Storie della Caprarola cinquecentesca rappresentate dai bambini delle classi III e IV della scuola elementare di Caprarola

CAPRAROLA - Ex Scuderie Farnesiane - 3 Giugno 1995  - ore 10,30 e 18,00

 

INTRODUZIONE  

di Luciano Passini

Presidente del Centro Studi e Ricerche di Caprarola

“Quanno anco' nun c'era lo Deritto” può definirsi un primo valido tentativo di rappresentare, in modo molto semplice, fatti reali dell’antica storia di Caprarola. Vicende effettivamente accadute, scene di vita vissuta dai nostri avi, da quelle persone che hanno materialmente - con il sudore della loro fronte, con le loro gioie e con le loro sofferenze - contribuito allo sviluppo del nostro meraviglioso paese.

L’idea del Gruppo Teatro Popolare di effettuare questo tipo di rappresentazione con gli alunni della Scuola Elementare, ha subito suscitato il nostro interesse dal momento che da molto tempo il Centro Studi e Ricerche svolge un metodico esame dei vari documenti dell’Archivio Storico di Caprarola.

La possibilità di rendere noti alcuni fatti di vita caprolatta fino ad oggi sconosciuti ha fatto nascere questa forma di reciproca collaborazione. Più tecnicamente, il Centro Studi e Ricerche ha concretamente messo a disposizione del Gruppo Teatro Popolare alcune notizie storiche relative ad alcuni momenti della vita sociale di Caprarola, ricavandole dai Registri dei Consigli Comunali che abbracciano un periodo di tempo dal 1555 al 1625.

Ovviamente, bisogna tener conto delle difficoltà di rappresentazione alle quali si sono trovati a far fronte gli amici del Gruppo Teatro Popolare, che hanno portato a varie piccole manipolazioni per esigenze di messa in scena; manipolazioni che proprio per il loro carattere di casualità non sminuiscono affatto il valore storico della rappresentazione, pur rendendosi necessarie al fine di amalgamare il vasto arco di tempo preso in considerazione. Anche la maggior parte dei costumi stessi dei bambini - aderenti alla realtà dell’epoca - sono il risultato di una lunga e paziente ricerca che ha portato il Centro Studi e Ricerche ad individuare un piccolo “guardaroba” dei nostri antenati nell’arco dei vari secoli.

In conclusione, alla luce di quanto esposto, il lavoro svolto dal Gruppo Teatro Popolare e dai bambini, coadiuvati dalle rispettive insegnanti, oltre ad avere un alto valore culturale per chi lo fruisce, si presenta anche denso di significati in quanto, penetrando all’interno del tessuto sociale più popolano del paese, ci consente di rivivere quelle sensazioni che hanno provato i nostri compaesani di quattro secoli fa; sensazioni che non si discostano molto da quelle attuali in situazioni analoghe.

 

“MEMORIE CAPROLATTE”

(Trama della rappresentazione)

La scena si apre all’interno del Palazzo Farnese di Caprarola, ove alcuni turisti incuriositi pongono delle domande alla loro guida la quale inizia a raccontare le origini del paese fin dagli albori del medioevo.

Il cambio scena  vede l’arrivo sulle colline ove sorgerà Caprarola di alcune persone provenienti da comunità contadine situate nelle vallate circostanti. Il primo insediamento si presenta difficile data la presenza in loco di piccole comunità di allevatori le quali sono disposte a concedere ben poco spazio ai nuovi arrivati.

La scena di vita popolare intorno alla Fontanaccia già presenta una situazione caprolatta di metà cinquecento, ove vari popolani discutono dei problemi quotidiani legati alla presenza del nuovo Signore il Cardinale Farnese, il quale oltre a promuovere una serie di lavori sia per la realizzazione del suo Palazzo sia per la ristrutturazione del paese, fece realizzare dai caprolatti un emissario nel lago di Vico in modo da prosciugare molti terreni da coltivare (in teoria per l’assegnazione delle terre emerse avevano la precedenza quegli operai che lavorarono allo scavo dello sboccatore).

La presenza del Cardinale e tutte queste grandi opere, portarono ad un notevole movimento di forestieri a Caprarola, tanto da obbligare alla costruzione, alla fine del XVI secolo, di ben due Osterie e, per evitare le continue lamentele dei forestieri che vi alloggiavano, i Priori chiesero al Consiglio della Comunità di vietare che vi si giocasse e mangiasse di notte.

In una nuova scena vengono sottolineati i vari problemi inerenti alla realizzazione di queste grandi opere come - nel caso in questione - i lavori per la realizzazione dei giardini ed in particolare un fatto, avvenuto tra il 1594 ed il 1598, quando vennero pavimentate alcune strade e piazze. Questi lavori furono molto ritardati a causa di piccoli furti di materiale.

Un’altra vicenda che viene rappresentata riguarda le ataviche lotte tra i contadini e gli allevatori. Il fatto risale al 1587, quando dopo anni di discordie, scoppiò un vero e proprio caso che obbligò il Consiglio della Comunità a prendere decisioni drastiche. Branchi di maiali avevano invaso alcuni vigneti  e delle mucche avevano arrecato gravi danni ad alcuni orti e piantagioni di lino.

La scena prosegue con la presenza della figura del Banditore il quale, siccome nel 1562 il Consiglio - su richiesta del Cardinale Alessandro Farnese - aveva emesso un bando ove si ordinava che durante i giorni festivi tutti, sia uomini che donne, dovevano andare a lavorare allo sterramento per la realizzazione dei giardini del Palazzo Farnese, in questo caso legge un altro bando ove i cittadini venivano dispensati da questo obbligo nel giorno della Festa del Santo Patrono. Tra le persone all’ascolto si trova Ippolito, l’arrotino, che in via del tutto eccezionale nel 1588 aveva ottenuto di utilizzare l’acqua che usciva dalla Fontanaccia per far funzionare la ruota della sua bottega. Nel corso della discussione sopraggiunge la processione in onore del Santo Patrono la quale, fin dai primi anni del seicento, risulta che giungesse fino alla Chiesa di S. Egidio, posta lungo la strada per Ronciglione. In particolare, nel 1625, fece molto scandalo il fatto che l’Arciprete di Caprarola durante la processione, si fermò nei pressi di San Marco, facendo proseguire il corteo verso la Chiesa di S. Egidio, accompagnato soltanto da alcuni frati.

