Film incompresi

Kyashan, la Rinascita

Ci sono film, a mio avviso, profondamente incompresi dal pubblico, e sono molto più di quelli enormemente sopravvalutati.

Parlare di quelli sopravvalutati e ridimensionarli è impopolare.

Preferisco pertanto parlar bene di quei pochi lungometraggi che per mia modesta opinione andrebbero rivalutati. In particolare, pellicole come "Memento", "Le Nozze di Muriel", "Messia Selvaggio", "Le Notti selvagge". Senza considerare i capolavori non abbastanza valutati, come C’eravamo tanto amati.

Il giudizio del pubblico è spesso ingrato, anche per colpa di una distribuzione criminale e ignorante che pensa solo ai soldini. In fondo hanno ragione. Ma siccome solitamente riescono a spingere anche boiate clamorose (il soporifere "Cronache di Narnia", col suo immaginario da baraccone di periferia, e un Babbo Natale che regala armi magiche. Ma che te sei fumato? l’erba "pippa" di paròn Frodo?) perché non son riusciti a spingere bei film come "Memento"? Presto ne parlerò, ma non ora.

Oggi mi va di parlare (brevemente) di "Kyashan, la rinascita". Un film di pochi mesi fa [in realtà del 2004], flop clamoroso al botteghino. Posso anche capir perché. Nonostante il soggetto (del cartone ha appena il nome e una bozza di plot, ma è tutto un merito), è un film molto pesante e contemplativo.

Un mattone straordinariamente visionario, tanto nelle immagini, quanto nei dialoghi. Alcune situazioni sono assurde, altre paradossali. Altre venate di un lirismo tragico che sfocia in un surreale pessimismo cosmico e pur vitale.

Il misconosciuto regista è uno di quei talenti fuori dal comune con una capacità unica di tradurre in immagini, colori e suoni (colonna sonora tra le migliori mai ascoltate, perfettamente in sintonia con il video: una simile capacità l’avevo vista solo in Danny Boyle in "Trainspotting" e "28 giorni dopo") i fantasmi di un intero popolo, quello giapponese, il più segnato da quella tragedia che fu la seconda guerra mondiale.

Condanna totale della guerra nei suoi aspetti più inumani, il film dimostra, in una trama molto complessa e purtroppo disarticolata (se conoscete Miyazaki, potete intuire) come a volte nell’uomo, tra l’amore e l’odio, prevalga quest’ultimo. Non sempre come scelta, ma come inevitabile conseguenza delle azioni dell’uomo sull’uomo.

Pellicola profondamente "cristiana" in moltissimi aspetti (la "Rinascita" di Takeshi è un battesimo nel ‘sangue’), permeato di elementi matriarcali (positivi) e patriarcali (egoistici e negativi), parabola sulla diversità e sull’amore impossibile, sulla tecnologia, sull’etica della medicina, questo film mette troppa carne al fuoco per troppo tempo (141 minuti). E solo Shakespeare riusciva a mantenere un simile livello. Ma alcuni struggenti dialoghi, in particolare quello tra Luna e Takeshi a metà del film, la battaglia che lo precede, la Rinascita di Kyashan sono sequenze che raramente si incontrano nel cinema, al pari, e forse anche più belle di tanto paventato cinema d’autore, che lascia spesso solo un vuoto senso di inconsistenza presuntuosa e vana solitudine.

 

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