità istitutive. Ad onor del vero, io penso che ciò sia accaduto anche nella chiesa cattolica, e che quest’ultima abbia cercato di imitare proprio l’organizzazione interna dei pitagorici fino al punto di usarne metodi e apparati rituali. Altrimenti, come mai anche il papato si è rapidamente trasformato in una struttura di potere temporale che ha finito col reggersi più sulla forza delle armi che sul consenso o sul carisma spirituale? Come mai entrambe le strutture di potere hanno commesso l’errore di fare apparire i loro interessi o punti di vista come verità da accettare, se gli adepti non volevano incorrere in sanzioni piuttosto analoghe? Gli ipse dixit di Pitagora erano però atti di fiducia nel Maestro in attesa di potere competere con lui in dottrina e carisma; quelli dei papi erano invece dogmi di fede, verità che ogni credente non deve mettere in discussione perché affermate da un papa che si ritiene Dio solo perché parla ex cathedra Petri. Il povero libero pensatore che osava mettere in discussione le direttive del Grande Maestro veniva infatti messo in condizione di sonno (impossibilità di operare fin quando il suo pensiero non diventa prevalente) dalla loggia pitagorica; chi metteva in discussione le direttive del papa veniva invece scomunicato (condanna a non aver rapporti con la gente e obbligo per i credenti di evitarlo e non aiutarlo in alcun modo). Entrambi questi provvedimenti portavano prima alla emarginazione, poi ad un assassinio politico o ad una lacerazione se il libero pensatore non rinunciava alle sue idee. Il pitagorico messo in condizioni di sonno poteva però continuare ad indagare, aspettare che il tempo portasse al ricambio della dirigenza e delle idee–guida, pensare addirittura di dare vita ad una nuova adelfìa o loggia concorrente; il cristiano cattolico invece poteva solo abiurare, rinunciare alle proprie idee, cercare cavilli per distinguere tra verità di fede e verità logiche, finire in galere e finire ucciso, o se ne aveva la possibilità, scappare in uno stato di diversa confessione religiosa o mettere i suoi seguaci contro la chiesa principale.
In SOTTO IL SEGNO DI ARIO, tramite il monaco ribelle ed apostolo laico della conoscenza, (simbolo della sacra inquietudine, alimentata dalle passioni, che ci inducono ad urlare o a cantare a squarciagola contro ogni tirannide) ho presentato una interessante serie di parabole edificanti, sentite raccontare prevalentemente da Giovanni Borda. Io le ho riproposto come pensiero in rima ma, chi sta attento alle parole, capisce benisssimo che esse sono l’espressione di un ceto sociale che: - condivide le idee di Pitagora e le istanze religiose di Gioacchino da Fiore o di San Brunone. - si esprime parabulando, con linguaggio simbolico facile da ricordare e capire, per orientare l’opinione pubblica verso una condanna per le istituzioni civili e religiose che hanno emesso anatemi contro di costoro. - fa toccare con mano che i bisogni di S. Brunone (la sua campagna antisimoniaca) o le istanze religiose di più intensa spiritualità del movimento carismatico-pentacostale di Giocchino da Fiore, non sono cose da liquidare con un anathema sit! - comprende l’importanza dei valori religiosi, più e meglio del primo Pitagora o del grande Ario, ma non ne accetta sempre ritualità, dogmatismi e interferenze di papi o imperatori. - afferma il diritto a ragionare con la propria testa e, furtivamente, propone altri modelli alternativi -da pensatore libero e imparziale, si pone come mediatore tra il pensiero cattolico-romano e quello ortodosso-bizantino. Ario stesso sembra la reincarnazione dello spirito pitagorico in un contesto storico dominato dalla centralità del primato religioso-politico del vescovo di Roma su quello dell’imperatore d’Oriente e dei capi delle comunità autocefale. In detto contesto, la verità non può essere affermata nel chiuso di quattro mura, ma va gridata ai quattro venti, urlata a squarciagola a costo della vita, per indurre tutti a riflettere o a correre ai necessari ripari, al fine di contenere la possibile eresia nei limiti della ortodossìa. Ne IL TEMPO E LA MEMORIA c’è il recupero di opere di più ampio respiro,
di argomenti classicheggianti,
ricchi di sagacia, buonsenso e spirito critico, ma utili per capire il COME HANNO OPERATO in passato e osservare che tutte le imprese di semidei, eroi e
condottieri di un periodo intermedio, sono stati dei furti, più o meno giustificati o
accettati dalla gente comune, contro i
quali dovremmo reagire anche con mezzi eticamente discutibili, per far
acquistare coscienza che esistono valori
più sacri della vita. TREDICINO è probabilmente ciò che resta
di una trezenide o teseide.
