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Umberto
Di Salvatore


LO GNOMO


Nelle primavere inoltrate, quando le stagioni si confondono e sembra di vivere una tranquilla serata di fine settembre, l’aria è pacata, sorniona e facilmente il sonno mi prende tra le sue braccia per trasportarmi lontano, mentre il dolce movimento della mia amaca sulla veranda mi coccola incessantemente.

Ecco, era una serata proprio così ed io, intento a gustare il dolce aroma del tabacco della mia pipa, sentivo l’ala leggera del sonno, che sfiorava il mio capo ogni qualvolta il movimento dell’amaca mi portava vicino alla ringhiera sulla mia destra.

Non so come avvenne, ma all’improvviso fui sbalzato fuori del mio nido e precipitai fragorosamente sull’aiuola sottostante.

Tutto indolenzito cercai di alzarmi, ma ogni mio più piccolo movimento mi produceva un forte dolore alla spina dorsale. Non riuscivo nemmeno ad urlare, anche se la cosa sarebbe stata del tutto inutile perché vivevo da solo in aperta campagna.

Chi mi aveva catapultato laggiù approfittando del mio stato di dormiveglia? Forse un ladro che non vedendo alcuna mia reazione aspettava dietro la ringhiera, pregando di non avermi ammazzato.

Non saprei dire quanto tempo trascorsi così, mi sembrò un’eternità, fino a quando sentii due dita che scorrendo lungo la mia schiena davano nuovamente vita alla mia vecchia dimora.

Restai quasi interdetto per la visione che ebbi nell’atto di voltarmi per ringraziare o aggredire quelle dite meravigliose. Di fronte a me c’era un ometto seduto che somigliava, straordinariamente, ad uno dei sette nani di cui non riesco a ricordare il nome. Mi fissò negli occhi ed io sentii quell’incessante fischio dentro la mia testa che mi fece svenire dal dolore.

Mi risvegliai in un giardino con fiori dalle mille tonalità di colore, alberi di frutta pieni dei loro saporiti prodotti ed un’immensa fontana d’acqua limpida. Sentii una voce che mi guidò fino ad una piccola casupola, dove non riuscii ad entrare.

Era la sua abitazione e mentre ero seduto sul prato del suo giardino, mi diede una fetta di dolce, raccontandomi che la sua ira era nata dal continuo disturbo che gli recavo ogni qualvolta mi sdraiavo sull’amaca, aprendo un passaggio tra due mondi così differenti. Mi scusai con lui, ma non sentiva alcuna ragione, era venuto per punirmi, ma il vedermi disteso ed immobile gli aveva procurato una gran pena che alla fine l’aveva convinto a farmi conoscere ciò che ogni giorno desideravo inconsciamente.

Stavo sognando od era realtà tutto quello che mi raccontava? Forse la mia immaginazione aveva superato tutti i confini ed io ero caduto oltre. Mi levò quei pensieri dalla mente con gentilezza, porgendomi una tazza di the appena colato. Era ben zuccherato ed aveva un sapore stupendo. Non notai il suo ghigno malefico, ma capii immediatamente che mi aveva drogato perché le immagini iniziarono a dissolversi e caddi a terra.

Ci volle del tempo perché uscissi da quella situazione, o per chiamarla come dicono i dottori "dal coma", ma alla fine riuscii a riprendermi. Mi aveva trovato il postino in mezzo all’aiuola ed avvisato sia l’ospedale sia la polizia.

Il sergente Qoody mi fece una sua personale ricostruzione di quanto era accaduto la notte in cui ero stato aggredito. Un ladro mi aveva colpito alle spalle mentre ero sdraiato sull’amaca e, vedendo lo stato in cui ero precipitato, era scappato sconvolto senza chiedere nessun tipo di aiuto per la paura. Solo una cosa il sergente non riusciva a capire. Perché avesse rubato solo l’amaca!


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