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Umberto
Di Salvatore


tratto da CAVITTOLY


… Karen mi svegliò molto presto quella mattina. Non che io fossi una persona che riesca a coordinare bene i movimenti ed i pensieri a quell'ora, di solito mi svegliavo con molta difficoltà in occasioni del genere, ma i suoi baci mi fecero capire che la giornata sarebbe cominciata bene.

Era meraviglioso ritrovarsi lì, fare l'amore, sentire il calore del suo corpo che riscaldava il mio abbracciandolo. Ero felice, sì erano attimi, sensazioni che, desiderate per tanto tempo, ora erano mie. La giornata era radiosa e la luce penetrava violentemente dalle finestre della casa, illuminando intensamente alcuni oggetti. Karen mi disse che avremmo trascorso insieme la giornata girovagando nei dintorni di Cavittoly, pranzando sull'erba, giocando come bambini. Sarebbe venuta anche Betty con noi, sempre se io non preferissi la sua assenza. Non mi dispiaceva l'idea di passare la giornata con loro, tanto era la festa della città e tutti i locali rimanevano chiusi.

Mi alzai per fare una doccia, volevamo uscire prima che tutti, ormai svegli, si riversassero per le strade animandole della confusione che entrambi odiavamo. Karen andò in cucina per preparare dei panini aiutata da Betty che era già arrivata.

Sentire le loro voci e la felicità che spontanea si manifestava nella loro discussione, mi incuriosì e sbirciando dalla porta del bagno, nudo con una tovaglia di traverso, le spiai per conoscere i loro segreti. Karen le stava raccontando la nostra nottata e le sue parole, cariche di passione e di felicità, mi resero ancora più contento. Continuarono la loro discussione saltando da un argomento all'altro, discutendo vivacemente di quello che avevamo fumato la sera precedente o con passione del nostro incontro al ristorante oppure misteriosamente, balbettando quasi alcune frasi che a stento riuscii a sentire. A quel punto Betty, quasi interrogandola disse: "Non ti ha accennato niente?" Karen scosse la testa rispondendo di no alla domanda.

Cosa le avrei dovuto dire di così importante? Cosa sapeva sul mio conto perché attendesse che io glielo accennassi per poterne discutere? Era realmente a conoscenza dei segreti della mia non-vita e chi glieli aveva riferiti?

Fui costretto a rientrare nel bagno dato che, ormai spazientite per il troppo tempo che avevo trascorso lì dentro, si avvicinarono alla porta per sollecitarmi ad uscire. Karen bussò alla porta domandandomi se stavo bene e se avevo bisogno di qualcosa. Le dissi che stavo vestendomi ma lei entrò, richiuse la porta a chiave e cominciò a spogliarsi lentamente di fronte a me, che ancora avvolto dall'asciugamano ero assalito da mille dubbi che non diminuirono la mia passione, anzi la eccitarono di più.

Fare l'amore in stanze differenti di una casa che non conosco bene mi ha sempre provocato una sensazione piacevole, quasi ricercata. Quello che avevo sentito era già cancellato, contava solo il fatto che la stavo possedendo e nient'altro mi interessava, se non il partecipare attivamente a quel gioco, con la profonda convinzione che avrei affrontato i rischi che mi si sarebbero presentati. Betty di là attendeva pazientemente, senza sollecitare il nostro gioco d'amore, che ormai concluso, si era trasformato in quello di due bimbi che sotto la doccia si divertono a schizzarsi con l'acqua. La nostra allegria era sincera ed anche se non si addiceva a quello che avevo udito, non riuscivo a trattenere il mio stato d'animo gioioso.

Asciugandoci a vicenda per poi vestirci, mi venne in mente il mio amore, che anche se fisicamente differente aveva in comune con lei la passione ed il rischio, sentimenti così concatenati l'uno all'altro da trasformare in modo unico il loro rapporto con un uomo. Questo mi aveva attirato violentemente verso di lei, gettandomi tra le sue braccia perverse e materne, godendo delle sensazioni nettamente contrastanti che mi porgeva insieme al suo amore. Dovevo essere arrabbiato con quella donna che non meritava la mia fiducia e la cosa giusta che avrei dovuto fare era quella di scappare il più lontano possibile. Ma era troppo bello stare insieme a lei e non vi avrei rinunciato.

