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Umberto
Di Salvatore


T. out L.


Sdraiato sul letto accanto alla mia donna, osservavo il suo bel corpo, dai piedi alle gambe e su verso il seno e la testa che mancava. La scia di sangue che partiva da quella grande pozza di sangue sul lenzuolo, continuava giù dal letto e proseguiva fuori della porta. Mi alzai e scoprii che le tracce sparivano sui gradini delle scale ed affacciatomi alla finestra, la vidi giù per strada che rideva. Mi precipitai per le scale e caddi come un idiota, battendo la testa contro la ringhiera di legno.

Stavo volando e mi rendevo conto che il mio corpo, aveva il completo controllo dello spazio che lo circondava e di quegli strani grattacieli trasparenti che mi si paravano davanti all’improvviso, mentre cercavo di raggiungere la porta per uscire. La vidi in lontananza e mi ci catapultai dentro. Ansimante mi levai il casco e vidi l’immagine riflessa nello specchio di mia moglie che dormiva.

Rimisi il casco e rientrai nel mio PC per rivedere quello che era accaduto. Non avevo mai desiderato la morte di mia moglie, l’amavo profondamente e capiva quella mia vita strampalata, collegato col cervello alla macchina che amavo. Non ne era gelosa ed a volte ci collegavamo insieme per viaggiare in quel mondo irreale. Mi ero intromesso in una rete protetta ed il sistema che ne consentiva l’accesso, mi aveva sparato fuori dal solito mondo virtuale, facendomi vivere una vera realtà. Mi avvicinai di nuovo, ma non c’era più nulla, solo un gran buio che mi fece addormentare.

Karen mi svegliò dicendo che mi aveva staccato e che era più comodo dormire sdraiato. Non replicai e mi coricai nel letto al suo fianco.

Il sole mi svegliò da quel torpore e l’odore del caffè mi fece alzare. Andai in bagno e poi in cucina e versandomi il caffè vidi quella donna mora che mi dava un bacio. Aveva una fede al dito e non le domandai cosa facesse nella mia cucina e che fine avesse fatto Karen. Forse ero ancora collegato a quel maledetto programma e stavo vivendo in una realtà verosimile, creata da una mente elettronica. Viveva dei miei ricordi e mi sparava in posti quotidiani. Chiusi gli occhi per cercare di concentrarmi ed uscire da quella trappola. La voce di Karen mi riportò alla realtà, ma non era lei, ma l’altra donna che mi sollecitava a prepararmi perché eravamo in ritardo.

Meccanicamente le obbedii e dopo circa mezz’ora eravamo in macchina. Le dissi che non avevo voglia di guidare e mi gustai lo spettacolo di quelle immagini proiettate nel futuro. Non osavo chiederle che anno fosse e con attenzione, cercai di scorgere i pannelli dove di solito lampeggiano tutte le informazioni di cui uno ha bisogno. Ne vidi uno in lontananza e con trepidazione aspettai che ci avvicinassimo. Erano le 08,37 del 02 dicembre 1996. Cazzo, era tutto identico tranne quel fantastico ologramma che non riconoscevo. Con curiosità scesi dalla macchina e dopo averle dato un bacio, entrai in quel palazzo che era la sede della società per cui lavoravo in qualità di programmatore e ricercatore di cd ROM e realtà virtuale. L’interno dell’androne ero identico e già consapevole della scoperta rividi i vecchi luoghi e gli amici del giorno precedente.

Mi collegai subito dopo al programma che avevo sviluppato e che era molto più potente di quello che avevo utilizzato la sera precedente. Volevo scoprire cosa fosse accaduto e se mi dovevo rassegnare a vivere la mia nuova vita, anche se non mi dispiaceva quel cambio di programma. Girai nel cyberspazio con un altro amore verso quei luoghi. Alcuni mi erano familiari mentre altri mi erano del tutto sconosciuti. Cercai invano di rintracciare la strana trasparenza in cui mi ero infiltrato, ma scorgendone una simile puntai diritto verso di lei e la perforai con facilità. I dati bionici di mille esperimenti confluirono nella mia rete ed inondarono tutte le parti del mio corpo virtuale, proiettandolo fuori a velocità inimmaginabile. Scorgevo a stento quella strada luminosa, ma la seguivo con movimenti repentini e fulminei come se sapessi dove mi stavo dirigendo ed il perché dovevo accedere a quella nuova fonte di sapere.