La nuova scena si riferisce al grande architetto Jacopo Barozzi da Vignola, ideatore del Palazzo Farnese e di tutta la Caprarola Nuova, che risulta presente nel paese fin dal 1555. Da una notizia del 1562 risulta che molti fornai si lamentavano che l’architetto non pagava i conti aperti con loro. La scena prosegue presentando un problema di grande attualità ma che era molto sentito anche allora: i rifiuti urbani. Bisogna tenere presente che in quei tempi c’era la consuetudine di gettare nelle strade ogni tipo di sporcizia dalle finestre o da altre aperture create all’uopo. Nel 1625 questa abitudine malsana portò il Podestà a richiamare il macellaio perchè non buttasse gli scarti del suo lavoro nella strada.

A questo punto la scena cambia  ed alla presenza dei Priori e del Consiglio della Comunità, per far valere le proprie ragioni si ritrovano i fornai, gli allevatori ed i contadini (è il caso di evidenziare che nella realtà erano i Priori che si facevano portavoce nell’ambito del Consiglio dei problemi della popolazione, presentando delle “suppliche”. Nel nostro caso per esigenze di regia le lamentele vengono presentate direttamente dagli interessati).

Intanto nella piazza Giovanni Antonio il Bergamasco, si stà vantando con alcuni compaesani della sua bella casa che si trova proprio davanti alle scalinate del Palazzo Farnese, quasi al centro della piazza di S.Rocco. Le sue esternazioni vengono smontate da un bando fatto emettere nel 1612 dal Cardinale Odoardo Farnese, con il quale si obbligava chiunque possedesse dei caseggiati  che impedivano la visuale del Palazzo, di cederli per l’abbattimento entro pochissimi giorni.

La scena successiva riassume le decisioni del Consiglio in merito alle varie rimostranze dei caprolatti. I conti del Vignola dovevano essere pagati dalla Comunità mediante dei favori ai fornai; gli osti vennero obbligati ad una cura più attenta dei forestieri; venne impedito di buttare l’immondizia dalle finestre, obbligando le persone a gettarla in luoghi ben determinati; il problema degli animali venne risolto mediante il pagamento di multe salate a seconda del tipo di animale che aveva arrecato il danno.

A questo punto la rappresentazione si conclude tornando nuovamente all’interno del Palazzo Farnese, con le affermazioni dei due fantasmi del Bergamasco e di Lòciano che lasciano un po’ l’amaro in bocca ma che rappresentano purtroppo la dura realtà della storia. Infatti i due si lamentano perchè quando la guida racconta le vicende di Caprarola, vengono ricordati soltanto i nomi di persone  influenti e mai quelli delle persone più umili e semplici anche se il loro ruolo è stato altrettanto importante.

 

NOTE DI REGIA

di

Alessandro Morganti e Romolo Passini

 

Questo piccolo ma intenso lavoro di drammaturgia scaturisce da ben 3 anni di attività che sono serviti ai bambini per studiare lo spazio scenico, la mimica e la recitazione, ponendo così le basi per la creazione di un vero e proprio laboratorio teatrale.

Non nascondiamo che quando un gruppo di insegnanti delle Scuole Elementari ci hanno proposto questo tipo di attività abbiamo avuto molte perplessità che poi si sono concretizzate nelle difficoltà contro le quali abbiamo dovuto combattere in tutto questo tempo, ad iniziare dalla diffidenza e dalle incomprensioni all’interno del Gruppo Teatro Popolare stesso, per finire con il lavoro vero e proprio che ci ha portato a contatto con questi fantastici bambini che ad un primo contatto ci hanno dato l’impressione di una frotta di nanerottoli ingovernabili.

Superato il primo impatto, la strada è stata tutta in discesa, anche grazie alla preziosissima collaborazione delle insegnanti.

Determinante si è rivelato l’apporto del Centro Studi e Ricerche di Caprarola il quale, con un profondo spirito di ricerca, è riuscito a sottoporci delle notizie storiche reali  di fatti caprolatti effettivamente accaduti, mettendoci a disposizione del materiale prezioso sul quale creare i testi delle sceneggiature.

Partendo da queste basi abbiamo quindi sperimentato due tipologie di lavoro:

- la prima, mediante la quale i bambini stessi hanno creato i testi delle varie scene che poi  hanno realizzato praticamente, sempre utilizzando gli spunti storici messi a disposizione dal Centro Studi e Ricerche;

- la seconda, mediante la quale i bambini hanno lavorato su testi e scene già elaborate precedentemente dal Gruppo Teatro Popolare.

Entrambi le metodologie di lavoro hanno dato dei risultati molto positivi sia in termine di coinvolgimento dei bambini e sia nel contenuto culturale stesso della rappresentazione.

Globalmente possiamo ritenerci soddisfatti del lavoro eseguito e dei risultati conseguiti, anche alla luce dei positivi favori riscontrati.

SCENA I

Una guida illustra a dei turisti una sala all’interno del Palazzo Farnese. Indica un affresco che rappresenta i colli dove si insediarono i primi abitanti di Caprarola.

Guida - ... tra gli affreschi presenti in questa sala, ce ne sono alcuni che rappresentano i colli su cui nacque Caprarola.

1 turista - (con accento romanesco) Scusi guida, ma ‘nda do’ deriva ‘sto nome aoh?

Guida - Tra le varie ipotesi quella più accreditata afferma che derivi da Capra e Arola.

2 turista - (rivolto al 1) Ha’ visto che c’entrava a capra. Noi a Roma ci-avemo ‘a lupa e questi ci-hanno ‘a capra.

Guida - Si, ma non era una capra qualunque, era la capra Amaltea che con il proprio latte nutrì Giove.

3 turista - Ma qua c’entra ‘a mitologia aoh! A me m’è sempre piaciuta ‘a mitologia.

Guida - Non solo Giove, anche Ercole ha a che fare con Caprarola. Ma ne parleremo più avanti. Per ora lasciamo da parte la mitologia e occupiamoci della storia delle origini di Caprarola. Intorno all’anno mille .....