Finalmente riuscimmo a caricare la macchina di Karen e partire, con la musica ad alto volume che faceva voltare per strada, i primi abitanti mattutini alla ricerca di un punto di ritrovo per dar inizio alla festa

Era una splendida giornata senza nessuna nube in cielo, ancora un po’ fredda, ma per poco, perché quando il sole sarebbe stato alto nel cielo, riscaldando l'aria, avremmo potuto fare a meno dei nostri giubbotti. La sua macchina le si addiceva alla perfezione; era una decappottabile e lei ci aveva convinto ad abbassare la capote così che il vento sbattesse contro i nostri volti svegliandoci. Il vento mi faceva perdere il respiro, congelandomi e modellando, a secondo delle raffiche, le mie guance. Lei con i capelli sciolti e strapazzati correva felice, persa nella musica che si propagava intorno a noi, cantando allegramente a squarciagola insieme a Betty. Io, seduto dietro, mi gustavo la scena. Due amiche tanto affiatate si incontrano raramente. Mi ero seduto lì volutamente, per osservarle fin nei più piccoli particolari, per captare qualche nuovo segnale che mi avrebbe potuto illuminare, per riuscire a capire cosa stesse accadendo.

Cercai di non dare peso alle paranoie che stavano per insozzare quella giornata. Non volevo rompere quel sogno di cristallo con la mia indelicatezza, con il mio comportamento goffo e spaurito.

La radura in cui ci fermammo mi ricordò quella posta più in alto dove avevo visto per l'ultima volta mia moglie. La natura, il cui fascino mi aveva sempre colpito lasciandomi estasiato e senza parole, quella mattina mi sembrava ancora più bella, come una perfetta cornice alle due donne dal corpo perfetto. Le aiutai a scaricare la macchina, cercando di mettere in ordine i pacchi che si erano portate dietro.

Chino nel bagagliaio cercavo disperatamente di tirar fuori quel maledetto scatolone pesante, sbuffando nel posarlo sul prato per la fatica costatami. Mi voltai e scrutando tutt'intorno vidi che erano scomparse.

Mi domandai se la mia stupidità avesse colpito un'ennesima volta il mio cervello, rendendolo ignaro e privo di difesa nel cadere in quella trappola pericolosa. Tutto questo era già stato stabilito dalle due care amiche, dalla scelta del posto, ben conosciuto e dove qualche altro povero idiota era già stato portato. All'aria fresca ed al vento che le aveva elettrizzate in macchina. Cercai di ragionare per capire quello che era accaduto. L'unica cosa sicura era che quel piano fosse stato accuratamente preparato, dal luogo ai sacco a pelo che indicavano il loro desiderio di trascorrere lì la notte, anche se non c'era una tenda. O erano totalmente pazze o conoscevano un riparo notturno. Mi tranquillizzai solo alla vista del sacco a pelo matrimoniale. Non volevano uccidermi, ma che nesso c'era tra questa giornata e gli ultimi avvenimenti e qual'era la cosa che avrei dovuto dire a Karen e che rendeva curiosa Betty?

Avrei dovuto cominciare a cercarle, ma non avevo voglia di perdermi senza fissare un punto di riferimento, perciò iniziai a camminare descrivendo dei cerchi sempre più larghi. Non avevo idea di quale direzione avessero preso, fino a quando notai il foulard di Karen a terra disposto a forma di freccia, che indicava l'inizio di un sentiero tra gli alberi. Lo raccolsi e seguendo quella pista continuai a raccogliere gli indumenti che le due amiche avevano lasciato per farsi seguire. Sapevo che Karen non indossava niente sotto i vestiti, diceva che le procuravano un fastidioso prurito, quindi alla vista di uno slip color porpora capii che la meta era vicina.

Di fronte a me c'era una foschia che nascondeva una parte del bosco e procedendo verso di essa cominciai a distinguere le loro grida divertite ed il rumore dell'acqua. Sul ciglio di una piccola discesa, che terminava in una grande pozza di acqua calda, le vidi. Stavano giocando spensierate come due bambine dentro l'acqua, schizzandosi l'un l'altra.

