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Umberto
Di Salvatore


SIGARETTE


Mi ero seduto al computer, come tutte le sere, per finire il pezzo che il mattino dopo sarebbe apparso in prima pagina. A quei tempi lavoravo ancora per il New Daly, il maggior quotidiano di Cavittoly. Aveva una tiratura da far paura, non perché fosse il migliore, ma perché era l’unico. Comunque riuscivo a vivere bene e quel lavoro mi aveva permesso di liberarmi di quei rompicoglioni dei miei genitori bigotti che mi stressavano dall’età di un giorno. Ma questa è tutta un’altra storia che un giorno o l’altro deciderò di scrivere.

Avevo appena diciannove anni, ma il caporedattore del New old, come all’epoca lo chiamavamo, sicuro che io fossi un talento letterario, mi aveva convinto a firmare un contratto con loro affidandomi una colonna in prima pagina per tastare ogni giorno il polso della gente che abitava quel luogo ameno. Accettai più per scappare che per volontà di arricchire quei fogli bigotti che prendevano per il culo tutta una popolazione. Ho divagato, mi scuso. Ero intento a scrivere le mie solite boiate che facevano letteralmente sbrodolare quei giovanotti temprati dallo scorrere del tempo, quando accendendomi una sigaretta, notai che aveva un sapore strano, diverso dalle altre. Non ci feci subito caso, la posai e continuai a scrivere. Ricordo che era il resoconto di una manifestazione culturale che si era svolta il pomeriggio ed io cercai invano di rendere più elettrizzante l’atmosfera di quella festa che, partita in sordina, poco alla volta si era infiammata nello scandalo che mi accingevo a descrivere. Mi fermai ed aspirai profondamente la mia sigaretta, notando che al centro si era creato un piccolo foro, ma neanche allora feci caso a quella diversità che dopo mi sconvolse. Più proseguivo nella descrizione di quello spogliarello improvvisato e più mi accorgevo che mi stavo eccitando al solo ricordo. Controllai attentamente che quella che stavo fumando non fosse una canna, ma era solo una sigaretta dal sapore più aspro e con un buco al centro. Allora accadde ciò che tormentò per una settimana il nostro piccolo centro basso borghese ed in particolare tutti i fumatori. Tirando una profonda boccata mi accorsi che dal buco usciva lentamente una figura dai contorni lugubri ed accattivanti. Inorridito, la guardai e convinto che la troppa stanchezza, il sole e quello spettacolo inaspettato avevano contribuito a quella pseudo allucinazione, la spensi senza avere il coraggio di verificare se ciò che era accaduto fosse reale o meno e meccanicamente continuai a scrivere il mio pezzo che il caporedattore aspettava per mandarlo in stampa. Terminato quel lavoro con notevole difficoltà glielo consegnai, subendo la sua censura da tarato mentale a cui non facevo più caso. Tornai al mio computer per chiudere e registrare il file del pezzo. Mi accesi un’altra sigaretta ed anche quella mi sembrò amara e subito dopo mi accorsi che aveva un buco al centro.

Ero curioso, chi non lo sarebbe stato al mio posto e con il video che lasciava scorrere la mia data di nascita, mi gustai quell’aroma che lentamente mi trasportò lontano. Vidi quella strana visione prendere forma ed assecondandola la lasciai crescere fino a farle assumere la consistenza di un genio uscito dalla lampada, solo che al posto di chiedermi se avessi tre desideri da soddisfare, mi si cacciò in bocca con mio immenso stupore. La sigaretta era tornata normale e l’euforia che sentivo scorrere nelle mie vene, mandò in tilt il mio computer che si spense da solo. Era come aver scoperto una nuova strada che conduceva alla conoscenza di segreti della mia mente e di poteri che, fino al quel momento sopiti, si erano improvvisamente risvegliati creando nel mio io cosciente una naturale consapevolezza di ciò che avevo raggiunto.

Ero euforico e correndo dal caporedattore gli diedi un bacio sulla bocca. Scorrazzai per la città per ore, correndo come un forsennato con la mia vecchia Chevrolet, per poi fermarmi esausto all’unico bar che chiudeva alle sei di mattina. Lì conobbi un barista veramente in gamba che successivamente avrebbe fatto una brutta fine, ma anche questo fa parte di un’altra storia.

