Il dolore notturno

Dino Buzzati

 

 

 

Verso la periferia, in un quartiere giardino c'era una villetta dei giovani fratelli Giovanni e Carlo Morro, il primo di vent'anni, l'altro di quindici. La villetta era circondata da un piccolo giardino, e, benché nel viale davanti passassero molte automobili, dava una impressione di solitudine.

Quella sera, una tetra sera del tardo inverno, Carlo si mise in letto senza mangiare perché non si sentiva bene. Nella camera era accesa solo una piccola lampada, posta in un angolo, dove Giovanni si sedette a leggere, per tenere compagnia al fratello. Un suono intermittente delle auto che passavano nel viale non bastava a diminuire il silenzio. La piccola casa era entrata oramai nella notte.

A un tratto, uscito dal torpore, Carlo domandò al fratello: «Di', Giovanni, è stata chiusa la porta?»

« L 'ha chiusa la Maria poco fa » disse il fratello, «ho sentito che l'ha sprangata anche dall'interno. »

« Giovanni » insistette Carlo dopo un lungo silenzio, «fammi il piacere, va a vedere se è chiusa la porta, sento una corrente d'aria. » Diceva cosi per trovare una scusa. In realtà, l'aria nella camera era completamente stagnante. Eppure il ragazzo aveva una strana impressione, come se la porta fosse rimasta aperta. «È chiusa ti dico» ripeté Giovanni, «ma se non è che per questo, vado a vedere. »

il giovane si alzò, usci dalla camera e si udirono poi i suoi passi nella stanza accanto, incerti finché non scattò l'interruttore della luce. Poco dopo, dall'anticamera, giunse il caratteristico rumore della porta che veniva sprangata. Carlo, inquieto, si alzò a sedere sul letto.

«Hai visto che era aperta? Hai visto» gridò il ragazzo prima ancora che il fratello rientrasse nella stanza.

«Non so capire» disse Giovanni che non sembrava affatto impressionato, «Maria dice di averla chiusa alle sette e mezzo, eppure l'ho trovata aperta.»

«E tu credi che non l'abbia chiusa?» «Ma certo che non l'ha chiusa. Vuoi che siano entrati dei ladri? L'ha dimenticata aperta quando è venuto il lattaio, e adesso cerca una scusa. Ma figurati... »

Il ragazzo si distese nuovamente tra le coperte e Giovanni riprese a leggere il libro. Tutto nella casa pareva quieto e rassicurante.

«Di', Giovanni» fece ancora il ragazzo, che andava rivoltandosi sul letto. «Ma non ci poteva essere qualcuno?» «Qualcuno dove? » rispose Giovanni distratto. «Ma alla porta! Non può essere stato qualcuno ad aprirla? »

« Basta, Carlo» fece il fratello spazientito. « Calmati, adesso, e cerca di dormire. Che cosa sono queste stupide storie? Che fissazione ti è venuta adesso per la porta?»

Il ragazzo invece non seppe dominarsi. « C'è qualcuno, ti garantisco, c'è qualcuno che vuole entrare!» esclamò supplichevole. «Fammi la carità, va a vedere! »

« Ma chi vuoi che sia? Da dove vuoi che venga dentro? Se scassinassero la porta si sentirebbe bene il rumore! Devi avere la febbre, ecco cos'è, ci sono qui io, in fondo... Hai sentito dei passi? »

« No» fece il ragazzo, «non sono dei passi, ma sento che c'è qualcuno. »

« Ma dove, ma dove, perdio?» Giovanni aveva veramente perso la pazienza.

Il ragazzo non rispose, ma apriva i grandi occhi nella penombra.

« Dove vuoi che sia? Avanti, dillo tu, che vado ancora a vedere!» insistette Giovanni che cominciava a sentire il bisogno di tranquillizzare anche se stesso.

« È dietro la porta, che aspetta» fece con voce piana il ragazzo. «Dietro la porta, lo so bene.»