Nascosto ai loro occhi, osservai per qualche minuto i due bei corpi nudi che manifestavano in ogni loro movimento una gran voglia di vivere e la spensieratezza di quella giornata da trascorrere allegramente. Scesi fino al bordo della pozza senza farmi scorgere. Posai i loro vestiti ed i miei su un piccolo arbusto, per evitare di bagnarli, poco lontano dai tre asciugamani che avevano portato e mi immersi nell'acqua rigenerante, in un punto coperto dalla vegetazione. Non volevo che mi vedessero e le sentivo discutere, di tanto in tanto, del mio ritardo, preoccupandosi di non aver lasciato buone indicazioni o che il gioco non mi interessasse. Ma subito dopo riprendevano il loro divertimento, tralasciando i pensieri su di me.

L'acqua calda, piena di bollicine, rendeva il basso fondale invisibile che mi suggerì un'idea. Presi un piccolo ramoscello ed immergendomi senza provocare il più piccolo rumore arrivai, nuotando sott'acqua, accanto alle loro gambe, sfiorandole con il ramoscello. Riemersi nello stesso punto di partenza, il quale mi assicurava un ottimo nascondiglio. Non ridevano più e chiedendosi cosa le avesse sfiorate, fissavano la superficie dell'acqua che non rivelava i segreti che nascondeva tra le rocce del fondale.

Karen disse che era preoccupata del mio ritardo, avrei dovuto essere lì ormai; sperava che non mi fossi perso tra gli alberi del bosco. Uno schizzo d'acqua in faccia la riportò al suo gioco ed io mi immersi nuovamente, ripetendo l'operazione che aveva provocato poco prima la loro paura.

Questa volta erano più preoccupate, Betty disse che doveva essere un pesce che si era abituato a quella temperatura, ma Karen non poteva credere a quella storia: "i pesci lesserebbero a questa temperatura!" Erano agitate ed impaurite. Mi immersi di nuovo.

Karen voleva uscire dall'acqua e Betty cominciò a spingerla sotto l'acqua ripetutamente, facendole riprendere fiato quando risaliva. Mi immersi poco prima che lei riaffiorasse così che mi trovai accanto a lei quando Betty la respinse giù. Le misi una mano sulla bocca e con le braccia l'afferrai, trascinandola verso il mio nascondiglio. Senza far rumore riprendemmo fiato ed io, levandole la mano dalla bocca, le feci segno di star zitta. Aveva capito cosa avevo in mente ed armato del mio ramoscello mi immersi.

Al mio riemergere Betty era terrorizzata; si agitava convulsamente immergendosi e riemergendo in continuazione.

Gli occhi di Karen erano favolosi ed il suo sguardo perso in quella scena mi eccitava. Sicuramente non era giusto ciò che stavamo facendo a Betty che continuava nella sua folle ricerca. Eccitati allo spasimo io e Karen facemmo l'amore in silenzio, raggiungendo in brevissimo tempo un orgasmo intenso. Mentre le stavo baciando il collo mi accorsi che Betty, ormai esausta, stava piangendo nell'acqua.

Mi foderai meglio che potevo le mani di foglie e mi immersi. Dopo averle afferrato le caviglie la trascinai sott'acqua, per poi lasciarla andare e tornare da Karen. Risalì urlando di terrore e piangendo nuotò forsennatamente verso la riva continuando il suo grido di terrore. Prese istericamente un asciugamano ed improvvisamente si calmò.

Karen mi guardò interrogandomi sul perché lei avesse smesso di gridare. Le dissi che lì dietro avevo posato i nostri vestiti e lei nel vederli aveva capito tutto.

Il gioco era finito e Betty, imprecando nei miei confronti scagliava pietre nell'acqua e lungo i bordi della pozza per scoprire il mio nascondiglio. Un grosso sasso passò a pochi centimetri dalla mia testa ed io feci finta di gridare dal dolore, immergendomi risalii lentamente, assumendo una posizione galleggiante con il volto dentro l'acqua.