LA SAGGEZZA DI IOALE è una raccolta di aneddoti attribuiti ad un mitico Ioale che si presenta nella doppia veste di scemo del villaggio o pozzo di saggezza popolare. I PROVERBI POPOLARI sono la sintetizzazione di tale saggezza. Ne’ I TRE BRIGANTI, dopo aver parlato di UCCIALI’, esponente nostrano del mondo
dei corsari assurto a grande fama,
ho cercato di riproporre la storia romanzata di tre briganti di vario
genere: PIETRO BIANCO, PANE DI GRANO e il GOVERNO PIEMONTESE.
Questa raccolta è una critica di parte alla unificazione
nazionale attuata dai piemontesi e rappresenta un momento di identificazione della popolazione più
con i briganti della nostra terra che con i predoni calati da Piemonte e
Lombardia, nel nome di un ideale grandioso, realizzato però contro e non per la nostra gente.
I nostri briganti erano ladri e assassini; i piemontesi, oltre che
ladri e assassini, sono stati dei
virtuosi del genocidio! In FRAMMENTI ho riproposto CREDENZE, AUSPICI, SUPERSTIZIONI, RACCONTI UMORISTICI, CANTI, poesie o strambotti, un insieme di argomenti in cui si esprime la tradizione, la voglia di vivere nel quotidiano, il buon senso della gente comune, la sua reazione istintiva e passionale per affermare il proprio diritto ad esistere. Ovviamente, in detta raccolta, si ripropongono inquietudini e passioni simili per forma a quelli di Mari o di Ario, esemplificazioni simili a quelli di Scuola di Vesta e Precetti di Sileno, ma…. diversi nella sostanza …. perché siamo in un contesto storico diverso…. perché diverso è il fine. La storia stessa ci appare come un susseguirsi di avvenimenti con andamento spiraliforme, perché apparentemente simili a quelli del passato ma diversi nel tempo, nei fini, nelle modalità. Essendoci una maggiore coscienza dei diritti umani, la vita viene vista con occhi scanzonati, ironici, beffardi, oppure descritta con aneddoti, strambotti e filastrocche. FINALITA’ Facendo questo lavoro, mi accorgo di
essere andato alla ricerca della prima Italia, di avere riproposto la civiltà pastorale e del bosco come
premessa del sapere medico-scientifico democideo e di quello logico deduttivo di
Pitagora, di avere trovato tante espressioni di vitalità della nostra
cultura in ogni epoca storica e di avere cercato di riproporle con i mezzi a mia
disposizione. Qualcuno potrà rimproverarmi di non avere
seguito il suggerimento dei vari luminari di riportare solo i frammenti
recuperati, senza tentare un’opera di restauro, incollando spezzoni e
reinventando qualcosa per raccordarli, ma…. se non avessi fatto un simile lavoro
per il piacere di vedere l’opera finita…. , se non avessi utilizzato il supporto
degli ultimi cantori, aedi, e cultori della tradizione, credete voi che sarei
stato interessato ad un lavoro da pazzi e che altri lo avrebbe fatto meglio di
me? Certamente, forse non potrò dire di avere
eretto un monumento più perenne del bronzo, ma almeno ho la soddisfazione di
aver fatto qualcosa di piacevole e di avere dato un aspetto, quantomeno
verosimile, alla mia cultura!