Giovanni balzò in piedi, gettando il libro su un tavolo. « Avanti » disse in tono di scherno, «andiamo a vedere. La finirai poi con queste paure da ragazzetta!»

« No, no » supplicò allora Carlo. « Fammi la carità, non aprire la porta, non aprirgli; se lui entra è finita. »

Giovanni non gli diede retta. A passi irritati usci dalla stanza, attraversò, senza accendere la luce, il salotto e non accese neppure in anticamera prima di spalancare la porta.

Con il pomolo del catenaccio in mano, rimase per qualche istante incerto. «Chi c'è?» domandò, per istintiva precauzione, e si stupì udendo uscire dalla sua bocca una voce stranamente fioca. Nessuno rispose.

« Chi c’è » ripeté dopo qualche secondo. Ma ancora silenzio. Allora fece scorrere il catenaccio e tirò indietro uno dei due sportelli.

« Misericordia di Dio! » mormorò Giovanni, attraversato da

un lento brivido. Sul pianerottolo, impassibile, stava un uomo sconosciuto.

Si capiva dall’insieme che era persona di buone condizioni sociali, benché Giovanni non riuscisse a concentrare l’attenzione su alcun particolare del vestito. il colore del suo paltò, benché non fosse nero, dava una generica impressione di lutto. Poteva avere una cinquantina d’anni, ma era difficile dire, perché il volto senza rughe pareva staccato dal tempo.

Non disse una parola, e con gelida flemma fece atto di entrare. Giovanni si tirò indietro e accese la luce, rendendosi perfetta mente conto che sarebbe stato inutile resistere. Non che il visitatore fosse armato o particolarmente robusto. Era cosi e non c’era nulla da fare.

In ogni modo, Giovanni lo comprese dal primo istante, quel l’individuo sarebbe riuscito a entrare.

Allora l’uomo, senza levarsi il paltò, con il cappello in mano, si avviò a lenti passi verso la stanza del ragazzo. Il fratello maggiore fece per correre avanti e prevenire Carlo, ma l’altro gli fece un piccolo cenno, come per dire ch’era inutile, che il ragazzo sapeva già.

« Oh Dio! » mormorò con dolorosa rassegnazione Carlo, disteso nel letto, quando vide entrare lo sconosciuto. Non disse altro e abbandonò la testa sul cuscino.

L’uomo depose il cappello sui comò, e, in silenzio, straordinariamente composto, si sedette su una sedia di fianco alletto, donde cominciò a fissare il ragazzo malato.

Dal suo volto, a prima vista, traspariva una specie di sorriso, ma dopo un po’ vi si leggeva una gelida ironia. Negli occhi stagnava una forza maligna.

Oh, era inutile ribellarsi! Il ragazzo lo guardava con aria dolo rosa, incapace di reagire, mentre il fratello, in piedi, appoggiato

al comò, osservava la scena, muto e triste.

Quasi per moto istintivo, a un certo punto Giovanni accese la lampada centrale, e alla viva luce si accorse che l’uomo stava aprendo, tenendola appoggiata alle ginocchia, una specie di cartella che nessuno dei due fratelli aveva fino allora notata.

Con una delle sue lunghe mani, lo sconosciuto trasse fuori dal la cartella un disegno colorato, deponendolo adagio sulle coperte del letto, in modo che il ragazzo lo potesse osservare.

Il ragazzo vi gettò un’occhiata e cercò di voltare gli occhi da un’altra parte, con un lieve lamento. Ma era più forte di lui: dopo qualche secondo, attratto irresistibilmente, ricominciò a fissare il foglio.

Era un disegno incomprensibile, eppure di perfido fascino. Linee, curve, macchie di colore, schegge di assurde immagini con cui prevalevano figurazioni di occhi, si intrecciavano in ridda, e, a osservarli lungamente, si vedevano ruotare gli uni entro gli altri, di un moto che pareva eterno.

Sempre in piedi presso il comò, Giovanni non poteva scorgerlo. Invece Carlo continuava a fissarlo.

