La vendetta del prete

 

In principio, Don Pedro vagava ciondolante per le polverose vie di campagna. Ma era una strana storia, quella di Don Pedro. A dirla alla spagnola, si sarebbe potuta intitolare Historia de Don Pedro e de su terrible venganza.

Molto bello, caliente e affascinate come un dramma di Garcia Lorca. Ma poco funzionale. Perché, quella di Don Pedro, era una storia che non aveva principio. A raccontarla, nessuno sapeva cominciarla. Nessuno avrebbe immaginato la ragione…

Quale evento avesse scatenato nel sacerdote tanto astio verso il genere umano, verso ogni cosa, rimase ignoto, anche a Don Pedro stesso, probabilmente. Perché era un uomo buono, Don Pedro. Lo era stato, Don Pedro, di quella bontà che non sta bene neppure ai santi. Poi tutto cambiò… quando… quando, chi lo sa? Magari, quella volta che morì sua madre. O magari quella volta che la seguì il piccolo Felipe, avvolto dalle nenie e dai pianti di notti insonni di lacrime. O magari fu quella volta che Don Pedro fu aggredito dai suoi protetti per l’ennesima volta. O magari fu proprio quella volta che, stanco e stordito da mille incubi evanescenti, guardò le stelle, e per la prima volta le trovò vuote e brutte.

E si sentì solo…

E gli venne un brivido…

Gli mancò il respiro. Annegò nel nulla. In un vuoto metafisico, infinito, siderale. Comicamente inutile e grottesco.

Le guance gli si rigarono di lacrime.

Don Pedro precipitò nel Niente, risucchiato dalle sue paure più profonde. Don Pedro s’accorse che il suo Dio non c’era. Non c’era più. Non c’era mai stato. Don Pedro gettò il suo cuore in terra. Don Pedro raggelò.

Don Pedro pensò al suo errore, al Nulla che lo attendeva. E fu pervaso da tristezza senza fine. Da angoscia allo stato puro. E da rabbia.

Rabbia. Smisurata rabbia. Feroce rabbia… e impotenza!

Il suo stomaco si contorse, e la sua coscienza lo lasciò.

Capì che la Fede non l’aveva mai avuta. Cadde a terra, privo di sensi.

Da quella sera, apparve sempre inquieto. Ma lo negò costantemente. In breve tempo, imparò anche a dissimulare.

Chi lo vedeva, anzi, diceva che s’era "fatto la scorza". Non pareva più un timido prete. Pareva un uomo da battaglia, con tutto quel furore che metteva ora nelle cose, in tutto quello che faceva, un furore disperato ed insostenibile.

Don Pedro aveva gettato il suo cuore.

Don Pedro non credeva più in Dio.

Ma allora, perché continuare ad officiare? Con tanta lena. Con tanto ardore. Incrementare i fedeli della parrocchia, perché?

Faceva tutto parte del piano. Un piano assurdo, diabolico, disperato per trovare altri compagni che condividessero il suo destino con lui.

Non il pensiero della mancanza di Dio lo spaventava, no. Terrorizzato era piuttosto dalla Solitudine. Quel viscido serpente marino che con le sue squame ti squassa il cerebro. Lo inorridiva l’oblio nullificante del deserto del "dopo", e della sua Anima.

All’anima, ci credeva ancora, Don Pedro. E voleva qualcuno con cui condividere la sua paura. Tutto qui.

Questo era l’unico pensiero che prevenisse il suo orrore per la morte. La testa gli fischiava sempre, quando pensava a questa parola. Gli ronzava il capo. Veniva colto da improvvise vertigini multicolori. E spaventose crisi di nervi lo assalivano in uno sfarfallio di luci e suoni che sembravano provenire da un profondo, ancestrale, remoto angolo nascosto del suo subcosciente.

No. Non poteva affrontare il trapasso. Non da solo. La vendetta forse non c’entrava. Era solo un modo estremo, cattivo, di trovar compagnia.

Don Pedro, in fondo, era diventato soltanto più solerte, più infaticabile, più attivo, di un’inconsulta vitalità.

Specialmente quando si trattava d’estreme unzioni. Si sarebbe potuto assicurare che niente gli interessasse maggiormente dell’anima di colui che stava per trapassare.

Così era, in effetti.

Don Pedro correva.

Correva sempre al capezzale di un moribondo disperato. E andava anche in quei paesini sperduti, che non erano di sua competenza. Diceva agli altri parroci: "Non temere. Andrò io… No, non ti preoccupare, non mi pesa, anzi. Non si può certo permettere a quel poveretto di morire solo, senza un conforto…"

E gli altri parroci, ben lieti che certe brighe se le prendesse un altro, assecondavano paciosi e lieti, come gatti placidi e sonnacchiosi su una veranda.

E Don Pedro correva.

Correva da un capezzale ad un altro. I suoi parrocchiani eran contenti di avere un officiante così energico. Non li faceva mai sentire abbandonati. "Che buon parroco" dicevan tra loro le parrocchiane. E i parrocchiani dicevano: "Ecco Don Pedro che corre…" E ridevano, alcuni. Ma tutti, poi, se lo vedevano arrivare al capezzale loro, se qualcosa era andato storto, o se la loro età segnava a passo d’oca l’ora della fine.

E Don Pedro, puntualmente, compariva; con i suoi bei paramenti, l’Olio Santo, e le sue giaculatorie. Le sue preci in latinorum. Ogni particolare era perfetto; ogni virgola aveva il suo senso, con Don Pedro. Le sue estreme unzioni erano capolavori di liturgia.

La gente arrivò a riunirsi soltanto per vederlo celebrare questo rito. Neppure le sue messe potevano dirsi altrettanto frequentate.

C’era passione, e si vedeva.

Perché Don Pedro non lasciava nulla al caso. Si preparava la strada. Ed ogni qual volta era sicuro che il suo assistito stava per lasciare definitivamente questo mondo, si avvicinava all’orecchio, e con spietata e raffinata crudeltà, gli sussurrava:

"Dio non esiste. Buon Viaggio, caro fratello!…"

Quando infine venne il suo turno, sul letto di morte, Don Pedro vide, negli ultimi vaneggiamenti, tutte quelle anime cui aveva giocato questo scherzo. La presenza di tutte quelle anime, dalla faccia triste e allucinata, lo consolò intimamente. C’era riuscito: s’era finalmente assicurata la compagnia nell’estremo trapasso!

 

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