Ho tentato una escursione panoramica nel
passato partendo dal nulla e da pochi frammenti ma, come per un
miracolo, la via mi si è aperta davanti ed ho trovato una ideologia che è
l’espressione non della mente del singolo uomo (filosofo Pitagora) ma di tutto
il sapere del contesto della prima
Italia che viene raccolto, assimilato e diffuso dalla Pitagòra ossia dalla
scuola italo-crotoniate e dalla
struttura di potere ad essa connessa. Alla luce di numerose osservazioni e
deduzioni, quello che a torto o a ragione si riteneva pensiero pitagorico, ci si accorge che era
pensiero italico che esprimeva i bisogni e la saggezza dell’entroterra
italo-crotoniate di cui la grande
Kroton e la più grande Grecia si sono
appropriati! Tutto il mio lavoro, essendo stato
desunto da leggende che avallano altre leggende, dovrebbe essere
considerato inattendibile ma, poiché i dati di archivio sono stati sempre
creati e modificati ad uso di parte, anche ai fini della ricerca della verità
storica, forse le tradizioni popolari
sono i documenti più attendibili sulla esistenza di un problema e di un
costume perché sono argomenti sopravvissuti al logorìo del tempo, testimonianza
di vera continuità storico-culturale, e il più grande archivio che lo
scibile umano ci mette a disposizione! Poiché questa esperienza è servita a me
per scoprire la mia identità culturale, l’orgoglio di appartenere ad un popolo
con un ricco passato ed un radioso futuro, la mia dignità di uomo libero,
ritengo che la lettura dei mie testi possa tornare utile a chiunque si sente
italiano. Essa dovrebbe però servire anzitutto a noi italo-crotoniati per farci
prendere coscienza di non essere figli di mamma ignota e invogliarci a
pretendere che, in nome di tale genitrice, i signori amministratori capiscano
che sarebbe ora che ci restituiscano almeno quel rispetto, quella dignità,
quegli spazi di autonomia e di libertà a cui ha diritto ogni uomo libero! Noi,
solo da uomini liberi, capaci di decidere del nostro destino, possiamo aspirare
a diventare pari o migliori degli altri in ogni campo e quindi, dobbiamo
trovare il coraggio di rinascere, di non considerarci appendice di alcuno, di
mandare al diavolo chi ci impedisce di vivere da cittadini del mondo, da uomini
che credono nel valore della libertà e delle pari opportunità!
OSSERVAZIONI
FINALI. Io sono andato alla ricerca della tradizione locale per il piacere di trovarla e renderla godibile in un più ampio contesto. Procedendo nella ricerca, ho scoperto che quanto inizialmente sembrava d’interesse locale, spiegava il mio modo di essere uomo, specialista, professionista, conoscitore, cultore, mi insegnava pure i trucchi del mestiere che non avevo ancora imparato in decenni di insegnamento e mi faceva scoprire conoscenze che noi tendiamo a sbandierare come conquista del presente. Successive riflessioni per cercare di
capire cosa c’è dietro la favola, dietro la parabula, dietro la parola, mi hanno permesso di scoprire che c’erano le regole di
buonsenso avallate dagli insegnamenti pitagorici: c’era l’ombra di Pitagora che diventa inquietudine nel Vangelo di Mari, protesta in Ario, educazione in Scuola di Vesta e
Precetti di Sileno, osservazione
critica ne Il Tempo e la Memoria, esemplificazione della quotidianità in
Frammenti, conoscenza subliminale
nel contesto! Quando avevo già dato una prima e seconda
impostazione agli argomenti per poterli pubblicare, i ragazzi della Scuola Media
Statale di San Mauro Marchesato mi hanno consegnato altri racconti ed altre
filastrocche. Cercando di comprenderne il valore, mi sono accorto che erano di
grande importanza e facevano vedere tutto il lavoro in un’ottica diversa. Di
conseguenza ho dovuto cambiare impostazione e distribuire gli elementi raccolti
in modo diverso per presentarli come espressione coerente di quel pensiero
italico-pitagorica, che ha avuto il suo primo centro d’irradiazione nella Vitalia o entroterra della Krotonide di un
tempo, odierno Marchesato e Pre-Sila. Poiché l’opera è stata creata per
far conoscere la nostra tradizione e rinforzarla nel contesto in cui è
nata, ritenendo che gli ENTI COMUNI
DEL MARCHESATO, PROVINCIA DI CROTONE E CATANZARO, REGIONE CALABRIA, fossero
proposti per dovere istituzionale alla conservazione dei valori da me
recuperati, mi sono rivolto a questi enti dichiarando la mia disponibilità ad
autorizzarli ad una edizione
riservata e gratuita della mia opera. Poiché ho avuto l’impressione che qualcuno
voglia irridere al mio sforzo considerandolo di limitato interesse, altri
vorrebbe utilizzarlo a fini di passerella o vorrebbe farmi pesare come un favore personale il
loro eventuale interessamento, mi sono deciso a pubblicare tali argomenti Via Internet. Spero in tal modo di confrontarmi con un mondo più ampio e
capace di valutare l’utilità o la fruibilità del mio lavoro e far capire a tutti
che io intendo salvare questo patrimonio culturale e riuscirò egualmente a farlo
con, senza, contro o malgrado la
mancanza di coscienza dei nostri amministratori e la loro incapacità di apprezzare un qualcosa
che, con tutti i suoi possibili limiti, resta sempre , un tentativo di salvare
il nostro dialetto ed un patrimonio culturale di dimensioni enciclopediche!