Passarono forse quindici minuti, e poi lo sconosciuto trasse dalla cartella un secondo disegno, quasi identico al primo, ma pure completamente diverso, per il pii intenso male che ne sprigionava.

« Basta, basta! » supplicò allora il ragazzo, esasperato da quel tormento. « Giovanni, mandalo via! »

Lo sconosciuto, accentuando alquanto il suo sorriso mellifluo, si volse verso Giovanni e scosse il capo a esprimere compatimento, come se soltanto il fratello maggiore lo potesse comprendere. Non scuoteva il capo come fanno di solito gli uomini, bensì con un meccanico dondolio.

Giovanni non mosse ciglio, paralizzato dalla pena di non poter aiutare il fratello.

Circa due ore passarono cosi nel silenzio, solcato dai gemiti del ragazzo. Poi Carlo cominciò ad assopirsi, con alterne riprese di agitazione.

Lo sconosciuto, — nel frattempo Giovanni aveva spento la luce centrale, — riprese i suoi disegni (Giovanni con stupore non riuscì a distinguere che due fogli di carta immacolata) e tutto il suo atteggiamento assunse grado a grado la espressione del l’uomo che sta per partire.

Alle tre di notte, il ragazzo cadde in un sonno torbido. L’uomo si alzò con immutabile flemma e scivolò fuori dalla stanza, scomparendo nel buio.

Anche l giorno dopo Carlo non poté alzarsi dal letto. Salutandosi al mattino, nessuno dei due fratelli osò accennare per primo alla triste visita della sera prima, e si arrivò cosi al crepuscolo senza parlarne. Solo quando fu giunta la notte, Giovanni disse:

« L’ho chiusa io stasera, sai, la porta. Sta pur sicuro che nessuno può entrare. E tu potrai fare un bel sonno».

« Oh, è inutile! » fece con rassegnazione il ragazzo. « E inutile chiudere la porta. Se vuol venire entra lo stesso. »

« Ma non dir sciocchezze! » replicò il fratello cercando di ridere. Eppure sapeva anche lui che era proprio cosi.

La notte, comunque, si consumava nella villetta senza che avvenisse nulla di nuovo. Il ragazzo, invece di dormire, si faceva via via più animato, al fresco soffio della speranza. Forse nessuno sarebbe venuto quella notte e neppure la notte dopo, e forse per sempre. Il ragazzo ci pensava e immaginava i giorni avvenire, la scuola, il sole, la primavera, tutto un mondo felice. A poco a poco si addormentò dolcemente.

Ma Giovanni restò sveglio a leggere, non sentendosi affatto tranquillo. Attraverso le fessure delle persiane scorgeva ogni tanto le ombre delle piante, in giardino, agitarsi, sebbene non soffiasse il vento.

Dalle altre stanze, con la voce degli orologi, giungevano insoliti scricchiolii. E per due volte si udì come un secco scatto metallico, di origine inesplicabile.

Giovanni leggeva una storia d’amore, ma non riusciva a staccare la sua mente da quella stanza.

Sul viale passavano a grande velocità automobili sempre più rare, il rombo della città si affievoliva nel sonno, passi solitari risuonavano ogni tanto sulla via, e il cuore di Giovanni cominciava a battere forte.

Anche lui già si lasciava invadere dalla sonnolenza quando senti, oh Dio, senti, con una precisione che non ammetteva speranza, come la porta della stanza lievemente si aprisse.

Si voltò rassegnato, e lo vide. Con la metodicità della sera prima, l’uomo depose il cappello sul comò e si sedette al fianco del letto. « Per fortuna » pensò il fratello, « Carlo dormiva e non se ne sarebbe accorto. »

Ma l’uomo si chinò premurosamente verso il ragazzo e gli toccò, gli sfiorò, anzi, la testa, con una mano. Carlo ebbe un sussulto, spalancò gli occhi, mandò un lungo lamento.

Allora lo sconosciuto parlò, scandendo le sillabe.