Ballai come un forsennato e non contento delle mie bravate, riuscii persino a scopare con due bionde mai incontrate prima. Mi sentivo un altro e non ero per nulla dispiaciuto, qualunque cosa fosse entrata nel mio corpo era favolosa e non vi avrei rinunciato per nessun motivo. Tornai a casa che erano le sette del mattino e mia madre, preoccupata per la sua mancata telefonata notturna al rientro dal lavoro, si beccò un solenne vaffanculo in risposta alle sue ansie. Felice presi sonno, anche se un attimo di angoscia mi assalì prima che Morfeo ebbe il sopravvento sulla mia naturale bestialità.

Il giorno dopo Cavittoly si ritrovò sconvolta da un’ondata di atti che avrebbero fatto inorridire qualunque assassino di New York. I coniugi Connors si erano uccisi a vicenda nel corso di una furiosa lite familiare, il bambino dei signori Mac Ully era morto a causa delle sevizie della madre che dopo averlo torturato con un filo di acciaio arroventato sul fornello della cucina, l’aveva appeso per i piedi ed innaffiato di acido muriatico. Il cane che viveva di fronte casa mia, era stato cucinato dai suoi padroni e servito ben caldo agli ospiti che lo avevano ben digerito, innaffiandolo con il cocktail preparato dalla signora Geoffrey con il sangue ricavato dal figlio che per sua sfortuna era tornato prima dalla scuola ed altre amenità del genere. La polizia di Cavittoly quel giorno dovette fare gli straordinari ed alle nove di sera, ora consueta del mio rapporto sull’attività cittadina, aveva contato almeno sedici cadaveri trucidati così barbaramente che neanche Lovrecaft avrebbe potuto fare di meglio.

Accesi una sigaretta e con la mente vuota, cercai di concentrarmi per guadagnarmi il pane quotidiano. Il mostro ritornò in tutto il suo splendore e come in trance portai il pezzo al caporedattore. Mi guardò inebetito ed io, cosciente di quello che stavo facendo, risi di quello sguardo. Presi la sua testa fra le mani e con un morso gli staccai un orecchio. Lui urlava, ma oltre a noi due non c’era nessuno in quella sala. Gustai il suo orrore per il mio atto inaspettato e con calma lo feci a pezzi con un coltellaccio che serviva ad aprire i rotoli di carta, cercando di liberarmi dei resti ben sminuzzati e calpestati, gettandoli nel water lì vicino. Poi con un idrante lavai tutto. Tornai al mio computer e finalmente realizzai l’orrore di cui ero stato vittima – carnefice. Non riuscivo a capire il mio gesto e nel panico che mi assalì, scrissi il resoconto di quella vicenda che tutt’oggi non ricordo.

Lessi successivamente che tutte le persone che avevano compiuto quei gesti fumavano e che, per scherzo, avevano provato quelle strane sigarette che da poco si trovavano in commercio. Avevo chiamato la polizia e li avevo informati di quella mia scoperta, tacendo, come potete ben capire, sull’omicidio che avevo appena commesso.

Era trascorsa ormai una settimana da quella serie impressionante di delitti e delle persone scomparse nessuno fece più parola. Tutto tornò improvvisamente alla normalità come se nulla fosse accaduto. Ho letto sul file del mio computer che i poliziotti chiamarono qualcuno. L’unico collegamento che oggi posso fare è che quella persona fece ritirare dal commercio quelle strane sigarette che, in quei due giorni, erano state vendute ai drugstore, mentre la polizia le ritirò ai cittadini che le avevano comprate con la giustificazione ufficiale che fossero altamente cancerogene.

Oggi so chi e era quell’individuo che aveva distribuito quelle sigarette, di cui non capirò mai l’effetto od il principio e che, in poco più di tre ore, fermò quel meccanismo infernale che aveva scatenato la pazzia negli abitanti di Cavittoly.

Ma anche questa, sul potere che aveva quell’uomo e su come comandasse la città, è tutta un’altra storia.


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