 

CORO:

Entrato ch'era poco l'anno Mille

non tutti certamente lo saprete

do' stamo oggi c'era solo un colle

e jo' per terra solo quattro prete.

 

Dell'Italia voi la storia conoscete

de le conquiste de li feudatari

ma chi da noi sopra a le quattro prete

comincianno a 'rriva' li peguerari.

 

Le prime parte che funno costruite

Corsaca e Sardegna le chiamanno

comincianno a scoppià’ le prime lite

e li primi forestieri poi ‘rrivanno.

 

SCENA II

Sullo sfondo della scena alcuni colli. Arriva un gruppo di persone. Dopo essersi guardati attorno cominciano a parlare tra loro.

Lisandro - Ameni esti lochi.

Goffredo - Lochi ideali per lo pastore e lo contadino. Lo bosco è rigoglioso e l'aria è fina.

Ginevra - Disabitato sembra lo paesaggio, Messer Goffredo.

Goffredo - Parmi lo posto adatto per li cristiani de bona volontà, che lo desiderio hanno de mettere le radici, de lavorare, de moltiplicare la prole e ingrandire lo villaggio.

Lisandro - Orsù dunque, fermiamoci. Esta sarà la nostra terra. Ove li nostri armenti si pasceranno e dove le figliolanze cresceranno.

Goffredo - (Infilzando il bastone nel terreno) Piano e costa, è tutta robba nostra!

Ginevra - Ma chi vedo arrivar da lo sentiero? Dei boni cristiani, certamente.

Da destra arriva un gruppo di allevatori

Checco - (Dopo averli fissati per un po') Lo vedete què'? (mostrando il suo bastone)

Lisandro - A lo primo sguardo parmi uno bastone, adatto a lo pastore per lo mestiere suo.

Checco - No, que' edè un tortore 'bono pe' la capoccia vostra. Che ate cerchenno chì la robba nostra? Chi site? Da do' vienite?

Goffredo - Lo nome mio è Goffredo e questi sono li miei compagni di sventura, Lisandro e Ginevra. Venimo da le terre de rocca Pertusa ne li pressi de la gloriosa antica Vejo.

Giglio - Ate do' ve pare, basta che nun ve mettete cchì (indicando la parte destra del palco) 'sta costarella cchì edè la nostra.

Ginevra - E voi chi sete, boni cristiani?

Maria - Novi simo li Corsecari, e que' edè la Corsaca.

Checco - E la Corsaca edè la terra de quelli che badono li porchi, li porcari.

Goffredo - E sia. (Rivolgendosi ai compagni) L'omo paziente non si scoraggia davanti a lo bastone posto davanti a lo cammino suo. Se sposteremo ne lo versante opposto. (Si sposta di due passi e infilza il bastone nel terreno) Piano e costa, è tutta robba nostra!

Da sinistra arriva un altro gruppo di allevatori.

Giuvanni - (Dopo averli fissati per un po') Lo vedete què'? (mostrando il suo bastone)

Lisandro - (A braccia aperte) Avemo capito. E voi chi sete, boni cristiani?

Peppe - E tu chi sì?

Goffredo - Lo nome mio è Goffredo e questi sono li miei compagni di sventura, Lisandro e Ginevra. Venimo da le terre de rocca Pertusa ne li pressi de la gloriosa antica Vejo.

Giuvanni - Allora, si nun m'ha magnato lo cervello la gatta, cercate un posto do' 'llocavve?

Ginevra - Si, si.

Peppe - Mbè, in 'sto posto cchì angià ce stamo novi.

Rosarella - E novi simo li peguerari e 'sto posto cchì (indica a sinistra del palco) edè la Sardegna.

Goffredo e gli altri si rispostano a destra, ma trovano i bastoni sollevati dei porcari; tornano a sinistra e trovano quelli dei pecorari.

Goffredo - (Rivolgendosi a tutti) Bboni (ironicamente) Cristiani, faressimo torto a niuno se si 'llocassimo qui tra la ...

Checco - Corsaca!

Goffredo - ... tra la Corsaca e la ...

Giuvanni - Sardegna!

Goffredo - ... tra la Corsaca e la Sardegna ?

All'interno dei due gruppi si confabula

Checco - Pe' novi va' bè'.

Giuvanni - Si va 'bè' a quelli quattro morti de fame llà, va bè' anco ... financ... pure.. . a novi 'nco'.

I due gruppi laterali escono.

Goffredo - (Rivolto al pubblico) Piano e costa ... (si guarda prudentemente a destra e a sinistra. e poi deciso) è tutta robba nostra.

 

CORO:

Fu così che si formò un altro rione

sul colle ch’era al centro del paese

pe’ nome le mettenno l’Aquilone

pe’ costruillo nun badanno a spese

 

Li tempi che seguinno nun funno belli

co’ le guerre tra i di Vico e l’Anguillara

li cavalieri all’assalto dei castelli

li contadini che pativono li l’ara

 

Caprarola passò allora sotto il Clero

che fece finì le guerre nel paese

ma poco dopo l’Alto Ministero

vennette quelle terre a li Farnese

 

Lo Cardinale voleva una fortezza

che se basasse su quella terra antica

il Vignola ce mise la bellezza

li caprolatti invece la fatica

 

SCENA III

La Funtanaccia. Scene di vita popolare. Donne alla fontana, passanti, bambini che giocano.

Peppa - Commare Tuta, com’è che ieri nun te si vista pe’ gnente jò l’orticello?

Tuta - Zitta, zitta, commare Pe’, ieri me toccato passa’ tutta la dì a lava’ li panni.

Peppa - Ostia, tutta la dì, e che evi da lavà’ le toneche de tutti li chirichetti de lo Cardinale?

Tuta - Ma chene, li panni de maritomo e de fiimi, che da quanno stanno a lavorà’ su lo sboccatore de lo laco li panni lerci me cropono sù.

Lovisa - Tuta, e fa come la commare Loviggia che lo marito stamattina c’eva li carzò’ che un’antro po’ le camminavono da soli.

Peppa - E che le frega a quella lì, basta che se 'dobbono su, essa e la fia .... che le frullara’ pe’ la capoccia?