« Tutti dormono » disse soavemente, « tutti dormono adesso. Nelle case vicine tutti sono addormentati, e nell’intera città... anche tuo fratello » aggiunse dopo una pausa, e non era vero, ma Carlo nella penombra non poteva scorgere il fratello, in piedi, con le spalle appoggiate a un muro. « Tutti dormono... » ripeteva ossessionante, « tutti hanno la possibilità di riposare, tutti dormo no... tutti dormono...

Qui tacque e ritornò il grande silenzio. Carlo fu ripreso dal sonno.

« Fuori che te... » prosegui a voce alta il maledetto, toccando di nuovo il ragazzo e facendolo risvegliare.

Tutti dormono, dormono, dormono... » andò avanti poi a mormorare lo sconosciuto come una litania. E appena Carlo accennava a chiudere gli occhi, lo toccava perché non dormisse. Lo toccava con un gesto straordinariamente gentile, calcolato con precisione matematica. E « fuori che te ripeteva.

Tutti dormono eccetto me » pensava il ragazzo, e questo sarà anche domani sera, anche dopodomani, sempre » Un sommesso singhiozzo risuonava nella stanza. Giovanni, immobile, taceva, non potendo far nulla.

« A che ora verrà stasera? » domandava Carlo dal letto, oramai senza pii angoscia, ma solo con amara rassegnazione. Erano passati ormai quindici giorni dalla prima visita dello sconosciuto, e ogni notte regolarmente egli era tornato.

Una sera Giovanni lo aveva trovato seduto in attesa, nel buio, sul divano in anticamera, una altra volta lo aveva sentito passeggiare a lungo su e giù per il viale prima di entrare, ma in genere egli scivolava dentro alla camera senza fare annunciare da alcun segno la sua venuta.

Ancora una volta i due fratelli lo aspettavano. Erano già suo nate le nove. La lampada era accesa nell’angolo, la storia d’amore era già finita, e Giovanni stava leggendo un nuovo libro che parlava di guerre.

A che ora verrà stasera domandava dal letto Carlo, con sunto ormai dalla pena.

Vedrai che stasera non viene » faceva Giovanni per consolarlo. « Già ieri notte si è fermato poco. Vedrai che tutto è passato. Domani starai meglio. »

Quante volte aveva ripetuto queste buone parole. Quante volte invano!

Mentre tutte le altre case della città a una certa ora parevano addormentarsi, e le finestre si spegnevano ad una ad una, e i sogni si spargevano nei mille appartamenti a consolare gli uomini affaticati, nella villetta si insinuava il crudele incanto.

« Dici sempre così » replicava Carlo, « dici sempre cosi e poi lui viene lo stesso, Oh mamma! e si lasciava prendere dai sin ghiozzi.

« Sta quieto » provava allora il fratello maggiore con altre parole, « sta quieto e non pensarci. Anche lui finirà per stancarsi. Non bisogna pensarci, ecco, come se non fosse mai venuto... »

Giovanni! » gridava improvvisamente il ragazzo, preso da agitazione. « Giovanni, guarda quell’ombra C’è qualcuno in giardino! E lui che viene, ti dico! »

« Ma calmati, per carità » pregava il fratello. Non capisci che è vento? Non senti il rumore C’è la tramontana, che porta bel tempo. »

« Oh, non è vero diceva il ragazzo ripiombato nel solito abbattimento. « Il vento fa un altro rumore, lo so bene, il vento non fa muovere cosi le piante... E poi non senti » riprendeva con nuova agitazione, non senti quei passi sulla ghiaia »

« E’ una fissazione la tua! » diceva Giovanni. « Io non sento passi, ti giuro. Sarà stato qualche topo, ecco. Lo sai quanti ce ne sono in giardino... »

« Ce n’erano, adesso non ce ne sono più. Il gatto li ha... Era proprio il passo di un uomo.,

Tacque per qualche istante, poi si alzò di scatto a sedere sul letto, piegò la testa da un lato, tendendo le orecchie. Eccolo, eccolo! » esclamò.