Al mio emergere Betty gettò un urlo e tuffandosi nuotò verso di me, immobile al centro della pozza. Nuotando la sentivo maledirmi, chiedendomi cosa avessi fatto a Karen.

Mi raggiunse e mentre girava il mio corpo io la spinsi giù, verso il fondo. Quando risalì Karen mi aveva raggiunto e lei quasi senza prender fiato disse una serie infinita di parolacce ed imprecazioni, maledicendoci per lo spavento provocatole.

Io e Karen ridevamo come matti e lei, dopo essersi sfogata, ci seguì in quelle folli risa. Cominciammo a schizzarci ed a spingerci sott'acqua.

Alla fine uscimmo dalla pozza meravigliosa, esausti e felici e dopo esserci asciugati e vestiti ritornammo allegramente verso la radura, spinti da un'immensa fame.

Mangiammo a sazietà quasi tutto il cibo che le due donne avevano portato, parlando serenamente di quello che era successo durante la mattinata e di tutto ciò che ci passava per la testa. Mi fecero scoprire i mille segreti di quel posto, così caro a loro due, che per la prima volta facevano conoscere a qualcun altro. Mi sentivo onorato di quel privilegio e dell'amore che provavano per me. Mi fecero vedere una piccola sorgente di acqua calda che serviva sia a lavarsi che a dissetarsi, una caverna ben pulita, dove avremmo trascorso la notte al riparo ed al caldo, anche se occorreva verificare che non ci fossero animali dentro ed accendere un fuoco all'interno del cerchio di pietre disposto davanti all'ingresso.

La gioia brillava nei loro occhi mentre mi mostravano ogni particolare ed anche i miei dovevano corrispondere quel sentimento. Betty, approfittando dell'assenza momentanea di Karen, mi guardò dritto negli occhi e mi disse: "Lei ti ama. Se tu la ami perché non glielo dici?" Non riuscii a risponderle.

Karen stava tornando e Betty sussurrando mi disse di scusarla, non erano affari suoi. Guardai Karen negli occhi e le dissi: "Betty è preoccupata per noi, anzi per te. Mi ha anche detto di scusarla perché non sono affari che la riguardano, ma questo non è vero. Ti ama ed è giusto che si preoccupi per te." Le due donne mi guardavano un po’ perplesse, stavo mettendo a nudo i nostri sentimenti e l'occhiata che Karen diresse verso Betty, manifestava la sua contrarietà per l'avermi spinto a fare quel discorso. Mi rispose che non c'era bisogno di discuterne con fretta, proprio in quel momento.

La interruppi aggiungendo: "No, nessuno mi sta spingendo a manifestare i miei sentimenti, pensavo che fossero chiari, ma il mio carattere molte volte non fa trasparire ciò che provo. Anch'io ti amo, sarà strano tutto questo ma è la verità." Le diedi un bacio leggero sulle labbra e la abbracciai forte, coinvolgendo anche Betty, dicendole che stavo cominciando a volere bene anche a lei.

Ritornammo alla radura, stanchi, con il peso di una giornata vissuta intensamente. La cena si limitò a dei biscotti ed a un the preparato con l'acqua calda della fonte ed acceso il fuoco davanti la caverna, preparammo i nostri sacchi per riposare. Tutti e tre avevamo bisogno di una lunga dormita e stretto a Karen augurai ad entrambe la buonanotte.

Un ultimo pensiero attraversò la mia mente. Tanto per cambiare non avevo capito niente di quello che mi circondava e se volevo che tutto questo avesse un seguito, avrei dovuto tener lontano le due donne dalla mia non-vita.

L'alba, con i suoi colori proiettati sulle pareti della caverna, mi svegliò. Contrariamente a quanto avveniva ogni mattina, mi sentivo bene e pronto ad iniziare una nuova giornata. Karen e Betty erano già sveglie e stavano preparando del caffè sul fuoco, che durante la notte non si era spento. Avevo percepito nel sonno la presenza di una delle due che, con attenzione, alimentava il nostro guardiano.