Tuta - Comunque a mì de quello che fa Loviggia nun me frega, a mì me frega che me tocca sta’ tutta la dì co’ le mano a mollo.

Annarella - Commare Tuta, però dice che doppo a quelli che hanno lavorato su lo sboccatore le fanno lavorà li pezzi de terra che se prosciuttono.

Peppa - Chene? Prosciuttono?

Tuta - E mica è detto anco’, maritomo co’ quell’antri quasi tutte le dì vanno su da li Priori, ma anco’ nun c’è gnente de securo.

Lovisa - Vo’ veda che a lo marito de la commare Loviggia le le danno subboto le terre?

Annarella - Armeno ce po’ pascola’ tranquillo (facendo il segno delle corna).

Escono. Entrano poi due signore ben vestite che si avvicinano ad alcune donne del popolo.

Dama - Signora ....... potremmo domandare a codeste donne ?

Signora - E sia, lo viaggio è stato faticoso e ho da far riposare lo corpo.

Dama - Scusate brave donne, potreste indicarci un loco ove poter rigovernare li cavalli de lo cocchio e dove poter riposare lo nostro corpo?

1 comare - Che ete da fa’ riposa’? Lo porco?

2 comare - Lo corpo, tatoccia, no lo porco!

3 comare - Ma allora cercate una locanda.

Signora - (rivolta all’altra) Ma ove siamo capitate? Orsù Beatrice, risolvi in fretta lo problema: sai benissimo che Bastiano e Astolfo necessitano di almeno otto ore di riposo e spazzola. Quest’oggi hanno corso per otto intere ore.

Dama - Devono essere in vero affaticati. (rivolta alle donne) Una locanda farebbe a lo caso nostro.

1 comare - Ginetta, viè un po’ ‘cca che te cercono. Curri che Bastiano a Astolfo nun se reggiono ritti.

Ginetta - Chi è che nun se regge ritto?

2 comare - Bastiano e Rodorfo, li mariti de le signore.

Dama - Ma che mariti! Bastiano e Astolfo sono li cavalli de lo cocchio.

1,2,3 comari - Cacchio, nun l’emomo capito.

Ginetta - Signò’, si volete dormi’ nun ce sonno problemi, pure da magna’ che cosa pozzo ‘ntruja’ su. Ma pe l’anemali proprio nun te pozzo fa’ gnente.

Signora - Ma come Beatrice? (rivolta alla dama) E li purosangue?

Ginetta - Signo’, io nun so che facce. A ‘ste cose cchì ce pensava maritomo, ma da quanno li Priori hanno proibito de beva e de gioca’ a carte fino a tardi li l’osteria lo lavoro nun c’è più, e a maritomo l’è toccato de i’ a lavorà su lo Ponte de le Moneche.

Dama - Ma che razza di paese è questo. Andremo a protestare da lo Consiglio de li Priori . (mentre escono) Zotici e bifolchi.

3 comare - Gine’ ha’ ‘nteso che t’ha detto?

Ginetta - Ma sa’ che me frega, io vajo via, che ho da preparà’ da magna’ pe’ Rosina e Bianchina.

1 comare - Ma nun evi detto che là l’osteria nun ce viè più gnesciuno!?! E mo’ chi so’ Rosina e Bianchina?

Ginetta - Rosina edè la scrofa e Bianchina edè la crapa. Biforche!

 

SCENA IV

Entra in scena Pietro. Lo seguono Andrea e Angelina.

Pietro - ‘Ndrea, do’ te tocca de ì’ oggi, chè?

‘Ndrea - Su lo sbancamento de li giardini de lo Palazzo, e a tì?

Pietro - A fa la strada li lo deritto.

‘Ngelina - Anco’ ? Va a fenì’ che ce vorà più a fa lo deritto che lo palazzo co’ tutti li giardini, ma quanno fenite?

Pietro - E come facemo a fenì, che ogni mattina lì li monto’ de le prete ce ne trovamo sempre cheduna de meno.

‘Ngelina - Ma lete da cchì, e che le robbono?

Pietro - Io do' vanno a fenì' nu’ lo saccio. So solo che da un po’ tempo a ‘sta parte vienno su certi casaletti chì pe’ ‘ntorno!!!

‘Ngelina - Allora tu me vorissi dì' che co’ la robba de tutti cheduno ce se fa su casa?

Pietro - Mhmmm?!?

Escono. Entrano Loviggi (molto agitato) Carletta e Nicolo.

Loviggi - Basta che lo trovo uno e lo mazzo!

Carletta - Ma che dici, ma che te vo’ ‘nguajà’?

Loviggi - Ma tu lo sa’ che c’è rimasto de lo campo de totiri la Palommella? Manco le radeche!

Carletta - Ma che ne sa’ chi è stato ?

Loviggi - Chi è stato è stato. Lo primo porcaro che trovo lo ‘mmazzo.

Nicolo - E si so’ state le crape ?

Loviggi - (riflette) Tu ha’ raggio’. Mazzo pure lo primo pegueraro.

Carletta - A mi me pari scemo.

Entrano degli allevatori.

Loviggi - Ecchili cchì! (gli altri lo trattengono) Brutti disgraziati, ete fenito de manna’ le bestie li li campi nostri?

‘Ntognarello - Ma che te levi?

Carletta - Li porchi vostri hanno rovinato lo campo de totiri.

Nena - E che ci-hanno lassato la firma che dici che so’ li porchi nostri?

Nicolo - Pijate in giro. L’anemali mannatili li li posti do’ nun fanno li danni a gnesciuno.

Checchina - Fregna vovi dicete bbè. Ma co’ 'sta carestia che c’è in giro che lle damo?

Carletta - Comunque lo probblema va risorto. Perchè nun simo solo novi a lamentacce de li peguerari e de li porcari. Io dico che tocca ì’ denanzi a li Priori a espona lo probblema.

Nena - Dice bbe’ la commare, amo la da li Priori.

‘Ntognarello - E dunca amo, però io co’ li totiri tui nun c’entro gnente.

 

SCENA V

Gruppi di persone attendono il passaggio della processione di Santo Egidio. Entra il Banditore.

Baditore - Cittadini, ascoltate! Bando!

1 cittadino - Chi sarà morto?