Dall’anticamera infatti un passo umano si avvicinava, Suonando sul pavimento di legno. Rispetto alle sere precedenti era però insolitamente veloce. L’ultima speranza fuggi e la porta si apri lentamente.

« Ma è la Maria! » gridò Giovanni, con un impeto di sollievo, scorgendo la testa della cameriera che si affacciava a sbirciare. « Dio sia benedetto I »

Parve ai due fratelli di aver cosi guadagnato una specie di tregua. L’incubo subiva un rinvio. Ma per quanto ancora?

Il ticchettio degli orologi scandiva il procedere della notte, cosi faticoso nelle case della città. Un cuscino gettato per terra, un giornale piegato sul tavolo, la lampada centrale spenta, i libri allineati nello scaffale, tutto già navigava ne sonno. Giovanni leggeva alzando ogni tanto gli occhi a salutare il fratellino, che lo guardava pensosamente.

Ogni tanto lo afferrava la tentazione di voltare gli sguardi alla porta, che gli pareva lì per aprirsi, pure si dominava, per paura di allarmare il ragazzo.

Passarono le undici, le undici e mezza, e ancora non veniva nessuno. Da qualche chiesa lontana giungevano malinconiche le ore. A poco a poco, nella fonda notte, si ridestò debole la speranza. « E quasi mezzanotte » diceva Carlo, che sentiva il bisogno di illudersi. « Non è mai venuto cosi tardi. Se almeno stanotte si fermasse poco.. »

« Vedrai che non viene. Oramai l’ora brutta è passata » ripeteva Giovanni, per tranquillizzarlo. Diceva cosE, ma era lui il primo a non crederci. Giovanni non si faceva davvero illusioni e già sentiva, pur non spiegandosi come, che lo sconosciuto era vicino.

Suonò mezzanotte e Giovanni guardò il fratello. Con la testa rovesciata sul guanciale, il ragazzo si era finalmente assopito e un sorriso innocente vagava sul volto. Proprio adesso era disceso nei gorghi del sonno, proprio adesso che lo sconosciuto stava per entrare.

Si. Oramai Giovanni era sicuro che l’uomo si trovasse nell’interno della casa. Al di là delle pareti della camera ne percepiva la presenza. Oh, quanto era assurdo sperare Alzandosi dalla poltrona, con infinite precauzioni per non far rumore, Giovanni at traversò la stanza, socchiuse lentamente la porta del salotto e si affacciò trepidante.

Era proprio come aveva sentito. La luce era stata accesa, e seduto su una sedia stava lo sconosciuto, immobile, in atteggia mento di attesa. Giovanni lo fissò negli occhi, ma gli sguardi dell’altro lo sfuggivano, tesi orizzontalmente e fermi.

Restò qualche istante sulla soglia, immaginando che lo sconosciuto si alzasse per andare a tormentare il ragazzo. Invece l’odiosa creatura non si mosse di un millimetro. Allora il giovane si ritrasse adagio dalla camera.

La porta venne rinchiusa, la serratura fece un piccolo clic, e Carlo per il rumore riemerse dal sonno.

Dove sei stato? » chiese subito con affanno. « Sei andato a vedere di là se è venuto? Dimmi, l’hai visto? »

No » rispose Giovanni, « sono andato a prendere un bicchiere d’acqua. Non ci pensavo nemmeno, a lui. Oramai, oramai non viene. »

Un’improvvisa luce di contentezza si diffuse sulla faccia di Carlo.

Quanto crudele ingannarlo cosi, pensò il fratello maggiore e si sedette di nuovo a leggere, senza più una parola.

Tic tac facevano i vecchi orologi della casa, passavano in fila indiana i minuti, Carlo stava riaddormentandosi, un autocarro mugolava lontano Ma si decideva o no a entrare quel maledetto? Si apriva o non si apriva quella porta? Era ormai giunto, lui, perché dunque aspettare ancora lì fuori? Perché illudere fino al l’ultimo il ragazzo?