Le guardai mentre cercavano di riscaldarsi, sfregandosi le mani in quella fredda aurora. Io nel sacco a pelo stavo al caldo e non avevo alcuna voglia di uscire, ma Karen, accortasi che mi ero svegliato, si avvicinò porgendomi un bacio ed una tazza di caffè fumante. Sapevo che dovevo alzarmi, nessuno di noi tre poteva far tardi al lavoro, ma restare in quella posizione ancora un paio di minuti mi aiutò a fissare bene nella mente quel momento che mostrava l’aspetto naturale della nostra insolita amicizia. Andare via da lì sarebbe stato penoso, ritornare a Cavittoly mi appariva squallido. Il lavoro, i clienti, il bar, erano cose che non mi interessavano, avrei voluto prolungare all'infinito quella meravigliosa sensazione.

Dopo aver spento il fuoco e raccolto qualsiasi cosa che potesse disturbare la radura, partimmo da quel luogo con il tetto alzato della macchina, ascoltando una sonata per violino di Bach. I nostri pensieri un po’ tristi ed intontiti non erano espressi con parole, forse inutili, ma con leggeri sguardi e cenni. Il viaggio trascorse tranquillo o almeno così mi sembrò, poiché addormentatomi, mi risvegliai vicino al bar.

Scesi dalla macchina salutandole con un bacio, decidendo che ci saremmo sentiti in serata. Di fronte al bar, solo dopo quasi due giorni di felice compagnia, mi sentii ancora più triste. Non avevo alcuna voglia di entrare, accendere le luci ed iniziare a preparare qualcosa in attesa dei primi clienti. Pensai che non avevo compilato il registro il giorno prima, anzi, che non l'avevo nemmeno comprato. Quasi costretto da una parte di me stesso che conosceva bene la realtà dei fatti che mi avevano condotto a gestire il bar, aprii il locale e cominciai a fare i conti del giorno precedente, annotando tutto su un tovagliolino di carta.

Entrarono i primi clienti e subito dopo arrivarono Jack e Ted. Quella scena mi faceva ridere, ero un burattino in una commedia scritta da uno qualunque, anzi, dal burattinaio. Cercai di non pensarci, dovevo fare in modo che quegli orrendi pensieri scivolassero sul mio corpo, senza lasciarmi coinvolgere, sennò quel poco che era rimasto e che grazie a Karen stava risalendo, sarebbe morto definitivamente.

Pensai alla sera in cui avevo trovato la forza di uscire dalla farsa quotidiana di quel posto ed all'incontro con Karen, che aveva saputo risvegliare i miei istinti ormai addormentati. Sapevo cosa dovevo fare per non ricadere nell'apatia della non-vita o, almeno, avevo chiaro il punto di partenza.

Jack mi riportò alla triste realtà, dicendomi che il proprietario mi attendeva al tavolo.

Mi chiese il registro ed io, in risposta, gli diedi il tovagliolino su cui avevo riportato i conti. Ridendo mi disse che da uno come me si aspettava un nulla di fatto, sapeva che avevo aperto presto il locale e che mi ero preoccupato di buttar giù i conteggi su un pezzo di carta, non avendo potuto comprare un registro a causa della festa.

Non riuscivo a capire quanto quell'uomo sapesse di me, se la bella giornata trascorsa sulle montagne avesse avuto un attento osservatore che, ben nascosto, aveva spiato ogni nostro movimento. Andò via dicendo che non ci saremmo rivisti per parecchie settimane. Lo spero con tutto il cuore, pensai salutandolo.

La giornata trascorse così piatta che il pensiero del suicidio sembrava al confronto un argomento allegro. Nemmeno il pensare a Karen riuscì a tirarmi su il morale. Troppa gioia mi fa star male per troppo tempo dopo; invece di aiutarmi nei momenti tristi mi uccide senza lasciare alcuna traccia del suo passaggio. Avevo reazioni contrastanti quando ero felice. La mia vigliaccheria mi faceva dubitare che i sentimenti che provavo potessero durare a lungo.