2 cittadino - Sarà morto quello poveraccio de Pavolobello? Sapevo che stava male.

Pavolobello- (rivolto al 2) Caro compare Peppe te ringrazio del pensiero, ma, come vedi, sto benissimo.

Contadino - (entrando in abiti da lavoro, portando in mano una pala, rimane sbalordito vedendosi intorno tutta la gente vestita a festa) Ma nun ete ‘ntenzio’ de lavora’ oggi? Guardate che lassù li giardini c’è da sterra’ un sacco.

Banditore - A nome di Sua eccellenza illustrissima Cardinale Farnese, si ricorda che oggi in occasione de li festeggiamenti de lo Santo protettore de Caprarola, S. Egidio Abate, la popolazione tutta sarà dispensata da lo andare a lavorare a lo sterramento di realizzo de li giardini de lo palazzo.

Contadino - (restandoci male) ma allora (si guarda intorno) me vajo a metta’ li vestiti de la festa io ‘nco’(esce e tutti scoppiano a ridere)

Arrotino - (uscendo dalla sua bottega) Aho !! Che vergogna! E manco io sapevo gnente, drento a la bottega ce l’ho un bello lunaro, ma chi sa leggia’?! Adesso chiudo subito e vajo a cambiamme io ‘nco’ che si faccio a tempo vojo i’ in processione (entrando nella bottega).

1 cittadino - Ma l’ete saputo si, che l’arrotino s’è fatto da’ l’acqua per dentro la bottega?

2 cittadino - Eh lo so, lo so, ce sarà ito mille volte su da li Priori a riccomannasse, ma si nun era pe’ Mastro Mattia, ha’ voja tu a ccaria’ li sicchi, caro il mio arrotino.

Pavolobello - Si, però in compenso pe’ un anno sano ha da ‘rrota’ tutti li cortelli de le botteghe comunali a uffo. Sta tutta la dì a pedala’, apposta oggi nun sapeva che era festa.

Arriva di corsa un ragazzino

Ragazzini - Viva santo Giglio, viva santo Giglio.

1 comare - Zitti, zitti, che ‘rriva la procissio’.

2 comare - Oh, peddavvero, angia’ se vede de ‘rriva’ la confraternita de l’Ospedale.

3 comare - Lo ve’ che c’è pure Lociano lo cavallaro. ‘Nsinente a ieri lo carretto lo mannava annanzi a forza de biasteme, e oggi prega.

4 comare - E che preghi ... un gorpo che te spacchi? Nun se po’ essa bravi solo pe’ Pasqua e pe’ Santo Giglio.

5 comare - Eh, ma il Signore le vede 'ste cose, e ce fa caso.

6 comare - Ecco la confraternita de la Bona Morte che porta lo Santo a spalla.

7 comare - Ma lo Santo penne da una parte!

1 cittadino - E pe’ forza da quella parte lì c’è Giggino lo Zocchetto.

2 cittadino - Quelli che portono la statua l’avarinno da capà’ tutti de una mesura! Lo vedi che da la parte de Giggino pare che vie’ annanzi a strascino’?

1 comare - Basta de dì’ de male .... ohoh (stupita, con la mano tesa ad indicare) ... e c’è pure lo marito de la commare Loviggia.

Si odono sopraggiungere canti liturgici e musiche. I canti e le musiche si fanno più forti: la processione sta passando davanti alle persone che hanno parlato prima e che ora si inginocchiano facendosi il segno della croce. Qualcuno mormora delle preghiere, qualche altro urla "Viva Santo Ggiglio!". La processione scorre lentamente oltrepassando la piazza.

8 comare - Comma’ volemo segui’ pure novi la processio’?

2 comare - Commare mia me piaciaria tanto, ma la processio’ ‘rriva ‘nsinente lla’ Santo Giglio, anzi che ‘rrivamo lla’ so’ morta.

8 comare - De fatica?

2 comare - Ma de vecchiaia. Lo sa’ quanto ce vo’ pe’ ‘rrivacce?

6 comare - Ma guardate un po’ la’ jò (indicando verso S. Marco) la processio’ s’è fermata jò S. Marco. E che edè ‘sta novità, nun è successo mai l’anni passati.

7 comare - Basta che non è successo niente, amo a veda’.

3 cittadino - Ma la procissio’ va verso Santo Giglio e Don Bellisario è rimasto jò San Marco, che se le sarà ‘ccavallato che nervo? Ché?

4 cittadino - A mi mesà che nun c’eva fantasia de icce!

Banditore - E do’ s’è visto mai che un prete dice a lo gregge de li fedeli : "Ate in procissio', che io ve ‘spetto cchì". E’ come si tu dicessi a lo branco de le peguere :"Ate lla’ e mogneteve, che io ve ‘spetto cchì".

3 cittadino - Ma che paragone edè. Ma sarà possibbile che in ogni cosa ce vedete lo male. Si proprio ce volete ave’ spiegazio’ atele a chieda a li Priori. (esce)

4 cittadino - Va bbè’, ce vajo. Perchè nun è giusto che lo prete s’è fermato jò San Marco e li fedeli vanno ‘nsinente la’ Santo Giglio, ‘sti stupiti. E che te credi che ci- ho paura? Io nun me faccio commanna’ da ‘gnesciuno.

5 cittadino - Compare (rivolto al 5 cittadino) ecco mojata.

Entrano Checca ed altre comari.

Moglie - Movete !!! Va’ dereto a la pricissio’. Scomunecato. (lo spinge verso la processione)

 

CORO:

Lo Consiglio dei Priori nel Paese

stabiliva la legge e giudicava

ma dietro c’era il Cardinal Farnese

che in verità ‘stì posti commannava

 

Qualunque fosse stata la questione

si dovevan soddisfar gli Alti Prelati

e pure quando c’evono ragione

li poveracci erono maltrattati

 

SCENA VI

Una piazza. La bottega del fornaio. 

Bastiano - (mentre aggiunge legna al forno) Lucia, Peppina è pronta la pasta? Chì lo forno edè callo.

Lucia - Quanto ‘mpasto ‘sta pagnotta. Peppì’ passeme la farina.

Peppina - Si, spetta che te pio pure un po’ d’acqua.