CONFORMITA' ALLA
TRADIZIONE 1°) Brani e versi scritti in grassetto sono
tradizionali. 2°) La trama dei racconti preceduti da asterischi è tradizionale. Stile espositivo, versione personalizzata, capacità coordinativa, impegno per interpretare o relazionare sugli argomenti, sono miei. 3°) Dove non c'è alcuna postilla, significa che io, (al pari degli aedi o dei rapsodi del mondo classico, ) ho creato testo o contesto per far rivivere in questi argomenti i tanti frammenti tradizionali o quegli aspetti particolari della nostra cultura altrimenti destinati a non essere compresi. Di
conseguenza non ho compiuto alcun atto di appropriazione indebita, se mai ho
svolto il mio lavoro di coordinatore e relatore per dare ai posteri almeno una
idea delle passate usanze! Penso, infatti, che, nel giro di qualche anno, la
tradizione orale sia destinata a scomparire e, per salvare qualcosa, bisogna
trasformarla in scritta e correre il rischio di Omero e Mc
Pherson! FONTI Le mie fonti sono state: 1°) I ricordi personali legati ai racconti di mia nonna Gaetana Trocino, riconducibili a: - suo nonno don Salvatore Poerio, farmacista nato il 17-04- 1835. - suo zio don Pasquale Poerio, arciprete di S. Mauro nel 1847. - sua mamma, donna Maria Poerio, che nel 1865 sposò suo padre, don Cesare Trocino, esattore comunale. - Suo padre e nonno paterno, esattore comunale. 2°) Canzoni, fiabe, leggende, poesie, sentite declamare o recuperate da Giovanni Borda, Rosina Frandina, Marietta Corigliano, Erminia Borda, Anastasia De Lorenzo, Alfonso Rocca, Giuseppina Arcuri, Adelina Spatafora, Filomena Ruberto, Filomena Spina. 3°) Lavori di ricerca di alcuni miei
alunni della Scuole Medie di Caccuri, S. Severina e San Mauro Marchesato (che
fanno riferimento però riferimento anche ad argomenti tradizionali delle vicine
Petilia Policastro, Mesoraca, Rocca di Neto, Rocca di Tacina, Cutro,
Scandale.). 4° Qualche riscontro di congruità con l’Enciclopedia UNEDI e scrittori del mondo greco-romano, senza mai disporre di materiale di prima mano. ACCORGIMENTI, STILI, MODALITA’ ESPOSITIVE. Chi legge questo libro non potrà fare a meno di osservare che sostanzialmente è perfetto ma che talora è stato adoperato volutamente qualche termine desueto o dialettale, evitato da chi vuole mostrarsi puritano anziché affascinato dal valore semantico della parola. Come potrete capire leggendo, io non ho il complesso della Tourrette (bisogno di farsi notare dicendo parolacce) perché so esprimermi correttamente e piacevolmente anche in lingua italiana, ma, sono andato a caccia di termini dialettali e antiche parole per cercare di far rivivere i suoni di chi vive in un tempo storico ed in uno spazio geografico. Per parlare con la bocca del popolo vivo, non ho trovato espediente migliore dell’usare talora termini dialettali o schemi logici, allegorie, e simbolismi, propri del dialetto, ma le spiegazioni in parentesi o in nota ne hanno reso l’uso accettabile. Anche la punteggiatura o i sistemi di scrittura sono stati talora piacevolmente stravolti dall’inserimento di messaggi in codice, capaci di far notare le sfumature e di spezzettare le conclusioni a grappolo della logica pitagorica. In nota, ho inserito suggerimenti o accennato a
possibili regole e spiegazioni utili ad
orientare il lettore verso
successive ricerche.