Il buio ebbe il sopravvento mentre udivo alcune voci accanto alle mie orecchie. Mi levai il casco e Jim mi chiese se stavo bene. Risposi di sì e vedendo la mia espressione mi disse che il mio monitor aveva cominciato a verificare una sequenza rapida di dati, che avevano provocato le mie urla di terrore, interrotte dal lancio del programma di ritorno ideato da Jim. Li feci sedere, in tutto eravamo otto persone, e raccontai loro la strana vicenda che mi era capitata. I particolari che a me sembravano strani per loro erano normali ed anche mia moglie corrispondeva alla loro descrizione. Mi collegai al mio computer e feci veder loro la registrazione del viaggio che aveva modificato alcuni aspetti della mia realtà. Tra l’enormità di dati che avevano riempito l’unità centrale cui ero collegato, rintracciai alcune visioni del mio mondo che li lasciarono perplessi. Erano d’accordo con me che era molto simile alla nostra realtà quotidiana, ma nessuno di noi riusciva a comprendere, come quei dati fossero memorizzati nel mio cervello e chi fosse l’ideatore di quel software che riusciva a modificare i ricordi degli uomini.

Le possibilità d’utilizzo erano infinite, si poteva cambiare il corso della storia ed ottenere il potere nel breve volgere di un giorno, bastava collegare quello strumento ai segnali televisivi per compromettere l’equilibrio mondiale.

Quelle deduzioni ci zittirono, eravamo di fronte all’arma assoluta, chiunque fosse l’ideatore di quel programma poteva mettere il mondo ai suoi piedi, ricoprire chissà quali cariche e controllare tutti i potenti che desiderava. Una scarica al direttore centrale della Banca Nazionale e sul suo conto personale sarebbero confluiti miliardi di dollari, come se ci fossero sempre stati. Poteva essere chiunque e solo la speranza che non fosse ancora riuscito a connettersi con i segnali usati fuori dal cyberspazio ci consolò. Forse mi ero involontariamente addentrato nel suo mondo ed aveva cancellato una parte della mia memoria sostituendola con un’invenzione cibernetica, per verificare il potere del suo software di riprogrammazione e dopo aver verificato i risultati, alla successiva intrusione aveva cercato di eliminarmi. Se fossi stato collegato da casa, sicuramente il mio cervello sarebbe andato in fumo e solo l’aiuto di un esperto come Jim mi aveva riportato alla realtà.

Ci concentrammo sul da farsi ed ognuno di noi si isolò per cercare una soluzione al nuovo rompicapo che avevamo scoperto. L’emozione che provavamo in quei momenti era sublime, isolati nel nostro mondo ad ideare una soluzione.

Dopo circa due ore decidemmo di effettuare una pausa per confrontare le varie ipotesi su come fermare lo "Svuota-menti" e di come impossessarci del suo programma. Quella seconda prerogativa non era subordinata alla realizzazione della prima, copiare il suo programma e lanciarglielo contro era l’idea più sicura per ottenere il massimo risultato. Sapevamo che quell’invenzione sarebbe stata la più grande scoperta scientifica occulta del millennio e per nessuna ragione al mondo avremmo rinunciato ad essere i proprietari della società per cui lavoravamo e permetterci quei lussi che oggi vivevamo solo nel cyberspazio. Avevamo un vantaggio, conoscevamo l’ultima ubicazione del suo nascondiglio ed io in quelle due ore avevo scoperto dove si era rintanato per riposarsi e studiare la prossima mossa. Jim aveva scoperto che non poteva connettersi al di fuori del mondo virtuale. Occorreva che lo "Svuota-menti" avesse a disposizione un connettore semiorganico. Ne esisteva solo uno al mondo ed era di proprietà della Marina militare statunitense. Chave ci informò delle potenzialità che un simile connettore poteva avere. Lui aveva lavorato al progetto di realizzazione fino a due anni prima, per poi tornare ad essere un civile. Non ci aveva mai parlato di quel programma coperto dal segreto militare, ma ormai non aveva più nulla da perdere, bastava cancellare dalla memoria centrale dei servizi il suo operato e se ci fossimo impadronito dello "Svuota-menti" sarebbe stato un gioco da ragazzi. Il progetto "brain chip" aveva consentito di ridurre notevolmente gli errori causati dall’ultima generazione di computer, sostituendo la logica matematica alle possibilità di una mente creativa, che poteva scegliere tra le opportune impostazioni prima di procedere. Non differiva molto da loro, ma quelle peculiarità lo proiettavano verso i nuovi sviluppi della biocibernetica e dei futuri biodroni. Un elaboratore del genere poteva connettersi con tutti i segnali esistenti sul pianeta scartando con assoluta precisione tutti gli inutili tentativi che una macchina avrebbe dovuto attraversare per ottenere il risultato chiesto. Il nostro uomo era sicuramente a conoscenza di quel prototipo, ma doveva infiltrarsi nella rete per riuscire a connettersi con almeno uno dei ricercatori che lavoravano al progetto. Chave proseguì, elencando i singoli parametri che univano il nostro ultimo progetto al brain chip e forse proprio queste uguaglianze, avevano scatenato il suo programma. Sia Walter sia Bud affermarono di essere arrivati a simili conclusioni, ma entrambi asserirono che il tempo a nostra disposizione era limitato, in quanto lo "Svuota-menti" avrebbe colpito tra meno di due ore, tempo calcolato sulla periodicità di ricarica e dei tentativi d’intrusione già attuati che avevano lasciato tracce indelebili nella zona del cyberspazio in cui confluivano i dati organici. Guy ci disse che, dai risultati dei suoi calcoli, potevamo pizzicarlo con buone probabilità nel periodo che intercorreva tra la connessione al cyberspazio e la navigazione vera e propria. Si trattava più o meno di circa tre secondi, ma con il programma di Jim lo si poteva bloccare in una spirale di dati che lo avrebbe intrappolato il tempo necessario a copiare il software e spararglielo contro. John aveva calcolato con precisione quei tempi ed aveva effettuato una prova virtuale dell’evento. Lo scarto a nostra disposizione era piccolo, ma ci poteva bastare. Ci dimostrò la sua teoria ed illustrò le varie fasi create al computer, ma il margine tra la macchina e noi sarebbe stato di soli trenta secondi. Solo Martin era rimasto assorto dai nostri discorsi e dopo la dimostrazione di John disse che aveva ampliato quel margine di tempo di circa tre minuti, che sarebbero bastati ad attuare il nostro lavoro. Anche lui ci illustrò la fase che tutti avevamo ben chiara in mente, ma il fatto che uno di noi dovesse entrare nel cyberspazio per realizzare quella parte del piano così delicata, ci turbò.