Bastiano - Locia, si oggi ‘nco’ vie’ il Vignola a pià’ lo pa’ senza paga’ lo caccio via.

Lucia - Vojo proprio veda si stavorta lo trovi lo coraggio pe’ fallo.

I due continuano a lavorare. Entra il Vignola.

Lucia - Parli del diavolo e spuntono le corna.

Vignola - Buongiorno Bastiano. Una bella pagnotta di pane. Ah, come amo lo fragrante odore de lo pane appena sfornato. Ah, quale piacere lo saziarsi con lo frutto de lo grano! Ah ...

Bastiano - (rivolto alla moglie) Ah, mo’ tu vedi che succede si oggi nun paga.

Bastiano va a prendere una pagnotta e la porta al Vignola. Questi la esamina attentamente.

Vignola - Ma, Bastiano, questa pagnotta parmi poco cotta, cercane un’altra più idonea a lo gusto mio. (Bastiano lo guarda male) ... orsù, non indugiare.

Bastiano, sempre più arrabbiato, guarda la moglie e prende un’altra pagnotta; poi si rivolge al Vignola 

Bastiano - Que’ è cotta mejo, e costa mezzo scudo, più otto scudi ‘jetrati farinno, senza offesa pe’ la signoria vostra, otto scudi e mezzo.

Il Vignola prende in mano la pagnotta con aria di superiorità.

Vignola - Ti ringrazio Bastiano, per avermi ricordato de lo debito mio. (ridono tutti e due) Ma ti ricordo che li conti miei li paga il Cardinale.(esce)

Lucia - Lo caccio via, lo caccio via ... c’è mancato poco che nun ce cacciava via a novi. Pure stavorta nun tu ci-ha avuto lo coraggio de fatte paga’. Io so’ proprio stufa. Ma quanto magnarà’, quello mo’ è capace de fa’ lo giro de tutti quell’antri fornari.

Bastiano - (sbattendo la pala per terra) Nun te ce metta tu ‘nco’, eh. Ma lo sa’ chi è il Vignola.

Lucia - Perchè, chi è il Vignola.

Bastiano - Il Vignola, è il Vignola. (ci pensa) E mo’ m’ha stufato, vajo a trovà’ quell’antri fornai e amo in Comune a protesta’ da li Priori. (esce con la moglie e gli altri rientrano nel forno)

 

SCENA VII

Da un vicolo si odono delle parolacce. Poi, borbottando, entrano Giuseppe e Giovanni. Giuseppe è fradicio.

Giovanni - Lassa perda, caro Peppe, che te poteva pure ‘i’ peggio! (detto con aria di scherno)

Giuseppe - (Contemplandosi l’abito completamente fradicio) Peggio de cossì!

Mariuccia - (moglie di Peppe) Marito mio! Che t’hanno fatto!? Sì’ culente e ‘nsanguinato! Che t’hanno fatto? T’hanno ‘mmazzato?

Giovanni - (continuando a ridere) Commare Mariu’, sta’ tranquilla. Ma che ‘mmazzato e ‘mmazzato, mò moro io pe’ le risate!

Giuseppe - Mariu’ non m’ha fatto gnente ‘gnesciuno! Quello dilinguente de lo macellaro m’ha tirato una conca d’acqua ‘nsanguinata.

Altre persone che si trovano nella piazza intervengono

Bettina - Embè? Che c’è de strano? Io ieri m’ero messa a venna l’ansalata proprio sotto la finestra sua e a momenti me pijavo un osso su la capoccia. Però edera corpa mia, nun me c’evo da metta: me so’ scansata e basta. Ormai se sa’, è sempre usato cossì.

‘Negreto - E io a le dì sto sempre chi denanzi e lo vedo che butta jò sotto la robba eh. L’ossi, li zocchili de le vacche, l’acqua lercia de sangue, le corna ...

Giovanni - Le corna sue?

‘Negreto - ... quelle de lo bovo.

Filomena - Però saria pure ora de fenilla co’ ‘ste usanze. E che saria de butta’ da la finestra tutte quelle robbacce?

‘Negreto - Tu ha’ raggio’, mai una vorta che buttasse jò un bello pezzo de ciccia.

Filomena - Voi che state la pe’ li casali nun ce facete caso, per vovi edè normale.

Giovanni - Addesso, a parte li scherzi, stamo nel 1600, mica più a li tempi dei cucchi e de la crapa sulla valle!

Giuseppe - ‘Mbè, io me sario stufato de le chiacchiere e de la munnezza su la capoccia, perchè nun è la prima volta che me capita. Addesso senza manco cambiamme, vajo da lo Podestà.

Detto ciò Giuseppe ed il suo gruppo di sostenitori escono di scena, borbottando. Restano in scena Bettina e Giulietta. Intanto esce dalla bottega la moglie del macellaio.

Giuditta - Ma che è successo ? (rivolgendosi a Bettina)

Giulietta - E inutile che tu fa’ ‘nfenta de nun sapello!! Tu ha’ ‘mpelato Peppe! (esce)

Entra il macellaio di ritorno dal mattatoio, portando in spalla un coscio di vitello.

Giosuè - Giulie’, ho sentito un sacco de confusio’ da jò la ‘mmazzatora e in più me nominavono. Ma che è successo?

Giuditta - Giosuè, nun è successo ‘gnente ho buttato via l’acqua lercia passava Peppe e se l’è presa tutta .

Giosuè - E gocce! E pe’ que’ c’è da borbotta’ tanto, poteva ì’ a casa e cambiasse la camicia. E che gnente gnente ci-avara’ quella lì sola?

 

SCENA VIII

I fornai accompagnati dalle mogli vanno verso il Comune e vengono fermati dal Bargello.

Bargello - Cosa volete ?

Fornai - (tutti insieme) Vogliamo vedere i Priori.

Jaco - E’ una questione importante.

Nicola - A mi il Vignola me deve da’ sette scudi.

Bastiano - A mi otto e mezzo.

Jaco - A mi sei. E li vojo subboto.

Bargello - Ora i Priori sono occupati con un altro problema. Appena possibile vi annuncerò.

Nella sala del Consiglio.

Priore - Quale è lo gravoso problema de cui ci ha parlato lo Bargello?