Spesso, per alimentare il
dialogo, creare il contesto, o semplicemente per svegliare l’ascoltatore-lettore
e fargli ricordare che oltre alla fiaba c’è anche la realtà, ho riproposto gli
argomenti secondo un modello didattico,
diffuso dalla tradizione araba.
La tecnica di tale modello consiste nel personalizzare l’argomento ed inserirlo all’interno di due cornici (l’una di dialogo con l’ascoltatore, l’altra di inquadramento storico), usare caratteri diversi per distinguere il testo da traduzioni, spiegazioni, note o commenti. Grazie a questi accorgimenti, è possibile leggere o saltare quanto (a secondo degli interessi del lettore) potrebbe diventare superfluo. CONSIDERAZIONI FINALI Osservando il
cambiamento del nome Ytlìa ed il suo
utilizzo per identificare una comunità sempre più vasta, vien da pensare che per
meritare tanto onore, effettivamente la nostra primitiva Italietta dell’entroterra krotoniate
doveva possedere in sè qualcosa di grandioso e tanti valori etici che la
rendevano ammirabile agli occhi di tutti i popoli della penisola se, per farsi
chiamare itali, italici, italioti, italiani, rinunciarono in parte al loro nome.
Come mai di quel tempo non ci rimane neppure il nome? Inizialmente
gli italici eravamo solo noi dell’entroterra crotoniate, poi, uno dopo l’altro,
i popoli vicini hanno assimilato la nostra cultura fino ad accettarla come
propria. In seguito, ogni volta che la parola primitiva Ytlìu
ha modificato la
desinenza per indicare una realtà più grande, abbiamo perso importanza non solo perché si
è spostato il centro del
potere ma soprattutto perché l’avere permesso a greci, romani e popoli
vicini, di distruggere i nostri boschi per trasformare in spazi agricoli terreni
argillosi o sabbiosi, ha
avviato un processo di degrado e
desertificazione del territorio che
ci ha reso sempre meno
competitivi.
Ma si può fare
qualcosa per tornare a quel primitivo splendore? Tutto diventa possibile se
riusciamo a recuperare spazi di maggiore autonomia gestionale e li utilizziamo
per ricreare l’habitat della macchia e delle culture mediterranee nonché le
infra-strutture necessarie per riappropriarsi del ruolo di centralità nel
Mediterraneo e nei rapporti con Africa, Asia e Medio-Oriente. Le attuali spinte
autonomiste, federaliste, e il commercio informatico, potrebbero costituire uno stimolo per
risvegliarci e tornare a vivere prima che del nostro territorio resti solo il ricordo affettivo e nostalgico di tanti
taliani (emigrati di origine
italiana) che provano piacere nel parlare del loro paese d’origine ma non sanno
più neppure dove o in che condizioni sia ridotto. Certamente la storia degli uomini e dei loro
interessi particolari ha ridotto quel regno di MARI, quel lembo di terra che ebbe per primo l'onore di chiamarsi
ITALIA, a terra di emigrazione, a meta di
scorrerie per bande che ci portano
via pure il nome; e noi non
possiamo reagire fin quando ci sentiremo le mani legate da leggi non nostre ma…
come fece il mitico Mari nei confronti del grande padre Sole, dobbiamo trovare
il coraggio di reagire e sbarazzarci di magistrati e politici, amanti delle
passerelle e dei loro portafogli, che della politica hanno capito solo la
capacità di sapersi sporcare le mani per i loro interessi privati o l’arte del
trastullare i clienti rinviando i
problemi, convinti dell’assioma latino Vulgus vult decipi (Il popolo
minuto vuole essere ingannato e preso in giro!) Se troveremo il coraggio di
reagire, riconquisteremo maggiori spazi
di libertà e autonomia e riacquisteremo il prestigio della terra ospitale con i forestieri,
terra del buon vino per i buongustai, terra delle varietà artigianali per i più
raffinati, terra dalle mille attrattive climatiche,
floreali, paesaggistiche, archeologiche, terra del rispetto reciproco, luogo in cui è
bene vivere bene finché ci è possibile
farlo! L’autore-curatore Giuseppe De Lorenzo
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