La sera non andai da Karen, avevo bisogno di stare solo, anzi in compagnia di una cara e vecchia bottiglia di whisky comprata insieme al registro. Non volevo che il nostro rapporto diventasse scontato, forse mi preoccupavo troppo, ma la mia non-vita ed il fatto che ero ancora sposato limitavano i miei movimenti. Andare da lei quella sera mi sembrava squallido. Passare insieme la serata, magari facendo l'amore e parlando di ogni cosa per ricreare quell'atmosfera, mi avrebbe annientato. No, non ero dell'umore adatto per stare in sua compagnia.

Entrai in casa e mi diressi, dopo una abbondante sorsata dalla bottiglia appena aperta, verso il bagno. Avevo bisogno di una doccia calda che lavasse via i miei pensieri angosciosi.

Steso sul divano continuai a bere riempiendo il registro delle cifre che avevo accuratamente segnato sui tovaglioli di carta.

Un raccoglitore di fazzoletti sarebbe stato più indicato a meno noioso da compilare dando un bel da fare al burattinaio per verificare so lo stavo imbrogliando. Scrivere sul registro aveva peggiorato il mio umore, perciò decisi di scaricarmi nel modo più congeniale: continuando a scrivere. Trovai dei fogli bianchi e dando fondo a quel poco che era rimasto nella bottiglia, lasciai che la fantasia avesse il sopravvento e rendendola padrona del mio essere ormai schiavo, cominciai un racconto:

"Era un bel mattino di sole nel paese di Needentown e sembrava un invito, a cui non si poteva rifiutare, per trascorrere un pomeriggio al mare. Chi mai può pensare al sole come qualcosa di malvagio o di cattivo in una giornata come questa?

Ma per chi ama la pioggia o il freddo, questo potrebbe portare un accavallarsi di eventi o desideri o pensieri che non hanno niente a che fare con un rilassante ed assolato pomeriggio in riva al mare.

Alzarsi sperando di non essersi coricati per godere della fresca notte nuovamente. È terribile sopportare il caldo opprimente che non ti lascia un attimo di tregua o di rilassamento; avresti voglia di spegnerlo quel maledetto astro lassù o spegnere quelli che godono con lui. Come chi gode con lui?

Forse è la signora della casa di fronte stesa sul lettino vicino al bordo della sua piscina, intenta a fare un bagno di sole, con quella bellissima carnagione che fa voltare le persone. Ma forse non è il colore della sua pelle a far accorrere le persone, forse è il fatto che sta bruciando insieme al suo lettino. Come? Sta bruciando e morendo? Ma non era lei a cui piaceva il caldo? E qualche grado in più cosa potrà mai farle, come alla nonna, la cara nonna dei vicini che in queste giornate di sole esce sulla veranda con la sedia, per godere anche lei alla sua veneranda età. Ma non è più tempo di godere ma solo di morire, perché alla sua età bisogna bere e restare seduti, o meglio, legati per ore sotto il sole cocente può provocare un infarto. Oh, povera vecchina che nessuno sente perché i nipoti sono al mare.

E il signor Goldmar, abituato com'è a far prendere il sole anche al suo cane, perché non lo fa giocare oggi, quel maledetto cane che abbaia e salta sempre. Ma oggi fa troppo caldo per poter giocare, gli provoca troppa sete e la lingua gli penzolerebbe dalla bocca se non ci fosse, per sua fortuna, quella grande pozza di sangue in cui dissetarsi. Certo sarebbe più buona l'acqua, ma lui non riesce a capire perché il suo padrone stia sdraiato a fargli bere dalla sua bocca quel liquido rossastro anziché alzarsi ed aprirgli il rubinetto.

Stupidi animali i cani, sempre pronti a servirti ma mai pronti a capire.

Il mio gatto mi guarda con quel suo occhio verde che non sta mai fermo e mi fissa con quello azzurro. Lui è contento del polmone che gli ho portato, anche se non è molto fresco. Lo addenta con gusto, sicuro che in un'altra giornata di sole potrà di nuovo avere qualche leccornia in più."

Non era male pensai rileggendolo un'altra volta. Avevo aperto un'altra bottiglia che tenendomi compagnia aveva riscaldato il mio corpo e reso un po’ felice la mia anima. Stare troppo a contatto con la gente mi demoralizzava, riempiendo di tristezza il mio animo. Mi domandavo se sarei diventato come il mio ex-capo, cinico nei confronti di chi mi lavorava accanto e soprattutto se sarei diventato un piccolo essere meschino.