Loviggi - Lo probblema, signori Priori, edè che l’anemali de st’anemali ce rovinono tutti li campi nostri.

Carletta - E si quest’anno nun potemo venna quello poco granturco co’ quelle quattro patate come facemo a i’ annanzi?

Priore - Avemo capito lo problema, (rivolto agli allevatori) e voi che avete da dire a vostra scolpanza.

‘Ntognarello - Lo fatto edè, signor Priore, che si l’anemali hanno fame tocca che checcosa magnono. Si la semmala quest’anno nun c’è e le prata so arse come lo gargarozzo de Nicolo (lo indica)....

Priore - Antonio, lo tuo parlare ha da essere più chiaro.

Checchina - E’ che novi nun è che simo troppo boni a chiacchierà co’ le parole.

Priore - Allora fate qualche esempio.

‘Ntognarello - Signor Priore, fa ‘nfenta che tu sì un porco (i Priori lo guardano allibiti). Si lì lo recinto do’ stè tu da magna’ nun c’è e li lo campo li vecino ce sonno quelli belli cacchi de totiri tenniri tenniri, tu pensi che tu porco ......

Priore - Ferma lo tuo parlare Antonio, avemo centrato lo problema. Ne discuteremo all’interno de lo Consiglio e troveremo la soluzione atta a soddisfacere lo popolo. Potete lasciare lo consiglio.(contadini e allevatori escono)

I fornai e le mogli entrano nella sala del Consiglio e     cominciano a parlare tutti insieme animatamente.

Priore - Dove dunque credete di stare? Ne lo mezzo de la piazza? Parli dunque uno solo di voi.

Bastiano - (timidamente) Signori Priori ... noi ... siccome il Vignola ...

Lucia - Parlo io signori Priori, che esso nun è bono a chiacchierà’. Il Vignola tutte le mattine se pia una pagnotta de pa’ : "Paga il Cardinale" dice sempre.

Checca - Ma lo Cardinale nu’ lo vedemo mai!

Anna - Sì, spettate lo Cardinale!

Jaco - (rivolto alle donne) Basta co’ le chiacchiere! (ai Priori) Signori Priori, vorressimo solo quello che ce spetta.

Priore - (ai fornai) Tacete ora. E’ d’uopo che lo dibattito avvenga all’interno dello eminente consiglio. (rivolto al Consiglio) La soluzione de la questione non ha da offendere né lo stimato architetto Jacopo Barozzi da Vignola né tantomeno l’Eccellenza Sua , lo Cardinale Nostro. Bargello, accompagna li popolani verso la uscita.

 

SCENA IX

Alcune persone in piazza stanno ascoltando ‘Ntogno il Bergamasco.

‘Ntogno - Perchè è inutile che me dicete, ma l'occhio nco' vo' la parte sua.

Ercole - Ma che occhio e occhio basta che tu ci-ha un tetto, che cosa sopra a la capoccia.

'Ntogno - Tu, te 'ccontenti de poco, apposta nun tu ha' mai combinato gnente in vita tua si rimasto sempre lo pegueraretto che eri. Ha' visto io, ho lavorato, ma addesso ci-ho casa proprio denanzi a lo Palazzo Farnese.

Lovisetta - Si, ma la cosa che conta de più, so' li commidi, no la veduta che tu ci-ha denanzi. Io 'o lo Vorgo me so' fatto casa co' la stalla 'ttaccata.

'Ntogno - Sa’ la puzza.Vovi site 'ietrati. Ma vo' metta : tu la mattina quanno scappi de casa vedi l'asono e io invece vedo lo Cardinale.

Lociano - Embè, che differenza c'è.

'Ntogno - Io nun te diciario più 'gnente, te lassario 'gnorante come sì'. Ma lo volete capi' che chi 'n Caprarola si nun c'era lo Cardinale amomo tutti a brocchili strascinati. Guarda che sorte palazzo che ha fatto su denanzi a casa mia.

Pietro - L'ha fatto su esso?! Lo saccio io le prete che m'è toccato caria'. La mattina a vanga' e lo doppopranzo a caria' le prete pe' quello ...

'Ntogno - Ohhh, e mica te lo permetto de offenna lo ... vecino de casa mio.

Micchele - 'Nto', mesà che mo' cominci a esagera'. Io 'nco' ci-ho una bella casa, co' la funtana lì denanzi e l’ arola proprio là dereto .

'Ntogno - Vovi nun la vedete la poesia de le cose: io ci-ho denanzi la scalinata che ‘rriva a la porta de lo Paradiso, tu ci-ha denanzi lo cancelletto dell’arola.

Lociano - Embè, che differenza c’è?

‘Ntogno - Tu Locia’ tocca che tu te fa’ veda da lo cerusoco.

Giglietta - (arrivando) ‘Nto’ , vienco addè da le piaje che ho sentito lo banno, ma tu nun sa’ gnente?

‘Ntogno - No, de chene?

Giglietta - Eh eccolo, mo lo senti da solo.

Banditore - Banno! "Lo Eminentissimo Consiglio de li Priori de Caprarola ordina la demolizione de tutti li caseggiati che se trovino dentro lo circoscritto perimetro de la nuova via deritta, che avrà da congiungere la piazza antistante lo Palazzo con la Porta Nuova. Lo Consiglio confida che chi avrà a subire danni da tale decisione trovi soddisfazione ne lo fatto che lo Palazzo dei Farnese verrà a brillare di maggiore magnificenzia".

‘Ntogno - (disperato) No! No! ‘Mmazzateme ma nun me toccate casa (si butta in ginocchio). No!

Pietruccio - E che te frega ‘Nto’ te buttono jò casa, ma lo Palazzo è più bello. Pure l’occhio vo’ la parte sua. (esce)

‘Ntogno continua a disperarsi.

Lovisetta - Pensa a quelli che c’evono casa dereto a tì, che le paravi la visuale. E mo’ sa’ le so’ contenti. E po’ uno come tì che ce mette a rifasse su casa in un posto più bello. (esce)

‘Ntogno - (rivolto a Lociano, prendendolo per il bavero) E mo’ come faccio, do’ vajo? Ma te rendi conto che nun ci-ho più la casa? Prima ero un signore e mo’ so’ un poveraccio come tì.