Sapevamo che il più piccolo errore avrebbe fuso il nostro cervello, ma ormai dovevamo prendere una decisione ed uno di noi doveva collegarsi alla rete, supportato dall’esterno dagli altri che lo avrebbero indirizzato verso il suo scopo curando una parte specifica del piano. La scelta fu semplice, solo io mi ero già addentrato in quel programma ed i pochi secondi che sarebbero occorsi al software per riconoscermi avrebbero consentito ai miei amici di sparare fuori l’inventore dello "Svuota-menti", senza considerare che il flusso a cui mi dovevo sottoporre avrebbe ripristinato la mia memoria, mentre tutti gli altri sarebbero stati immediatamente riconosciuti dal programma.

Tutto era pronto ed ognuno di noi attendeva che l’orologio digitale appeso al muro indicasse le 11,53. Da quel momento ogni istante poteva essere quello buono ed occorreva mantenere i nervi saldi per non sbagliare il collegamento.

Alle 12,03 il nostro uomo partì e noi entrammo in azione. Subito dopo mi ritrovai nel mio ambiente preferito e con estrema precisione penetrai nel sistema, mentre il mio avversario era sparato dentro quel cono immaginario che ruotava a non meno di un chilometro davanti ai miei occhi. Ebbi subito a disposizione il controllo dello "Svuota-menti" e senza esitare lo intrappolai dentro il cono, ma qualcosa andò storto perché ripiombai nel buio.

Al mio risveglio una fioca luce illuminava la stanza in cui mi trovavo. Non riuscii subito a capire dove mi trovassi, ma mi bastò alzarmi per scoprire che quella stanza in realtà era una cella. Tastai il mio corpo per capire se quella che vivevo fosse una realtà virtuale o la mia realtà e con rammarico scoprii che era tutto vero. La stanza non aveva finestre ed era insonorizzata. Il cibo che consumai nei giorni seguenti mi era consegnato attraverso una piccola fessura su quella che doveva essere la porta della mia cella.

Solo dopo circa dieci giorni ebbi il primo contatto umano, non che la solitudine mi dispiacesse, ma essere costretto a restare in quella cella mi aveva logorato o nervi ed accolsi quegli uomini con un sentimento di gioia. Mi spiegarono che ero in stato d’arresto per violazione di segreto militare e per attentato alla sicurezza nazionale. Fui inoltre informato che eravamo stati condannati all’ergastolo e che solo la firma di un contratto in esclusiva con il Dipartimento della Difesa, mi avrebbe fatto guadagnare un minimo di libertà. Capii che avevano atteso tutto quel tempo per costringermi a firmare e con curiosità chiesi che fine avessero fatto tutti gli altri. Mi fu risposto che nello stesso momento gli altri miei colleghi e l’ideatore del software stavano ricevendo la stessa proposta e mi lasciarono un giorno per decidere.

Insieme viviamo isolati dal mondo a cui in nessun modo possiamo collegarci, passeggiando nei momenti di libertà nel parco di quell’immenso complesso di ricerche spaziali e biogenetiche in cui lavoriamo. Solo Chave non ha accettato la loro proposta. Non l’ho più visto da quel fatidico giorno ed ancora oggi mi domando se non abbia fatto la scelta migliore.


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