All'improvviso sentii un forte dolore alla testa ed una risata risuonò nelle mie orecchie mentre sprofondavo nel buio.

Un getto d'acqua fredda colpì in pieno il mio volto causando il mio risveglio, ben legato per mani e piedi al letto. Chi mi aveva colpito si trovava in piedi di fronte al letto con un secchio in mano, completamente vestito di nero dal cappuccio ai guanti che ne foderavano le mani.

Il terrore bloccava la mia bocca e la mia gola. Non riuscivo a capire chi fosse né tantomeno a distinguerne il sesso, ben mascherato e protetto dalla semioscurità. Sapevo che urlare sarebbe servito a ben poco, nessuno mi avrebbe udito dalle case troppo lontane dalla mia camera da letto.

Domandai chi fosse, cosa volesse da me, quale motivo l'aveva spinto a colpirmi e conciarmi in quel modo, se fosse una donna od un uomo. Restava lì a guardarmi senza rispondere alle mie domande, godendo del mio terrore. La sua posizione riportò a galla la paura che credevo sepolta ed i ricordi creduti lontani, presero forma scatenando la sequenza di immagini che mi riportò a quei giorni di terrore.

Mi infilò un calzino in bocca prevedendo le mie inutili urla. I suoi movimenti non tradivano il suo sesso ben nascosto dagli indumenti. Cosa voleva da me?

Guardava il mio corpo spostando la testa lentamente e cercai inutilmente di scorgere i suoi occhi ben nascosti nella fessura del passamontagna. Notai che qualcosa luccicava tra le sue mani ed accortosi della mia scoperta, mi mostrò un bisturi che roteando davanti ai miei occhi, aumentò il mio terrore. Avvicinò la lama al mio torace aprendo un piccolo squarcio nella mia camicia. Si fermò subito dopo e cominciò ad osservare il mio corpo, spostando la sua attenzione verso il basso. Tagliò i miei pantaloni e mise a nudo le mie gambe. Sembrava che volesse solo farmi sprofondare nel terrore più assoluto per godere delle mie sensazioni, senza farmi alcun male.

Continuava a guardare le espressioni che mostravano i miei vari stadi di paura, ogni qualvolta affondava il bisturi per lacerare i miei vestiti. Non aveva emesso alcun suono fino a quel momento ed io, approfittando degli attimi in cui provvedeva ai vari tagli, cercai più volte di sputar via il calzino che rischiava di soffocarmi.

Ormai era rimasto ben poco dei miei vestiti e cominciai a tremare per il freddo. Osservò il mio tremore e con decisione tagliò via una striscia di carne dalla parte superiore della mia coscia destra. Il dolore fu immenso ed aumentò a dismisura quando ci versò sopra dell'alcool. Non sentivo più freddo ma un gran calore che espandendosi dalla ferita, raggiunse le estremità del mio corpo. Sentivo che stavo per svenire ma cercai di resistere. Il mio carnefice galvanizzato dal mio dolore, incise nello stesso modo l'altra coscia.

Mi svegliai completamente sudato ed ansimante; che incubi maledetti dovevo sopportare. Le cicatrici dei giorni trascorsi nella farmacia si erano riaperte, riportando alla luce gli orrori di quel periodo.

Avevo bisogno di bere qualcosa che mi tirasse su, che mi calmasse facendomi dimenticare i miei incubi e che mi stordisse.

Spostai le coperte per scendere dal letto e con orrore notai due macchie di sangue sul lenzuolo e la carne scoperta sopra le mie cosce di color cremisi.

Il panico si impadronì di me e solo dopo aver abbondantemente sorseggiato del whisky riuscii a calmarmi. Era reale quell'orrore, non avevo sognato.

Mi medicai le ferite che continuavano a sanguinare. Quando aveva versato l'alcool sulla seconda ferita dovevo essere svenuto e poi, slegatomi, era andato via. Cercai invano i resti dei miei vestiti fatti a brandelli ed il perché di quella scena mi era sconosciuto.

Solo una cosa era chiara: il mio dolce amore non era morto.


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