Lociano - Embè, che differenza c’è?

 

SCENA X

La piazza. In un lato c’è Bernardino che sta battendo la falce. Entra in scena Battista con una fascina di legna sulle spalle.

Bernardino - Compare Battista, ma co ‘sti stracci de calli tu anco’ ‘cenni lo cammino?

Battista - Bernardi’, c’è poco da cojona’! Vedo che tu batti la farce, ma nun è un po’ troppo pre’? Lo tempo de meta anco’ è luntano, eh!

Bernardino - Ma che meta e meta! Ho da farcia’ l’erba de li morrali de Nicolo lo fornaro.

Battista - Allora lo bargello ha fatto visita a ti ‘nco’! Manco ste’ lena chì so’ per mi: so pe lo forno de Bastiano.

Entra una donna con una cesta di panni in testa.

Meca - E’ da stamattina che sto a torcia li panni de lo compare Jaco, lo fornaro. Io torciario la capoccia de li priori.

Bernardino - Commare Meca, lo banno diceva chiaro : "... per lo servizio fatto da li fornari de Caprarola a lo stimato architetto Vignola, li popolani tutti offriranno la propria opera a li fornari stessi, ognuno in ragione de lo mestiere suo."

Battista - Commare Meca noi simo poveracci, e come dice il poeta :"Si se presenta il Vignola al canto de lo gallo esso se pija lo pa’e noi emo da pagallo"

Escono. La locandiera entra in scena con del fieno in spalla e incrocia alcune comari.

4 comare - Commare Ginè’ do’ va’ co’ lo fieno?

5 comare - Che ha da rifa’ li matarazzi?

Ginetta - E che matarazzi, li Priori hanno ordinato de essa pronti a riceva li forestieri co’ tutti li cavalli. (esce)

6 comare - (rivolta alle altre) Certo che è un lavoraccio.

7 comare - Poraccia, angià’ commatteva co’ quell’asono de lo marito...

Escono. Entra una comare con dell’immondizia da buttare, seguita passo passo da un’altra comare. La prima si gira e la seconda fa finta di niente, la prima continua e l’altra riprende a seguirla. Finalmente la prima prova a gettare l’immondizia in un vicolo.

Filomena - Arì butti via la munnezza denanzi a casa mia.

Giuditta - Guarda che li Priori hanno detto che basta che nun tu la butti jò da la finestra, po’ tu la po’ butta’ do’ te pare.

Filomena - Fregna, ma per ti do’ te pare è sempre chì denanzi a casa mia?

Giuditta - E me trovavo a passa’...

Filomena - Ma si è la quarta vorta che passi da stamattina.

Giuditta - ... eh, eh, stamo a ‘mmazza’ lo porco e stavo a butta’ via un po’ de robba....

Filomena - Farsa! Ma si lo sanno tutti che de lo porco nun se butta via gnente. Fa’ veda ...(gli strappa la pannata, guarda dentro e tira fuori un paio di mutande) ... e que’ so’ un paro de mutannacce. E che lo ‘mbracavi su lo porco?

Giuditta - Comma’ io butto via quello che me pare. (esce)

Filomena - A sta lorda. Come nun se vergognara’. E’ tutt’oggi che butta via la munnezza ... bleah .... tutta robbaccia .... che po’ a la fine .... mica che sarinno proprio da butta’ via .... mesa’ che le starinno bbe’ a maritomo. (esce con le mutande in mano)

Entrano due allevatori.

'Ntognarello - ... e allora m’hanno condannato. Io l’ammetto: la vacca mia c’era ita pe’ davero li lo campo de Loviggi. Ma l’ha magnato solo l’erba de lo morrale che tanto l’eva da taja’. Però edè una vacca, è un’anemale grosso e tocca paga’ parecchio.

Checchina - Perchè, si l’anemale era ciuco pagavi de meno?

'Ntognarello - Cossì hanno detto li Priori! Li danni vanno pagati a seconda de l’anemale che li fa’.

Nena - Ma ce sarà la capoccia?

'Ntognarello - Ma la cosa che me rode de più mica è que’?

Checchina - Ah no! E che edè allora?

'Ntognarello - Edè che pe’ tutto lo tempo che è stata lì lo campo de Loviggi la vacca mia magnava e ... stabbiava. E la stabbiata de una vacca mica edè come quella de un capretto eh! A mi tutto quello stabbio chi me lo ripaga? Che?

Escono.

 

SCENA XI

Rientrano i turisti con la guida.

Guida - .... e questo fu il periodo più travagliato per Caprarola. Infatti il particolare assetto architettonico del paese si sviluppò proprio tra il 1500 e i primi anni del 1600.

1 turista - (rivolto al 2) Aoh, ammazza forti ‘sti Farnesi.

2 turista - ‘I’è venuto proprio bene er Palazzo.

Guida - Ma ora, se mi seguite, andiamo a visitare i punti più caratteristici del paese.

Mentre escono l’ultimo turista si volta.

3 turista - (guardandosi intorno) A me ‘sto Palazzo me fa veni’ i brividi. Me sbajero’, ma qua dentro ce sarà pure quarche fantasma.

Esce. Entrano i fantasmi di ‘Ntogno il Bergamasco e di Lociano.

‘Ntogno - Ha’ ‘nteso Locia’? Oggi ‘nco’ gnente. Le amo dereto tutte le dì a la guida ma sentimo sempre li stessi nomi: il Vignola, il Sangallo e li Farnese. Ma che lle costara’ de nominamme, benchè una vorta.

Lociano - Amo ‘Nto’ viè’ via. Nun ce pensa’. Ormai l’anni so’ passati e de li patimenti nostri a chi vo’ che le frega.

'Ntogno - Locia', si oggi Caprarola e lo Palazzo so’ quelli che so’ un po’ edè merito pure nostro: te lo vo' metta' su la capoccia?

Lociano - Edè che novi simo nati in un tempo sbajato, do' li signori ce l'evono sempre vencia e li poveracci nun contavono 'gnente. Ha' visto: loro stanno su li libri de storia e novi no.

I due si guardano, poi sorridono

Lociano e 'Ntogno - Embè, che differenza c'è? (escono)