Anima eletta

 

 

Il vento caldo soffiava tra i pini.

La notte azzurrina illividiva nel vuoto.

Una sera d’estate, spesa nelle solite manifestazioni sempre uguali della metropoli. Il coattume si riuniva in lunghe file. Un serpente variopinto, come una sfilata assurda di vocianti persone.

Dentro l’umanità mostrava compositamente il suo standard. Confusionarie scenografie di balli latino americani coloravano l’avanzare della notte.

I maschi parevano tanti tori da monta.

Le femmine mostravano glutei flaccidi inguainati in minigonne e abiti estivi da sturbo.

Perizomi bianchi spuntavano da avvolgenti pantacollant. Bocche rosse illuminavano le stelle di una notte di luna calante.

Passò la regina. Uno sciame di risa la rincorse.

"A me non andava di venire, va bene?" Strillò Marina.

"Oramai ci sei e mi fai il favore…" Ribatté Enrico

"Come ti pare! Va’…"

Enrico saltò nel cerchio. Marina continuò a bere la sua birra. "Speriamo almeno che passi qualcun altro…" pensò.

Difatti passò qualcuno.

Era bello, questo almeno le pareva. Me chi andava a pensare che quel coglione del suo ragazzo si fosse incapricciato a venire in quello stupido luogo.

Marina si sentiva romantica, languida, per lei la dolcezza era stata creata; Enrico, così grezzo, alle volte… con questi gusti così plebei.

Marina, l’anima bella.

Una poesia, un fremito, un palpito… Enrico, che bambino. Gli piacevano le carnevalate. Lei sentiva diversa, si era diversa. Aveva bisogno di più. D’intelligenza, di un ragazzo che stimolasse i suoi sentimenti, non solo i suoi sensi.

Avanzò quel bel biondo, che gli pareva un angelo, sì, ora le pareva un angelo, che trascendeva di luce propria la serata intera. Sembrava rischiarare quella tetra oscurità variopinta, con il chiarore che irradiava attorno a sé.

Si sedette. Marina, al principio, rimase sulle sue. Poi, poche parole dopo, già si sentiva concupita da quel misterioso essere che pareva la risposta ad i suoi sogni.

Lui le parlò di poesia.

Lui le parlò di arte. Lui le parlò col cuore. Lui le disse cose che si sentono solo nei film.

Infine si alzarono, e, in un luogo più silenzioso, quel ragazzo le declamò dei versi di una dolcezza struggente.

"Queste mie parole

In forma di poesia

Son come una rosa appassita

perché vi lascio trapelare l'anima mia

che vaga nelle strade

per trarne suoni silenziosi e mille metafore;

       Arcane melodie che forse tu

                           Sai udire

In un passaggio dal freddo della sera

Al caldo del tuo cuore

Lasciami parlar così - nel vuoto assurdo

Del pensiero, affogato di musica

  E di miriadi di ricordi e di futuro -

Persi nell'imminente presente che lascia

Sulla bocca un mistico sapore

   Dolceamaro – e delle scomode verità…

E magari, lasciami sognar, lasciami sì sognare

   Ancora

Che l'amore esiste, che la sofferenza

Sia solo un brutto ricordo

Che la gioia venga salutandomi felice

Lasciami credere che questa verità

         non sia di fango,

O che "dal fango sia infine fatto oro"

Perché migliore degli altri certo non sono,

"ho tanti peccati

        nella mia testa"

eppure non li pagherò tutti,

perché non si paga

  la ricerca della gioia,

tranne forse

  quella che avviene

    a spese degli altri…

Io so solamente che oggi

   Sono ancora vivo e

  - se Dio lo vorrà -

ancora domani lo sarò, ancora,

e di nuovo mi innamorerò, spero,

e sentirò la vita che mi scorre

nella strade assolate di Primavera

     o nella pioggia scrosciante

sull'asfalto nero…

…ma nell'acqua putrida e nera,

anche in quella

   pur sempre di più

    si rispecchia il Sole!

Ed in questa notte

   Di Luna piena

      Delicata e candida

         Mistiche e vellutate sere d'Estate

Il mio cuor brilla travolto dall'entusiasmo

E chissà per cosa,

   sempre pronto a entusiasmarmi

per un nonnulla,

eppure qualcuno mi dica, se faccio male

a godermi

tanto la Vita…"

 

A queste parole Marina impallidì. Il suo sentimento del mondo trovò in quel misterioso ragazzo una parta per comunicare con l’esterno.

Marina lo guardò negli occhi, e annegò in quella cerulea immensità. Una sensazione di freschezza la pervase. Si sentì invasa da un baluginare d’emozioni.

Cedette ad un bacio, che pareva suggerle l’anima.

Poi, d’un tratto, si ridestò, e scappò via.

D’un tratto, come dal nulla, sortirono gli amici del tipo.

"Vabbe’, hai vinto!" Proclamò uno di loro.

"Ammazza, ce sta ancora chi se fa’ rimorchià’ da ‘ste stronzate!…" Sentenziò un altro.

"Zitti, va’, ch’a momenti me la facevo pure!" Concluse lui, che si sentiva ancora sulle labbra il sapore di lei, e della birra che aveva bevuto.

Marina tornò dal suo fedele Enrico. Lo trascinò via.

"Ma che ti piglia, questa sera?" Chiese Enrico.

Marina taceva.

Il ricordo di quel ragazzo, dolce e gentile, e delle sue parole, la ossessionava nella mente.

"Perché sono fuggita?" Pensò. "Un ragazzo così non lo si incontra tutti i giorni." A questa riflessione, una piccola lacrima scese lungo la sua guancia.

"Amo’, che t’è successo?" Chiese premuroso Enrico.

"Niente, va’, pensa a guidare…"

No, Enrico non poteva capire. Questi problemi non erano per tutti: erano riservati ad anime nobili – come la sua –, capaci d’amare e di soffrire nello spazio magico d’una sera d’Estate.

Anime pure.

Anime elette.

 

Home Page