umbyds@libero.it

Umberto
Di Salvatore


LA LEGGENDA DEL BOSCO


Quel piccolo bambino, con i suoi riccioli neri, lo sguardo assente e vuoto perso nell’ammirazione di quel micio che con destrezza si arrampicava sull’albero del giardino di fronte casa sua, giocava tranquillo, inseguendo i sogni del gatto, vivendo con i suoi occhi attenti e vigili, ignorando i problemi che attanagliavano il suo paese stretto nella morsa dell’odio.

Non era un bambino normale, se così si può definire un bimbo taciturno che non risponde agli stimoli esterni, o almeno così lo definiva la gente che viveva nelle case intorno, ma tutta quella gente non capiva che la sua anormalità nascondeva una pace ed un potere che avrebbe potuto variare il corso degli eventi solo se lui avesse voluto. Ma non era così semplice, neanche i suoi genitori riuscivano a capirlo, neanche l’amore che la madre nutriva per quel figlio diverso dagli altri riusciva ad avvicinarla ai progressi che giorno dopo giorno lui aveva con fatica conquistato.

Lo seguivano con apprensione e vedendolo allontanare verso il bosco, cercavano di impedirglielo, ma con scarsi risultati. Lì era cresciuto, lì aveva iniziato a giocare diventando cosciente del suo potere, iniziandolo ad usare per aiutare gli animali della foresta, spingendosi sempre più all’interno conoscendo, con il passare del tempo, specie sempre diverse, adattandosi alla natura che lo circondava come uno di loro.

Lo avevano eletto loro capo, ma lui aveva rifiutato, anzi quella scelta l’aveva turbato. Capiva che la sua posizione era superiore alla loro, ma non riusciva a capacitarsi di dover essere il loro referente presso gli uomini, lui che si era rifugiato nella foresta per scappare alle ingiustizie umane. Non si recò più nella foresta, sconvolto dal ruolo che gli era stato assegnato e che non desiderava ricoprire.

La civetta venne una notte ad accertarsi che stesse bene e così tutti gli altri animali lo cercarono per convincerlo a ritornare, scusandosi per loro richieste, facendolo sentire sempre più un estraneo tra gli uomini e sempre più parte integrante della famiglia che aveva lasciato nella foresta. Tornò nel bosco e con difficoltà riuscì a dir loro che lui si trovava lì per donare senza chiedere nulla in cambio, che era lì per ascoltare i loro mille problemi e per aiutarli a risolverli, per insegnare i complessi sistemi sconosciuti alle razze animali.

Ormai non poteva tirarsi indietro, non avrebbe più potuto vivere nell’anormalità del suo paese uccidendo il sentimento che lo legava agli animali del bosco, in quei luoghi si sentiva a suo agio, quegli esseri capivano il suo linguaggio e lo ascoltavano desiderosi di apprendere, di scoprire nuovi orizzonti. Lì nessuno lo avrebbe più deriso.

Dire, o meglio, fare capire ai suoi genitori la sua scelta sarebbe stata difficile, ma era l’unica cosa giusta che poteva fare.

Andò via una mattina di primavera, il sole era sorto con tristezza ed anche se il suo cerchio era quasi nitido nel cielo azzurro non riusciva a riscaldare l’aria che era ancora molto fredda. Aveva solo otto anni e senza rimpianti, senza salutare nessuno dei bimbi che fino al giorno prima lo avevano beffeggiato, lasciò un bacio sulle guance dei suoi genitori ed una rosa sul suo letto e si allontanò da quella che era stata la sua casa, inoltrandosi nella foresta. Non portò nulla con sé ad esclusione di un coltellino ed una pietra focaia, da donare al grande orso della montagna che aveva preparato una grotta per lui vicino alla sua tana.

Sua madre, dopo un paio d’ore andò a svegliarlo e vedendo il letto vuoto e la rosa pensò subito al peggio ed insieme al marito ed alla gente del paese iniziò le ricerche che, pur proseguendo per quasi un mese, si rivelarono infruttuose. Lui ormai era al sicuro ed aiutato dai suoi amici che riuscirono a depistare quell’estremo tentativo di riportarlo a quello che gli umani chiamavano normalità, cominciò il cammino per dirigersi alla grotta dell’orso e che nel corso degli anni l’avrebbe condotto così lontano, che il ricordo della vita con gli umani sarebbe diventato solo un pensiero triste perso nell’infinita felicità raggiunta.

Scoprì mondi di cui non aveva mai sentito parlare e che nemmeno la sua fervida immaginazione poteva concepire, scoprì sistemi per viaggiare senza muoversi, mantenendo con il trascorrere degli anni l’aspetto di un bambino che aveva acquisito l’esperienza di un vecchio saggio.

Gli animali erano sempre al suo fianco e lo aiutarono a nascondersi ed a trasferirsi in luoghi più impervi e lontani da quell’idea strampalata di civiltà. Avevano imparato a non adorarlo, ma a considerarsi fortunati della sua presenza che rendeva tutto semplice, armonioso e luminoso, riuscendo ad aprire le loro menti, ad evolvere il loro stadio bruciando tappe intermedie della loro evoluzione che, in caso contrario, sarebbero durate secoli.

E quegli esseri tornavano con un altro corpo al loro maestro, senza tener più conto del tempo, degli anni che per il resto del mondo trascorrevano ma che si susseguivano senza pesare sui loro corpi e sulle loro menti. E tutta la zona sembrava avvolta da un’aura sconosciuta che rendeva tutto luminoso, mai avvolta dal buio e l’aria irrespirabile a chi, estraneo, cercava di accedere a quel lembo di paradiso sulla terra.

Solo pochi umani riuscivano ad entrarvi, desiderosi di progredire, desiderosi di ascoltare le sue parole e di apprendere i suoi insegnamenti. Puri di cuore che erano scappati dalla follia del mondo, dalla loro vita composta dal susseguirsi di giornate una uguale all’altra, dalla normalità e dalla quotidianità che li stava soffocando.

Di queste poche persone che scomparvero dalle loro case non si seppe mai nulla, ed ogni volta che qualcuno veniva visto al limite del bosco per poi dileguarsi al suo interno senza lasciare alcuna traccia, facendo perdere mesi di tempo ai suoi familiari in inutili ricerche, riecheggiavano le storie sul bambino che parlava con gli animali e che anni prima era scomparso nella foresta e di cui non si erano trovate più le tracce o i miseri resti divorati dagli orsi, così com’era accaduto a quei pochi cacciatori che, noncuranti dei cartelli di divieto, si erano addentrati in quella fitta boscaglia.

Così nacque la leggenda del bambino del bosco.


umbyds@libero.it