Bisognava tornare a vedere, era assolutamente necessario, Giovanni si alzò nuovamente dalla poltrona, attraversò in punta di piedi la camera, apri la porta del salotto, affacciò la testa a guardare.

Lo sconosciuto era a al suo posto, nella stessa identica posizione, sulla medesima sedia, immobile come prima, ma dormiva.

Dormiva. Le palpebre erano scese completamente a chiudere il gelido sguardo e il sorriso, il suo perfido sorriso era morto nel sonno. La bocca era chiusa, a rigida come un suggello.

Dormiva. Non di un sonno placido e umano. Il petto non si agitava per il respiro o, se palpitava, era un moto impercettibile. Si sarebbe detto ch’era morto se non fosse stata quella trista creatura.

« Se continuasse così per tutta la notte! » si augurò Giovanni ritraendo lentissimamente la testa. Ma non osava ancora sperare. Riaccostò i battenti della porta, a minuscoli passi riguadagnò il suo angolo sotto la lampada, prose il libro in mano e stette casi, fermo, con le orecchie tese al minimo rumore.

Ma non giungevano che ì tradizionali suoni notturni della casa. Gli orologi, un gorgoglio di acqua nei tubi, un mobile che si assestava scricchiolando, le persiane che ogni tanto gemevano a vento, quella notte cosi insistente. Carlo continuava a dormire.

Ora anche su lui, Giovanni, scendeva prepotente il sonno, facendogli pesante la testa tirandogli giù pazientemente le palpebre. Gli occhi volevano chiudersi. Solo le orecchie restavano sveglie e ascoltavano avidamente il silenzio. Forse l’uomo non si era ancora ridestato.

La voce degli orologi, gli intermittenti scricchiolii, il penoso respiro di Carlo, il greve silenzio che su tutto incombeva divennero a poco a poco un lieve unico rombo, con un suo ritmo metodico, che annebbiava progressivamente la stanza. La lampada parve spegnersi (le palpebre di Giovanni si erano, infatti, chiuse) ed egli si senti dolcemente trascinar giù nella fossa del sonno.

Fu ridestata da una incerta angoscia, che ripresa conoscenza, egli non stentò a identificare. Si voltò verso il letto di Carlo. Certo la sagoma luttuosa dello sconosciuto doveva essere là, sulla sedia, negando il riposo al malato.

Invece niente. Carlo dormiva, e nessun altro nella stanza. Allora Giovanni s’accorse che qualcosa di nuovo accadeva. Subito non 1 a capire, poi, guardando la finestra, notò sulla persiana strane strisce bianche.

La speranza! Con una febbrile agitazione Giovanni spalancò la finestra, afferrò la serranda della persiana, aprì questa di schianto.

L’alba, l’alba era giunta. Ai limiti del limpidissimo cielo, tra gli alberi nudi lavati dal vento, ampliavasi la luce del sole.

« Carlo! Carlo! » gridò Giovanni voltandosi indietro.

Il ragazzo si riscosse, si levò a sedere, si guardò attorno.

« Cosa c’è, cosa è successo? » chiese spaventato.

« È l’alba, ti dico! » gridava Giovanni pazzo di gioia. E l’alba, e lui non è venuto!»

Non occorreva più andare a vedere, era certo, ben certo, che dietro la porta, là nel salotto, adesso non c’era più nessuno, il nuovo giorno era nata e lo sconosciuto era scomparso, succhiato dai rigurgiti della notte. L’incanto era stato spezzato. Mai più sarebbe venuto.

La città dormiva, ignara che stesse nascendo il primo sole della primavera. Il viale deserto, le finestre tutte sprangate, le case ancora notturne.

Un sorriso dubbioso fiori sulle labbra del ragazzo che da solo scese dal letto, e, a incerti passi, si avviò verso la finestra a guardare. i due fratelli stettero vicini e muti, oppressi dalla gioia: pensavano alla vita che ricominciava, a mille stupide felicita, bevvero, tremando insieme, il primo raggio di sole.